martedì 21 novembre 2023

RECENSIONE | "La voce del buio" di Gigi Paoli

“La voce del buio” di Gigi Paoli, Giunti Editore, è un giallo che vede protagonista maschile, Piero Montecchi, professore di Neuroscienze forensi all’Università di Verona, specializzato in fenomeni paranormali. Le vicende si svolgono intorno a una casa di riposo, in cui ogni due anni e da dodici anni scompaiono diversi anziani, come se venissero risucchiati dal buio del bosco. Scompaiono tutti nello stesso posto. Nello stesso modo. Senza alcun movente e senza una spiegazione plausibile. Tutto sembra essere collegato a strane voci e inquietanti presenze, e sarà proprio Piero a dare una spiegazione logica a quegli avvenimenti. Un noir per chi subisce il fascino del paranormale.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
La voce del buio
Gigi Paoli

Editore: Giunti
Pagine: 304
Prezzo: € 16,90
Sinossi

Da dodici anni alcuni anziani scompaiono di notte, senza lasciare traccia, tutti nello stesso modo: escono da Villa Imperiale, la sfarzosa casa di riposo sul Passo della Mendola dove sono ospiti, abbandonano i propri indumenti ai margini del bosco e si inoltrano nel buio richiamati da una voce… o almeno così riferiscono alle autorità gli amici e i parenti dei dispersi. Ogni due anni puntualmente la storia si ripete, senza che gli inquirenti riescano a venirne a capo. Mentre in paese si mormora che lassù c'è qualcosa di sovrannaturale per il susseguirsi di eventi inspiegabili, a far luce sul caso viene chiamato il professor Piero Montecchi. Fascinoso, ironico, innamorato della scienza e di una moglie perduta, Montecchi è docente di Neuroscienze forensi all'Università di Verona e membro del CICAP, l'ente che controlla le affermazioni sul paranormale. Tra foreste silenziose, presenze inquietanti e un antico fatto di sangue che ha sconvolto per sempre il villaggio, lo scettico professore dovrà sciogliere i nodi di una vicenda che sembra trascendere i limiti della razionalità. Perché nessuno meglio di lui sa che l'enigma più contorto non è l'occulto, bensì la mente umana. Un mistero impossibile, macchiato dall'ombra di presenze oscure.





L’anziana sorrise. Si sfilò le pantofole e si tolse la vestaglia di flanella, cercando di piegarla con attenzione prima di gettarla per terra. Poi fece lo stesso con gli occhiali. Si passò la mano fra i capelli, un vezzo istintivo della bella donna che era stata, e sorrise a sé e al buio.

Ora poteva andare.

Entrò dentro il bosco.

E nessuno la vide mai più.

Né viva, né morta.

Da dodici anni alcuni anziani scompaiono di notte, senza lasciare traccia, tutti nello stesso modo: escono da Villa Imperiale, la sfarzosa casa di riposo sul Passo della Mendola dove sono ospiti, abbandonano i propri indumenti ai margini del bosco e si inoltrano nel buio richiamati da una voce, o almeno così riferiscono alle autorità gli amici e i parenti dei dispersi. Ogni due anni puntualmente la storia si ripete, senza che gli inquirenti riescano a venirne a capo. Mentre in paese si mormora che lassù c’è qualcosa di sovrannaturale   per il susseguirsi di eventi inspiegabili, viene chiamato il professor Piero Montecchi. Fascinoso, ironico, innamorato della scienza e di una moglie perduta, Montecchi è docente di Neuroscienze forensi all’Università di Verona e membro del CICAP, l’ente che controlla le affermazioni sul paranormale.

Tra foreste silenziose, presenze inquietanti e un antico fatto di sangue che ha sconvolto per sempre il villaggio, lo scettico professore dovrà sciogliere i nodi di una vicenda che sembra trascendere i limiti della razionalità. Perché nessuno meglio di lui sa che l’enigma più contorto non è l’occulto, bensì la mente umana.

Ho letto “Le voci del buio” con una gran voglia di scoprire il mistero celato nel buio dove si nascondono presenze oscure. Ho provato a immaginare la voce del buio che attira a sé le persone anziane e ho percepito brividi lungo la schiena pensando alla Voce che sceglie le sue vittime tra persone fragili. Il paranormale lo sappiamo, non esiste e il professor Montecchi è pronto a smantellare ogni tentativo di opposizione. Eppure, non sempre la ragione ha una spiegazione per ogni cosa. Forse perché la verità, a volte, è difficile da vedere e da accettare.

Il protagonista del romanzo è il professor Piero Montecchi, fascinoso e ironico vedovo cinquantenne ancora perdutamente innamorato di sua moglie Cinzia. È un uomo elegante, fuma le gauloises blu. A far compagnia al professore c’è Winston, tenero pastore tedesco, dono della moglie.

La sua vita si svolge tra la casa  veronese che affaccia sul cortile interno di via Cappello (situata nel cuore del centro storico dove si trova il famoso balcone di Giulietta, ulteriore riferimento all’amore tragico dei due giovani, oltre al nome Montecchi) e Saint Paul de Vance, un piccolo borgo medievale nel sud della Francia dove Cinzia aveva acquistato un appartamento, il loro nido d’amore prima della grande tragedia. Dopo la morte dell’amata moglie, il professore adotta la solitudine per proteggersi dal dolore perché non aveva mai accettato la morte della donna amata e non voleva condividere il suo dolore con nessuno.

Nel passato il nostro professore era carabiniere paracadutista in forza alla Tuscania. Fu ferito gravemente durante una missione a Mogadiscio, in Somalia, riportando danni permanenti come un forte mal di testa che non lo lascia mai.

Sarà proprio Montecchi ad essere chiamato per risolvere le sparizioni inspiegabili alla casa di riposo. L’uomo di scienza è chiamato a dare una risposta a qualcosa che appare lontano anni luce dalla scienza. Avrà l’appoggio del maresciallo Galasso, ormai in pensione, ma sempre pronto a ergersi paladino della verità. Nel paese tutti hanno paura del bosco e cercano una protezione contro il male. Ovunque, nei luoghi pubblici, nelle case e anche nelle camere d’albergo, il crocifisso fa da scudo alla paura. Il professore, inizialmente, disapprova.

Il male non è un’entità astratta, a meno che  non si voglia pensare a Lucifero o all’Inferno di Dante. Il male, lo diceva la sua Scienza, è frutto di qualcosa di tangibile, di scientifico.

Patrimonio genetico, fattori naturali e culturali, possono influenzare i nostri comportamenti al di fuori della coscienza, quindi niente paranormale, “si tratta di Scienza, non chiacchiere, né sogni.” Forse. Tra le frasi attribuite al geniale scienziato Albert Einstein, una si adatta perfettamente a questa storia:

Dio non gioca a dadi col mondo. Tutto è determinato, dall’inizio alla fine, da forze su cui non abbiamo controllo. Danziamo tutti su una melodia misteriosa, intonata a distanza da un musicista invisibile.

Man mano che si procede con la lettura si entra in un incubo sempre più oscuro che ritorna ciclicamente e non dà scampo. Capitolo dopo capitolo gli interrogativi aumentano, le certezze vacillano e i dubbi sono direttamente proporzionali ai misteri.

Mi è piaciuta l’ambientazione in un luogo incantevole della nostra bella Italia e ho trovato interessanti i riferimenti alle Neuroscienze, materia attuale e complessa che studia, anche, le capacità del cervello che ancora non conosciamo del tutto. Alcuni neuroscienziati fanno parte del CICAP, per la confutazione delle affermazioni sul paranormale. L’accoppiata neuroscienze e paranormale sarà fonte di molti intriganti eventi anche perché Montecchi ha una mente aperta al dubbio.

Se vuoi nascondere davvero qualcosa, mettila sotto gli occhi di tutti e nessuno la vedrà mai.

Gigi Paoli, scrittore e giornalista, è già noto al grande pubblico dei lettori per la serie, ambientata nella bellissima città di Firenze, che vede protagonista il tenace, ironico e instancabile, cronista di giudiziaria Carlo Alberto Marchi. Con “La voce del buio” l’autore si cimenta con un nuovo personaggio, una nuova ambientazione, una nuova storia.

“La voce del buio” è un romanzo camaleontico, un po’ thriller e horror, un po’ paranormale e noir. È un romanzo carico di suggestioni, di voci e di nodi da sciogliere.

Vi invito quindi a una lettura intrigante con atmosfere inquietanti e tanta suspense. Una vicenda al limite della razionalità. Una storia che profuma di ciclamino, la pianta sacra a Ecate che era la divinità greca dell’oltretomba e della magia. La potente signora dell’oscurità che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, sui fantasmi e sui morti, vi dà appuntamento al limitar del bosco.

giovedì 9 novembre 2023

RECENSIONE | "Le persiane verdi" di Georges Simenon

“Le persiane verdi” (Adelphi) è tra i romanzi più belli del grande e amato scrittore del Novecento, il belga Georges Simenon. Emile Maugin è un celeberrimo attore teatrale e cinematografico, noto per la sua vita di eccessi e per il carattere dispotico con cui tiranneggia chi gli è accanto. Ma solo lui sa che il suo cuore malato gli lascia poco da vivere. E ha un sogno che, prima di andarsene, vuole a tutti i costi realizzare.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Le persiane verdi
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 208
Prezzo: € 19,00
Sinossi

«Forse questo è il libro che i critici mi chiedono da tanto tempo e che ho sempre sperato di scrivere» azzarda Simenon, che ha terminato "Le persiane verdi" in una sorta di stato di grazia, all'indomani della nascita del secondo figlio. Ha tutte le ragioni di essere soddisfatto: è riuscito a scolpire una figura larger than life, Emile Maugin, celeberrimo attore giunto, a sessant'anni, all'apice del successo e della fama, che un giorno apprende di avere, al posto del ventricolo sinistro, «una specie di pera molle e avvizzita». «Maugin non è ispirato né a Raimu, né a Michel Simon, né a W.C. Fields, né a Charlie Chaplin» afferma risolutamente Simenon nell'Avvertenza. «E tuttavia, proprio a causa della loro grandezza, non è possibile creare un personaggio dello stesso calibro, che faccia lo stesso mestiere, senza prendere in prestito dall'uno o dall'altro certi tratti o certi tic». Ciò detto, taglia corto, «Maugin non è né il tale né il talaltro. È Maugin, punto e basta, ha pregi e difetti che appartengono solo a lui». Pregi e difetti alla misura del personaggio: dopo un'infanzia sordida, ha lottato, perduto, vinto, amato, desiderato, conquistato e posseduto tutto - donne, fama, denaro -, e coltiva la propria leggenda abbandonandosi a ogni eccesso. Prepotente, scorbutico, cinico (ma segretamente generoso), regna da tiranno su un piccolo mondo di sudditi devoti e trepidanti, fra cui la giovanissima e amorevole moglie, ma vive nella costante paura della morte e nella nostalgia dell'unica cosa che non ha mai conosciuto: la pace dell'anima - quella cosa tiepida e dolce a cui il suo desiderio attribuisce la forma di una casa con le persiane verdi.



Bevve il terzo bicchiere a occhi chiusi. Poi ne bevve un quarto e solo allora si eresse in tutta la sua altezza, spinse il petto in fuori, gonfiò le guance e tornò a essere quello che tutti erano abituati a vedere. Si guardò intorno, osservando le facce che fluttuavano tra le nuvole di fumo, e contrasse le labbra in una smorfia, la sua famosa smorfia, feroce e patetica insieme, che alla fine produsse l’effetto desiderato, li fece ridere, come a teatro faceva ridere la platea, il tipico riso nervoso di chi per un attimo ha avuto paura.

Protagonista del romanzo è il grande Emile Maugin, celeberrimo attore giunto a sessant’anni, all’apice del successo e della fama, che un giorno apprende di avere, al posto del ventricolo sinistro, “una specie di pera molle e avvizzita”. È il dottor Biguet, eminente specialista, a fare diagnosi senza appello:

Maugin, lei mi ha detto poco fa che ha cinquantanove anni. Ma il cuore che avevo davanti era quello di un settantacinquenne.

Maugin racchiude in sé pregi e difetti. Dopo un’infanzia sordida, ha lottato, perduto, vinto, amato, desiderato, conquistato e posseduto tutto. Ha donne, fama e denaro. Coltiva la propria leggenda abbandonandosi a ogni eccesso: è prepotente, scorbutico e cinico, avaro in pubblico ma segretamente generoso. È il tiranno della sua corte formata da sudditi che lo amano e lo temono, fra cui la giovanissima e amorevole moglie Alice che non gli aveva fatto mai alcun rimprovero e che lui aveva sposato anche se la donna era incinta di un altro uomo.

Lei non gli aveva fatto nessun rimprovero. Ma erano proprio quei rimproveri non formulati che lo mandavano in bestia.

Maugin vive però avendo costantemente paura della morte anelando l’unica cosa che non ha mai avuto: la pace dell’anima, quella cosa tiepida e dolce a cui il suo desiderio attribuisce la forma di una casa con le persiane verdi.

La figura di Maugin, come lo stesso autore tiene a precisare, non si ispira a nessun altro attore realmente vissuto. Maugin è Maugin, punto e basta. Tutti lo amano e ammirano, lui cerca una pace interiore che non è mai riuscito a raggiungere. Un’infanzia di estrema povertà, senza nessun affetto e valori, ha segnato la sua vita affollata da demoni. Il suo rifugio è l’alcol, rigorosamente cognac e vino rosso, che scaccia la malinconia ma è un rifugio temporale, alla fine l’inevitabile si presenterà. Se vuol continuare a vivere Maugin dovrà rinunciare alla vita frenetica e agli eccessi. Ma come può il grande attore rinunciare al suo modo di presentarsi agli altri? Come può rinunciare al bere, alle donne (amate e perdute), al sesso e alla vita frenetica delle prove a teatro? Non può ma deve. Inizia a percepire l’assedio della stanchezza:

Sono stanco. Stan-co, capite? Stanco da morire. Stanco di essere un uomo. Stanco di reggersi in piedi. Stanco di vedere e sentire individui come Cadot, e di doversene per giunta fare carico. Avevano remore, loro, a tormentarlo? Qualcuno aveva mai avuto pietà di lui? Lo avevano mai visto andare a chiedere educatamente aiuto a checchessia?

È affascinante leggere Simenon e “Le persiane verdi” si rivela un ulteriore romanzo in cui l’autore esegue un’autopsia accurata sul corpo del genere umano. È l’analisi di un uomo solo che si sente prossimo alla morte e sogna di essere l’imputato di un processo i cui giudici sono persone a lui note. Cerca l’assoluzione per le sue colpe Maugin, la pace dell’anima simboleggiata da una casetta con le persiane verdi. Ma indietro non si può tornare ed è impossibile sfuggire al destino di cui lui è l’artefice. C’è tanta infelicità tra le pagine di questo romanzo e si percepisce la solitudine del protagonista anche se intorno a lui ci sono tante persone.

Era strano: il buio che lo circondava non era il buio immobile, immateriale, negativo, a cui siamo abituati. Gli ricordava piuttosto il buio quasi palpabile di certi incubi della sua infanzia, un buio minaccioso, che a volte di notte lo assaliva a ondate come a volerlo soffocare.

“Le persiane verdi” è un romanzo intenso alla ricerca delle stratificazioni psicologiche che danno spessore al protagonista, il grande Maugin, che si condanna e autoassolve, si odia e si ama, si consola con l’alcol per sentirsi meglio e dimenticare i cattivi pensieri. Con brevi frammenti di memoria, l’autore svela la vita movimentata dell’attore che decide, alla fine, di cercare la pace lasciando Parigi e stabilendosi con la sua famiglia ad Antibes in una grande villa. Ancora una fuga, ancora un cambiamento che nulla risolve: Maugin si sente inutile, beve sempre più. Un giorno, durante un uscita in barca per pescare, si ferisce con un amo al piede. Quella piccola, insignificante ferita, sarà l’inizio della fine.

Un lungo flusso di coscienza porta Maugin a riflettere sulla sua cronica infelicità ma non troverà risposte precise. 

“Le persiane verdi” è un romanzo in cui le incertezze vanno a braccetto con i fantasmi di una vita. Il protagonista abbraccia in sé tutti coloro che hanno faticato per ottenere successo e spesso sono costretti a “recitare” anche nella quotidianità. Il porto sicuro è una casetta dalle persiani verdi ma arrivarci è impossibile anche se a volerlo è il grande Maugin, vittorioso sul palcoscenico ma fallimentare nella vita.

Ancora una volta Georges Simenon ha scritto un gran romanzo in cui c’è la ricerca del senso della vita tra sentimenti e passioni che vivono nei pensieri e diventano evanescenti nei fatti. Il protagonista vive dentro la tempesta della sua vita come in una voragine in cui l’anima perde la retta via.

“Le persiane verdi” è una “zona franca” in cui ognuno dice la sua senza dare spettacolo e gli eventi vanno in varie direzioni ma è Maugin a dar vita a uno straordinario contesto di riflessione. È la sua voce a prevalere su tutti. Ma è una voce interiore che medita sui misteri dell’esistenza e della dignità delle persone. È una voce alla ricerca di ciò che le viene negato, la serenità e l’equilibrio interiore. Se lui non fosse il grande Maugin, qualcuno lo cercherebbe ugualmente? Possono l’amore, il calore di una famiglia, l’amicizia mostrare veramente i loro volti o tutto è finzione come a teatro? L’interesse muove cielo e mare, guida le azioni degli uomini e si traveste da fragilità sociale. Il passato e il presente dialogano tra loro creando un vortice che si immerge nell’interiorità del protagonista. Del futuro non c’è certezza e questo Maugin lo sa perfettamente e malinconicamente percorre la via del crepuscolo in compagnia del suo “ventricolo sinistro paragonato a una specie di pera molle e avvizzita”, sognando quella casa dalle persiane verdi che anela da una vita.

venerdì 3 novembre 2023

BLOGTOUR | "Vertigine" di Franck Thilliez | I 5 motivi per leggere il romanzo

Novembre sarà sicuramente un mese ricco di uscite editoriali in libreria. Tra i più graditi e attesi ritorni vi segnalo in uscita il 7 novembre “Vertigine” (Fazi nella collana Darkside) del maestro del thriller francese Franck Thilliez. Il romanzo è una crudele quanto affascinante dissezione dell’animo umano messo davanti al pericolo. Un enigma intricato con un’ambientazione da brivido.

Franck Thilliez continua a giocare e manipolare, ma questo noi lettori affezionati già lo sappiamo. Per chi non dovesse conoscere il maestro del rompicapo letterario, sarò ben lieta di elencare cinque motivi per leggere “Vertigine”.



Vertigine
Franck Thilliez

Editore: Fazi
Pagine: 312
Prezzo: € 19,00
Sinossi
Jonathan Touvier, ex alpinista cinquantenne, si risveglia intontito e non sa dove si trova. Attorno a lui soltanto buio, umidità, freddo. È finito in fondo a una grotta e non ha idea di come sia successo. Non è solo. Insieme a lui ci sono il suo fedele cane Pokhara e due sconosciuti: Farid, giovane di origini maghrebine, e Michel, uomo di mezza età che lavora in un macello. Jonathan è incatenato al polso, Farid alla caviglia; Michel è libero, ma la sua testa è coperta da una spaventosa maschera di ferro, che esploderà se si allontana dagli altri due. Sulla schiena hanno tre biglietti con altrettante domande: «Chi sarà il ladro?», «Chi sarà il bugiardo?», «Chi sarà l’omicida?». Qualcuno sta giocando con loro, e ha tessuto con cura una ragnatela inestricabile per intrappolarli. Chi è? E perché l’ha fatto? Ben presto, però, la domanda più urgente diventerà un’altra: fino a che punto si può arrivare per non soccombere in una situazione così estrema? Se la natura può rivelarsi un’assassina spietata, l’uomo può trasformarsi in un predatore senza scrupoli: tra menzogne e mezze verità, scatta una disperata lotta per la sopravvivenza, da affrontare con ogni mezzo e strategia possibile.



I 5 motivi per leggere il romanzo

Siamo scossi da un vento di sconfitta e mi rendo conto che, martoriato dalla fame, sono diventato come loro: un predatore pronto a tutto. Ho sentito, vivido e pressante, l’istinto della caccia.

1. Perchè la trama è già una trappola per i lettori, leggendola non potrete non voler leggere questo nuovo geniale enigma firmato Franck Thilliez. 

Jonathan Touvier, ex alpinista cinquantenne, si risveglia intontito e non sa dove si trova. Attorno a lui solo buio, umidità e freddo. È finito in fondo a una grotta e non ha idea di come sia successo. Con lui ci sono il suo fedele cane Pokhara e due sconosciuti: Farid, giovane di origini maghrebine, e Michel, uomo di mezza età che lavora in un macello. Jonathan è incatenato al polso, Farid alla caviglia; Michel è libero, ma la sua testa è coperta da una spaventosa maschera di ferro che esploderà se si allontana dagli altri due. Sulla schiena hanno ognuno un pezzetto di stoffa bianca su cui sono vergate tre domande: “Chi sarà il ladro?”, “Chi sarà il bugiardo?”, “Chi sarà l’omicida?”. 

Chi li ha portati lì? E perché l’ha fatto? Qualcuno ha tessuto con cura una ragnatela inestricabile per intrappolarli, ma la domanda più urgente diventerà un’altra: fino a che punto si può arrivare per non soccombere in una situazione così estrema? 

Eccovi dunque uniti nella cattiva sorte. Nessuno sa di voi, a parte me, ma dubito di potervi essere di qualche aiuto, da dove sono ora. E credetemi, non vi troveranno mai. Vi sia ben chiara una cosa: morirete tutti. Il punto è scoprire quanto a lungo riuscirete a resistere e perché.

2. Perchè se la natura può rivelarsi un’assassina spietata, l’uomo può trasformarsi in un predatore senza scrupoli. I protagonisti, tra menzogne e verità, affronteranno una dura lotta per la sopravvivenza mettendo in atto ogni strategia possibile. Allora conosciamoli meglio questi tre uomini compagni di sventura. 

Jonathan Touvier da giovane ha scalato un bel po’ di montagne. Sua moglie Francoise è malata di leucemia e solo un trapianto di midollo potrebbe salvarle la vita. 

Michel Marquis è un uomo imponente. Per vivere macella i maiali. 

Farid Houmad, vent’anni, non ha moglie né figli. Il suo passato è avvolto nel mistero. 

Tre personaggi, tre forti personalità, tre antagonisti, dovranno comprendere che solo l’unione può dar loro, forse, una possibilità di salvezza. Con loro io ho provato subito una gran empatia nutrita dalla sofferenza fisica e morale, dai segreti che verranno pian piano svelati. 

3. Perchè leggere Thilliez è come entrare in un labirinto precipitando in un vortice di suspense. È davvero intrigante il modo in cui l’autore crea il mondo oscuro dei suoi thriller. Mondo in cui le perversioni umane sono liberate da qualsiasi catena e i personaggi hanno personalità scomposte in mille pezzi che si riflettono e si moltiplicano nella narrazione. “Vertigine” è una “guida alla sopravvivenza” in territorio ostile. Tutti sono assediati da paure primordiali e danno vita a un clima perverso di cui solo lo scrittore possiede la chiave. Thilliez gioca, come sempre, con i suoi lettori conducendoli in una storia machiavellica e soffocante. Nell’abisso ghiacciato il lato oscuro dei personaggi viene alla luce e preparatevi a leggere di eventi cruenti, scelte dolorose ma necessarie. 

La sopravvivenza abbatte le barriere della coscienza. Tutto quello che credevamo sepolto, rimosso, riemerge in quel momento con, alle volte, una violenza decuplicata.

4. Perchè “Vertigine” è un thriller implacabile, cupo, che vi porterà a immedesimarvi con i vari personaggi o a eleggere il vostro preferito in un contesto di grandi emozioni. Fate attenzione a chi eleggerete come vostro protetto perché i tre uomini sicuramente non sono agnellini. 

Forse inizialmente i tre prigionieri e il cane, anche il fido animale avrà un ruolo decisivo nella storia, penseranno di unire le forze per collaborare e sostenersi a vicenda cercando un modo per ritrovare la libertà. In loro c’è speranza. 

Nella grotta di ghiaccio in cui sono reclusi troveranno dei “doni”. La speranza ancora vive. 

Poi subentra la fame, il freddo trafigge i loro corpi, a tratti la ragione si spegne, i dubbi aumentano. La speranza inizia a inclinarsi. 

Le forze diminuiscono, il trascorrere del tempo svanisce sostituito dal ritmo interno e ancestrale dell’uomo, gli istinti prendono il posto della ragione e ognuno sospetta dell’altro. La speranza non c’è più. 

La carne sopravvive alla carne. La vita alla vita.

5. Perchè Thilliez è un maestro nel conquistare l’attenzione dei lettori e lo fa anche tramite un semplice elenco di “doni” che i tre uomini trovano nella grotta. 

Due paia di guanti, due sacchi a pelo e due paia di calzettoni, ma loro sono in tre. 

Due arance, un vecchio giradischi e due bottiglie di Vodka. 

Una pentola, due piatti e due forchette di plastica, un accendino, un fornello e alcune bombole di propano. Ma non c’è cibo da cucinare. 

Un forziere di metallo chiuso con una combinazione a sei cifre. Cosa contiene? 

Una macchina fotografica e una pistola con un proiettile. 

Tanti oggetti per aiutarli a sopravvivere, ma sarà proprio così? 

Se posso permettermi un consiglio, prestate molta attenzione ai dettagli perché ogni cosa ha un significato in questo viaggio che ben presto richiederà un impegno psichico eccezionale. Vi sembrerà di udire il rumore delle unghie della follia che graffiano le pareti della ragione. 

Quindi se come me amate i luoghi ostili e indicibili segreti, un’atmosfera inquietante e uomini incatenati messi a dura prova, maschere pronte a esplodere e lotta per la sopravvivenza, allora “Vertigine” è il romanzo che fa per voi.



giovedì 2 novembre 2023

RECENSIONE | "La taverna degli assassini" di Marcello Simoni [Review Party]

Marcello Simoni torna in libreria con “La taverna degli assassini”(Newton Compton), un’indagine di Vitale Federici. Dotato di arguzia e di un formidabile spirito di osservazione, Vitale Federici vive incredibili avventure nell’Italia del Settecento. 

Le storie narrate da Marcello Simoni mi affascinano e coinvolgono nell’eterna sfida tra criminali ed eroi. Il fascino dell’avventura è un seme sempre pronto a germogliare nei thriller storici di Simoni.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La taverna degli assassini
Macello Simoni

Editore: Newton Compton
Pagine: 224
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Anno del Signore 1793. Granducato di Toscana. Un castello fondato su un’antica abbazia, un cadavere avvolto nei tralci di una grande vite. Sotto le luci di un’alba invernale, i vitigni innevati del barone Calendimarca si rivelano teatro di un omicidio. Non solo un enigma inspiegabile, ma anche un’onta per il casato del nobiluomo. Vitale Federici, insieme al suo devoto discepolo Bernardo della Vipera, si ritroverà a investigare su un delitto i cui moventi sembrano affondare nell’antica tradizione vinicola della famiglia baronale, e nella sua cantina sotterranea che, simile a una biblioteca, pare celare un indizio sull’identità dell’assassino. Riuscirà Vitale a fare luce su questo caso, in cui ambizione, inganno e antiche passioni si intrecciano in un mistero forse impossibile da decifrare?



“La taverna degli assassini” è un romanzo ambientato nel Natale del 1793. Colli Fiorentini. Un castello fondato su un’antica abbazia, un cadavere avvolto nei tralci di una grande vite. Sotto le luci di un’alba invernale, i vitigni innevati del barone Calendimarca si rivelano teatro di un omicidio. Non solo un enigma inspiegabile, ma anche un’onta per il casato del nobiluomo. Vitale Federici, insieme al suo devoto discepolo Bernardo della Vipera, si ritroverà a investigare su un delitto i cui moventi sembrano affondare nell’antica tradizione vinicola della famiglia baronale, e nella sua cantina sotterranea che, simile a una biblioteca, pare celare un indizio sull’identità dell’assassino. Riuscirà Vitale a fare luce su questo caso, in cui ambizione, inganno e antiche passioni si intrecciano in un mistero forse impossibile da decifrare? 

La storia ruota intorno alla figura di Vitale Federici, giovane uomo dalla personalità particolare che ama risolvere enigmi basandosi sulle sue abilità deduttive. Siamo nel Granducato di Toscana e l’eco della Rivoluzione francese è giunta anche al castello del barone Leonberto Calendimarca. In Francia sono migliaia gli aristocratici ghigliottinati, anche il re Luigi XVI e sua moglie Maria Antonietta sono stati uccisi. In tempi così cruenti, nel castello Calendimarca avviene uno strano delitto. 

Simoni inquieta e affascina con un breve romanzo giallo immerso nella storia e sfumato di politica, in cui realtà e fantasia si mescolano in una trama nascosta. I capitoli brevi sono arricchiti con illustrazioni realizzate dallo stesso autore che conferiscono alla storia il sapore del mistero e dell’avventura. 

In questo nuovo capitolo delle indagini di Vitale Federici, non ci si annoia sicuramente. Camminando un passo indietro a Federici potremo vivere l’evoluzione di un’indagine intricata connessa all’antica tradizione di produzione del vino e a una cantina misteriosa. È stato intrigante scoprire i segreti del castello, segreti che sembrano non finire mai. Per aggiungere un pizzico di romanticismo vedremo Federici che, nel castello, si ritroverà faccia a faccia con una vecchia fiamma, una passione che credeva sopita da tempo. E non finisce mica qui. Per rendere tutto più intricato conosceremo una serie di personaggi che affollano le pagine di questo libro, come madonna Augusta Cornelia, moglie del barone Calendimarca. Donna affascinata dal gotico “non fa altro che parlare di castelli diroccati e di cimiteri infestati dagli spiriti.” È una donna altezzosa, sempre ingioiellata ed elegante con vertiginose parrucche. 

Faremo poi la conoscenza del physicus di corte, Morieno Santacroce. Uomo misterioso dal volto deturpato da chiazze grigio-bluastre, vive relegato nella torre del castello con i suoi libri e i suoi alambicchi. 

Non di secondaria importanza è il personale al servizio del barone: la governante Gertrude, “torva e taciturna, dal comportamento marziale”; Lucrezia, la bella bambinaia; Jacopo, il mastro bottigliere. 

Tutti hanno qualcosa da nascondere, si coprono a vicenda e conoscono i segreti del castello. A completare il quadro dei personaggi misteriosi, a un certo punto della storia compaiono uomini in tricorno e mantello oscuro che si riuniscono nella taverna poco lontana dal castello. 

“La taverna degli assassini” è un romanzo che cattura e coinvolge. La trama è arricchita da dettagliate ricostruzioni storiche e avventure appassionanti che rendono il romanzo una lettura godibile. Non sarà facile scoprire la verità. 

Un’indagine è del tutto e per tutto simile a una via crucis. Si compone di tappe. Un insieme di soste, fermate e intoppi che si susseguono fino al raggiungimento del traguardo.

Federici, fin dalle prime battute, mi ha ricordato il leggendario investigatore Sherlock Holmes così geniale e accattivante. Questo non è il primo libro di Simoni che leggo, in tutti i suoi lavori l’autore fonde magistralmente storia, mistero e avventura. Aprire un suo libro è come affacciarsi alla finestra del tempo guardando un paesaggio che assicura l’adrenalina del giallo e l’emozione della storia. Con Simoni si attraversano passaggi segreti, si attraversano cunicoli, si salgono impervi gradini per giungere alle torri del castelli. L’avventura è assicurata. 

Una piacevolissima sorpresa è stata la nuova veste grafica scelta per il libro. La copertina è davvero intrigante con i simboli araldici preludio di un romanzo ricco di fascino. Un fascino che trasfigura, una verità che non è una cosa bella. Forse la realtà non è sempre un bel dono. Alcune volte è meglio rimanere dentro la grotta di Platone a scrutare le ombre. A volte le ombre sono meglio della realtà. A voi l’ardua riflessione.