giovedì 28 gennaio 2021

RECENSIONE | "La fortuna di Finch" di Mazo de la Roche

Se siete stanchi di dover rimanere chiusi in casa, oggi 28 gennaio potrete iniziare un viaggio avventuroso grazie alla “La fortuna di Finch”, terzo romanzo della saga bestseller ideata dalla scrittrice canadese Mazo de la Roche. Dopo “Jalna” e “Il gioco della vita”, alcuni componenti della famiglia Whiteoak faranno ritorno in Inghilterra, lontana madrepatria della famiglia, luogo dove tutto ha avuto inizio e  si annidano vecchi ricordi e storie leggendarie. Quindi, per gli appassionati delle storie della famiglia Whiteoak, è finalmente giunto il momento di ritornare nelle stanze di Jalna.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La fortuna di Finch
(Saga di Jalna Vol. 3)
Mazo de la Roche

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Sinossi

La cara vecchia Adeline se n’è andata, ma il suo spettro aleggia ancora nelle stanze di Jalna e le sue parole riecheggiano nei corridoi della tenuta; la sua ultima beffa, poi, è ancora sulla bocca di tutti. Finch ne è ben consapevole: il ventunesimo compleanno si avvicina, e con esso il momento in cui avrà accesso al patrimonio della nonna. La questione è spinosa, e il ricordo dello sconcerto dei suoi familiari all’apertura del testamento lo tormenta. Ma gli zii e i fratelli, nel tentativo di superare il malanimo, gli organizzano una grande festa di compleanno, al termine della quale il ragazzo sorprende tutti proponendo a Ernest e Nicholas un viaggio a proprie spese in Inghilterra, la madrepatria dei Whiteoak, la terra in cui tutto ha avuto inizio, dove si annidano vecchi ricordi e storie leggendarie che rendono quei luoghi noti anche ai membri più giovani della famiglia. Dopo la traversata in transatlantico, i tre si godono un breve soggiorno a Londra, dove Finch assaggia la libertà e si approccia a nuove prospettive sul mondo. Ma è a casa della zia Augusta, nella campagna del Devon, che lo attende la vera sorpresa: la cugina Sarah, orfana cresciuta dalla zia, raffinata e amante della musica, dalla quale si sente subito attratto e per la quale ben presto dovrà misurarsi con un avversario. Nel frattempo, in Canada, il piccolo Wakefield scopre la sua vena poetica e i rapporti tra Renny e Alayne prendono una direzione inaspettata. Al loro ritorno, Finch e gli zii troveranno una famiglia molto cambiata. Dopo Jalna e Il gioco della vita, ecco il terzo capitolo della saga bestseller di Mazo de la Roche.


Nicholas ed Ernest Whiteoak stavano prendendo il tè. Ernest, convinto di essere sul punto di ammalarsi di uno dei suoi raffreddori, evitava in ogni modo gli spifferi del corridoio e dell’atrio e si faceva servire il tè in camera. Il fratello gli teneva compagnia davanti al caminetto, dall’altro lato del tavolino apparecchiato.

Con vero piacere ho ritrovato i protagonisti di questa avvincente saga. La presenza di nonna Adeline è sempre nettamente percepibile e le sue parole riecheggiano nei corridoi della tenuta. La sua ultima beffa, lasciare tutto il suo patrimonio a Finch, ha prodotto sconcerto nei suoi familiari. Di questo, il giovane Whiteoak, è ben consapevole e vive male l’avvicinarsi del suo ventunesimo compleanno che segnerà l’accesso al patrimonio della nonna. Tuttavia gli zii e i fratelli, per superare questa situazione di risentimento, gli organizzano una grande festa di compleanno. Finch propone agli zii, Ernest e Nicholas, un viaggio a proprie spese in Inghilterra, la madrepatria della famiglia. Dopo la traversata in transatlantico, i tre si godono un breve soggiorno a Londra. Finch assapora la libertà e si approccia a nuove prospettive sul mondo. Ma è a casa della zia Augusta, nella campagna del Devon, che lo attende la vera sorpresa nelle vesti della cugina Sarah. La ragazza, orfana cresciuta dalla zia, è  raffinata e amante della musica. Finch non resiste al suo fascino ma dovrà ben presto misurarsi con un avversario. Nel frattempo, in Canada, Wakefield scopre il suo amore per la poesia e i rapporti tra Renny e Alayne prendono una direzione inaspettata. Al loro ritorno Finch e gli zii troveranno una famiglia molto cambiata.

La famiglia Whiteoak è in pieno fermento. Tra i suoi componenti ci sono legami forti ma anche rancori striscianti e contrapposizioni. Un microcosmo di luci e ombre in cui si sviluppano le dinamiche che governano i difficili rapporti familiari. I personaggi, ricchi di fascino e forti personalità, si dividono tra coloro che inseguono i propri sogni e chi rimane fortemente ancorato alla realtà e al legame con la propria terra. Così passiamo dall’autoritaria nonna Adeline, al rude e prode Renny, dall’impulsivo Piers alla furbizia e vivacità di Wakefield, dal riservato Eden dedito solo alla poesia, a Meggie dal carattere a tratti testardo ed egoista alla diffidenza di Alayne.

La vita non è facile a Jalna dove la tradizione continua imperturbabile senza tener conto dei cambiamenti generazionali. Gli scontri tra personalità diverse sono quotidiani e coinvolgono grandi e piccini. Alayne, moglie di Renny, è una donna assennata e intellettuale. Subisce il fascino di Jalna ma non riesce a integrarsi completamente nella famiglia.

“La vita a Jalna le era sembrata così misteriosa e diversa da quella cui era abituata”. La strada creata dal suo matrimonio con Renny “era fitta di corridoi bui e labirintici, separati da porte sprangate che una volta aperte lasciavano passare correnti gelide ed echi di cavalli al galoppo.”

Dal canto suo Renny, all’apparenza arrogante e irremovibile, non riesce a comprendere sua moglie.

Se tuo padre fosse stato un commerciante di cavalli invece che un professore del New England, forse ci capiremmo meglio.

Il personaggio che mi ha coinvolta maggiormente è quello di Finch, sensibile e incompreso genio musicale, non assecondato nelle sue aspirazioni dai parenti. Il giovane si sente in colpa per aver ereditato i soldi della nonna ed è convinto di non poter godere di tale ricchezza senza far qualcosa di gentile per gli altri. È sempre afflitto da mille paure, goffo nei movimenti. A causa della sua inesperienza, il ragazzo investirà incautamente parte del denaro ereditato e ne spenderà molto in regali costosi per la sua famiglia. Anche lontano da casa, Finch vivrà momenti dolorosi che lo porteranno a chiudersi in se stesso per poi aprirsi al mondo trovando la forza necessaria per vincere le sue paure.

La saga dei Whiteoak è avvincente, mai noiosa, grazie ai tanti personaggi che la animano. Lo scontro tra generazioni, il confronto tra il mondo femminile e quello maschile, la tensione tra i membri della famiglia, sono i punti cardini dei romanzi. Per tutti Jalna rimane un rifugio sicuro in cui le preoccupazioni per l’agricoltura e il mantenimento dei cavalli, si fronteggia con una vita più artistica e intellettuale.

Nel terzo romanzo, “La fortuna di Finch”, la narrazione diventa più descrittiva e la scrittrice traghetta i personaggi verso il successivo volume. Immutati ritroviamo l’ottima scrittura, le ambientazioni ben curate e i personaggi intriganti. Una volta immersi in questa storia, ricca di emozioni, potrete osservare da vicino le sfide, i drammi, le novità che i Whiteoak affronteranno sempre con determinazione. Toccherete con mano le mille sfaccettature dell’amore per le persone care, per la propria terra, per il lavoro, per gli animali. Le tumultuose vicende private della famiglia Whiteoak non potranno che conquistarvi e in voi nascerà la curiosità di sapere cosa succederà a Jalna. Tranquilli, molti altri volumi ci aspettano. Finch e la sua famiglia, sotto l’ala protettrice di Jalna, ci danno appuntamento alla prossima pubblicazione. E la saga continua…

giovedì 21 gennaio 2021

RECENSIONE | "Ora che eravamo libere" di Henriette Roosenburg

“Ora che eravamo libere” di Henriette Roosenburg, pubblicato da Fazi editore, è la storia della liberazione di quattro prigionieri politici olandesi alla fine della seconda guerra mondiale e del loro viaggio di ritorno a casa dopo che i soldati russi li liberarono dalla prigione di Waldheim. Questo libro è un intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e documenta in modo diretto la Nacht und  Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regima nazista.

Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà iniziando un lungo e accanito ritorno a casa, restare in vita per poter essere testimone di una drammatica esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista, sono i punti cruciali di una narrazione atta a testimoniare la mostruosità della tragedia che ha coinvolto milioni di persone    durante e immediatamente dopo la guerra.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Ora che eravamo libere
Henriette Roosenburg

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà tramite un lento e accanito ritorno verso casa, restare in vita per testimoniare e non far dimenticare un’esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista: tutto questo è "Ora che eravamo libere", l’intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e che, grazie all’immediato successo presso i lettori americani, documentò in modo diretto la Nacht und Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regime nazista. Nata nel 1916 in Olanda, Henriette Roosenburg aveva appena cominciato l’università quando si unì alla resistenza antinazista. A causa della sua attività come staffetta partigiana prima e giornalista poi, nel 1944 fu catturata, imprigionata nel carcere di Waldheim in Sassonia e condannata a morte. Nel maggio dell’anno successivo, venne liberata assieme ad altre sue compagne di prigionia, iniziando un lunghissimo viaggio per tornare a casa, un’autentica odissea attraverso la Germania sprofondata nel caos di fine conflitto. In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti o addirittura ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questa estenuante via crucis riusciranno alla fine a riabbracciare le proprie famiglie in patria. 


Ci guardammo in faccia, rendendoci conto che eravamo tutte lì, vive e libere! Ci gettammo una nelle braccia dell’altra e ci stringemmo e ci baciammo, e versammo le prime lacrime, e lasciammo andare i primi singhiozzi di felicità.

In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti e ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questo     estenuante viaggio  cercano di ritornare a casa attraversando la Germania sprofondata nel caos.

I quattro protagonisti sono:

Nell, trent’anni. Faceva parte della resistenza e prima di essere arrestata dalla Gestapo nell’autunno del 1943, coordinava una serie di nascondigli per i piloti alleati abbattuti in Olanda. Riuscì ad organizzare una “via di fuga” che dal Belgio e dalla Francia arrivava alla Spagna e al Portogallo.

Joke, vent’anni. Collaborava con i partigiani per aiutare i piloti alleati abbattuti nei dintorni del villaggio dove abitava. Lavorava sulle “vie di fuga” accompagnando personalmente aviatori alleati oltre il confina tra Olanda e Belgio. Venne arrestata nel maggio del 1944 e condannata a morte.

Zip, ventotto anni, narratrice della storia. Lavorava nella stampa clandestina e divenne una staffetta in Belgio, Francia e Svizzera per aiutare un gruppo di partigiani che trasmettevano informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche al governo olandese a Londra. Fu catturata nel marzo 1944 e condannata a morte.

Dries, ventisei anni. Marinaio mercantile in congedo, tentò di attraversare il canale della Manica partendo da una spiaggia olandese. Venne catturato nell’aprile 1944 e condannato a morte.

Nell, Joke e Zip erano amiche e conobbero Dries nella prigione di Waldheim dove facevano parte del cosiddetto gruppo “Nacth und Nebel” (Notte e Nebbia), soprannominato “NN”. All’interno dei campi di prigionia o di concentramento, gli NN rappresentavano il gradino più basso nella scala gerarchica della prigione. Venivano rinchiusi in celle separate e ogni volta che uscivano, per la mezz’ora di ginnastica, le guardie facevano in modo che nessuno li vedesse. Inizialmente erano tenuti in isolamento, ma nell’ultimo anno di guerra le prigioni tedesche erano talmente affollate  che questa regola decadde e in una cella singola vennero stipati fino a sei NN. Erano i più vessati e le loro giornate erano scandite da lavori e ricevevano la minor quantità di cibo e avevano scarse possibilità di ricevere cure mediche. Spesso venivano uccisi nel segreto più assoluto. L’ordine era di non trasmettere nessuna informazione circa il destino o il luogo di morte di questi deportati. Sparivano “nella nebbia e nella notte” come Alberich ne “L’oro nel regno di Wagner” che sparisce in una colonna di fumo cantando “Nacht un Nebel, niemand gleich!” ( Notte e nebbia, non c’è più nessuno).

In questo clima di odio e abisso umano, inizia la storia di Henriette, chiamata Zip, e delle sue amiche Joke e Nell. Le ragazze cadono nelle mani dei nazisti nell’Olanda occupata e vengono deportate in Germania. La loro prigionia avrà fine con l’arrivo dei soldati sovietici. Con Dries, un giovane connazionale, le ragazze decidono di tornare a casa affrontando un viaggio pieno d’insidie. Ma come può aver successo un’odissea del genere in un paese in cui i soldati sono predoni e il cibo scarseggia? Di chi ti puoi fidare?

“Ora che eravamo libere” racconta i primi titubanti passi “degli invisibili” verso la libertà. Racconta dell’arrivo degli eserciti vincitori che non avevano preso nessun accordo per riportare i prigionieri liberati alle loro città d’origine. Non più numeri ma di nuovo essere umani, smagriti e deboli, senza soldi, senza un’identità costituita, senza sapere se avevano ancora una casa, i nostri protagonisti  affrontano il ritorno forti solo dell’amicizia che li lega.

Leggere “Ora che eravamo libere” è come vedere un drammatico film in bianco e nero. Sai perfettamente che ciò che stai leggendo è verità, sai che questi tempi oscuri non appartengono alla fervida immaginazione ma sono frutto della malvagità umana. A tutti il compito di vigilare, di creare una staffetta di ricordi che non si interrompe mai per consegnare alle generazioni future un monito .

Nel romanzo si susseguono tre linee narrative. La prima ci descrive la vita nella prigione, le privazioni e le violenze subite dai prigionieri. Lo sapevate che a Waldheim le prigioniere, per evadere dall’incubo che quotidianamente vivevano, si distraevano con il ricamo e interminabili discorsi sul cibo? Il ricamo, come qualunque attività in autonomia, era severamente proibito e andava fatto di nascosto. Era un’attività per non perdere il senno. I fili colorati e gli aghi erano dei piccoli tesori, rubare un piccolo pezzo di tessuto poteva costar caro con punizioni crudeli e violente. Sulla stoffa ricamavano il nome del carcere, il numero della cella, le date e le canzoni associate a quei luoghi. Si comunicava da una cella all’altra con l’alfabeto Morse. Con la mente occupata era più facile sopportare le privazioni e le malattie causate dalla malnutrizione.

La seconda linea narrativa ci narra l’arrivo degli alleati, la liberazione, la frenesia dell’attesa. Sarebbero state liberate o i nazisti le avrebbero uccise a un passo dalla liberta?

Trascorse un momento interminabile durante il quale udimmo porte che si aprivano, detenute che si precipitavano fuori urlando; poi il tintinnio delle chiavi giunse davanti alla nostra cella, la porta si spalancò e noi ci lanciammo su un’orda di donne francesi e su un magro soldato russo con le chiavi. Lo travolgemmo di gratitudine; lui si svincolò pazientemente e proseguì verso la cella successiva.

Alla liberazione, era il maggio del 1945, seguono giornate incredibili, scoperte dolorose, ma si riaccende la speranza di un ritorno a casa.

Nella terza parte della narrazione scopriamo che, dopo la liberazione, i russi avevano collocato sentinelle lungo le rotte principali, compresi i ponti, e vietavano tutti i viaggi non autorizzati per paura che i soldati tedeschi scappassero insieme agli ex prigionieri di guerra. Zip e le sue amiche, attraverso il baratto e l’astuzia, riuscirono a raggiungere un campo di sfollati popolato da belgi, olandesi e italiani.  Era solo una tappa della lunga odissea che le attendeva. Un viaggio di coraggio, eroismo e umanità.

Con una scrittura chiara e ricca di emozioni, Zip rivela tutti i dettagli della sua prigionia, la liberazione e il ritorno a casa.

È un libro di memorie che vi trasmetterà vivide emozioni, è una storia che vi legherà ai protagonisti rendendovi partecipi del loro calvario. Una via di 650 chilometri le separa dai loro affetti più cari

Nel 1950 Henriette Roosenburg è stata la prima donna a ricevere il “Leone  di bronzo”, premio per il comportamento coraggioso di fronte al nemico.

Per non dimenticare, mai!

lunedì 18 gennaio 2021

RECENSIONE | "L'ultimo spettacolo" di Vincenzo Zonno

“L’ultimo spettacolo” di Vincenzo Zonno, Catartica Edizioni nella Collana In Quiete, è un coinvolgente romanzo di fantascienza con una spruzzata di giallo. È un intreccio, quasi casuale, di vite vissute senza più ideali. La tecnologia diventa la madre di ogni cosa e per evadere da una falsa realtà ci si rifugia nei sogni. Fin dalle prime pagine Zonno ci mostra il portale d’accesso a un mondo sconosciuto dove tutto è apparenza. Come sempre leggere i romanzi di questo talentuoso scrittore non è cosa facile ma è indubbia la sua capacità di appassionare e ammaliare il lettore. Capire in che direzione va la trama è spesso un’ardua impresa che crea un mare magnum di sensazioni, ipotesi e deduzioni. La storia, ambientata in uno scenario del futuro, ci mostra uno mondo inquietante di invenzioni tecnologiche sempre più invasive che sgretolano caratteri sempre più fragili e modificano il comportamento umano.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
L'ultimo spettacolo
Vincenzo Zonno

Editore: Catartica
Pagine: 192
Prezzo: € 14,00
Sinossi

Dirigibili sorvolano gli oceani, trasportando uomini in viaggio premio verso oriente, mentre Harpo è disteso sul divano nella sua casa in città e non ha intenzione di cambiare nulla nella sua vita. Si addormenta di un sonno profondo. Troppo. Una ragazza è senza vita sopra una panchina in riva a un lago, e lui sembra essere il probabile omicida. Ma non lo si potrà accusare, almeno finché continuerà a dormire.


La ormai collaudata società progrediva esclusivamente a piccoli passi e nell’unica direzione consentita ai gruppi di lavoro incaricati di quell’unica mansione. Tutto ciò che in passato era stato conquistato grazie all’improvvisa illuminazione di un qualche turbolento pensatore, ora si poteva ottenere con lo studio mirato di un’equipe appropriata. I tempi per ottenere gli stessi risultati si diluivano, allungandosi a dismisura, ma il totale controllo procurava profitti innegabili a chi doveva gestire la cosa umana.

Carl è parte integrante di questa macchina. Collabora con un governo capace di prevenire tutte le necessità dei cittadini per non far sentir loro la necessità di un’autonomia più ampia. Un elaboratore centrale del governo controlla la popolazione, un ordine prestabilito regna ovunque e lo stato organizza la metropoli in modo capillare per aumentare al massimo la produttività. Gli uomini non si distinguono più per le abilità personali e i cittadini sono spiati e controllati attraverso gli schermi della televisione. In questa società così particolare conosciamo, oltre al Delegato, anche Harpo e un elettricista a cui lo scrittore non ha dato alcun nome. I due uomini vivono nella stessa città e vi sorprenderanno con le loro storie.

Capitolo dopo capitolo si assiste a un confronto spesso drammatico, da una parte c’è la collettività domata e dall’altra c’è l’uomo inteso nella sua identità.

Tuttavia l’uomo non può avere come unico intento di arricchirsi, la sua creatività lo spinge a ribellarsi. D’altro canto l’uomo è per natura, scriveva Aristotele, un “animale comunitario”, un “animale politico” che ha la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Non tutti però sono disposti ad accettare una realtà fatta di telecamere, sensori ed elaboratori. Harpo continua a sfuggire a questa vita e per sopravvivere si cela dietro a una maschera, nessuno può dire di conoscerlo davvero. Un giorno Harpo si distende sul divano, nella sua casa in città, e si addormenta di un sonno profondo. Sembra non voglia più svegliarsi.  Nel frattempo una ragazza viene uccisa, pugnalata con un tagliacarte di metallo. Sull’arma ci sono le impronte di Harpo ma il sospettato non può essere interrogato perché è caduto in un sonno senza risveglio.

Potrà mai esistere un mondo senza violenza, rabbia o rancore? C’è qualcosa in grado di porre un freno a questa anomalia dell’esistenza? Forse la bellezza? La bellezza prescinde dall’uomo, nasce spontaneamente e si evolve dal nulla. Mitiga la natura degli esseri umani che hanno bisogno di aggredire come valvola di sfogo alle proprie frustrazioni. No, non c’è sempre una ragione o una verità incontestabile per tale sgradevole caratteristica umana.

In Harpo vive il suo altro io che non è poi così affidabile? È uno spietato omicida, un essere orribile e  al contempo sensibile e caritatevole?

Nessuno lo sa, l’uomo continua a dormire e sogna. Spenta la luce delle emozioni, dei sentimenti umani, Harpo si rifugia nei sogni per provare quei sentimenti che la veglia cancellava. Anche la sofferenza è utile per cambiare la propria storia. Non sempre, però, ciò è possibile.

La perfezione sta nel giusto equilibrio fra libertà ed uguaglianza, pendere sull’una o sopra l’altra determina sempre un fallimento. Questa nuova società pendeva un po’ a destra e un po’ a sinistra a seconda delle situazioni. Non tutti avevano lo stesso trattamento e al contempo non si era del tutto padroni della propria esistenza. Bizzarro, vero? Ma forse era proprio ciò che l’uomo bramava.

Forse l’uomo stesso desidera essere un ingranaggio della macchina e si crea una propria virtuale catena di montaggio costruita con le proprie affinità in un grande gioco di equilibri e contrasti, tra istinto e ragione, tra destino e volontà. Venire a patti con una società falsa non è il massimo. Meglio rifugiarsi nei sogni. Chiudersi di più in se stessi vuol dire vivere in un continuo turbamento e forse la parola magica è “rinuncia”.

“L’ultimo spettacolo” è uno struggente desiderio di libertà, poter percorrere le vie del mondo in autonomia senza catene, andando verso un incontrollabile futuro in cui esiste l’unica natura umana. Il nostro pianeta, la nostra società sono feriti, soffrono una lunga agonia  e ci vorrebbe un atto d’amore per strappare alla morte la nostra stessa esistenza. Sul palcoscenico della vita lasciamo che siano le emozioni a dar forza alla nostra esistenza. In una società in cui tutti sono controllati  rinunciare a essere una pedina vuol dire, per Harpo, rifugiarsi nei sogni dove è possibile cancellare la solitudine e diventa prioritario realizzare i propri desideri. Come in uno spettacolo, si può ballare, volare, amare e voltare le spalle alla morte anche se sappiamo di non poterla evitare per sempre.

Iniziare a leggere “L’ultimo spettacolo” è come immergersi in acque profonde dove tutto diventa ombra, dove il tempo rallenta e si odono le note dell’amore, della libertà, della bellezza. Tutti noi siamo vulnerabili, nei sogni diventiamo eroi intraprendenti pronti a riprenderci la libertà e la bellezza che qualcuno ci ha sottratto.

“L’ultimo spettacolo” è un romanzo complesso che nasce dalla fusione di più generi e si moltiplica nelle storie dei vari personaggi. Il tutto si offre a una lettura soggettiva che procede tra mondo reale e mondo onirico, tra reale e immaginario. I personaggi si muovono in un universo surreale ma, nel sogno, si tolgono la maschera perché nessuno può vederli. L’osservazione del potere si spegne quando i sogni si accendono.

Vincenzo Zonno è uno scrittore talentuoso capace di coinvolgere il lettore. Facendo leva su trame ingannevoli crea percorsi labirintici che parlano della condizione umana. Così, con attenzione e concentrazione, passo dopo passo, iniziamo a riflettere con senso critico basandoci su tutte le idee e le possibilità che il romanzo ci offre. Adoro il modo in cui lo scrittore usa le parole, le rende libere di muoversi senza confini. Non sono legate a un significato ben preciso, la sensibilità del lettore diventa il timone che ci guida nell’interpretazione di tematiche sociali che affondano le loro radici nelle realtà urbane e nella collettività. Nel romanzo tutti i personaggi hanno un ruolo ben preciso, deciso dallo Stato. Tutto è apparenza e in questo mondo spaventoso nessuno vorrebbe mai viverci. Pensate se fosse una macchina a decidere se si è innocenti o colpevoli di un crimine, se la tortura fosse un nobile mezzo per ottenere informazioni, se i prati fossero di plastica e i profumi dei fiori fossero spruzzati da erogatori nascosti. Spesso, però, è l’uomo a scegliere di bandire l’individualismo a vantaggio di un percorso di vita già tracciato. “Rinuncia” è la parola che serpeggia tra le righe del romanzo. I personaggi collezionano un intero album di rinunce: c’è chi rinuncia alla danza, chi al confronto con la vita, chi alla vera giustizia. Dove non esiste la libertà non c’è scelta. Quindi quando tutto sembra ormai perduto, non resta che chiudere gli occhi sulla realtà e riaprirli nei sogni. Attenti però! Il confine tra realtà e sogno è davvero sottile. Una cosa è certa, leggere “L’ultimo spettacolo” ci offre la possibilità di esplorare le vicende di una futura società che nessuno vorrebbe. L’immaginazione ci permette di superare ogni limite imposto, ogni realtà sospesa, ogni muro narrativo. Con colori caldi, molteplici sentimenti e gesti di libertà è interessante esplorare l’orrido futuro che potrebbe diventare realtà se non diamo al nostro inquieto presente una possibilità di rinascita.

giovedì 14 gennaio 2021

RECENSIONE | "Potenza e bellezza" di Elido Fazi

In libreria da oggi 14 gennaio “Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796- 1819)”, il nuovo libro di Elido Fazi, prima uscita del 2021 della Fazi. Questo romanzo ricostruisce un periodo importante per l’Italia e gli Italiani. L’arrivo in Italia di Napoleone si intreccia alle vicende di due famiglie marchigiane che si ritroveranno a fare i conti con la grande Storia.


STILE: 9 | STORIA: 8 | COVER: 8
Potenza e bellezza
Elido Fazi

Editore: Fazi
Prezzo: € 20.00
Sinossi

In un'afosa giornata di luglio del 1796, a Bologna, due uomini s'incontrano per combinare un matrimonio. Il primo è Costantino, un inquieto agricoltore del Piceno, che oltre a essere sensale di nozze produce fucili e sciabole. Il secondo è Monaldo, giovane conte di Recanati, mite e ben educato, che aspira solo a metter su famiglia e a coltivare i suoi studi. Intanto la città è in fermento per l'arrivo di un certo Bonaparte, il "generalino francese" che a soli 26 anni ha già sconfitto i Piemontesi e gli Austriaci. L'Italia è fragile e divisa, e dietro alla bandiera della "Libertà" si cela il desiderio di conquista dell'ennesimo invasore straniero. Quanto tempo passerà prima che i Francesi arrivino anche nelle Marche? E chi difenderà il papa? Costantino è pronto a imbracciare le armi e già si prepara ad arruolare un piccolo esercito di insorgenti tra i montanari delle sue terre. Monaldo invece è più cauto: da poco è entrato a far parte del Consiglio Comunale di Recanati e il suo primo desiderio è quello di salvaguardare la sua famiglia e la sua città. Ma la Storia travolge tutto e tutti. Mentre la guerra infuria in Europa, sconvolgendone l'assetto politico, la quiete delle Marche è scossa insieme agli animi dei suoi abitanti. Tra questi anche i figli di Costantino e Monaldo, che condividono lo stesso nome di battesimo. Il primo Giacomo, ardimentoso come il padre, ne seguirà le orme entrando nella resistenza, mentre il secondo, geniale fin dall'infanzia, è destinato a lasciare il segno nella letteratura italiana e nel pensiero politico del suo tempo… 


Questa è la storia di Monaldo e Costantino, Giacomo e Giacomino, dell’ascesa e del declino di Napoleone I e Gioacchino. Inizia a Bologna in un’afosa giornata di giugno dell’anno 1796.

Due uomini s’incontrano a Bologna, all’Osteria dell’Orso Bruno, per combinare un matrimonio. Il primo è Costantino, inquieto agricoltore del Piceno, che oltre a essere un sensale di nozze produce fucili e sciabole. Il secondo è Monaldo, giovane conte di Recanati, ingenuo e ben educato, che aspira a metter su famiglia e a coltivare i suoi studi. Intanto la città è in fermento per l’arrivo di un certo Bonaparte, il “generalino francese” che a soli 26 anni ha già sconfitto i Piemontesi e gli Austriaci. L’Italia è divisa e fragile. L’ennesimo invasore cela, dietro la bandiera della “Libertà”, il desiderio di conquista. I Francesi arriveranno anche nelle Marche? E chi difenderà il papa? Costantino è pronto all’azione arruolando un piccolo esercito di insorgenti tra i montanari della sua terra.  Monaldo è più cauto, entrato a far parte del Consiglio Comunale di Recanati, desidera solo salvaguardare la sua famiglia e la sua città. La guerra travolge tutto e tutti, sconvolge l’assetto politico dell’Europa e anche la quiete delle Marche è spazzata via dall’arrivo dei francesi. Anche i figli di Costantino e Monaldo, che hanno lo stesso nome di battesimo, saranno coinvolti dalla guerra. Il primo Giacomo è ardimentoso come il padre, entrerà nella resistenza e combatterà contro l’invasore.  Mentre il secondo Giacomo, geniale fin dall’infanzia, è destinato a lasciare il segno nella letteratura italiana e nel pensiero politico del suo tempo.

Ho letto “Potenza e Bellezza” con molto interesse guidata dall’elegante e sicura penna di Elido Fazi. Lo scrittore narra due storie parallele che, a capitoli alterni, seguono la parabola di Napoleone tracciando un ritratto appassionato delle Marche e della sua gente. Napoleone viene descritto non solo come un valente combattente  ma viene dato risalto all’uomo che si nasconde all’ombra dell’Imperatore. Le sue ossessioni ne facevano un uomo malinconico ed egocentrico, un po’ complessato, sognatore, era un uomo dalle mille contraddizioni.  Tenne in pugno l’Europa, in Italia arginò le armate austriache che minacciavano i confini francesi per mettere fine alla Repubblica. Mise rapidamente in fuga gli eserciti austro-piemontesi e si impadronì di tutta l’Italia settentrionale e centrale. In molti videro in Napoleone il tanto atteso liberatore, ma ben presto le loro aspettative furono deluse. Dopo numerosi saccheggi di beni e opere d’arte, Napoleone se ne tornò in Francia da conquistatore. Le gesta del generale che si autoincoronò imperatore di Francia, vengono narrate fino al declino. Inebriato del suo successo, Napoleone si sentiva invincibile e la sua perenne sete di conquista lo portò contro l’immenso Impero Russo. Fu l’inizio della fine. Così circondati da questa suggestiva cornice storica, possiamo tornare indietro nel tempo con la nostra immaginazione e guidati da Monaldo scopriremo cosa comportò la presenza di Bonaparte in territorio marchigiano. Personalmente di Monaldo non conoscevo quasi nulla. Padre di Giacomo Leopardi, Monaldo vive inizialmente una tranquilla vita di provincia, fra un matrimonio annullato all’ultimo momento, pagò una cospicua penale, e uno concretizzatosi con Adelaide Antici, donna di forte responsabilità. Nel 1798, dopo l’invasione dei Francesi e l’occupazione dello Stato della Chiesa, egli si trovò coinvolto nella politica attiva. Ebbe a che fare con una banda di controrivoluzionari, che definì briganti, ma che liberarono, anche se per breve tempo, Recanati. Per pochi giorni divenne governatore ma capì subito la provvisorietà di tale situazione. Al ritorno dei Francesi accaddero molti spiacevoli eventi che lascio a voi scoprire

“Potenza e Bellezza” è un libro che si legge con piacere. L’autore è capace di coinvolgere il lettore tanto nei grandi avvenimenti della Storia quanto nelle faccende private dei vari personaggi e delle loro famiglie. Napoleone incarna la sete di comando, il bisogno di conquista, la Potenza. Mentre l’Imperatore combatte le sue guerre sui territori da sottomettere, Monaldo  fa le sue battaglie a Recanati nel campo della Conoscenza, della Cultura e della Bellezza. Apre agli amanti della lettura di tutte le Marche, la sua biblioteca privata con più di diecimila volumi. La potenza degli eserciti francesi si fronteggia con la bellezza della natura, della poesia, dell’arte. Per noi sono i beni più preziosi da custodire gelosamente perché, come scrive Giacomo Leopardi a soli 17 anni, nell’ Orazione per la liberazione del Piceno scritta per la sconfitta di Murat e per il ritorno nelle Marche del dominio pontificio:

Se questo fosse vero, e cioè che il paradigma per valutare la felicità degli Stati è la Bellezza e non la Potenza, probabilmente non esisterebbe al mondo un popolo più felice di quello degli italiani.

“Potenza e Bellezza” è un immersione in avvenimenti noti e meno noti che hanno dato vita a pagine di Storia disseminate di drammatiche situazioni. Strategie militari e di vita creano attesa e partecipazione emotiva aprendo a una lettura appassionante di epoche lontane. Ciò aiuta a conservare una memoria storica che si nutre dell’immaginazione che nasce dalle parole.

lunedì 11 gennaio 2021

RECENSIONE | "Io sono l'abisso" di Donato Carrisi

Buon anno cari lettori! Dopo aver archiviato il 2020 come annus horribilis, diamo il benvenuto al nuovo anno con il cuore colmo di speranze e la mente affollata di buoni pensieri. Abbiamo, davanti a noi, tante pagine bianche da riempire pensando a tutto ciò che vogliamo fare con il piacere di vivere il presente e affrontando ogni ostacolo. La vita non è mai una strada in discesa ma anche nelle difficoltà apprezziamo le cose semplici che rendono bella e preziosa la nostra esistenza. Da lettrice curiosa non posso fare a meno di chiedermi come sarà il 2021 per il mondo dei libri e per iniziare col piede giusto ecco le mie riflessioni sul primo libro letto all’inizio di gennaio.

Dopo il successo de “La casa delle voci”, Donato Carrisi torna in libreria con “Io sono l’abisso”, pubblicato da Longanesi . Il maestro del thriller ci propone un nuovo viaggio nei luoghi oscuri dell’animo dove una domanda si riflette senza tregua: “Chi sei tu?”

Lo so che non vedete l’ora di scendere nell’abisso! Quindi coraggio, che la discesa abbia inizio e la paura sia la nostra unica e fedele compagna di viaggio.


STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7
Io sono l'abisso
Donato Carrisi

Editore: Longanesi
Prezzo: € 22,00
Sinossi

Sono le cinque meno dieci esatte. Il lago s’intravede all’orizzonte: è una lunga linea di grafite, nera e argento. L’uomo che pulisce sta per iniziare una giornata scandita dalla raccolta della spazzatura. Non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi: sa che è necessario. E sa che è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti. E lui sa interpretarli. E sa come usarli. Perché anche lui nasconde un segreto. L’uomo che pulisce vive seguendo abitudini e ritmi ormai consolidati, con l’eccezione di rare ma memorabili serate speciali. Quello che non sa è che entro poche ore la sua vita ordinata sarà stravolta dall’incontro con la ragazzina col ciuffo viola. Lui, che ha scelto di essere invisibile, un’ombra appena percepita ai margini del mondo, si troverà coinvolto nella realtà inconfessabile della ragazzina. Il rischio non è solo quello che qualcuno scopra chi è o cosa fa realmente. Il vero rischio è, ed è sempre stato, sin da quando era bambino, quello di contrariare l’uomo che si nasconde dietro la porta verde. Ma c’è un'altra cosa che l’uomo che pulisce non può sapere: là fuori c’è già qualcuno che lo cerca. La cacciatrice di mosche si è data una missione: fermare la violenza, salvare il maggior numero possibile di donne. Niente può impedirglielo: né la sua pessima forma fisica, né l’oscura fama che la accompagna. E quando il fondo del lago restituisce una traccia, la cacciatrice sa che è un messaggio che solo lei può capire. C’è soltanto una cosa che può, anzi, deve fare: stanare l’ombra invisibile che si trova al centro dell’abisso.


 Siamo davvero soli quando siamo soli?

Questo potente romanzo di Carrisi è una storia mozzafiato che inizia con una repentina immersione nel buio del Male. Nessuna graduale preparazione, nessuna avvisaglia, solo una terribile scena descritta nelle prime pagine del libro. Vera è una giovanissima mamma che annuncia al figlioletto di cinque anni che lo porterà in piscina per fare un bel bagno. Bellissima idea se non fosse per il fatto che il bambino non sa nuotare. Arrivati in piscina, madre e figlio sono soli e il bambino, indossando due braccioli gonfiabili, regalo della mamma, entra in acqua. È al centro della piscina quando un leggerissimo spiffero gli arriva dritto sulla guancia. Ma da dove viene? Si volta verso il bracciolo destro, c’è un forellino. Si divincola, cerca Vera ma lei non c’è più. La paura lo assale. Si irrigidisce e finisce sott’acqua. Riemerge a fatica. Guarda di nuovo ma la mamma è svanita. Non può esser vero, non sta accadendo veramente, qualcosa in lui inevitabilmente si spezza. Inizia così questa storia che non è solo un thriller ma un nuovo nascere di sentimenti in un mondo di crudeltà. Carrisi ci porta negli abissi interiori da cui nascono i mostri e lo fa con dura spietatezza. Tutto è palese, il Male non si nasconde ma vive tra gli uomini e inosservato mette in atto la sua lucida ossessione. Il protagonista del romanzo è ‘L’uomo Che Puliva’, non ha un nome, e compare fin dalle prime pagine. Il suo lavoro era la cosa che meglio lo rappresentava. Solitario, non amava essere notato e non amava l’acqua anche se il suo lavoro lo portava a muoversi lungo le rive di un lago. Raccoglieva la spazzatura, senza ribrezzo anzi considerava quell’atto necessario perché  è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti. E lui sapeva come interpretarli, come usarli. La sua vita, tranne che per memorabili ma rare serate speciali, stava per cambiare. L’incontro con ‘La Ragazzina Col Ciuffo Viola’ stravolgerà la sua esistenza. Lui che voleva essere invisibile tra gli uomini si troverà coinvolto nella realtà inconfessabile della ragazzina e dovrà vedersela con l’uomo che si nasconde dietro la porta verde.  Là fuori, però, c’è anche qualcuno che lo cerca. ‘La Cacciatrice Di Mosche’ è sulle sue tracce e non si fermerà fino a quando non avrà stanato l’ombra invisibile che si trova al centro dell’abisso.

La vita dell’Uomo Che Pulisce, della Ragazzina Col Ciuffo Viola e della Cacciatrice Di Mosche si intrecciano in una storia struggente dove i cattivi possono anche essere buoni. Infatti in determinate condizioni i buoni potrebbero lasciarsi tentare dalla malvagità e i cattivi redimersi e compiere buone azioni.

Per raccontare questa storia Carrisi ha scelto un’ambientazione ben definita, il lago di Como. Quindi nessuna atmosfera rarefatta e buia, ma vivida luce che caccia via le ombre. In questa luce lo scrittore nasconde i segreti dei vari personaggi e sfida i lettori a scoprirli. Tra le pagini si muovono parassiti che si nutrono del dolore altrui e tormentano gli spettri interiori.

“Chi sei tu?” Gli domandò esitante. Lui le sorrise. “Io sono l’abisso.”

È questa la domanda rivolta a ogni personaggio che, come scoprirete, ha un terribile passato. Chi sei tu? Chiede L’Uomo Che Puliva alle donne bionde prescelte. Chi sei tu? Domanda la Cacciatrice di Mosche agli uomini violenti che maltrattano le donne e alle stesse donne che a volte non hanno la forza di ribellarsi ai loro aguzzini. “Chi sei tu?” Chiede il bambino a quella madre che non vuole crescere perché affrontare la vita le fa paura. Anche La Ragazza Dal Ciuffo Viola pone la stessa domanda a coloro che dicono di amarla, a quei genitori che fanno dell’apparire il loro credo di vita e sono pronti a sacrificare ogni cosa per sottrarsi all’opinione negativa delle persone. Nessuno scandalo può scalfire il buon nome della famiglia e al diavolo se la propria figlia precipita in un abisso senza fondo tanto ognuno di noi deve fare i conti con il proprio abisso.

Preparatevi quindi a scoprire i sorprendenti intrecci tra i personaggi, il lavorio incessante del destino, la voce che si nasconde dietro la porta tinta di verde, la voce che si cela nei cuori delle persone, il passato che forgia il presente. Lascio a voi scoprire chi è l’Abisso ma sappiate che questa volta non c’è inganno, capirete subito di chi si tratta perché le ferite dell’animo si rispecchiano nelle ferite del corpo che sfregiano la sua testa e sembrano due cerniere lampo e devastano la sua bocca violata con crudeltà. Quando l’infanzia è segnata da dolorose e terribili esperienze le conseguenze possono essere indicibili e diventare un mostro è quasi inevitabile. La vita tuttavia ci sorprende continuamente e anche un mostro può sentire nel cuore la fiamma di un buon sentimento e il lettore, sono sicura capiterà anche voi, proverà per lui un’alchimia di emozioni che scaldano il cuore. Come Carrisi scrive nei suoi romanzi, in ogni uomo c’è luce e buio. Non ci sono regole, tutto può essere capovolto e una strada retta diventa un labirinto, ogni situazione un rompicapo, ogni gesto una richiesta d’aiuto.

“Io sono l’abisso” indaga la psiche umana, l’origine del male, la solitudine e la paura. Indaga la responsabilità collettiva del male, la violenza domestica sulle donne, il disagio sociale.  La società regala ad ognuno di noi il proprio abisso. Questa volta Carrisi ci propone un romanzo diverso dai precedenti, è una storia in cui i protagonisti non hanno nome  ma vengono identificati con il loro fare o con una caratteristica fisica. Il mistero assume così ulteriore fascino e scandisce l’intreccio tra amore e paura costruendo una suspense sui sentimenti. È un libro oscuro dal forte impatto emotivo, la scena della piscina è agghiacciante, e l’autore gioca con il lettore a carte scoperte. Il libro è ben scritto ma non c’è quel capovolgimento, quell’effetto matrioska a cui Carrisi ci ha abituati.  È una bella e intrigante storia con un finale  un po’ frettoloso, mi sarebbe piaciuto conoscere altri aspetti della vita dei vari personaggi. È una storia dura e crudele ma non ci sono quelle forti emozioni che ho provato leggendo altri romanzi di Carrisi. Comunque sia Carrisi è un maestro nel spargere frammenti oscuri e ricostruire mosaici del male. Lo fa con uno stile avvincente, personaggi carismatici e intrecci sorprendenti. In “Io sono l’abisso” mi è mancata la presenza di un disegno oscuro, di incubi celati e di sfide continue ma, in generale, anche questo libro è una piacevole lettura.

Vorrei ricordarvi che questo romanzo si ispira a storie realmente accadute. Io non so dove si fermi la realtà e inizi la fantasia e ciò rende ancora più intrigante la lettura. Quindi, seppur con qualche piccola contrarietà, non perdetevi “Io sono l’Abisso” e attenti al cerchio che si chiude intorno a voi, salvate la vostra anima prima che sia troppo tardi, prima di scoprire un male ancora più profondo.