lunedì 29 ottobre 2018

RECENSIONE | "Olga di carta - Misteriosa" di Elisabetta Gnone

Oggi, 29 ottobre, arriva in libreria “Misteriosa” il terzo capitolo della serie “Olga di carta” di Elisabetta Gnone, edito Salani. Questi episodi hanno come protagonista la giovane Olga Papel, una ragazzina gentile ed esile come un foglio di carta. La giovane Papel ha una dote speciale: sapeva raccontare magnifiche storie e tutti interrompono ciò che stanno facendo per ascoltarla. Nei suoi racconti la ragazzina mostra a tutti noi, un nuovo mondo in cui nessuno teme di mettere a nudo le proprie fragilità, le proprie paure. Grandi e piccini hanno in comune la vulnerabilità e le imperfezione dell’essere umano. Io ho già letto i primi due capitoli della serie. “Il viaggio straordinario” (recensione), in cui l’autrice affronta con delicatezza e lieve  ironia le imperfezioni che ci rendono umani. Segue “Jum fatto di buio” (recensione), centrato sul vuoto che abbiamo dentro quando perdiamo una persona cara. Infine giungiamo a “Misteriosa” che parla della paura di crescere e di affrontare il mondo.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Olga di carta. Misteriosa.
(Olga di carta #3)
Elisabetta Gnone

Editore: Salani
Pagine: 192
Prezzo: € 14,90
Sinossi
Cosa significa diventare grandi? E come si fa? «Crescere è una faccenda complicata» direbbe il professor Debrìs, e Olga lo sa bene: per rassicurare una giovane amica, che di crescere non vuole sentire parlare, le racconta la storia di una bambina a cui i vestiti stavano sempre troppo grandi, anche se l'etichetta riportava la sua età, o la sua taglia, e che saltava nei disegni per fuggire dalla realtà. La storia di Misteriosa è la storia di chi fatica a trovare il proprio posto nel mondo, fugge da responsabilità e doveri, incapace di assumersene il carico, e combatte strenuamente per restare fanciullo. È anche, però, la storia di una bambina che non si arrende. Una storia che farà ridere, pensare e spalancare gli occhi per lo stupore; e che rassicurerà Olga, i suoi amici e i lettori di tutte le età su un punto, che è certo: per diventare splendidi adulti occorre restare un po' bambini.


"Si può avere paura di crescere?"

Sì, sicuramente sì, semplicemente sì!
Non fosse stato per i vestiti che le stavano grandi, sarebbe sembrata una bambina come tante: né alta né bassa, né magra né grassa, non brutta e forse anche un po’ bella, intelligente, sì, ma non un genio, insomma un tipo comune. Possedeva anche un nome comune, uno come tanti, ma tutti la chiamavano Misteriosa.
Crescere è sicuramente una questione complicata. È un percorso accidentato, difficile, ma non impossibile e Olga lo sa bene. Per rassicurare una giovane amica che “non vuol crescere”, Olga racconta la storia di una bambina a cui i vestiti stavano sempre troppo grandi. Misteriosa era il suo nome e i suoi genitori si disperavano perché la loro bambina spariva letteralmente nei vestiti.
Qualunque capo d’abbigliamento a Misteriosa stava grande. Anche se sulla targhetta c’era scritta la sua età, anche se l’etichetta riportava la sua taglia, anche se sua mamma la misurava prima di uscire e poi nei negozi tirava fuori il metro e misurava i vestiti, e solo se altezze e larghezze combaciavano al millimetro, acquistava i capi, neppure così c’era verso di farle andare bene una maglia o un paio di calzoni.
Quando si presentava una situazione difficile, Misteriosa aveva l’abitudine di nascondersi nei quadri, nei disegni, nelle fotografie e nelle locandine dei film. Se una cosa non le piaceva o l’annoiava, la ragazzina spariva. Invece, davanti a un’immagine piacevole e senza minacce all’orizzonte, Misteriosa lasciava il mondo reale per entrare in quello della fantasia. Qui succedeva una cosa strana: quando la bambina era nei disegni sembrava che i vestiti le calzassero a pennello. Magia.

Olga racconta la storia di Misteriosa mentre con i suoi amici, fra cui Mirina che non era mai stata in campagna, si avvia su per i sentieri di montagna. Una gita in montagna che si trasformerà ben presto in un’avventura mozzafiato.
Non si dovrebbe mai smettere di fare un saltino nella fantasia.
Lo sapete, io adoro Olga e ascoltare le sue storie è sempre un vero piacere. “Misteriosa” è un libro affascinante e stimolante che solleva questioni importanti, senza età. Ogni pagina è ricca di suggestioni e offre spunti di riflessione. Apre le porte della fantasia senza mai perdere di vista la realtà e afferma una grande verità: “diventare grandi non significa abbandonare i bambini che eravamo.”

Tutti abbiamo provato la paura di crescere. Il mondo spesso fa spavento e quando non riusciamo ad affrontare le difficoltà a testa alta allora ci rifugiamo in qualcosa. Inventiamo scuse per non affrontare un problema, ci nascondiamo in un libro o ci nascondiamo dietro una montagna di pretesti. Parliamo poco e vorremmo scomparire nei nostri vestiti proprio come Misteriosa. Mettiamo in discussione ogni cosa e scappiamo via facendo, magari, un saltino nella fantasia per vedere il mondo con occhi nuovi e scoprire nuovi orizzonti. La fantasia ci permette di essere eroi coraggiosi e non semplici uomini fragili e vulnerabili.

Adoro il modo in cui Elisabetta Gnone affronta questi temi. Con garbo e dolcezza, un pizzico d’ironia e tanto amore, la scrittrice riesce a parlare direttamente al cuore di noi lettori di tutte le età. Non ci sono rimproveri o sentenze, nessuna condanna o denigrazione. Ogni pagina è una possibilità, un incoraggiamento, un dire: “Ce la puoi fare!”

Fantasia e realtà corrono parallele con i confini ben delineati ma con la possibilità di passare da una dimensione all’altra senza alcun problema. Questo potere non è solo dei bambini, anche noi adulti possiamo essere cittadini del mondo della fantasia. L’importante è saper tornare nella realtà per vincere e superare le proprie paure e spostare avanti i nostri limiti. Bisogna credere in se stessi e nelle proprie capacità. Mai fuggire da responsabilità e doveri. Mai arrendersi. Rimanere fanciulli non è una soluzione. Anzi la fanciullezza è l’inizio di un viaggio che ci farà affrontare tante difficoltà. A volte sorrideremo, spesso avremo gli occhi colmi di lacrime, qualche volta incontreremo persone rassicuranti, avremo al nostro fianco veri amici e lo stupore non ci lascerà mai. Saranno tutti compagni di un lungo percorso e ci insegneranno a non aver timore di affrontare ciò che c’è fuori dal nostro nido. Apprezzare la realtà non vuol certo dire che dobbiamo dimenticare la fantasia. L’impegno e la volontà saranno le armi di tutti e non dimenticate il ruolo della scuola e della famiglia nel preparare i giovani a non temere il mondo. Bisogna dar loro gli strumenti per comprendere la realtà e conquistare il proprio posto nel mondo. Bisogna far loro comprendere che “cadere” è normale ma bisogna ogni volta “rialzarsi” e andare avanti.

“Misteriosa” è arricchito dai meravigliosi paper cut di Linda Toigo. Le parole e le immagini aiutano “a vedere” anche con gli occhi, la storia narrata da Olga di carta. Alla fine del libro ho provato un senso di appagamento e di condivisione totale con la sua morale. È facile ritrovarsi in Misteriosa con i vestiti larghi in cui nascondersi. I bambini devono poter crescere, devono avere il tempo di crescere senza bruciare le tappe verso il mondo degli adulti. Noi adulti dobbiamo, invece, ricordare come si fa a saltare nel mondo della fantasia per guardare la realtà con gli occhi dei bambini. Arrivederci alla prossima storia, cara Olga.

giovedì 25 ottobre 2018

RECENSIONE | "Tredici canti (12+1)" di Anna Marchitelli

Cari lettori, qualche settimana fa ho notato in libreria  un libro che mi ha incuriosita per la cover e per il titolo. È stato un impulso acquistarlo e un’esperienza positiva leggerlo! Si tratta di “Tredici canti (12+1)” di Anna Marchitelli, Piccola Biblioteca Neri Pozza.

Anna Marchitelli, giornalista napoletana, collabora con le pagine della cultura e dello spettacolo per il Corriere del Mezzogiorno. In occasione del quarantennale della legge Basaglia, ha pubblicato “Tredici canti (12+1)" con uno scopo ben preciso: “Ho preso un impegno con le donne e gli uomini reclusi in questo luogo: prestare loro la mia voce per sottrarli all’invisibilità in cui, ancor prima di morire, erano stati relegati.”


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Tredici canti (12+1)
Anna Marchitelli

Editore: Neri Pozza
Pagine: 157
Prezzo: € 13,50

Sinossi
Nel 1793, a Bicêtre, nei sobborghi di Parigi, Philippe Pinel libera i malati di mente dalle catene e dà vita al «manicomio moderno». Un'istituzione che in Italia sopravvivrà fino al 1978, anno in cui morirà con la legge Basaglia n. 180. Uno dei monumenti italiani di questa istituzione è stato certamente l'ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli. Edificio simile a una fortezza che sin dal 1897 si erge in Calata Capodichino, l'ospedale serba al suo interno un archivio di ben sessantamila cartelle cliniche di pazienti rinchiusi tra le sue mura e tra quelle del precedente manicomio provinciale creato nel 1874 nel complesso di San Francesco di Sales. Anna Marchitelli è andata a rovistare in quell'archivio e da quel prezioso scrigno della memoria ha tratto tredici cartelle di folli che ha riscritto intrecciando storia e creazione. Tredici casi di pazienti celebri, come il matematico Renato Caccioppoli, il primo pentito di camorra Gennaro Abbatemaggio, l'anarchica Clotilde Peani e il giovane ribelle Emilio Caporali, e meno celebri, come l'avvocato Virginio Mogliazza morto con i suoi 33 anni distici dopo aver bevuto vino. Tredici canti in cui la follia, con le sue misteriose e divine manifestazioni, illumina il lato oscuro di un secolo.

 
La gran parte dei reclusi non erano folli, erano persone che volevano esprimere qualcosa e cadevano nella follia quando questo veniva loro impedito.
Nel 1793, a Bicetre, nei sobborghi di Parigi, Philippe Pinel libera i malati di mente dalle catene e dà vita al “manicomio moderno”. Un’istituzione che in Italia sopravvivrà fino al 1978, anno in cui morirà con la legge Basaglia n. 180.

La follia è una condizione umana.
In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
(Franco Bisaglia)

Uno dei monumenti italiani di questa istituzione è stato l’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli che serba al suo interno un archivio di ben sessantamila cartelle cliniche di pazienti rinchiusi tra le sue mura. Anna Marchitelli, da quel prezioso scrigno della memoria, ha tratto 13 cartelle di folli che ha riscritto intrecciando storia e creazione. Tredici canti in cui la follia, con le sue misteriose manifestazioni, illumina il lato oscuro di un secolo.
I medici non toccavano nemmeno i pazienti, li analizzavano da lontano toccandoli con una penna o con le chiavi.
L’autrice narra 13 storie che si riveleranno straordinarie storie di vita : dal pensatore Martinotti, di cui solo Benedetto Croce ha lasciato traccia della sua ricerca “dell’armonia universale”, al giovane ribelle Emilio Caporali che tentò di assassinare Francesco Crispi perché stanco di vivere nella miseria, dall’anarchica Clotilde Penai, rinchiusa ultrasessantenne, solo perché considerata pericolosa e capace di aizzare la folla, fino al primo pentito di camorra Gennaro Abbatemaggio che si faceva rinchiudere nell’ospedale psichiatrico per sfuggire alla polizia e alla camorra.

Prima della legge Basaglia venivano internate nei manicomi le persone “affette per qualunque causa da alienazione mentale.” “I deviati” non erano solo coloro che purtroppo presentavano davvero una malattia mentale ma anche chi era ai margini della società (omosessuali e tante donne che si ribellavano alle violenze dei mariti). Durante il periodo fascista finirono in manicomio anche i dissidenti e donne incapaci di ricoprire i ruoli che il regime assegnava loro (la donna doveva essere prolifica, materna e docile).

Come è immaginabile alla verità sociale e (pseudo)medica, si contrappone la verità dei “folli”. La scrittrice ha dato loro una possibilità mostrando come, attraverso la follia, spesso si insegna la vita.

Chi decide chi è normale? 
La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
(Alda Merini)

Già, chi decide? Leggendo questi frammenti di vita risulta evidente come la diversità fosse sinonimo di follia. Le famiglie rifiutavano i figli “imperfetti”. L’onore andava salvaguardato, bisognava sfuggire pubblico scandalo. La soluzione era immediata e definitiva: un semplice certificato medico e bambini e adulti oltrepassavano la soglia del manicomio per dire addio al mondo e “imparare a morire” (come diceva Alda Merini).

Se avete fatto attenzione al titolo, sicuramente la vostra attenzione sarà stata stuzzicata dalla presenza dei numeri (12+1). Il numero 13 rappresenta la morte, la trasformazione e la rinascita. Il 13 ci parla di drastici cambiamenti che possono essere positivi o negativi. Ed è proprio il cambiamento, la rinascita ciò che accade, idealmente, ai 13 folli che si raccontano in questo libro. A veder bene tra i  13 casi c’è l’avvocato Virginio Mogliazza morto con i suoi 33 anni cristici dopo aver bevuto vino, mentre Gennaro Abbatemaggio siede metaforicamente al tavolo con i 12 giurati durante il processo Cuocolo nel quale veste i panni del traditore. Non ultima la data della legge Basaglia promulgata il 13 maggio 1978 ( troverete queste informazioni e molto di più, nelle prime pagine del libro).

“Tredici canti. (12+1)” è una lettura che vi porterà a conoscere una piccola armata di folli che poi tanto folli non sono. “Nascosti” nel manicomio, affinché il mondo non vedesse le loro imperfezioni, c’erano pazienti celebri e perfetti sconosciuti.

Ascolterete la voce dell’inventore Roberto D’Andrea, trentatré anni, nato nel 1915 e ammesso nel 1948.

Vi commuoverete con la gravida Maria Michela Guarino, trentatré anni, nata nel 1838 e ammessa nel 1871.

Ragionerete di logica con il matematico Renato Caccioppoli, 34 anni, nato nel 1904 e ammesso nel 1939.

Conoscerete la triste storia di Teresa Alfieri che parlava con gli spiriti, 43 anni, nata nel 1904 e ammessa nel 1947.

Sul filo della follia camminano  giovani e anziani, studiosi e gente semplice, uomini e donne.  La loro è una voce comune, nel manicomio non ci sono differenze sociali: lo studioso e l’analfabeta parlano allo stesso modo. È come se le disparità sociali svanissero davanti alla malattia per dare a tutti la possibilità di sottrarsi all’oblio degli uomini e del tempo. Questa uguaglianza d’espressione mi ha ricordato la poesia più famosa e amata di Antonio De Curtis, in arte Totò: ‘A livella.

 Sti pagliacciate ‘e ffanno sulo e vive: nuje simmo serie… appartenimmo a morte!

La cultura e la ricchezza non sono importanti, la morte (e la follia) rende tutti uguali.

Non lasciatevi impressionare dal tema trattato, questo libro si legge con interesse e un pizzico di curiosità. Per me conoscere i “13 folli” è stato un onore e vorrei dedicar loro un pensiero della nota poetessa Alda Merini: “Da queste profonde ferite, usciranno farfalle libere.”

lunedì 22 ottobre 2018

RECENSIONE | "La luce dei fiori nella notte" di Anne Bragance

Carissimi lettori, oggi vorrei parlarvi di un piccolo classico della letteratura francese contemporanea, “La luce dei fiori nella notte” di Anne Bragance edito da Salani.

Questo romanzo ha il potere di trasportare il lettore in un incantevole giardino silenzioso. Fiori di ogni specie e colori ne arricchiscono le aiuole e nel silenzio si impara ad ascoltare la voce del cuore. La difficoltà dei rapporti tra genitori e figli, il delicato tema dell’adozione internazionale, la vita vista con gli occhi dei bambini, sono alcuni “fiori” che impareremo a conoscere nel meraviglioso giardino della vita.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
La luce dei fiori nella notte
Anne Bragance (traduzione di G. O. Latis)

Editore: Salani
Pagine: 172
Prezzo: € 13,90

Sinossi
Edgar, detto Sweetie, è un ragazzino diverso dagli altri: a dodici anni l'unica cosa che gli interessa è 'tutto ciò che di verde e silenzioso esiste tra il cielo e la terra'. Capace di stare ore a guardare un ramo ondeggiare dietro una finestra, ha imparato ad ascoltare ogni desiderio delle piante e dei fiori del suo giardino, e va d'accordo solo con l'anziano giardiniere Lucas. Non gli interessano i coetanei, né tantomeno la rutilante mondanità che circonda i genitori che lavorano nel cinema: Sweetie riserva a tutti uno sdegnoso silenzio o un pungente sarcasmo pronto a disvelare ogni ipocrisia. Quando i suoi gli annunciano l'arrivo di un fratellino adottivo, un bambino peruviano di cinque anni di nome Anibal, Sweetie non la prende affatto bene. Ma a poco a poco 'l'indio', buffo, cagionevole e, proprio come lui, taciturno e fuori posto, lo conquisterà completamente. Tanto che quando i genitori decideranno di separarli non rimarrà che una cosa da fare: darsi a un'improbabile fuga alla volta delle Ande... Raccontato attraverso la voce di Sweetie, ironica, impietosa, ingenua e tenerissima allo stesso tempo, questo romanzo è un piccolo classico della letteratura francese contemporanea, per non dimenticare come ci si sente 'dalla parte dei bambini'. E per scoprire quanta bellezza si nasconde nell'impresa di entrare in sintonia con culture diverse dalla nostra e 'diventare' fratelli.

 
A casa non vado mai a dormie prima di aver fatto la ronda. Non è un vero giro di ispezione, è che la notte i fiori, soprattutto quelli bianchi, diffondono una luce meravigliosa che mi calma e mi consola di tutto. Se mi vengono tolti, ho gli incubi.
Aprendo il libro sono stata accolta dalla voce ironica e tenerissima di Edgar, detto Sweetie, un ragazzino con “una passione immensa per i fiori, gli alberi e per tutto ciò che esiste di verde e silenzioso tra il cielo e la terra.”

Sweetie ha dodici anni e cura con amore il giardino della sua casa. Non ama parlare, bastano poche parole per comunicare anche perchè ci vuole silenzio per ascoltare le piantine fiorite, le loro domande e capire di cosa hanno bisogno. Sweetie va d’accordo solo con l’anziano giardiniere Lucas. Con i genitori c’è un rapporto conflittuale soprattutto con il padre incapace di comprendere le scelte di suo figlio che non prova interesse per i coetanei e non ama la mondanità. Sweetie è capace di stare ore a guardare un ramo ondeggiare dietro una finestra e riversa tutta la sua attenzione al giardino. Le cose cambiano quando i suoi gli annunciano l’arrivo di un fratellino adottivo, un bambino peruviano di cinque anni di nome Anibal. Sweetie non la prende affatto bene, si sente tradito e messo in secondo piano dai genitori. I contrasti con il padre si acuiscono ulteriormente. La tensione in famiglia aumenta quando si scopre che Anibal soffre di attacchi di asma piuttosto seri. Tuttavia, giorno dopo giorno, tra i due  bambini qualcosa cambia. L’indio, dall’implacabile fame e dalle rare parole, conquisterà Sweetie e quando i genitori decideranno di separarli non rimarrà che una cosa da fare: fuggire alla volta delle Ande.
Quanto al nome, il tipo mi batte di parecchio: si chiama Anibal, e vi assicuro che questa volta non è un’invenzione di Lolly. Ha due occhi più neri del buco del culo del mondo e dei capelli altrettanto neri, che gli spiovono sugli occhi dritti come spaghetti e gli solleticano il collo. L’unica cosa vera di questo  fratello finto è l’origine india. Impossibile negarla.
Leggere questo libro è stato un tuffo nei sentimenti coniugati in tutti i modi possibili. I personaggi si presentano immediatamente con i loro caratteri ed è facile distinguere il buono dal cattivo. I buoni sono coloro che comprendono e aiutano Sweetie nella sua crescita sostenendolo e confortandolo quando le cose si mettono al peggio. Lucas, il giardiniere, e il dottor Chevalier pronto a curare sia il corpo che l’anima del suo giovane paziente. Hugues, il padre di Sweetie, è di un’antipatia unica. Ha eretto un muro d’incomprensioni tra lui e il figlio. Non accetta di avere un primogenito amante della natura e le punizioni sono all’ordine del giorno. Tra i due non c’è dialogo, l’amore ha fatto fagotto ed è andato via lasciando un vuoto incolmabile. Lolly, madre di Sweetie, spesso mi ha fatto arrabbiare. Pur amando il figlio è succube del marito. Cerca una mediazione impossibile e lascia che il tempo trasformi le incomprensioni in punti di unione. Speranza vana. Sweetie crea solo problemi. I genitori non sanno come comportarsi con questo figlio che non gioca con i compagni e passa ore sul prato a veder crescere l’erba o sorvegliare i semi della serra.
A scuola i bambini contavano i giorni che li separavano dalle vacanze. Io contavo quelli che mancavano all’arrivo della primavera, dell’estate, dell’autunno e dell’inverno. Amavo tutte le stagioni allo stesso modo. Erano le mie beniamine, le mie preferite. Avevo anche altri amici per così dire secondari: la pioggia, il vento, il sole e la neve. Quello era il mio mondo e io ero felice come un re.
Come avrete sicuramente compreso, ho amato fin da subito il personaggio di Sweetie con la sua ironia, capace di chiudersi in uno sdegnoso silenzio o un pungente sarcasmo pronto a smascherare ogni ipocrisia. Chi non si omologa agli altri è visto come “un diverso”, un “tipo strano”, un ragazzino dai mille problemi che può collezionare solo guai nella sua vita. Con lui, con Sweetie, è stata simpatia a prima vista. Mi ha fatto sorridere con le sue riflessioni e intenerire quando anche lui ha lasciato che il suo cuore palpitasse d’amore per il fratellino venuto da lontano. Arriviamo così alla presentazione del secondo personaggio che mi ha subito conquistata. Lui, il piccolo Anibal, buffo, taciturno e fuori posto in una casa che non conosce lontano dal suo paese natio.

È stato bellissimo leggere come le distanze culturali, le diverse educazioni si annullano piano piano lasciando il posto a genuini sentimenti d’affetto. Sweetie diventa l’angelo custode di Anibal ricoprendo nel migliore dei modi il ruolo di fratello maggiore. Ho provato tenerezza nel leggere l’organizzazione della fuga verso le Ande e ho tifato per i due fuggitivi anche se era davvero improbabile un loro successo. I genitori, come sempre, non hanno capito nulla. Gli adulti si atteggiano a saper tutto ma senza sentimenti non si comprende nulla. Per fortuna al deserto emotivo di papà Hugues si contrappone l’oasi ricca di sensibilità di altri personaggi che cambieranno la vita dei due fratellini.

L’autrice mette in risalto i pensieri e i turbamenti di Sweetie, descrivendoli con un linguaggio semplice e ironico, scorrevole e passionale. La prosa corre veloce fino all’imperdibile epilogo testimone di qualcosa di inatteso. Sweetie dovrà affrontare la paura di rinunciare alle proprie sicurezze per far spazio ad Anibal e alla libertà di poter voler bene a “un nuovo fratello”. Entrare in sintonia con culture diverse dalla nostra non è facile ma nemmeno impossibile. Lasciamoci guidare dal nostro cuore che parla la lingua universale dell’amore fraterno, delle emozioni umane, trasmettendoci la voglia di affrontare la vita a viso aperto. Senza paura. Senza pregiudizi.

giovedì 18 ottobre 2018

RECENSIONE | "Figlie di una nuova era" di Carmen Korn

È da oggi in libreria “Figlie di una nuova era”, primo volume della trilogia scritta da Carmen Korn e pubblicato in Italia da Fazi Editore nella collana Le strade. È una trilogia tutta al femminile che racconta, attraverso le storie di quattro amiche, gli anni dal 1919 al 1948. Anni difficili del primo dopoguerra che consegnano le macerie di un mondo lacerato dalla guerra nelle mani di un uomo che avrebbe portato il mondo sull’orlo di un’altra  catastrofe.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 9
Figlie di una nuova era
Carmen Korn (traduzione di M. Francescon e S. Jorio)

     Trilogia "Figlie di una nuova era"     
#1 Figlie di una nuova era
#2 È tempo di ricominciare (recensione)
#3 Aria di novità (recensione)

Editore: Fazi
Pagine: 522
Prezzo: € 17,50
Sinossi
Uno strano destino, quello delle donne nate nel 1900: avrebbero attraversato due guerre mondiali, per due volte avrebbero visto il mondo crollare e rimettersi in piedi, stravolgersi per sempre sotto i loro occhi. Sono proprio loro le protagoniste di questa storia, quattro donne che incontriamo per la prima volta da ragazze, ad Amburgo, alle soglie degli anni Venti. Hanno personalità e provenienze molto diverse: Henny, di buona educazione borghese, vive all'ombra della madre e ama il suo lavoro di ostetrica più di ogni cosa; l'amica di sempre Ka?the, di estrazione più modesta, emancipata e comunista convinta, è un'appassionata militante; Ida, rampolla di buona famiglia, ricca e viziata, nasconde un animo ribelle sotto strati di convenzioni; e Lina, indipendente e anticonformista, deve tutto ai suoi genitori, che sono letteralmente morti di fame per garantirle la sopravvivenza. Insieme crescono e vedono il mondo trasformarsi, mentre le loro vicende personali s'intrecciano in una rete intricata di relazioni clandestine, matrimoni d'interesse, battaglie politiche e sfide lavorative, lutti e perdite, eventi grandi e piccoli tenuti insieme dal filo dell'amicizia. Pagine che ci fanno respirare il fascino d'epoca di un mondo che non c'è più: i cocktail al vermut, i cappelli a bustina, gli orologi da tasca e gli sfarzosi locali da ballo, ma anche le case d'appuntamenti, i ristoranti cinesi e le fumerie d'oppio del quartiere di St Pauli. E poi la lenta, inesorabile disgregazione di tutto, la fine di ogni libertà, il controllo sempre più pressante delle SS, la minaccia nazista...  


Henny e Käthe erano cresciute così, facendo su e giù fra le rispettive case. I genitori di Henny si erano trasferiti in quella parte del quartiere, verso Brambeck, poco dopo l’inizio delle elementari. Henny l’aveva notata subito, nel tragitto da casa a scuola, la ragazzina con le trecce e il grembiule allacciato di sghembo.
Le protagoniste di “Figlie di una nuova era” sono quattro ragazze nate, ad Amburgo, alle soglie degli anni Venti. Le loro vite saranno segnate da paure, incertezze, lutti, speranze, lotte e sconfitte. Un’intera generazione nata nel 1900 che vivrà due guerre mondiali e vedrà il suo mondo frantumarsi ma saprà rialzare la testa e rinascere dalle macerie. Vi presento le fragili e coraggiose ragazze.

Henny, 19 anni, vive con la madre Else e sogna l’indipendenza. Suo padre è morto nella Grande Guerra. Studia per diventare ostetrica. Voleva assistere al nascere della vita dopo tutto il dolore e lo strazio che aveva visto, ogni giorno, all’ospedale militare.

Käthe, amica da sempre di Henny. Ha 19 anni, vive con i genitori. I suoi fratelli più piccoli sono morti di difterite durante la guerra. Anche lei vuol diventare ostetrica. Rudi è il suo fidanzato, un inguaribile romantico. Käthe è una ragazza emancipata e impegnata politicamente. È una comunista convinta.

Ida, 17 anni, appartiene a una famiglia benestante. È ricca e viziata. Nasconde un animo ribelle ma nulla può quando suo padre, per ottenere un ingente prestito, la concede in sposa al banchiere Campmann. Ida si ritroverà intrappolata in un matrimonio senza amore. Noia e solitudine cullano la sua malinconia.

Lina, 20 anni, indipendente e anticonformista. Deve tutto ai suoi genitori morti letteralmente di fame per garantirle la sopravvivenza. Lina ha un fratello, Lud, ingenuo senza speranza. Lui ha paura della solitudine e sogna una famiglia numerosa. Lina lo protegge e sogna di diventare una maestra.

Sono queste le ragazze coraggiose che ci condurranno per le vie di un mondo in trasformazione. La Germania aveva chinato la testa dopo la prima guerra mondiale, la nuova repubblica era in una profonda crisi economica, politica e sociale. Per ritornare all’antica potenza occorreva un capo carismatico che garantisse sicurezza e ordine. Adolf Hitler fu quel capo carismatico che la Germania aspettava e la follia ebbe inizio.
Accendeva gli animi con la facilità di un incendio in un bosco arido, ed erano in pochi a storcere il naso di fronte alle sue farneticazioni. Dal nazionalismo al populismo, e da questo al più bieco nazismo, il passo era breve.
Ampi settori della popolazione lo adoravano, in molti lo sottovalutarono e in pochi ne ebbero paura.

In questa società in fermento s’incastrano le vicende personali delle protagoniste. Leggeremo di relazioni clandestine matrimoni d’interesse, lutti e perdite, battaglie politiche e scelte lavorative. Le ragazze vogliono realizzarsi nel lavoro e ottenere l’indipendenza. Scommettono sul loro futuro lottando contro un destino crudele e cercando di conciliare i loro sogni con la realtà.
Senza coraggio non si va da nessuna parte.
Ho letto questo romanzo con curiosità ed emozione, incapace di posare il libro, completamente conquistata dai temi trattati e dalla forza dei personaggi. Mi è parso di vivere in un mondo che non c’è più. Ho bevuto i cocktail al vermut, ho ammirato gli orologi da taschino, ho danzato nei locali da ballo e cenato nei grandi ristoranti. Ho ammirato il lavoro negli ospedali e ho assistito, incredula, alla realizzazione di pranzi con praticamente nulla in mano. Una patata, un cespo di lattuga, una ciotolina di burro erano preziosi alimenti per una cucina povera e fantasiosa. Ho visto l’anima nera delle case d’appuntamento e delle fumerie d’oppio del quartiere di St. Pauli. Tutto è pericolosamente in bilico tra la voglia di pace e il non rendersi conto della minaccia nazista sempre più reale. Quando scoppia la seconda Guerra mondiale mi sono sentita partecipe delle sofferenze dei protagonisti. Intense e drammatiche le pagine che descrivono i bombardamenti sulla città di Amburgo, gli incendi e i rifugi antiaerei. Devastazione e morte.

Carmen Korn riesce perfettamente a trasmettere la tensione, gli affanni, le preoccupazioni di un’intera generazione piegata ma non spezzata dalla guerra. La scrittrice pone attezione nei dettagli e mette in evidenza la psicologia dei personaggi che si riflette nelle loro azioni, nel loro impegno civico e morale, nell’aiuto reciproco e nei tradimenti politici.

Per me è stato facile subire il fascino di Henny e delle sue amiche. Il finale, un arrivederci al prossimo capitolo di questa saga avvincente, è una luce di speranza tra le tenebre della follia umana.
In fondo al vulcano si dipartono strade che portano fuori dall’abisso.
Riuscirà il seme della speranza a germogliare nuovamente? Diamo a tutti noi una possibilità di salvezza, ricordiamo sempre lo sterminio di popoli innocenti, non volgiamo mai lo sguardo altrove. La memoria sia una nostra fedele alleata per non dimenticare e per tagliare del tutto quel filo spinato.

Vi consiglio assolutamente la lettura di “Figlie di una nuova era”. Alla Fazi un grazie di cuore e un’esortazione a pubblicare il prima possibile il secondo capitolo di questa trilogia. Henny, Käthe, Lina e Ida già mi mancano!

giovedì 11 ottobre 2018

RECENSIONE | "La veste nera" di Wilkie Collins

Ormai, per me, leggere Collins è sempre un vero piacere. I romanzi del padre della narrativa del mistero sono scrigni che contengono sentimenti, emozioni e pensieri. Ogni storia si moltiplica in mille storie, ogni vita deve vedersela con il caso (se volete chiamatelo destino) e spesso la Provvidenza arriva in soccorso dei più deboli. Una verità appare inesorabile: i mostri non si nascondono negli armadi ma nei cuori delle persone. Oggi, 11 ottobre, potrete trovare in libreria “La veste nera” di Wilkie Collins, edito Fazi.

STILE: 9 | STORIA: 9 | COVER: 8
La veste nera
Wilkie Collins (traduzione di A. Lombardi Bom)

Editore: Fazi
Pagine: 336
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Lewis Romayne sembra avere tutto per essere felice: giovane, di bell'aspetto, agiato, conduce una tranquilla vita di studioso nella sua splendida residenza di campagna, Vange Abbey. Ma un avvenimento funesto tronca bruscamente la sua serenità: durante un viaggio in Francia, l'uccisione di un uomo in duello porta con sé un carico di oscuri rimorsi che, dopo un lungo e tormentato periodo di solitudine, solo il sorriso della dolce Stella Eyrecourt è in grado di allontanare. Ma le vicissitudini di Romayne non sono terminate: nella sua vita s'insinua l'ombra nera del padre gesuita Benwell, determinato a restituire Vange Abbey alle proprietà ecclesiastiche e a infoltire le schiere della Chiesa cattolica convertendo il protestante Romayne. Tra il prete e la giovane, innamoratissima Stella si scatena una lotta senza esclusione di colpi, in cui dubbi, sospetti, insinuazioni, certezze e verità nascoste s'intrecciano alle vite dei diversi personaggi, la cui psicologia è delineata in modo magistrale. 


Può darsi che sia così per lei, padre Benwell. Ha forse abbandonato la sua umanità quando ha indossato la veste nera del prete?
 Ho abbandonato, figlio mio, tutte quelle debolezze su cui le donne fanno leva.
Lewis Romayne è un giovane di bell’aspetto, ricco, conduce una tranquilla vita di studioso nella sua splendida residenza di campagna, Vange Abbey. Durante un viaggio in Francia, Romayne viene sfidato in duello e uccide il suo avversario. Da quel momento il giovane è tormentato da oscuri rimorsi e solo il sorriso della dolce Stella Eyrecourt è in gradi di strapparlo alla sua solitudine. Tutto sembra volgere al meglio ma l’ombra nera del padre gesuita Benwell, determinato a restituire la proprietà di Vange Abbey alla Chiesa convertendo il protestante Romayne, sconvolge la vita del giovane possidente. Tra il prete e la dolce Stella, innamorata di Lewis, si scatena una dura lotta senza esclusioni di colpi. Dubbi, sospetti, insinuazioni e verità nascoste s’intrecciano alla vita dei vari personaggi fino al finale inaspettato.

“La veste nera” è un pregevole romanzo impreziosito da una pura narrativa di suspense, con sfumature dal gotico al grottesco, per un’appassionante storia di segreti e introspezione psicologica. Tuttavia i segreti non possono restare sepolti per sempre, i protagonisti sono persone normali che vivono, sbagliano e tentano di riscattarsi dagli errori commessi. Nessuno può sottrarsi alla sfida con il destino e con la caducità dell’esistenza e dei sentimenti umani.

I personaggi sono molti e vari, affascinanti esempi di variegata umanità.

Stella è una dolce fanciulla, ama la vita appartata, i libri e i disegni. Ha un soave sorriso e l’ardire di sentirsi in grado di liberare Mr Romayne dal tormento di cui soffre. L’amore le dona coraggio e determinazione. Il suo candore conquista i cuori ma non ha ancora chiuso i conti con il suo passato. E il passato ritorna. Ritorna sempre.

Lewis Romayne è un giovane uomo impulsivo che ha perso la sua serenità d’animo. È tormentato da ciò che ha fatto in Francia e deluso dalla vita che lo ha reso irrequieto, malinconico, senza alcuna stabilità. Stella sarà la sua “rivoluzione imprevista”, con il suo amore lo porterà a riconsiderare, anche se per breve tempo, la bellezza della vita.

Su tutti aleggia la figura di padre Benwell, la veste nera. Uomo subdolo e ingannatore, dall’intelligenza lungimirante, non arretra davanti a nulla pur di ottenere ciò che vuole. Per lui le persone sono solo pedine da muovere sulla scacchiera della vita.
Era, da capo a piedi, uno di quei preziosi soldati della Chiesa che non ammettono sconfitte e che approfittano di ogni vittoria!
La trama, ricca di eventi, non vi lascerà un attimo di tranquillità trascinandovi nel gorgo di intrighi e passioni mai sopite. La serenità d’animo di Romayne dipenderà dall’amore di una donna o dalla divina saggezza e compassione della santa Chiesa Cattolica? Tra Stella e padre Benwell, chi vincera?

Ho letto “La veste nera” con interesse lasciandomi coinvolgere dalle atmosfere sfumatamente gotiche. I capitoli volano via veloci caratterizzati da una scrittura incisiva e nitida che scava nelle anime degli uomini, nei loro progetti e passioni. Wilkie Collins non delude mai. Con abilità tratteggia gli ambienti della società vittoriana e la fragilità umana nel non saper prendere in mano il proprio destino assistendo, spesso inermi, a un girotondo di promesse non mantenute, incontri fortuiti, fragili emozioni, ipocrisie e segreti. Il passato che ritorna mette in difficoltà la relazione tra Stella e Romayne grazie anche alla sapiente opera minatoria di padre Benwell. Vivremo così un’avventura pericolosa quanto intrigante subendo il fascino di una storia che ci dimostra come non sia mai troppo tardi per cominciare a vivere davvero.

“La veste nera” è un romanzo che rientra perfettamente nella tradizione letteraria di Collins. In questa storia appare evidente come lo scrittore ami il caso e lasci spazio alla Provvidenza. Anche qui non c’è un narratore unico ed onnisciente. Più voci si alternano narrando la propria verità e la realtà anche se questa indossa sempre una maschera di signorile menzogna. Lettere e diari si passano il testimone in questa staffetta di lettura rendendo dinamica e varia la struttura del romanzo. C’è, se così posso dire, un lieto fine ma solo dopo aver attraversato dolori, sofferenze, pianti ed eroiche decisioni. Troverete in questa storia tante storie che si completano a vicenda incastrandosi tra loro alla perfezione e marciando spedite verso un finale inaspettato.

Cosa dirvi di più? Se ancora non conoscete Wilkie Collins non indugiate ancora, “La veste nera” vi aspetta in libreria e io vi saluto con i versi del grande Byron:
Ecco un sospiro per coloro che mi amano,
E un sorriso a coloro che odiano;
E qualsiasi cielo si trovi lassù,
Ecco il cuore per ogni destino!

lunedì 8 ottobre 2018

RECENSIONE | “I gemelli Gheddafi” di Marco Ubezio

Carissimi lettori, oggi vi presento il romanzo “I gemelli Gheddafi”, opera prima di Marco Ubezio. Il libro è pubblicato dalla casa editrice milanese bookabook, fondata nel 2014 da due giovani imprenditori: Tomaso Greco ed Emanuela Furiosi.

Prima di passare alla recensione del romanzo vorrei darvi qualche informazione su Marco Ubezio, classe 1978, avvocato a Milano. Si occupa di assistenza legale a operatori del no profit. È esercitatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, facoltà di Scienze Politiche. Con “I gemelli Gheddafi” ha vinto il terzo premio al concorso Avvocati e Autori organizzato dall’Unione Lombarda Ordini Forensi e Ananke Lab.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7
I gemelli Gheddafi
Marco Ubezio

Editore: bookabook
Pagine: 272
Prezzo: € 15,00
Sinossi
Milano, seconda decade degli anni Duemila. Mentre nel pieno della notte viene ritrovato il cadavere di un ragazzo mediorientale orrendamente mutilato, l’avvocato Matteo Riflessi riceve una telefonata. È Marco, il suo vecchio amico d’infanzia. Insieme erano “i Gemelli Gheddafi”, il terrore del quartiere. A distanza di anni, il suo compagno di giochi, diventato un prete di prestigio della Curia milanese, gli chiede aiuto: un anziano monsignore è accusato di ricettazione di antichi manoscritti e ha bisogno di un avvocato. Ma quando il prelato muore in circostanze sospette, Matteo resta intrappolato in una vicenda labirintica la cui unica certezza è un misterioso legame tra i due cadaveri. Circondato da illustri porporati, sciure fattucchiere e fantasmi del passato, Matteo avrà l’ardito compito di ricomporre lo schema di omissioni al cui interno si cela un’unica sconcertante verità.


Se non fosse apparso sul display il suo nome avrei rifiutato la telefonata senza indugio, ma lui non è un cliente qualsiasi. Lui le palle le rompe sempre a ragion veduta, e poi è come un fratello. Anzi, di più.
Milano, seconda decade degli anni Duemila. Nel cuore della notte, l’avvocato Matteo Riflessi riceve una telefonata da Marco, il suo vecchio amico d’infanzia. Insieme erano “i Gemelli Gheddafi”, il terrore del quartiere. Nella stessa notte viene ritrovato il cadavere di un ragazzo mediorientale orrendamente mutilato. I due avvenimenti sembrano non aver nulla in comune. Per Matteo correre alla chiamata del suo compagno di giochi è quasi un obbligo. Ora Marco è un prete di prestigio della Curia milanese e chiede, a Matteo, il suo aiuto come avvocato per difendere un anziano monsignore accusato di ricettazione di antichi manoscritti. Quando il prelato muore, in circostanze sospette, il caso è prossimo all’archiviazione ma la curiosità condurrà Matteo in una vicenda labirintica dove l’unica certezza è un misterioso legame tra i due cadaveri. All’avvocato Riflessi il compito di svelare la sconcertante verità destreggiandosi tra illustri porporati, sciure fattucchiere e fantasmi del passato.
Non sempre la luce svela, più spesso occulta. È più facile  intuire i contorni di un’ombra nel buio che ciò che si cela dietro una maschera indossata alla luce del giorno. Giorno dopo giorno.
La vita umana, scriveva Erasmo da Rotterdam, è una commedia in cui ognuno recita con una maschera diversa e continua nella parte finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico. In questo bel romanzo a ricoprire il ruolo di direttore di scena è l’avvocato Matteo Riflessi, un uomo curioso e spesso in netto conflitto con la quotidianità e le relazioni sentimentali. Fin dalle prime pagine la storia accoglie il lettore in un mondo dove “le maschere” sono ovunque. Tutto ruota intorno alla ricerca della felicità.
Molti uomini sono vivi a loro insaputa, in fondo sono già salme che camminano. Ridono, piangono, si arrabbiano e fanno figli come conigli ma, in fondo, salme restano. Chi rifiuta anche solo di provare a essere felice è già morto. Un pezzo di carne che non si consuma non è buono neppure a concimare la terra.
“I gemelli Gheddafi” è un romanzo giallo che nasconde un’anima riflessiva in cerca di verità. Denaro, sesso, fragilità umana sono i fantasmi che fluttuano tra i capitoli dai titoli evocativi come Il Sipario Strappato, Metti una sera a cena, La piccola bottega degli errori.

Lo scrittore Marco Ubezio ha la capacità di narrare gli eventi analizzando le piccole o grandi scoperte che portano a importanti svolte. Le storie altrui entrano in rapporto con la vita dell’avvocato toccando temi come l’affermazione professionale, la Chiesa e le sue debolezze, i rapporti affettivi, l’amicizia e la ricerca di sé. Mi piace il variopinto mondo dei personaggi descritti da Ubezio. Conosceremo uomini apparentemente forti e altri solo apparentemente deboli. Su tutti sovrastano i personaggi con pensieri estremi che portano ad azioni drastiche. C’è coraggio nel seguire le proprie scelte mentre un velo di falsità le nasconde agli occhi del mondo. Non so se posso dire che in alcuni di loro c’è vergogna, sicuramente provano un senso di colpa. Questi sentimenti tessono la loro rete incastrando chi non si sente a proprio agio nella propria pelle.

Questo romanzo mi è piaciuto per i temi affrontati e per il tatto con cui lo scrittore tratta le debolezze umane. C’è una vena d’umorismo nella storia che rivela una profonda simpatia, dello scrittore, verso gli uomini. Ridere con i personaggi è stato un modo meno pesante per affrontare tensioni, rapporti e relazioni umane. Le caratteristiche del genere giallo sono ampiamente rispettate e spesso viene citato il commissario Maigret, nato dalla fervida penna di Georges Simenon. Infatti l’avvocato Matteo si ritrova a indagare basandosi sul suo istinto, immedesimandosi nell’ambiente dei delitti e nella personalità dei personaggi coinvolti nell’indagine. Gli avvenimenti si susseguono nella frenetica Milano, nel mezzo di una campagna elettorale, con la Polizia alle prese con più importanti emergenze, promozioni e trasferimenti d’ufficio.

“I gemelli Gheddafi” è un romanzo avvincente basato su inganni e ricatti che ci porta a riflettere sul coraggio di guardare noi stessi con occhi diversi per mettere a fuoco ciò che realmente siamo.
Non c’è niente da dire, si può nascere dritti o storti, è solo una questione di probabilità, non di merito. Certo è che se si nasce storti non c’è bisogno di stortare tutto il mondo per sembrare dritti.
Vorrei ringraziare la bookabook per avermi dato l’opportunità di leggere questo giallo e ne approfitto per parlarvi di questa casa editrice molto particolare.

La bookabook è una casa editrice indipendente che mira a rimettere il lettore al centro del lavoro editoriale sfruttando le opportunità del web. Attraverso il meccanismo del Crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) il lettore diventa editore, sostenendo i libri che preferisce. Sono i lettori a scegliere il libro che verrà pubblicato, in cartaceo e digitale, e distribuito online e nel circuito delle librerie. Bookabook è anche una community dove i lettori possono scambiarsi idee, incontrare gli scrittori e scoprire ciò che ha ispirato gli autori. Vi consiglio di dare uno sguardo al sito bookabook.it per scoprire nuove opportunità di lettura :)

giovedì 4 ottobre 2018

RECENSIONE | "Il giorno perfetto per un delitto" di Barbara Sessini [Review Party]

Buongiorno, cari lettori :) Esce oggi in libreria il nuovo romanzo di Barbara Sessini, “Il giorno perfetto per un delitto” (Newton Compton). Mi rivolgo in special modo agli amanti dei thriller intensi che affrontano tematiche sempre attuali con una penetrante attenzione al profilo psicologico dei personaggi. 

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 6
Il giorno perfetto per un delitto
Barbara Sessini

Editore: Newton Compton
Pagine: 442
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Quando la violinista Ines Salis viene raggiunta da un proiettile in pieno viso, nessuno sa spiegarsi cosa ci facesse in quella strada deserta di Alarcò, nella costa sud della Sardegna. Il caso va risolto in fretta, perché la fama della località turistica è minata da alcuni eventi accaduti nelle ultime settimane. Tra questi, l'arresto per traffico di cocaina di Oscar Berti, la cui innocenza Ines stava cercando di dimostrare, e l'omicidio di un notabile del paese. Sulle vicende indaga la squadra del commissario Diana e, senza spostarsi da Torino, anche l'annoiato commissario Rossini, che tenta ufficiosamente di capire se il ragazzo, che era stato suo consulente, non sia stato vittima di ritorsioni per un vecchio caso. Quando si tratta di traffici illeciti, infatti, i muri crollano e le distanze si accorciano, comprese quelle tra Sardegna e Piemonte. Ma sono davvero la droga e l'arresto di Oscar Berti le cause del destino di Ines Salis?

Non basta sapere cosa vuole nascondere di sé una persona. È fondamentale capire da chi la nasconde.
La storia è ambientata nel paese di Alarcò, nella costa sud della Sardegna. In questa amena località turistica nelle ultime settimane sono accaduti eventi che hanno minato la tranquillità degli abitanti e dei turisti. Inizialmente c’è l’arresto, per traffico di cocaina, di Oscar Berti che si proclama innocente. Poi avviene l’omicidio di un notabile del paese e il tentativo di omicidio della violinista Ines Salis, raggiunta da un proiettile in pieno viso. Ines stava cercando informazioni per dimostrare l’innocenza di Berti, ha visto qualcosa che non doveva vedere? Sulle vicende indaga la squadra del commissario Diana e, senza spostarsi da Torino, anche il commissario Rossini. Quando si tratta di traffici illeciti, infatti, cadoni i muri e le distanze si accorciano, comprese quelle tra Sardegna e Piemonte. Chi voleva Ines Salis morta? Sono davvero la droga e l’arresto di Berti le cause del tragico destino della violinista?

“Il giorno perfetto per un delitto” è un romanzo che inizia in sordina con un arresto per traffico di droga e l’autrice ci conduce per mano a conoscere i tanti personaggi che danno vita a una storia ricca d’intrecci ed eventi. Poi la lettura decolla pian piano e diventa coinvolgente grazie al fluire ininterrotto di avvenimenti e a un ritmo sempre più incalzante.

A dire il vero all’inizio mi sono un po’ persa, molti i personaggi e i collegamenti tra loro da ricordare. Poi tutto è migliorato e ho individuato il mio personaggio preferito nella figura di Maria Cortes, figlia di un potente narcotrafficante spagnolo. Maria dirige un ristorante di lusso ad Alarcò nascondendo tra pietanze raffinate e vini rari un mondo fatto di ricatti, droga, investimenti redditizi ma davvero poco legali e corruzione.

Un ruolo importante è affidato alla località turistica di Alarcò che funge da sfondo vivo alle indagini, quasi uno spettatore privilegiato. La ricerca della verità è alquanto complessa e si divide in due rami, le indagini personali (ad opera di un gruppo di amici di Oscar e Ines) e le indagini pubbliche che coinvolgono la polizia e l’antidroga.

Ho letto questo romanzo con interesse coinvolta maggiormente dalla seconda parte della storia. La scrittrice è stata brava nell’incastrare perfettamente i tanti fatti criminali che caratterizzano il romanzo, ogni tessera troverà il suo giusto posto in questo grande mosaico internazionale. Infatti la criminalità, non soddisfatta di aver messo le sue avide mani sulla bellissima Sardegna, si ramifica in Spagna, a Londra e in altre località che lascio a voi scoprire.

Il romanzo è composto da ben 442 pagine e in alcuni passaggi la scrittrice si è prolungata eccessivamente nel descrivere eventi viaggiando su vari piani temporali che richiamano a eventi passati. Mi sono piaciuti i temi trattati, sempre attuali. Ho apprezzato la sfida di alcuni personaggi con il destino e con la fragilità dei sentimenti e dell’esistenza. Ho ascoltato le molteplici voci di questo romanzo corale che offre a tutti, buoni e cattivi, le stesse opportunità d’espressione. Il finale rocambolesco lascia prevedere nuove indagini per il commissario Diana e io spero d’incontrare nuovamente Maria Cortes, donna senza scrupoli in cui onore e vendetta coesistono dividendosi equamente la sua anima. Nella vita è difficile dire chi vince e chi perde. Forse vince chi sparisce al momento giusto? Chi si ritira dalla competizione? Chi teme la polizia? Chi non lascia traccia di sé?

La criminalità organizzata infiltrata nel tessuto economico e sociale di Alarcò dovrà vedersela con un gruppo di detective inesperti ma molto decisi. Buona lettura e buon viaggio in Sardegna!

lunedì 1 ottobre 2018

RECENSIONE | “Il mistero della reliquia dimenticata” di Stefano Santarsiere

Cari lettori, oggi vi presento un romanzo molto particolare, un thriller in cui Bibbia e Scienza si contrappongono dando vita a una storia che vi farà spesso sorridere ma vi indurrà anche a riflettere sui nuovi peccati che affliggono la nostra società. Il libro in questione è “Il mistero della reliquia dimenticata” di Stefano Santarsiere per Newton Compton Editori.

Ho già avuto il piacere di leggere altri due romanzi di questo scrittore: “La mappa della Città Morta” (recensione) e “I guardiani dell’isola perduta” (recensione).  

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il mistero della reliquia dimenticata
Stefano Santarsiere

Editore: Newton Compton
Pagine: 328
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Mentre un’epidemia di antrace flagella gli allevamenti della Val d’Agri, il cuore petrolifero della Basilicata, qualcuno fa apparire dei misteriosi altari nelle campagne, opera forse della stessa mano che ha tentato di sottrarre una preziosa reliquia da una chiesa locale. Quando, su un altare, tra croci e candele viene deposto il cadavere di una vecchia, gli eventi prendono una piega inattesa. Le accuse ricadono su Lucio Lobello, trentenne ludopatico e tossicodipendente che nasconde un segreto inconfessabile: quello di essere il diavolo, il principe delle tenebre in persona, che da millenni erra per il mondo sotto mentite spoglie sfuggendo a un gruppo di arcangeli che vorrebbe ricacciarlo negli inferi. O almeno così crede lui. Ma per scampare a una condanna per omicidio, stavolta Lobello dovrà allearsi proprio con uno dei suoi inveterati avversari: un prete…


Osservo la sorprendente e multiforme inclinazione dell’uomo a generare da sé i suoi inferni, in nome di un aleatorio concetto di benessere. Non c’è motivo, sapete, di sussurrare al lato oscuro del vostro animo, di imbastire tranelli. La tentazione è un codice già scritto dentro di voi. È il segreto del vostro successo di specie. Ho il sospetto che Dio stesso ve l’abbia instillata, nel più profondo della vostra essenza, per poi incolpare me quale artefice delle lusinghe che il vostro stesso cuore ordisce.
A pronunciare queste parole è il diavolo in persona. La sua voce, però, non giunge dal sotterraneo regno dei morti ma dall’irrequieto mondo degli esseri viventi.

Nelle campagne della Val d’Agri, in Basilicata, appaiono misteriosi altari mentre un’epidemia di antrace flagella gli allevamenti della zona. Qualcuno, inoltre, ha tentato di rubare la preziosa reliquia di San Rocco di Montpellier, custodita in una chiesa del paesino di Santerio. Gli eventi precipitano quando tra croci e candele, viene commesso l’omicidio di una anziana donna. Le accuse ricadono su Lucio Lobello, trentenne ludopatico e tossicodipendente che nasconde a tutti la sua vera identità: lui è il principe delle tenebre in carne e ossa. Da millenni erra per il mondo sotto mentite spoglie per sfuggire a un gruppo di arcangeli che vorrebbe ricacciarlo negli inferi. Stavolta, però, le cose si mettono male. La polizia l’accusa di essere il killer dei misteriosi omicidi. A Lobello non resta che allearsi con il suo peggior nemico, un prete.
Perfino quando calpesti la terra, così forte è la tua brama di Inferno?
Ho letto questo romanzo tutto d’un fiato. Il protagonista è un diavolo molto umano che ha come amici non più i demoni Legione, Belial e Belzebù, ma la droga, il gioco d’azzardo e l’alcol. Sulla Terra questi “nuovi peccati” uccidono e causano tante sofferenze al genere umano. Il Male si nasconde ovunque nelle pieghe dell’umanità. Agisce nell’ombra: riviste patinate, spinelli, giochi elettronici, corruzione, voti di scambio, minacce anonime per ricevere favori sottobanco. La lista sarebbe infinita. Il diavolo vive “di fianco agli uomini. Stupito, irresistibilmente attratto da essi.”

Stupito! In fondo l’uomo non ha bisogno di alcun diavolo per sporcare la propria vita. Ci riesce benissimo da solo inventandosi i suoi aguzzini che si chiamano Denaro, Potere, Fanatismo, Droghe, Guerre dei tempi che furono e Guerre Moderne con armi biologiche.

Nel romanzo troverete in primo piano l’accavallamento di più intrecci e personaggi che operano nell’ombra generando una tensione costante. Vorrei però invitarvi a riflettere sulle tematiche coinvolgenti che si affacciano alla nostra attenzione. Nel thriller di Santarsiere non riscoprirete l’eterno scontro tra Bene e Male ma l’opportunità di leggere come gli uomini, ahimè, sono in grado di autodistruggersi. A un certo punto Lobello vi starà pure simpatico perché spesso subisce le azioni umane e non ha armi diaboliche se non la sua intelligenza che forse potrebbe meglio impiegare.

Bravo lo scrittore nel creare il corpo del romanzo come un fitto intreccio di arterie e vene. Nelle arterie scorrono i buoni sentimenti, la volontà di giustizia e la parte sana del tessuto sociale. Le vene, invece, trasportano un liquido più marcatamente sporco reso nocivo da rifiuti tossici come l’alcolismo, la ludopatia, la dipendenza da droghe, l’ambiente violato. Scienza e Bibbia vanno a braccetto esaltandosi in una storia terribilmente attuale.

“Il mistero della reliquia dimenticata” è un thriller ben scritto che si legge piacevolmente complice l’ironia con cui si affrontano i lati più sinistri degli uomini. Il male è ovunque, nella grande città come nel paesino. Sboccia in ogni luogo, spesso si cela in attesa di momenti propizi. Forse anche il diavolo indossa una maschera e quando la toglie ecco che compare l’uomo. Naturalmente non è per tutti così ma anche il diavolo riesce a far del bene contro la sua volontà. Riflettete e chiedetevi: “Lobello è davvero il diavolo, si crede un diavolo o è un povero diavolo?”. Comunque sia sempre di diavolo trattasi.