giovedì 31 marzo 2022

RECENSIONE | "Il tempo della speranza" di Brigitte Riebe

“Il tempo della speranza” è il terzo volume, dopo “Una vita da ricostruire” e “Giorni felici”, conclusivo della  trilogia delle sorelle del Ku’damm firmata da Brigitte Riebe, Fazi Editore. Dopo aver letto i primi due libri ero davvero curiosa di conoscere il destino delle tre sorelle Thalheim che vivono nella città di Berlino, crogiolo di destini. Con loro sono entrata nel mondo scintillante della moda, nell’imprenditoria femminile e ho assistito a intrighi, a rivalità in affari, a verità celate che hanno prodotto gioie e dolori.  


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il tempo della speranza
(Le sorelle del Ku'damm Vol. 3)
Brigitte Riebe

Editore: Fazi
Pagine: 398
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Dopo Una vita da ricostruire e Giorni felici, tornano le appassionanti avventure delle ragazze Thalheim nel capitolo conclusivo della trilogia delle sorelle del Ku’damm.
Insieme a Rike, Silvie e Florentine siamo ormai giunti agli anni Sessanta, anni cruciali nella storia di Berlino e dell’Europa intera, e come le sorti della città, anche quelle delle ragazze sono a un punto di svolta. La piccola Florentine, la più giovane delle tre figlie Thalheim, dopo un lungo soggiorno a Parigi ha deciso che è ora di tornare a casa. Ma cosa la aspetta lì? Da che ha memoria, Florentine ha desiderato sempre e solo una cosa: dedicarsi interamente all’arte. Ha sempre avuto uno spirito ribelle, combattivo, ma, quando inizia a dipingere, tutto si fa luminoso e leggero. In disaccordo col padre, che immaginava per lei un futuro nei grandi magazzini di famiglia, si è iscritta all’accademia d’arte. Il suo posto è lì. Ma presto un’ombra oscura la felicità della giovane. Rufus Lindberg, il suo imperioso insegnante, umorale e ineffabile, le sta rendendo la vita un inferno. Nel frattempo, le tensioni politiche tra Est e Ovest minacciano di dividere in modo definitivo la città, e anche la famiglia. C’è speranza per Florentine e i suoi cari? C’è speranza per Berlino?


A Flori piaceva esprimersi in modo astratto. Amava la libertà dei colori e delle forme e, quando questi come per magia si tramutavano in suoni nella sua mente, raggiungeva una sorta di beatitudine.

In compagnia di Rike, Silvie e Florentine siamo giunti agli anni Sessanta, anni importanti per la storia di Berlino e dell’Europa intera, ed è giunto il momento di decisioni importanti. La piccola Florentine, la più giovane delle sorelle Thalheim, dopo un lungo soggiorno a Parigi ha deciso che è ora di tornare a casa. Ma cosa l’aspetta a Berlino? Da che ha memoria, Florentine ha desiderato dedicarsi interamente all’arte. Ha sempre avuto uno spirito ribelle, combattivo, ma quando inizia a dipingere tutto si fa luminoso e leggero. Il padre non la incoraggia in questa sua scelta, immaginava per lei un futuro nei grandi magazzini di famiglia. Florentine si iscrive all’Accademia d’Arte ma presto un’ombra oscura la felicità della giovane. Rufus Lindberg, il suo insegnante, le sta rendendo la vita un inferno. Nel frattempo, le tensioni politiche tra Est e Ovest minacciano di dividere in modo definitivo la città e la famiglia Thalheim. C’è speranza per Florentine e i suoi cari? C’è speranza per Berlino?

Nel cuore pulsante dell’Europa ho seguito con emozione le sofferenze, gli amori, i lutti che hanno segnato la famiglia Thalheim. Con altrettanto interesse ho visto formarsi sotto i miei occhi l’affresco della Berlino cosmopolita e la nascita del Muro che ebbe un gran valore simbolico all’interno della Guerra Fredda.

Le protagoniste sono donne forti, pronte a tutto per proteggere ciò che hanno a cuore e per realizzare i propri sogni. Nelle avversità fanno fronte comune e affrontano le difficoltà della vita sempre a testa alta. Si piegano in una sofferenza che cinge i loro cuori ma non si spezzano. Hanno alle spalle un passato doloroso segnato dalla guerra, ma guardano verso il futuro e hanno in sé l’antidoto al male, la speranza. Sperare, ben lo sappiamo, è tornare a provare la gioia di vivere. È l’attesa delle cose belle, è l’attesa della cancellazione della tristezza, motore della vita e nutrimento per i sogni. Le donne protagoniste della serie si ritagliano il proprio spazio nella storia con determinazione e coraggio, sono sempre pronte a confrontarsi con le proprie debolezze.

È una saga ricca, approfondita e commovente, un modo per immergerci nella Storia e conoscere vicende di uomini e donne, di drammi collettivi e personali, di fili che si spezzano nel dolore e, qualche volta, si riannodano nella speranza. Leggendo si provano emozioni in continua evoluzione. Ogni romanzo, che ogni volta mette al centro una della ragazze Tholheim, ci accompagna nel fluire del tempo e scioglie nodi  lasciati irrisolti nel libro precedente. Dapprima conosceremo la saggia e accorta Rike, poi sarà la volta della più volitiva Silvie, per concludere con la più piccola Florentine che mostra il suo lato artistico. La famiglia è descritta come un luogo di crescita e protezione e dal quale poi ci si allontana per andare nel mondo. Questo andare, cercare il proprio ruolo nella società, è visto da un punto di vista femminile

Scritto con uno stile sobrio e immediato, “Il tempo della speranza” è un romanzo che pone in luce il ruolo della donna, la sua determinazione e resilienza, unendo alla piacevolezza della lettura un’interessante ricostruzione storica. La storia coinvolge e appassiona con un mix che mescola eventi politici e vita quotidiana. In questo libro, come nei due precedenti, ho ritrovato l’attenzione dell’autrice per i dettagli storici e ho letto con interesse l’appendice al libro in cui vengono elencati i maggiori eventi storici che hanno fatto da sfondo al romanzo.  Leggere la trilogia è come osservare tante fotografie di quotidianità che insieme riflettono un passato drammatico, testimoniano un presente di insicurezze economiche e fallimenti sentimentali e ci proiettano in un futuro dove poter realizzare le proprie aspirazioni.

“Il tempo della speranza” è un romanzo che testimonia come dal dolore può nascere la speranza, le emozioni corrono veloci e danno spazio ai sentimenti che toccano le corde più profonde del cuore. Tutto è destinato a mutare e dopo le drammatiche vicissitudini di guerra e le difficoltà della ricostruzione post bellica, la vita ritorna a tessere il filo della speranza e tutto può tornare a essere bello. La speranza è un faro che fende il buio della guerra, è un vivere ogni cosa consapevoli che occorre affrontare gli eventi a viso aperto. È scoprire che sperare in due è ancor più bello e Florentine lo capirà in tempo, dando valore a ciò che conta davvero. Tutta la storia della famiglia Thalheim si basa sulla speranza che diventa la forza con cui le tre sorelle del Ku’damm ripartono da zero per diventare tre donne padrone dei loro destini.

giovedì 24 marzo 2022

RECENSIONE | "L'albero della nostra vita" di Joyce Maynard

“L’albero della nostra vita” di Joyce Maynard, pubblicato da NN Editore nella traduzione di Silvia Castoldi, è un romanzo che affronta la storia di una famiglia dai primi giorni del matrimonio alla genitorialità, al divorzio e alle sue conseguenze, creando un focus su come vengono tramandati gli errori dei genitori attraverso le generazioni.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
L'albero della nostra vita
Joyce Maynard

Editore: NN Editore
Pagine: 496
Prezzo: € 20,00
Sinossi
Eleanor è una donna giovane e indipendente, fa l’illustratrice di libri per bambini e vive da sola in una bellissima casa di campagna nel New Hampshire. Quando conosce Cam, a fine anni Settanta, è subito amore e sesso e famiglia, e in poco tempo nascono Alison, Ursula e Toby. Cam è un bravo padre ma non sa trovarsi un lavoro; e un giorno perde di vista il piccolo Toby, che ha un incidente dalle conseguenze irreparabili. Eleanor non riesce a perdonare il marito, e innalza un muro di rancori che diventa insuperabile quando scopre un tradimento. Così decide di andarsene, lasciando a Cam e ai figli la casa e la normalità in cui hanno sempre vissuto. Il suo silenzio avrà conseguenze sul rapporto con i ragazzi, che entrano in conflitto con lei e lentamente la abbandonano. Ma grazie alla sua tenacia, Eleanor saprà ricostruire se stessa e riavvicinare le persone che ama.




Toby era ancora un neonato – Alison aveva quattro anni, Ursula meno di tre – la prima volta in cui calarono in acqua gli omini di sughero. Da allora diventò la loro tradizione annuale. Era come diventare genitori, pensava Eleanor, guardando la piccola flotta di barchette oscillanti che si allontanava trasportata dalla corrente. Fabbricavi preziosi omini e donnine. Li sorvegliavi da vicino, animata da un unico scopo impossibile: tenerli fuori dai guai. Ma presto o tardi dovevi lasciare che gli omini di sughero salpassero senza di te, e a quel punto non ti restava altro che rimanere ferma a riva o correre lungo la sponda gridando parole di incoraggiamento, e pregare che ce la facessero.

Eleanor è una donna giovane e indipendente, fa l’illustratrice di libri per bambini e vive da sola in una bellissima casa di campagna nel New Hampshire. Quando conosce Cam, a fine anni Settanta, è subito amore e nascono tre bambini: Alison, Ursula e Toby. Cam è un bravo padre ma non sa trovarsi un lavoro e un giorno perde di vista il piccolo Toby, che ha un incidente dalle conseguenze irreparabili. Eleanor non riesce a perdonare il marito, e innalza un muro di rancori che diventa insuperabile quando scopre un tradimento. Così decide di andarsene, lasciando a Cam e ai figli la casa e la normalità in cui hanno sempre vissuto. Il suo silenzio avrà conseguenze sul rapporto con i ragazzi, che entrano in conflitto con lei e lentamente la abbandonano. Nei decenni che seguono, i cinque membri di questa famiglia fratturata, si allontaneranno ognuno impegnato ad affrontare le proprie sfide. Ma grazie alla sua tenacia, Eleanor saprà ricostruire se stessa e riavvicinare le persone che ama.

“Chi l’avrebbe mai detto?”. Eleanor entrò nella veranda. “I miei tre figli, riuniti nello stesso posto. Quando è stata l’ultima volta in cui è successo?”. Rimase ferma per un attimo a guardarli, tutti insieme. La sua famiglia. Era sempre stato il suo più grande desiderio, per tutta la vita, e si era avverato. Solo, non come lei lo immaginava.

Questo è il primo libro che leggo di Joyce Maynard e sicuramente non sarà l’ultimo. La rappresentazione della famiglia, nel bene e nel male, ha il fascino di una lettura che tocca il cuore. È un arazzo realizzato con momenti d’amore, di sogni e di speranza intrecciati con i fili dell’umano errare, di lotte sociali e  dell’avvento della tecnologia. Per chi, come Eleanor, non ha mai conosciuto la felicità, la vita è come un mare infinito di pensieri, aspirazioni e delusioni. La protagonista è una persona intelligente, sensibile e introspettiva che non vuol ripetere gli errori dei suoi genitori. La sua è stata un’infanzia terribile fatta di solitudine e mancanza di affetto, rimasta orfana in giovane età verrà abusata sessualmente da adolescente. Metaforicamente parlando,  Eleanor disegna il suo personale albero della vita. Le radici sono ciò che la tengono ancorata al passato ma rappresentano anche la linfa vitale della sua forza e dei suoi valori. Il tronco rappresenta la tenacia che la protagonista mette, anno dopo anno, nell’affrontare le insidie della vita. Questo tronco, in particolare, nasce dall’intreccio delle vite di Cam ed Eleanor, dal loro amore, dal loro matrimonio. Le foglie rappresentano il futuro e i frutti sono le nuove vite, tre splendidi bambini, che si affacciano al mondo e che dipendono in tutto e per tutto dall’albero. All’ombra di questo grande albero, chiamato nel romanzo il Vecchio Signor Frassino, Cam ed Eleanor formeranno la loro famiglia, un luogo colmo d’amore e di serenità, un’oasi felice dove la parola d’ordine è protezione. Passano gli anni e la loro è una vita apparentemente idilliaca fatta di partite di softball estive e grigliate del Labor Day, giornate di neve e pattinaggio sullo stagno. Eppure impercettibili crepe iniziano a minare il solido terreno famigliare. Cam aveva la capacità sorprendente di attraversare la vita, anche nei momenti più difficili. In lui c’era una calma grazie alla quale si scrollava di dosso i vecchi dolori e aspettava le nuove gioie. Eleanor non se l’era mai cavata bene nella vita normale. Subiva le ferite, l’ansia e il dolore che l’esistenza aveva in serbo per lei. Era sempre stata affamata d’affetto, era ossessionata dal voler realizzare i desideri dei figli prima che loro gli esprimessero.

Quanto valeva la sua casa? Tutto, se ci abitava una famiglia felice. Altrimenti, niente.

Nelle pagine di questo romanzo c’è un intreccio di sentimenti, le difficoltà del matrimonio e della maternità sono solo la punta di un iceberg che galleggia sulle acque mosse della vita. Non è una lettura facile, c’è angoscia e amarezza, tragedia e cambiamento. C’è la rappresentazione della famiglia nel bene e nel male, alcune verità vengono taciute con terribili conseguenze.

Fin dall’inizio mi sono schierata al fianco di Eleanor, ho percorso con lei un cammino che scandaglia le ombre dell’amore e delle relazioni, della genitorialità e della perdita. Ho percepito il suo dolore, la sua rassegnazione e la sua determinazione ad andare avanti. Con personaggi umanamente imperfetti e una profonda attenzione ai dettagli, Joyce Maynard realizza un romanzo in cui si possono cogliere i mille modi in cui si può amare.

“Come ti amo? Lasciamene contare i modi.”   Elizabeth Barrett Browning, Sonetto 43

“L’albero della nostra vita” è un romanzo che non ammette le mezze misure, si ama o si odia. Io l’ho amato. Ho amato la storia di Eleanor, il suo incontro con Cam, il matrimonio, la nascita dei suoi figli, il suo lavoro. Ho provato commozione nell’ascoltare i primi scricchiolii di questo profondo amore a riprova che le cose brutte, prima o poi, arrivano e tutti, grandi e bambini, conosceranno il dolore.

 È un romanzo collettivo di fughe, di dubbi e di cambiamenti mentre il tempo fugge via.

Mi dispiace. Ti amo. Grazie. Ti prego, perdonami.

Queste sono le prime parole che leggiamo all’inizio del libro. È un mantra Ho’ oponopono, frasi pronunciate in un ordine qualsiasi, per la riconciliazione e il perdono. Sono parole perfette per iniziare questa storia.

Il finale non è stato una sorpresa ma ha egregiamente completato una storia che porterò nel mio cuore, una storia emozionante sui legami tra i componenti di una famiglia, su cosa vuol dire casa, sulla forza dell’amore e sul devastante tradimento. Su tutto si erge il potere curativo del perdono, del conforto e della speranza.

lunedì 14 marzo 2022

RECENSIONE | "Padri" di Giorgia Tribuiani

Dopo “Guasti” (Volan, 2018) e il perturbante “Blu” (Fazi, 2021), Giorgia Tribuiani torna in libreria con “Padri” (Fazi), un romanzo sulle seconde possibilità, sulle parole non dette, sul bisogno di voler sempre analizzare e capire tutto senza comprendere che non è necessario capire tutto per accettare, perdonare e amare. La genesi di questo romanzo inizia nove anni fa, quando alla mente dell’autrice si presenta l’immagine di un uomo risorto che cerca di entrare nella propria casa e non ci riesce. Per 9 anni, e quattro riscritture complete, la Tribuiani si è chiesta cosa volesse davvero comunicarle quella prima immagine, quale storia volesse raccontare. La risposta è giunta improvvisa, celata in una frase di Kafka, dalla Lettera al padre.

Poi c’era un secondo mondo, lontanissimo dal mio, nel quale vivevi tu.


“Padri” è stato candidato al Premio Strega da Gioacchino De Chirico con la seguente motivazione:

Giorgia Tribuiani è una delle scrittrici più interessanti e innovative nel panorama letterario italiano. Con grande coraggio culturale ha affrontato temi originali come quello del rapporto tra corpi e arte, tra corpi e relazioni umane. Oggi, attraverso il suo ultimo libro, Padri, si misura con una tematica più tradizionale e frequentata dalla scrittura italiana contemporanea, ma lo fa con un piglio originale e con grande personalità. Quello che potrebbe sembrare un allineamento alle convenzioni più consolidate diventa invece, ancora una volta, uno scarto creativo che aggiunge conoscenza, cuore e realtà al già conosciuto.

La cifra stilistica di una scrittura, mai elementare ma assai colta e matura, permette a Tribuiani di scandagliare il senso profondo della vita di tutti noi, presenti e assenti, che sbagliamo, ci pentiamo, amiamo e in definitiva, viviamo.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Padri
Giorgia Tribuiani

Editore: Fazi
Pagine: 196
Prezzo: € 16,00
Sinossi
È un pomeriggio di primavera quando, con lo stesso corpo e la stessa età del giorno della propria morte, Diego Valli risorge. Si risveglia sul pianerottolo di quello che era stato il suo appartamento, tira fuori le chiavi, prova a infilarle nella serratura ma si trova faccia a faccia con il figlio Oscar, lasciato bambino e invecchiato ormai di oltre quarant’anni. Da qui, ha inizio una vicenda di riconciliazioni e distacchi, una storia intensa e sincera sul rapporto tra padri e figli e sulla necessità del perdono.
Una volta riconosciuto il padre, Oscar affronta il comprensibile straniamento aggrappandosi alle incombenze della quotidianità, mentre Clara, sua moglie, non crede al miracolo e si oppone all’idea di ospitare in casa uno sconosciuto. A complicare le cose, si aggiunge l’arrivo di Gaia, la figlia della coppia, che torna nella città natale per trascorrere le vacanze. Di nascosto dalla madre, che è spesso via per lavoro, Gaia finalmente ha l’occasione di conoscere suo nonno: un uomo profondo, amante della musica, più simile a lei di quanto sia mai stato suo padre. Oscar, al contrario, scoprirà aspetti di Diego che non pensava gli appartenessero. 





Tornò, allora, con quel fiacco mal di testa che si affaccia dopo certe interminabili liti di famiglia, o che accompagna le giornate di foschia: il cielo bianco una pellicola sul sole malaticcio, le ombre incerte, le scale - scale esterne, affacciate sul cortile – tutte pregne di quell’aria così ferma, soffocante, e Diego Valli si svestì. Mentre saliva, della borsa a tracolla e della giacca di montone, sfilò il mazzo di chiavi dalla tasca e inserì quella ramata nella toppa; la chiave non girò.

È un pomeriggio di primavera quando, con lo stesso corpo e la stessa età del giorno della propria morte, Diego Valli risorge. Si risveglia sul pianerottolo di quello che era stato il suo appartamento, tira fuori le chiavi, prova a infilarle nella serratura ma si trova faccia a faccia con il figlio Oscar, lasciato bambino e invecchiato ormai di oltre quarant’anni. Da qui ha inizio una vicenda di riconciliazioni e distacchi, una storia intensa e sincera sui rapporti tra padri e figli e sulla necessità del perdono.

Una volta riconosciuto il padre, Oscar affronta il comprensibile straniamento aggrappandosi alle incombenze della quotidianità, mentre Clara, sua moglie, non crede al miracolo e si oppone all’idea di ospitare in casa uno sconosciuto. A complicare le cose, si aggiunge l’arrivo di Gaia, la figlia della coppia, che torna nella città natale per trascorrere le vacanze. Di nascosto dalla madre, che è spesso via per lavoro, Gaia ha l’occasione di conoscere suo nonno, un uomo profondo, amante della musica, più simile a lei di quanto sia mai stato suo padre. Oscar, al contrario, scoprirà aspetti di Diego che non pensava gli appartenessero.

Diego e suo figlio Oscar, Oscar e sua figlia Gaia, sono gli estremi di un ponte interrotto perché manca la voglia di comunicare. Gaia è la voce della gioventù, ama la musica e la letteratura, è lei che ha il coraggio di legarsi al nonno che mostra interesse per ciò che lei prova, per i suoi sogni, per le sue amicizie, per il suo mondo fatto di tecnologie che lui non conosce. Diego il risorto mostra per Gaia quell’interesse che Oscar non ha mai manifestato. La ragazza idealizza il nonno, hanno tante cose in comune, poi iniziamo a comparire delle piccole crepe, i difetti vengono a galla e la perfezione si sbriciola.

Oscar vuole che sua figlia sia sempre perfetta, brava negli studi, in regola con gli esami universitari, impegnata nella stesura della tesi. La guarda con lo “sguardo dell’attesa”, come se ogni volta si aspettasse un risultato. Il padre non l’aveva mai compresa e lei teme di non essere all’altezza delle aspettative del genitore.

Comprendere è racchiudere, includere, pensava, e ricordava quell’abbraccio rifiutato: ti girasti, papà, ti sei sempre girato, eri severo, e invece no, dicevi tu, severo quando mai? Voglio solo che mia figlia si confermi la migliore, puoi provarci? Puoi, per favore, tenere i romanzucci come hobby e concentrarti sulla scuola? Laurearti bene in tempo e con il massimo dei voti, Gaia, puoi? C’è in palio un po’ di affetto.

 e Gaia pensava:

… è come se il suo affetto dovesse passare per l’orgoglio. Che quando disapprova con lo sguardo ti pare che tutta la Terra disapprovi; che tutto l’affetto  della Terra potevi meritarlo e non l’hai fatto.

Tuttavia ecco che nella mente di Gaia inizia a far breccia una riflessione: se il nonno è imperfetto, anche il padre, nella sua dolorosa essenza, è imperfetto.

A completare il quadro familiare è Clara, una donna infelice che non crede al “miracolo” del ritorno di Diego e per lui prova solo disprezzo chiamandolo “barbone”. Non lo accoglie nella loro casa e si allontana dal marito e dalla figlia. Incapace di esprimere i propri reali sentimenti, Clara si preoccupa delle esigenze fisiche della figlia ma non si ferma mai a parlare realmente con lei. Le chiede se ha mangiato, se ha freddo, se ha riposato, ma non le chiede se è felice, se ha dei sogni, se è innamorata. Clara coinvolge tutte le sue energie emotive su se stessa, lo stesso fa il marito. Quando Gaia sostiene il nonno, Clara lo considera un tradimento. È come se la figlia avesse scelto di schierarsi con il padre e non con lei. Clara è un personaggio chiuso nelle sue convinzioni, non cerca di capire. Ed ecco susseguirsi parole taciute, abbracci mai dati, carezze cristallizzate nel pensiero, tentativi di avvicinamento morti sul nascere. C’è sempre qualcosa che frena i suoi passi, la consapevolezza di non poter conoscere tutto delle persone che ci sono vicine. Dobbiamo cedere un po’ della nostra ostinazione nel voler avere tutto sotto controllo, nel considerarci come entità uniche e non in relazione con gli altri. I ponti vanno costruiti e non demoliti.

Leggendo “Padri” ho provato la sensazione di vivere nel riflesso dei personaggi, come se la loro immagine fosse riflessa da uno specchio narrativo. Così il padre si specchia e noi vediamo l’uomo, la madre si specchia e noi vediamo la donna, Gaia si specchia e noi vediamo nel suo essere riflessi tutti i giovani che sono figli ma diventeranno uomini e donne. Figli a volte invisibili agli occhi di genitori che non sanno ascoltarli, figli che non sanno comunicare perché nessuno ha insegnato loro come si fa, figli che vorrebbero abbracciare ma che nessuno ha mai abbracciato.

Figli che si creano l’idea di un padre perfetto, un’idealizzazione che poi va in frantumi quando si guarda oltre la figura del padre e si scopre l’uomo. Alcuni  tendono a idealizzare il proprio padre, altri ne svalutano  la figura per poter avere una scusa per le proprie azioni, altri ancora lo ergono a modello a cui ispirarsi. Per tutti arriva, poi, il momento della verità. Nessun uomo è perfetto, anche i padri e le madri sono imperfetti, hanno le loro fragilità, sbagliano e mostrano il loro volto più umano e vero. Nel romanzo Diego, l’uomo tornato dal regno dei morti, era stato, per suo figlio Oscar, un modello di onestà, integrità e moralità. Ricordi costruiti in base ai racconti delle persone che lo avevano conosciuto, ricordi non verità. Oscar aveva idealizzato il padre e quando ha una seconda possibilità di conoscerlo, ecco che comprende come  anche un genitore può cambiare, scopre le fragilità del padre, scopre ciò che non poteva sapere perché il padre era morto quando lui aveva solo 8 anni.

Prima o poi i figli crescono e scavano e le trovano comunque le tue debolezze. E ti odiano per questo: per esserti mostrato invincibile.

In questo romanzo, il grande talento di Giorgia Tribuiani si fa voce per abbattere il silenzio assordante delle parole non dette tra padri e figli. I personaggi, complessi e tormentati, prendono vita e diventano quasi reali testimoni di un disagio perpetuo, un’eredità che si tramanda di generazione in generazione.

Immaginare, credere, capire, amare, perdonare sono i pilastri su cui si erge “Padri”, un equilibrio delicato da mantenere nel tempo anche se sfugge tra le maglie dei ricordi. La comprensione dell’irrazionale invita al cambiamento, all’accettazione e al perdono anche senza dover necessariamente capire tutto.

Con una scrittura essenziale e ricercata, Giorgia Tribuiani consegna nelle mani dei lettori “Padri”, un romanzo breve ma immenso in cui la voce del perdono e dell’amore si amplificano nell’eco di un cuore che trasforma la realtà in uno spazio comune in cui il lettore può rispecchiarsi. In pagine di forte impatto emotivo nasce un’occasione per interrogarsi sulla figura paterna e sulla ricerca della propria identità nella consapevolezza che il processo di accettazione e di separazione dal padre non è un percorso privo di sofferenze.

giovedì 10 marzo 2022

RECENSIONE | "Ferryman. Oltre i confini" di Claire McFall

“Ferryman. Oltre i confini” è il secondo capitolo, dopo “Ferryman. Amore eterno” (recensione), della trilogia fantasy bestseller di Claire McFall. Continua in libreria, pubblicato da Fazi, l’epica e commovente storia di Dylan e Tristan, riscrittura moderna del mito di Caronte, storia d’amore che arriva oltre la morte attraversando i confini dell’aldilà.


STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7
Ferryman. Oltre i confini 
(Trilogia Ferryman #2)
Claire McFall  

Editore: Fazi
Pagine: 300
Prezzo: € 16,00
Sinossi
Tristan e Dylan, sfidando le regole del destino, sono fuggiti dalla terra perduta e sono tornati nel mondo reale, dove vivono insieme a casa di Dylan. Per quanto siano felici, le difficoltà non mancano. Ora, possedendo corpi che non hanno il diritto di abitare, scoprono di essere legati da qualcosa di molto più forte dell’amore: non possono uscire dal reciproco campo visivo. Se si separano, moriranno. Inoltre, la loro fuga dall’aldilà ha provocato uno squarcio nella barriera fra le due dimensioni dando accesso al mondo reale a creature demoniache e ad altri traghettatori stanchi della ripetitiva esistenza che conducono. Ma l’amore sembra essere la soluzione a ogni problema… Può un sentimento puro trascendere il destino? 





Può il vero amore trascendere il destino?

Nel primo capitolo della trilogia “Ferryman”, abbiamo conosciuto la quindicenne Dylan che, a seguito di un tragico incidente, conosce Tristan, un traghettatore di anime che accompagna i defunti fino alla loro destinazione attraverso la pericolosa Terra Perduta, una specie di limbo che le anime devono attraversare per poter passare Oltre. A ogni anima spetta il suo paradiso, ma qual è quello di Dylan? Nelle terre oltre i confini nasce l’amore tra Dylan e Tristan, ed è una storia d’amore travolgente, ricca di immaginazione, suspense, azione e di emozioni. Nel secondo volume ritroviamo i due giovani innamorati che, sfidando le regole del destino, sono fuggiti dall’aldilà e sono tornati nel mondo reale. Vivono insieme a casa di Dylan e le prime difficoltà non tardano a comparire all’orizzonte. Ora, vivendo in corpi che non hanno il diritto di abitare, scoprono di essere legati da qualcosa che trascende l’amore: non possono uscire dal reciproco campo visivo. Se si separano, moriranno. Inoltre, la loro fuga dalla terra perduta ha provocato uno squarcio nella barriera fra i due mondi dando accesso al mondo reale alle creature demoniache dell’altro mondo e ad altri traghettatori stanchi dell’esistenza durissima che conducono. L’amore sembra essere la soluzione a ogni problema. Riusciranno a superare le conseguenze del loro gesto? Si arrenderanno alle ripugnanti mangiatrici di uomini o lotteranno per difendere il mondo reale?

Mentre il fascino del primo romanzo consisteva nell’avventura dei due giovani protagonisti nel terrificante mondo oscuro, in questo nuovo capitolo la scena si sposta nel mondo reale e perde un po’ del suo fascino nero e inizialmente ti fa sentire un po’ disorientata senza tutte le brutture dell’aldilà. Fortunatamente per noi lettori, un po’ meno per i protagonisti, la loro non è una coppia normale e una serie di eventi inaspettati metterà a rischio il loro amore. Un velo nero scenderà su di loro mentre spiriti irrequieti e affamati oltrepasseranno lo strappo tra i due mondi. Dylan continua a mostrarsi una ragazzina coraggiosa che affronta i pericolo e si confronta con le sue paure.

Tristan, il ragazzo dagli occhi color cobalto, sembra non aver paura di nulla, ha un carattere forte e risoluto ma si mostra anche come un essere sensibile capace di aprirsi all’amore.

A complicare le cose arrivano due antagonisti: sono Jack e Susanna, anche loro vengono dalle Terre Desolate e porteranno non poco scompiglio tra Dylan e Tristan. Il viaggio e l’avventura continuano quindi e si ancorano saldamente nel mondo reale che si mostrerà permeabile al male.

“Ferryman. Oltre i confini.” è un bel mix di romanticismo, azione, gotico, avventura e fantasy. È assolutamente affascinante star seduta comodamente sul divano e partecipare a un’avventura dove anime, traghettatori e spettri si danno battaglia. Quando poi compare la misteriosa figura dell’Inquisitore non è più possibile smettere di leggere, la curiosità di sapere cosa succederà a Dylan e Tristan è troppo forte.

“Ferryman” è una testimonianza di come il vero amore possa superare i confini della morte. È una magica storia di intrighi che si muovono sul confine tra due mondi. Claire McFall ha creato una storia originale e coinvolgente, una favola nera ricca di desiderio e coraggio, di decisioni difficili da prendere e di personaggi accattivanti. Esplorare i comportamenti dei protagonisti davanti a situazioni pericolose, sondare i loro sentimenti e la loro forza, è profondamente emozionante. Tristan e Dylan non si piegano, affrontano le conseguenze del loro “ritorno” sulla terra con un’arma potentissima, il loro amore. Il suo potere non ha limiti e li unisce anche quando le tenebre sembrano prevalere sulla luce. Quindi, lunga vita alle emozioni! Per leggere l’evolversi del rapporto tra Dylan e Tristan non ci resta che aspettare il terzo capitolo della trilogia.  

martedì 8 marzo 2022

RECENSIONE | "La vendetta degli dei" di Hannah Lynn [Review Party]

Dopo “Il segreto di Medusa”, la scrittrice Hannah Lynn torna in libreria con “La vendetta degli dei”, Newton Compton Editori. Il romanzo ha come protagonista Clitennestra, la regina più cattiva della mitologia greca.  Il marito Agamennone la definì “perfido mostro”, ma era davvero così? O è tutt’altra storia?

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La vendetta degli dei
(Serie Greek Women #2) 
Hannah Lynn

Editore: Newton Compton
Pagine: 320
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Regina dal potere sconfinato, moglie assassina e vendicatrice, madre tradita e amorevole, figura capace di slanci e sentimenti di grande intensità o donna crudele e senza cuore? È davvero difficile provare empatia per una donna che tradisce il marito, Agamennone, e che lo uccide al suo ritorno da Troia assieme al proprio amante, senza conoscere fino in fondo le sofferenze a cui è stata sottoposta fin dalla giovane età. Una donna che ha dovuto sopportare l’omicidio del precedente marito e del figlio uccisi brutalmente, l’assassinio della figlia Ifigenia sacrificata con l’inganno agli dei dal padre. Senza contare le umiliazioni pubbliche, i soprusi e gli abusi a cui la regina di Micene deve sottostare per il bene pubblico. E così, in un racconto appassionante e commovente, Clitennestra assume sembianze di una modernità impressionante e il lettore si ritrova avvinto da una spirale di odio, amore, violenza e spargimenti di sangue di familiari che non ha eguali nella mitologia greca.







L’indovino Calcante riportò lo sguardo su di lui. “Sei un uomo caro agli dei, Agamennone. Il re dei re, nientemeno.” “Dimmi, cosa mi viene chiesto?” “Ti sei già trovato in situazioni difficili, come quando hai rivendicato la corona di tuo padre strappandola a quel traditore di tuo zio. Lo so. So cosa ho fatto”. “Che cosa devo fare?”. “La dea accetterà un unico sacrificio, un’unica morte sul suo altare nel tempio di Aulide. La dea non è un animale che vuole, ma una fanciulla. La tua figlia più bella, Ifigenia.”

Clitennestra, regina di Micene, uccide il marito Agamennone per vendicare la figlia Ifigenia. La fanciulla era stata convocata in Aulide con l’inganno: avrebbe dovuto sposare il prode Achille. Invece viene sacrificata dal padre sull’altare della dea Artemide affinché la spedizione dei Greci, trattenuta da venti contrari, potesse salpare. È questa la versione del mito che l’autrice sceglie di raccontare con Clitennestra che ricopre un ruolo drammatico e trasgressivo, nutrito da una furia vendicatrice che non si fermerà davanti a nulla.

Clitennestra è una regina potente, moglie assassina e vendicatrice, madre tradita e amorevole, figura capace di slanci e sentimenti di grande intensità o donna crudele e senza cuore? Fin dalla prima pagina vi verrà naturale provare empatia per la regina perché conoscerete le sofferenze a cui è stata sottoposta fin dalla giovane età. Una donna che ha dovuto sopportare l’omicidio del precedente marito, Tantalo, e del figlio uccisi brutalmente, l’assassinio della figlia Ifigenia sacrificata dal padre agli dei. Senza contare le umiliazioni pubbliche, i soprusi e gli abusi a cui la regina di Micene deve sottostare per il bene pubblico.

Clitennestra è un personaggio di rilievo nella mitologia greca, è una donna dal forte temperamento intenzionata a voler difendere i figli da qualsiasi minaccia incomba su di loro. Agamennone e Clitennestra avevano un figlio, Oreste, e tre figlie: Elettra, Ifigenia e Crisotemi. Mentre Agamennone è impegnato a combattere contro Troia, Clitennestra regna da sola comandando la polis di Micene e i politici. Lo fa con grazia e arguzia, guadagnandosi il rispetto di tutti. Per la regina i figli vengono sicuramente prima del regno. Lei è concentrata sulla loro salute, sulla loro felicità e sulla loro sicurezza. Agamennone viene mostrato come un personaggio intollerante verso qualunque forma di emozione o sensibilità.

Un padre disposto a tagliare la gola alla propria figlia per un vento migliore, che uomo è?

Uccidere Agamennone è un atto di giustizia, che spesso si confonde con la vendetta, e a sua volta Clitennestra verrà uccisa da suo figlio Oreste per vendicare l’assassinio del padre secondo un ordine patriarcale voluto da Apollo. I capricci degli dei e l’immutabile fato e le antiche maledizioni, nulla cancellano.

Gli dei non traevano gioia dalla felicità umana. Gli dei esigevano punizioni.

Così la colpa si trasmette all’interno dei legami famigliari e nessuno può dirsi veramente innocente. Subito dopo Oreste verrà perseguitato da voci infernali: sono i demoni, le Erinni, del mondo sotterraneo che sorgono dal cadavere del morto e inchiodano alla sua colpa l’uccisore.

“La vendetta degli dei” è un racconto appassionante e  commovente, è la sfida di una donna al mondo patriarcale. Da una spirale di odio e amore, violenza e spargimenti di sangue di familiari, emerge una crudele verità: a volte devi rischiare tutto per proteggere le persone che ami. Se sei come me un fan degli dei vendicativi e delle feroci rivalità famigliari, adorerai questo racconto epico.

“La vendetta degli dei” è il secondo dei libri sulla trilogia delle donne della mitologia greca. Mentre nel primo libro, “Il segreto di Medusa”, Hannah Lynn racconta la storia di Medusa e Perseo che diventano pedine nelle mani di divinità egoiste e dispettose, in questo secondo volume l’autrice rivisita la guerra di Troia concentrandosi su Clitennestra, figura complicata e controversa, che qui ha la possibilità di vedere riabilitato il suo personaggio raccontando la sua verità. La regina di Micene, vittima del marito, si trasformerà in colpevole, nel momento in cui, insieme a Egisto, cugino del marito e suo amante, deciderà di uccidere il re. È considerata come una donna malefica, falsa e vendicatrice. Eppure nel romanzo emergono delle sfumature che vi faranno vedere in modo diverso questo personaggio che si contrappone alle figure di altre donne, mogli di eroi, che compaiono all’interno dei poemi omerici. Mentre ad esempio Penelope e Andromaca rappresentano le  mogli fedeli e devote che incarnano l’ideale femminile della Grecia antica, Clitennestra è una donna adultera e violenta, quindi un modello del tutto negativo. Se però guardiamo un po’ più in profondità, capiremo che la sua rabbia nasce da una profonda disperazione, dal dolore di una madre che ha perso la propria figlia per colpa di suo marito. Lei è una donna forte e decisa che non si piega alle convenzioni sociali del suo tempo, mette a nudo il suo cuore e ci porta in una dimensione estrema dei sentimenti. È una donna che come assassina non può essere assolta, ma forse capita. Clitennestra continua a piangere i figli che un uomo crudele le ha portato via. Nulla, se non la vendetta, potrà fermare il suo dolore. Sangue chiama sangue, i morti maledicono chi li ha uccisi, il destino non si può scalfire, la morte accoglie l’eternità in una rabbiosa e straziante infelicità.




giovedì 3 marzo 2022

RECENSIONE | "Il padrone di Jalna" di Mazo de la Roche

Dopo “Jalna”, “Il gioco della vita” e “La fortuna di Finch”, arriva nelle librerie “Il padrone di Jalna” (Fazi) di Mazo de la Roche, quarto imperdibile capitolo della grande saga familiare di Jalna. I Whiteoak, la numerosa famiglia di origini inglesi che risiede a Jalna, affronteranno nuovi intrighi e nuovi conflitti, costellati come d’abitudine da dissapori e tradimenti. 


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il padrone di Jalna
(Saga di Jalna #4)
Mazo de la Roche

Editore: Fazi
Pagine: 414
Prezzo: € 18,00
Sinossi

È primavera inoltrata a Jalna, e Renny Whiteoak passeggia nella tenuta. Dopo la scomparsa di Adeline ha preso in mano le redini della dimora e dell’intero clan. Il denaro scarseggia e le preoccupazioni domestiche sono all’ordine del giorno; eppure, non può fare a meno di provare gioia e soddisfazione mentre calca quei sentieri che sente suoi, percorsi da lui e dai suoi cari per decenni, tracciati dalla famiglia dove prima c’erano solo foreste: sentieri che sono stati testimoni di scene di ogni tipo, pensa sorridendo fra sé e sé. Così, quando l’amministrazione locale decide di abbattere le querce secolari nei pressi della tenuta per allargare la strada che la costeggia, Renny non ci sta: quegli alberi fanno parte della storia dei Whiteoak. Li proteggerà dall’abbattimento, costi quel che costi. Nel frattempo, il suo rapporto con Alayne si fa sempre più complicato: l’attitudine da donnaiolo non aiuta, e anche la gestione della figlia è terreno di scontro. La piccola Adeline, che ha ereditato i capelli rossi, la forza di volontà e il carattere feroce dell’omonima bisnonna, è una mina vagante. Dal canto suo, invece, Wakefield ha presto messo da parte l’amore per la poesia in favore di una scoperta ben più appassionante: le ragazze. Una in particolare. E mentre i giovani di casa vanno avanti ognuno per la propria strada, gli adulti sono divisi da antichi risentimenti.






Renny prese il sentiero che si snodava attraverso il bosco di betulle. Sì, il terreno liscio su cui camminava era suo, e possederlo gli dava una sensazione strana e personale. Possedere un sentiero era qualcosa di diverso dal coltivare un campo. Il primo si distendeva e si concedeva permettendoti di percorrerlo ma indirizzando i tuoi passi, il secondo si arrendeva all’aratro. Gli alberi del bosco erano i guardiani del sentiero, e se sceglievi di abbandonarlo lui continuava senza di te nel percorso tracciato dalle impronte dei tuoi avi.

Renny Whiteoak, dopo la scomparsa dell’amata nonna Adeline, ha preso in mano le redini della dimora e dell’intero clan. Deve affrontare problemi economici e le tante preoccupazioni domestiche ma continua a provare un profondo legame con Jalna, la vasta tenuta coloniale. Così, quando l’amministrazione locale decide di abbattere le querce secolari nei pressi della tenuta per allargare la strada che la costeggia, Renny non ci sta: quegli alberi fanno parte della storia dei Whiteoak. Li proteggerà dall’abbattimento, costi quel che costi. Nel frattempo il suo rapporto con la moglie Alayne si fa sempre più complicato: l’attitudine da donnaiolo non aiuta, e anche la gestione della figlia è terreno di scontro. La piccola Adeline, che ha ereditato i capelli rossi, la forza di volontà e il carattere feroce dell’omonima bisnonna, è una mina vagante. Intanto Wakefield, il fratello più piccolo, scopre l’amore per le ragazze. Una in particolare farà battere il suo cuore. E mentre i giovani di casa vanno avanti ognuno per la propria strada, gli adulti sono divisi da antichi risentimenti. 

 A Jalna non esistono giorni tranquilli e Renny, figura centrale in questo capitolo, è il più inquieto di tutti. In un’atmosfera cupa e piena di dolore, sono molteplici i problemi che affliggono Jalna. Siamo nel periodo della grande Depressione, i Whiteoak ora allevano e vendono meno cavalli e arrivano a prendere in considerazione l’idea di vendere o affittare dei lotti del terreno di famiglia. Renny cerca di salvare l’amata tenuta dalla rovina, è un guerriero capace di un’immensa tenerezza verso le persone che ama. Nubi nere appaiono anche all’orizzonte del suo matrimonio con Alayne: Renny è attratto da una giovane vedova che lo ama segretamente da anni. I Whiteoak sono sempre in pieno fermento. Tra i suoi componenti ci sono legami forti ma anche rancori striscianti che non svaniscono neanche davanti alla morte che busserà alle porte di Jalna. In questo microcosmo si allungano ombre che avvelenano le dinamiche che governano i difficili rapporti familiari. I personaggi, che si rubano la scena a vicenda, sono ricchi di fascino e personalità. Si muovono tra preoccupazioni e affrontano temi universali senza tempo. I ragazzi più giovani, come Wakefield e Finch, continuano a inseguire i propri sogni. Renny è fortemente ancorato alla realtà e al legame con la propria terra. Piers è sempre più impulsivo e prenderà una decisione che cambierà la sua vita e quella dei suoi cari. Tra personalità così diverse, gli scontri sono quotidiani e coinvolgono grandi e piccini. Alayne continua a essere una donna assennata alle prese con la piccola Adeline che stravede per il padre trasformandosi in un angioletto in sua presenza. 

Leggere la saga dei Whiteoak è come ritrovare vecchi amici, riprendere discussioni interrotte, assistere alla nascita di nuovi amori e tradimenti. La noia è bandita da Jalna grazie ai numerosi personaggi che vi abitano. Continuano gli scontri tra generazioni, il confronto tra il mondo femminile e quello maschile, la tensione tra i membri della famiglia e arrivano, inaspettati, alcuni cambiamenti che non promettono nulla di buono. 

“Il padrone di Jalna” è una storia di amore e gelosia, orgoglio e passione. È come la superficie di un grande lago in cui si rispecchiano sogni e desideri, entusiasmo per la vita e fermezza di fronte alle prove più dure, passioni e seduzioni. In questo romanzo la trama non si complica in modo eccessivo, anzi segue una certa linearità come se volesse traghettare i personaggi verso future e più coinvolgenti avventure. Comunque osservare i Whiteoak alle prese con drammi, sfide e singolari corteggiamenti è davvero un’esperienza unica e accende in me la voglia di conoscere sempre meglio la famiglia. Sono sicura che la mia curiosità verrà appagata e quindi vi do appuntamento alla prossima pubblicazione. Renny e la sua grande famiglia ci aspettano a Jalna. E la saga continua…