venerdì 30 giugno 2023

BLOGTOUR | "Posto sbagliato, momento sbagliato" di Gillian McAllister | Recensione in anteprima

Nelle librerie dal 4 luglio, “Posto sbagliato. Momento sbagliato” (Fazi Editore) di Gillian McAllister, autrice bestseller di fama internazionale che firma un thriller imperdibile per gli amanti del brivido. L’architrave portante della trama è un mistero che si annida tra le mura domestiche e si svela pian piano in un crescendo di tensione. La particolarità, l’originalità del romanzo, è tutta nell’indagine condotta a ritroso nel tempo. L’incipit ci svela subito chi è l’omicida e chi la vittima. Il “perché”, il movente, si nasconde nelle pieghe del tempo e quindi siate pronti a entrare con la protagonista in un loop temporale utilizzato come escamotage narrativo. No, miei cari lettori, non siamo in presenza di un giorno che si ripete, non rivivremo in continuazione vicende già avvenute. Sappiate che la validità scientifica dei loop temporali, nonché la loro ammissibilità teorica, è stata ipotizzata nel 1937 dal matematico olandese Willem van Stockum.

Quindi tutto è possibile, date un arrivederci al vostro presente e insieme varchiamo la soglia di una prigione temporale apparentemente senza fine. 



STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Posto sbagliato, momento sbagliato
Gillian McAllister

Editore: Fazi
Pagine: 372
Prezzo: € 18,50
Sinossi

È appena scoccata la mezzanotte nei tranquilli sobborghi di Liverpool. Jen, affacciata alla finestra, sta aspettando che il figlio diciottenne torni a casa. Non ha rispettato il coprifuoco. A un certo punto ecco che il ragazzo compare, ma non è solo: si sta avvicinando a qualcuno, e ha qualcosa in mano. Impietrita, nel giro di pochi secondi Jen assiste a una scena che non si sarebbe mai immaginata: suo figlio accoltella un uomo. Non riesce a crederlo. Todd, un adolescente spiritoso e felice, ha appena ucciso uno sconosciuto, proprio lì, sulla strada di casa, sotto ai suoi occhi. Non sa chi sia. Non sa perché. Sa soltanto che il suo futuro è distrutto. Diverse ore più tardi, si addormenta sul divano, stremata. Ma quando si sveglia… è il giorno precedente. La scena da incubo a cui ha assistito non ha ancora avuto luogo. Questo strano viaggio a ritroso nel tempo comincia a ripetersi a ogni risveglio: è l’occasione, per Jen, di ripercorrere la loro vita familiare alla ricerca di indizi. Tassello dopo tassello, emergono dei particolari su suo figlio di cui era completamente all’oscuro, e la faccenda si fa sempre più inquietante. Da qualche parte, nascosta nel passato, c’è una soluzione, e Jen non ha altra scelta: deve trovarla.





C’è qualcosa che non va. Sta per succedere qualcosa. Jen ne è sicura, pur senza essere in grado di dire cosa; una specie di sesto senso che si attiva quando c’è un pericolo… Che cos’è questa sensazione? Non sa spiegarlo. Todd sta correndo e, nel giro di qualche secondo, stringe in pugno la parte davanti della giacca con il cappuccio dello sconosciuto. Si sta preparando ad affrontarlo, le spalle in avanti, il corpo vicinissimo a quello di lui. Lo sconosciuto s’infila una mano nella tasca. «Todd, no», grida. Ed è in quel momento che Jen vede il coltello. Una pugnalata rapida, netta. E poi tutto rallenta.

La storia inizia il giorno zero, fine ottobre. Mezzanotte passata, nei tranquilli sobborghi di Liverpool. Jen, dalla finestra, vede suo figlio Todd uccidere un uomo. Non riesce a crederlo: Todd, un adolescente spiritoso e felice, ha appena ucciso uno sconosciuto, proprio lì, sulla strada di casa. Non sa chi sia. Non sa perché. Quando arriva la polizia suo figlio viene arrestato, accusato di omicidio. È in possesso del coltello, ha le mani e i vestiti sporchi del sangue della vittima. Caso chiuso? No, per nulla.

Jen pensa a suo figlio. Quella notte si addormenta disperata ponendosi mille domande: Perché lo ha fatto? Perché aveva un coltello con sé? Chi era la vittima, quell’uomo adulto che probabilmente suo figlio ha ucciso? Tutto è perduto. Finché non si sveglia… ed è ieri. E poi si svegli di nuovo… ed è l’altro ieri. Ogni mattina si sveglia un giorno prima, un altro giorno prima dell’omicidio e comprende di avere una possibilità per fermarlo. Da qualche parte nel passato c’è la risposta. Una possibilità per ripercorrere la loro vita famigliare, per cercare l’innesco di questo crimine e lei non ha altra scelta che trovarlo. Tassello dopo tassello, emergono dei particolari sulla vita di Todd di cui era completamente all’oscuro. La faccenda si fa sempre più inquietante, finché Jen non fa la scoperta peggiore di tutte.

È il Giorno Meno Uno. È il Giorno Meno Due. È il Giorno Meno Tre. È il Giorno Meno Quattro…

Con Jen, in questo viaggio emotivo a ritroso nel tempo, ci siamo anche noi lettori per risolvere un crimine facendo giri tortuosi caratterizzati da incredulità e tensione. Todd è un bravo ragazzo, ragionevole e affabile, ma, direbbe Hercule Poirot, il mondo è pieno di brave persone che fanno brutte cose.

Ho adorato il fatto che fin dall’inizio sappiamo chi sia il colpevole ma non sappiamo il motivo dell’omicidio. Con Jen scopriremo un mare di bugie convincenti dette da bugiardi quasi perfetti. È quel “quasi” a far emergere le prime crepe dei segreti nascosti in bella vista. Per Jen è doloroso e difficile affrontare tutto ciò:

Com’è sinistro rivivere la propria vita al contrario. Vedere cose che la prima volta non si erano viste. Capire l’orribile significato di eventi che non si aveva idea si stessero svolgendo tutto intorno. Scoprire bugie raccontate… Ma i bravi bugiardi non danno tutti l’impressione di essere le persone più sincere di questo mondo?

Il viaggio delle seconde possibilità è una corrente sotterranea che dimostra come tante piccole cose sommate possano produrre un evento disastroso. Tuttavia trovare il peccato originale che ha portato all’accoltellamento di un uomo, non è l’unico obiettivo della storia. Si parla di genitorialità, della forza di una madre pronta a tutto per proteggere il proprio figlio e dei sensi di colpa.

“Posto sbagliato. Momento sbagliato” è un romanzo dal fascino irresistibile, un rompicapo che sgretola le certezze e che vi conquisterà piano piano con la sua trama originale. Inizialmente il narrare è lento, ci sono alcune ripetitività, poi tutto cambia e le basi poste con meticolosità si trasformano in un trampolino di lancio verso un passato che ci permetterà di comprendere il presente. Le supposizioni scientifiche del loop temporale in cui si muove Jen sembrano valide e sicuramente sono affascinanti e quindi si sorvola su elementi che possono sembrare inverosimili. Le linee temporali intrecciano una storia avvincente sulla maternità, le seconde possibilità e la difesa di coloro che amiamo. Non si sa mai cosa sia successo prima o sarebbe successo poi, le mie celluline grigie sono andate per un momento in confusione per poi imboccare la via giusta e di salto in salto, naturalmente sono salti temporali, sono giunta all’epilogo che finalmente ha svelato l’arcano.

Leggere “Posto sbagliato. Momento Sbagliato” è stato come percorrere un itinerario tumultuoso seguendo le persone, frugando tra le cose altrui e ascoltando di nascosto qualunque conversazione. Mi sono davvero divertita in questo viaggio improbabile quanto inimmaginabile. Si entra in un mondo alla rovescia dove ci aspetta una lista nera di tradimenti, nessuna amante però, che mettono in primo piano il lato oscuro della vita. Spesso noi ci rifiutiamo di vedere la realtà, ci creiamo la nostra piccola bolla di serenità dove viviamo felici pensando di lasciare il male fuori. Lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry scriveva che si vede bene solo con il cuore e aveva ragione. “Posto sbagliato. Momento sbagliato” nasconde un gran cuore che, infrangendo la barriera di bugie, alla fine emergerà e spunterà un bellissimo germoglio.



martedì 27 giugno 2023

RECENSIONE | “Il profanatore di tesori perduti” di Marcello Simoni | [Review Party]

Marcello Simoni, amato e talentuoso scrittore di thriller storici, torna in libreria con “Il profanatore di tesori perduti” (Newton Compton Editori), un nuovo romanzo ricco di avventure, intrighi e tradimenti. Il filo rosso della storia ha inizio nel caravanserraglio del Cairo. Se siete pronti possiamo dare inizio alla grande ricerca mettendoci sulle tracce di un inestimabile e maledetto tesoro perduto.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il profanatore di tesori perduti
Marcello Simoni

Editore: Newton Compton
Pagine: 336
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Gerusalemme è appena caduta nelle mani dei cavalieri crociati quando, in un affollato caravanserraglio vicino ai sobborghi del Cairo, giunge un uomo avvolto dal mistero. È alla ricerca di un’antica città sotto la quale – così narra la leggenda – si nasconderebbe un inestimabile tesoro. Molto poco si sa di lui, se non che il suo nome è Sufrah e che, attraverso l’arte divinatoria della geomanzia, domina le menti umane e sottomette gli spiriti maligni. Nel viaggio lo accompagna Alif, un giovane servo dal passato di ladro, sul quale ricadranno inaspettatamente le sorti della spedizione. Raggiungere le rovine maledette di Zarzourah si rivelerà un’insidiosa caccia al tesoro, capace di attirare uno sciame di avventurieri: infidi cammellieri, spie cristiane, sicari della setta degli assassini.



La grandezza della missione alla quale siete votato supera di gran lunga ogni magnificenza. Zarzourah! La leggendaria città. La semplice pronunzia di quel nome potrebbe infiammare gli animi più rapaci. Per non parlare della maledizione che aleggia su di esso. Secondo gli antichi testi, le rovine perdute di Zarzourah sarebbero protette da guardiani immortali. Guardiani usi a far scempio delle carni di chiunque abbia l’ardire di profanare quel luogo sacro.

Siamo nel Medioevo Antico nell’anno dell’Egira 626 quando l’esercito crociato di Federico II di Svevia sbarca a Jaffa per conquistare Gerusalemme. In quel periodo folle di mercanti, profanatori di tombe e fuggitivi invadono i caravanserragli del Cairo, spostandosi nel deserto e lungo il delta del Nilo. Fa parte di questa moltitudine il geomante Sufrah che con il suo potere domina le menti umane e sottomette gli spiriti maligni. Nel viaggio lo accompagna Alif, un giovane servo dal passato di ladro, sul quale ricadranno inaspettatamente le sorti della spedizione. Arrivati da Baghdad, Sufrah e Alif, si apprestano a incontrare un enigmatico informatore chiamato Pisano, il quale potrebbe indicare loro la strada per raggiungere la città perduta di Zarzourah sotto la quale, così narra la leggenda, si nasconderebbe un inestimabile tesoro. Non sono però gli unici a voler varcare l’ingresso della Città Bianca: i più temuti, pronti a tutto per impossessarsi delle ricchezze custodite in questo luogo leggendario, sono i cercatori di tesori tra cui il pericoloso Liàrùch al-Haffaf, a capo di una banda di predoni, e Ziryab al-Zubayr, un ricco mercante di stoffe. Grande protagonista di questa storia sarà l’astuto Alif che per prevalere sugli avversari dovrà affrontare tanti nemici, anche i malvagi “jinn”, uomini capaci di distruggere tutti coloro che tentino di avvicinarsi alle rovine maledette della città.

“Il profanatore di tesori perduti” è un’avventura dal sapore esotico che fa rivivere un mondo affascinante in pieno stile Simoni, una lettura avvincente che coinvolge il lettore fino all’ultima pagina. Il deserto diventa una giungla di infidi cammellieri, spie cristiane, sicari e antiche culture. Ma non basta. Enigmi da decifrare nella lingua Degli Angeli renderanno ancor più intrigante questa avventura tra mito e realtà.

Ambientata nel deserto egiziano, uno dei luoghi più inospitali del Medioevo, questa storia dal sapore esotico fa rivivere un mondo affascinante in cui risuonano gli echi di antiche culture.

La scrittura accattivante, leggera ma precisa, di Simoni è in grado di far rivivere al lettore l’atmosfera dell’epoca grazie a una precisa ricostruzione storica e la cura dei dettagli. La trama è avvincente, buon ritmo e svolte imprevedibili con personaggi magnetici dall’indiscusso fascino, ne fanno una macchina del tempo su cui il lettore sale con gran piacere e curiosità per un viaggio, andata e ritorno, emozionante.

Simoni da voce al bisogno che tutti noi abbiamo di avventura e ci propone un nuovo personaggio, Alif, coraggioso, indomito e intelligente. Con lui si attraversano i vari territori dell’immaginario e non saremo mai soli. Nella storia intervengono le Mangiatrici di cadaveri, che custodiscono un oggetto fondamentale per la ricerca; i malvagi jinn, capaci di esprimere una devastante e spesso mortale cattiveria; il crudele “Maledetto dalla Luna”, temuto e rispettato da ogni tagliagole del deserto arabico. Tutti sono pedine importanti in questa storia carica di azione e sorprese, con cattivi che inseguono altri cattivi in una girandola di nemici implacabili. Il risultato è una narrazione dal forte impatto visivo che mette in luce il fascino della parola, del racconto, ed è  bello perdersi in questo magma generato dall’esotismo, dalle leggende, dalle sette e dalle superstizioni orientali. Restando comodamente seduti sui nostri divani sarà meraviglioso trasformarci in instancabili viaggiatori dallo sguardo indomito e dal cuore colmo di emozioni.



martedì 20 giugno 2023

RECENSIONE | “L’aria innocente dell’estate” di Melissa Harrison

“L’aria innocente dell’estate” della talentuosa scrittrice inglese contemporanea Melissa Harrison, nella traduzione di Stefano Bortolussi per Fazi Editore, è un romanzo delicato e potente che affronta temi importanti della vita inglese. Ogni capitolo sposa la bellezza e la vita nei campi con l’economia e la politica creando un intreccio che si nutre di folclore, di patriarcato e divisioni in classi mentre all’orizzonte compare la minaccia del fascismo.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
L'aria innocente dell'estate
Melissa Harrison

Editore: Fazi
Pagine: 274
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Nell’Inghilterra dei primi anni Trenta, la quattordicenne Edith Mather vive con la sua famiglia in una fattoria. Il paesaggio rurale è di una bellezza mozzafiato, ma la vita in campagna è dura, e la Grande guerra e la Grande depressione si sono lasciate alle spalle una comunità impoverita e timorosa. Edith è «una strana bambina», si sente irrimediabilmente diversa da tutto ciò che la circonda e preferisce la compagnia dei libri ai giochi con i coetanei. A turbare la quiete di un quotidiano scandito dalle leggi della natura è l’arrivo di Constance FitzAllen, giornalista di Londra giunta in paese per scrivere sugli usi e costumi dei contadini del luogo. Fin dal primo incontro Edith è ammaliata da questa donna estroversa e libera, che indossa pantaloni da uomo. Constance sembra l’amica e la mentore ideale per lei, ma si dimostrerà molto diversa da come appare: porta infatti con sé idee politiche che si riveleranno insidiose. Con l’avvicinarsi del tempo del raccolto e l’aumentare delle pressioni sull’intera comunità, Edith dovrà riuscire a fidarsi del proprio istinto per salvarsi da un disastro imminente.





Mi chiamo Edith June Mather e sono nata poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Mio padre, George Mather, possedeva sessanta acri di terreno coltivabile noti come Wych Farm. Prima di lui mio nonno Albert aveva coltivato le stesse terre e ancora prima suo padre, che arava a giogo e seminava a mano.

Nell’Inghilterra dei primi anni Trenta, la quattordicenne Edith Mather viveva con la sua famiglia in una fattoria del Suffolk. La sua vita era dura ed era scandita dai ritmi della natura, la ragazzina trovava rifugio nei libri ed era affascinata dalle storie popolari. Tutto il suo mondo era Wych Farm con i genitori, il fratello Frank e due braccianti agricoli. Sua sorella maggiore Mary si era sposata da poco e viveva nelle vicinanze.  Il mondo rurale era alle prese con le sfide della modernità. Edith era una ragazzina molto intelligente che aveva dovuto interrompere gli studi per aiutare i genitori alla fattoria. Non si sentiva compresa dalla famiglia e subiva le attenzioni sessuali di un amico del fratello. In lei, giorno dopo giorno, emergeva la consapevolezza di possedere dei poteri non naturali come era già successo a sua nonna e a sua madre. La sua immaginazione sarà la causa dell’amaro destino che l’attende.

Le meraviglie della natura fanno da cornice al commovente ritratto della giovane Edith costretta a diventare grande all’improvviso in un mondo arcaico e patriarcale, regalandoci una vicenda umana dal finale imprevedibile.

Quando ero bambina, credevo che quello che volevo contasse così poco che non valeva nemmeno la pena di scoprire cosa fosse.

Un giorno, a turbare la quiete di un quotidiano scandito dalle leggi della natura, era giunta in paese Constance FitzAllen, una giovane donna londinese che stava conducendo uno studio sugli usi e costumi dei contadini del luogo. A Edith,  che tutti consideravano “una strana bambina” perché preferiva la compagnia dei libri ai giochi con i coetanei, Constance piaceva per la sua gentilezza, per i modi estroversi e per la sua libertà che le permetteva di indossare pantaloni da uomo.

Constance FitzAllen arrivò a Wych Farm su una bicicletta rosso fiammante. Era un giorno di giugno, caldo e secco, ed eravamo in piena fienagione. Ogni anno la nostra fattoria era la prima nella valle a falciare il fieno.

Non tutti gli abitanti di Elmbourne però erano pronti ad accogliere Constance che imperterrita continua nella sua registrazione dei vecchi metodi di agricoltura, pulizia e cucina, portando con sé nuove idee politiche e sociali. Edith era diventa la guida di Constance, le faceva visitare le fattorie della valle, le mostrava i boschi e la donna si integrava molto bene nella vita del villaggio aiutando tutti nei campi durante il raccolto. Ma economicamente parlando il periodo non era dei migliori, la Grande Guerra e la Depressione avevano impoverito la comunità e gli abitanti del villaggio. Pian piano le cattive ideologie che Constance voleva diffondere fra loro vengono alla luce provocando una divisione nella comunità.

Il romanzo di Harrison è la rievocazione di un mondo perduto con le sue bellezze ma anche con le superstizioni come le maledizioni tappate nelle bottiglie e nascoste sotto le assi del pavimento. Edith era affascinata da questa magia anche se non sempre ne comprendeva il significato. La ragazzina non guardava al passato drammatico segnato dalla Grande Guerra e certamente non identificava le minacce che si profilavano all’orizzonte. Per Edith c’era solo il presente e ora, che la vita le aveva regalato molti anni in più, lei racconta gli eventi di quell’estate che hanno cambiato il fluire della sua esistenza tra i campi relegando in secondo piano l’incombere del fascismo.  

“L’aria innocente dell’estate” è una storia dal ritmo lento che ben si adatta alla vita rurale. Il mondo idealizzato da Constance, l’Inghilterra rurale, si scontra con la realtà che vede i contadini lottare con i proprietari terrieri, con debiti e raccolti invenduti. Si discute di sussidi governativi e di libero scambio. Constance afferma che tutti devono sentirsi orgogliosi dell’eredità del mondo rurale e che occorre difenderla “deve essere gestita dagli agricoltori stessi, non dai – beh, non dai finanzieri internazionali.” Il rischio era la diminuzione dei prezzi e i rendimenti in calo. Il dibattito politico procede pari passo con l’aumento dei disordini e la quiete dei campi diventava un ricordo.

 “L’aria innocente dell’estate” è un romanzo con molteplici sfumature e complessità. Descrive un luogo e un tempo nell’Inghilterra rurale tra le  due guerre con l’industrializzazione che fa passi da gigante e attua un cambiamento non accettato da tutti. Ma è anche un romanzo di formazione che rievoca uno stile di vita perduto trattando dell’equilibrio tra tradizione e progresso, della difficoltà delle donne cancellate da una società patriarcale e dell’atteggiamento della società nei confronti di coloro che avevano problemi di salute mentale.

“L’aria innocente dell’estate” è l’esaltazione della bellezza della natura con descrizioni paesaggistiche che fanno da sfondo a una vicenda umana imprevedibile, raccontata con dolcezza e intensità. Natura e politica camminano insieme. Il romanzo evoca  immagini e sensazioni vivide che si infrangono sugli scogli dei grandi temi della società inglese. Viene messo in risalto il volto mutevole dell’agricoltura, il duro lavoro nei campi dove basta poco per perdere tutto il raccolto. Mi è piaciuto il modo in cui l’autrice narra dei rapporti all’interno delle famiglie contadine, la divisione di classe, il pregiudizio, il fanatismo e i pericoli della nostalgia. Per tutti è in arrivo il cambiamento, il vecchio e il nuovo fanno un tratto di strada insieme ma attenzione a legare luogo e identità. Le minacce si nascondono nell’ombra, il dono prezioso della libertà va difeso sempre.

giovedì 15 giugno 2023

RECENSIONE | "Dove non mi hai portata" di Maria Grazia Calandrone

Nella cinquina del Premio Strega 2023 “Dove non mi hai portata” (Einaudi), di Maria Grazia Calandrone, è un romanzo in cui l’autrice ricostruisce la storia dei genitori, tra il Molise rurale e una infedeltà coniugale che segnerà per sempre la vita dei protagonisti.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Dove non mi hai portata
Maria Grazia Calandrone

Editore: Einaudi
Pagine: 256
Prezzo: € 19,50
Sinossi

1965. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. 2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato. E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita. Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d'Italia e le vite interrotte delle donne. Ma è anche un'indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge. Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l'estate del 1965. Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall'inquietudine che prova chi è braccato. Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell'epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Piú di cinquant'anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, si mette in viaggio per ricostruire quello che è davvero successo ai suoi genitori. Come una detective, Maria Grazia Calandrone ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, enumera gli oggetti abbandonati dietro di loro, s'informa sul tempo che impiega un corpo per morire in acqua e sul funzionamento delle poste nel 1965, per capire quando e dove i suoi genitori abbiano spedito la lettera a «l'Unità» in cui spiegavano con poche parole il loro gesto. Dopo Splendi come vita, in cui l'autrice affrontava il difficile rapporto con la madre adottiva, Dove non mi hai portata esplora un nodo se possibile ancora piú intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell'epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un'Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive. Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga. Fino a pagare con la vita la sua scelta d'amore.



Qualche anno fa Maria Grazia Calandrone aveva pubblicato “Splendi come vita” (Ponte Alle Grazie) in cui raccontava il tormentato rapporto con la madre adottiva. Oggi l’autrice compie un viaggio a ritroso per riscoprire le sue radici. Nata da una relazione extraconiugale, a soli otto mesi, era stata lasciata su un prato a Villa Borghese a Roma. La madre Lucia e il suo compagno Giuseppe avevano deciso di non portarla nel loro ultimo viaggio. In una lettera avevano spiegato i motivi del loro gesto estremo consegnando la bambina “alla compassione di tutti” e sognando per lei un futuro migliore.

Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo, da una vita che forse hai immaginato per me. Adesso vengo a prenderti e ti porto via. Lucia, dammi la mano.

2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre è vissuta,  ha sofferto, lavorato e amato.

Il ronzare incessante delle mie domande reca dolore, pochi mantengono l’ostinato amore necessario a districare il bagliore della vita di Lucia dall’ingroviglio di vergogna, omertà e colpa che l’ha sepolta.

Il viaggio dell’autrice ci porta in Molise, nel paese di Palata, dove Lucia è nata. Figlia di contadini, Luigi Galante è burbero e severo mentre sua moglie Amelia è dolcezza e rassegnazione, Lucia affronta la durezza di una vita povera e difficile. È una contadina, quarta di cinque figli. I genitori possiedono una masseria nella quale lei si occupa del bestiame, dell’orto e aiuta la mamma nelle faccende domestiche. Palata è un paesino in provincia di Campobasso, durante la seconda guerra mondiale è fronte di guerra e bersaglio di bombardamenti. Lucia ha sette anni e aiuta i genitori contadini. Nell’autunno del 1946, a dieci anni e mezzo, Lucia inizia a frequentare la prima elementare ma è costretta a rinunciare agli studi perché era impensabile investire del denaro per far studiare una figlia femmina. Struggente il ricordo del primo amore per un ragazzo, Tonino, che i genitori rifiutano perché lo considerano troppo povero dandola in sposa a Luigi Greco detto Centolire, “lo scaccò, il buffone del paese, bietolone, umorale, e inetto spesso intontito dall’alcol”, che sogna l’America ma nulla fa per realizzare tale desiderio. Lucia è costretta a sposare Luigi che si rivelerà un marito freddo, violento, che la maltratterà per sette lunghi anni e il matrimonio non verrà mai consumato. Per la ragazza la vita è un veleno, la morte sarebbe una liberazione ben accolta. Poi compare Giuseppe un “simpatico forestiero” e Lucia si innamora di lui.

L’amore, la magnifica follia che ci fa giganteggiare sopra la nostra vita, che trasloca il nostro piccolo esistere dentro il corpo totale del mondo, è qui ancora ridotto a miseria, concubinaggio. E a rinfocolato rogo di pettegolezzo: «Se n’è andata con quello che le faceva i lavori in casa! » vociferava il paese. Scandalizzato, sovreccitato, invidioso.

L’uomo è trent’anni più grande di lei, è sposato, ha cinque figli, ma Lucia è decisa a fuggire da un marito violento. Non vuol perdere nuovamente l’amore che la vita le offre mostrando una volontà audace per l’epoca caratterizzata da una società profondamente patriarcale.

Il 30 marzo 1964 Luigi Greco, legittimo consorte di Lucia, presenta ai Carabinieri di Palata una querela, nella quale descrive l’increscioso frangente nel quale, suo malgrado, si è venuto a trovare. La legge è totalmente dalla sua parte.

I due fuggono prima a Ururi, poi a Milano. Per la legge dell’epoca la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Per lo Stato è colpevole, non esiste ancora il divorzio che entrerà in vigore solo nel dicembre del 1970. Tuttavia Lucia è felice perché ha accanto un uomo capace di sognare con lei il futuro.

Lucia è felice. Eccola. Tutta scapigliata, euforica, piena di energia. Senza pensiero e lieve come l’erba, sorride pure quando ha la nausea, sorride sempre, sorride più che mai nella sua vita. Una foglia nell’alito del vento estivo. Ecco un uomo capace di sognare insieme a lei il sogno semplice del futuro. Uno come Giuseppe fa crescere la voglia di andarsene lontano, dentro una vita quasi materiale, quasi vera.

A Milano, nell’ottobre del 1964, nasce la piccola Maria Grazia che, per la legge sociale, può essere riconosciuta solo da Lucia. Anche a Milano i problemi economici non si fanno attendere, gli operai che devono sfamare le famiglie sono tanti e il lavoro inizia a scarseggiare. Sono gli anni Cinquanta dell’immigrazione dal Sud, la grande distribuzione (Standa, Coin, Esselunga) sono in rapida espansione. Giuseppe perde il lavoro: era muratore, aveva 56 anni, era un uomo quasi anziano. I cantieri rimanevano aperti solo durante la bella stagione, in inverno il cemento gelava e non era possibile lavorare. Milano era la città del boom economico, che selezionava la sua forza lavoro e loro due non avevano le carte in regola per farcela. I soldi scarseggiano e la vita diventa un baratro senza fondo. Lucia e Giuseppe erano, per la legge del tempo, adulteri e quindi perseguibili per legge. Camminando un passo dietro a loro, percepiamo la loro disperazione e assistiamo al prender forma di un proposito tragico ma colmo d’amore.

Calandrone si fa detective e cerca le tracce dell’esistenza dei suoi genitori. Ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, parla con chi li conosceva, cerca certificati e fotografie, luoghi e persone, lettere e timbri. A rendere la ricerca ancor più suggestiva è l’inserimento di versi di poeti amati come Pasolini e Rilke. L’autrice è una figlia che restaura, passo dopo passo, il pellegrinaggio dei suoi genitori. Lo fa senza pregiudizi, dando voce a dubbi e supposizioni, mantenendo sempre l’attenzione sulle vicende private ma ponendole in un contesto più vasto della Storia italiana degli Anni Cinquanta e Sessanta. Toccheremo con mano la povertà di alcune zone del Molise, il boom economico di città come Milano e Torino, vivremo la  Roma magica di altera e sconsolata bellezza, vedremo il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole che limitavano la libertà personale. Un Paese che non ha saputo proteggere i suoi “figli”, che ha spinto una donna a fuggire per poi pagare con la vita la sua scelta d’amore. Lucia era vittima dei pregiudizi e convenzioni sbagliate.

Maria Grazia Calandrone ricostruisce, in questo romanzo autobiografico, ambienti e situazioni con la veridicità della realtà ma in modo poetico e coinvolgente. La tragedia che si consumerà si percepisce nel ritratto doloroso e partecipe di una storia vera, complessa, intima ed emozionante. Calandrone ricostruisce la vita dei genitori per custodirne la memoria e ci regala quell’attimo sublime che suggella l’incontro tra madre e figlia.

Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero. Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito. Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale. Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre. Rinascerai, Lucia, anche solo a parole. È tutto quello che posso.

“Dove non mi hai portata” è un romanzo che conquista e non lascia indifferenti. Ripercorriamo la storia di Lucia e la sua tragica fine che rappresenta il luogo dove non ha voluto portare sua figlia. Ma è anche il luogo in cui l’amore si fa speranza e la morte diventa un dono di vita. Dono che oggi Maria Grazia porta nel suo cuore:

 Ogni cosa che ho visto di te, te la restituisco amata.

Ora Lucia rivive nella memoria che è sopravvivenza oltre la morte.

venerdì 9 giugno 2023

BLOGTOUR | "In questa vita no" di Marco Montemarano | I 5 motivi per leggere il romanzo

Il blogtour di “In questa vita no” di Marco Montemarano, in uscita il 13 giugno per Fazi Editore, mi coinvolge con la tappa odierna: “Cinque buoni motivi per leggere il romanzo.” È con vero piacere che condivido con voi gli aspetti più interessanti di questo romanzo.

Che fai se la persona che ami ti ha tenuto nascosta la cosa più importante? Non parlo di un segreto qualunque, ma di una cosa che nessuno potrà mai perdonare e che tu avevi il diritto di sapere per essere libero di scegliere. Un fatto talmente mostruoso che quando lo scopri non sai più se questa persona esista o se ce ne sia un’altra al posto suo: una specie di lupo mannaro impossibile da amare. Che fai, allora, ti metti subito al lavoro e cerchi di capire? Provi a parlare e a chiedere le ragioni? No. Per prima cosa muori.





In questa vita no
Marco Montemarano

Editore: Fazi
Pagine: 276
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Dopo trent’anni trascorsi all’estero, Giovanni è tornato a Roma e gestisce una palestra frequentata anche da amici e conoscenti della sua gioventù. L’uomo ha una relazione con Alessandra e il loro è un legame libero, fatto di piccoli gesti e attrazione. Un giorno, però, Giovanni viene a sapere che Alessandra gli ha sempre taciuto un fatto atroce riguardante il suo passato, un fatto incomprensibile e violento, avvenuto anni prima durante una vacanza in famiglia. Alla ricerca della verità, l’uomo trova diverse prove che confermano la colpevolezza di Alessandra, protagonista di una vicenda di cronaca scioccante. A questo punto, ogni ricordo è alterato, ogni certezza vacilla e l’uomo decide di allontanarsi da lei per cercare di ricostruire le tessere mancanti del mosaico e capire con chi realmente abbia avuto a che fare. Quel terribile episodio inizia a macchiare ogni momento trascorso insieme, costringendo il protagonista a cercare risposte: una ricerca sofferta che lo porterà a fare i conti con se stesso riportando a galla sensi di colpa e vecchie inimicizie per far luce su una vicenda molto più complessa di quanto credesse e in cui suo malgrado si ritrova immerso.



I 5 motivi per leggere il romanzo

1. Perchè “In questa vita no” è un romanzo di destini incrociati, la memoria di un crimine del passato che mina l’esistenza dei protagonisti.

Dopo trent’anni trascorsi all’estero, Giovanni è tornato a Roma e gestisce una palestra frequentata anche da amici e conoscenti della sua gioventù. L’uomo ha una relazione con Alessandra e il loro è un legame libero, fatto di piccoli gesti e attrazione. Un giorno, però, Giovanni viene a sapere che Alessandra gli ha sempre taciuto un fatto atroce riguardante il suo passato, un fatto incomprensibile e violento, avvenuto anni prima durante una vacanza in famiglia. Alla ricerca della verità, l’uomo trova diverse prove che confermano la colpevolezza della donna, protagonista di una vicenda di cronaca scioccante. A questo punto, ogni ricordo è alterato, ogni certezza vacilla e l’uomo decide di allontanarsi da lei per ricostruire le tessere mancanti del mosaico e capire con chi realmente abbia avuto a che fare. Quel terribile episodio costringe il protagonista a cercare risposte: una ricerca sofferta che lo porterà a fare i conti con se stesso riportando a galla sensi di colpa e vecchie inimicizie per far luce su una vicenda molto più complessa di quanto credesse e in cui suo malgrado si ritrova immerso.

2. Perchè “In questa vita no” è un romanzo affilato e ricco di tensione, con una riflessione profonda sui segreti anche spaventosi, che ognuno di noi potrebbe nascondere. Il punto di partenza è il rapporto tra Giovanni e Alessandra, che vacilla perché costruito su un terreno instabile. La vita di Alessandra è attraversata da linee immaginarie che tracciano il confine tra un prima e un dopo. Linnee che “In questa vita no” si trasformano in fiumi sotterranei in cui scorrono emozioni, ricordi, persone con i loro errori, cadute e debolezze. Nel romanzo non ci sono eroi, non c’è perfezione, ma si vede chiaramente come gli errori del passato plasmano il presente.

3. Perchè il romanzo è un noir psicologico che si addentra nei meandri più nascosti della mente umana, portando alla luce le ambiguità irrisolte dei suoi protagonisti. L’autore gioca con la luce e il buio presenti in ognuno di noi. Nei suoi personaggi, Montemarano pone il seme dell’inadeguatezza. Giovanni, soprannominato Hitchcock, è il protagonista-narratore che ripercorre momenti della sua complicata giovinezza e della sua apparente risolta età adulta. Poi ci sono i fratelli Pedrotti, Fabrizio e Mario, che vivono un rapporto conflittuale di amore e odio. Sono amici di Giovanni fin dai tempi del liceo. È stato Fabrizio a introdurre Giovanni nella cerchia più intima della sua famiglia. I ragazzi saranno divisi dai fatti della vita, Giovanni andrà a vivere in Germania. Rientrato a Roma, avvia una palestra e i Pedrotti ricompaiono nella sua vita. In equilibrio precario tra passato e presente, Giovanni vive un presente post-pandemico in cui cerca di dare un volto e un nome al suo futuro. Alessandra è una donna con un terribile segreto. Giovanni sarà disposto ad amarla ugualmente?

L’analisi psicologica dei protagonisti è un punto di forza del romanzo e l’evento drammatico sepolto nel passato è il pretesto per un’analisi introspettiva di più vite. La narrazione si svolge su più piani narrativi e diventa sempre più avvincente perché non tutto viene svelato immediatamente. Con un intrigante contagocce narrativo, l’autore semina briciole di verità suscitando nel lettore molte domande che troveranno una risposta non scontata nelle ultime pagine. Il dolore dell’anima è per Alessandra un rivivere l’evento drammatico che non prevede una guarigione emotiva. Non c’è perdono per ciò che è successo, si continua a vivere attraverso la sofferenza prendendo, proprio da quel dolore, la forza per andare avanti percorrendo una via lastricata dai sensi di colpa. Dimenticare il passato è un’utopia, Alessandra vive una vita sospesa.

4. Perchè l’autore narra il nostro recente passato, il lockdown farà da sfondo all’inizio dell’amore vissuto da Giovanni e Alessandra. I rapporti sociali si annullano e si vive quel senso di smarrimento e di irrealtà che si respira nel romanzo. Quando intorno a noi c’è il vuoto, la mancanza del quotidiano, del rapporto con gli altri, la nostra personalità cambia così come cambia la personalità di chi deve affrontare un tragico evento. Si può rimanere prigionieri di quell’evento o attraversarne le fasi terribili per approdare sulle rive della speranza?  

5. Perchè lo stile narrativo è asciutto, diretto, ma dettagliato e vi trascinerà in una storia su cui riflettere. La realtà dipinta nel romanzo si fa consapevolezza, nei protagonisti, di avere i mezzi per sopravvivere mentre la vita scorre tra le dita. Solo alla fine, quando tutto è stato svelato, la storia si libera dal “non detto” e può (ri)cominciare a patto di concedere il perdono negato.

Marco Montemarano è scrittore, traduttore e docente universitario, ma in passato ha svolto anche attività di giornalista radiofonico e musicista. Vive, da più di trent’anni, a Monaco di Baviera. Nel 2013 ha vinto la prima edizione del premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza con il romanzo “La ricchezza” che ha avuto un ottimo successo di critica e di pubblico.