mercoledì 30 ottobre 2019

BLOGTOUR | “Terminus Nord” di Jerome Leroy | I 5 motivi per leggere il romanzo

Nel 1943, in piena occupazione tedesca, Léo Malet pubblica “120, Rue de la Gare”, con cui esordisce il suo personaggio più celebre, l’investigatore privato Nestor Burma, che sarà protagonista di molteplici avventure ambientate a Parigi. La Fazi, dopo aver pubblicato vari romanzi di Malet nella collana Darkside, propone al suo pubblico di lettori “Terminus Nord” di Jerome Leroy primo romanzo della serie ispirata a Nestor Burma, in uscita domani 31 ottobre. In questo blogtour il mio ruolo sarà quello di proporvi cinque motivi per leggere “Terminus Nord”. Quindi senza altri indugi, iniziamo subito.



Terminus Nord
Jerome Leroy (traduzione di F. Angelini) 

Editore: Fazi
Pagine: 240
Prezzo: € 15,00
Sinossi
All'interno della polizia c'è una corrente passata al lato oscuro, al comando di un anziano uomo di Stato con simpatie fasciste che sogna di instaurare un nuovo ordine antidemocratico in Francia. Insieme a un gruppo di malviventi, di cui fa parte il rumeno Moscovici, questi poliziotti corrotti sono coinvolti nella tratta di bambini stranieri, prevalentemente afgani, di cui si perdono le tracce a Parigi. La stessa sorte toccherà anche alla misteriosa fanciulla bionda che un vecchio amico di Nestor ha incontrato e aiutato innamorandosene perdutamente. Collaborando strettamente con la commissaria di polizia Faroux, Nestor Burma risolverà anche questo mistero.



I 5 motivi per leggere il romanzo
Non mi facevo di coca né di anfetamine, ma ero un po’ drogato di adrenalina. Siamo onesti, una vita senza pedinamenti, risse, senza dar noia ai poco di buono di ogni specie che credevano di poter agire impunemente perché avevano “conoscenze in polizia” o perché avevano denaro o potere o tutte e tre le cose insieme, per me non sarebbe stata vita.
1. Per ritrovare un vecchio amico
Gli appassionati di noir sicuramente conosceranno il personaggio di Nestor Burma. Nato come contraltare francese del belga Maigret, Nestor Burma è un famoso detective creato dalla penna di Lèo Malet. Burma è anarchico e ironico, veste perfettamente i panni dell’antieroe. Sbuffa, sbraita, beve, ma non sbaglia un colpo. Nonostante la lettura in chiave moderna che questo romanzo da della figura del detective, Burma conserva il suo fascino di personaggio fuori dagli schemi, allergico alle regole ma determinato, intraprendente e ostinato. È bello ritrovare un “vecchio amico” ed è interessante vedere come gestirà le sue indagini in epoca moderna.

2. Omaggio a Léo Malet
“Terminus Nord” inaugura una seria ispirata a Burma: un omaggio a Léo Malet da parte dei grandi autori del noir francese contemporaneo che riscrivono le avventure del famoso detective in chiave moderna. Nestor Burma è diventato un detective famoso, un detective d’assalto, ha al suo attivo molti casi risolti e collabora spesso con la polizia. È competente e aggiornato in materia tecnologica. È un quarantenne nella Parigi di oggi: mangia sushi e detesta i social, legge poesie di Biga e non rinnega il suo passato da giovane sempre pronto a combattere per i propri ideali opponendosi, anche con la violenza, ai ricchi, alla polizia, ai nazisti e ai politici. La sua agenzia si chiama Fiatlux.com  ma ha ancora sede in rue des Petits-Champs, dove l’uomo vive. Mantiene le sue caratteristiche salienti: è mosso dalla stessa pulsione etica di una giustizia che spesso non coincide con quella della legge e dei tribunali. Antirazzista, mantiene la sua inconfondibile vena anarchica.
Sul serio, mi dici a cosa servono Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat, Pinterest, Tumblr? Sembrano tutti nomi di farmaci o bevande gassate troppo zuccherate.
3. Lettura coinvolgente
“Terminus Nord” è un noir dall’intrigo complesso ma avvincente, con diversi morti ammazzati e con la sconfitta del male nei capitoli finali. La storia si apre narrando la corruzione di alcuni poliziotti passati al lato oscuro. A guidare questo mondo di tenebre è un non più giovane uomo politico con simpatie fasciste che sogna di instaurare un nuovo ordine antidemocratico in Francia. Per realizzare il suo sogno si avvale dell’aiuto di un gruppo di malviventi senza scrupoli. Poliziotti e criminali rumeni sono coinvolti nella tratta di bambini stranieri, prevalentemente afgani, di cui si perdono le tracce a Parigi. Si scoprirà un traffico di esseri umani per realizzare snuff movies. Collaborando con la commissaria Faroux, Nestor Burma risolverà il caso.
È una guerra, Burma. E la guerra è sporca.
4. Il vecchio e il nuovo
In questa nuova visione moderna di Burna alcuni aspetti della sua vita sono rimasti immutati, altri hanno subito delle inevitabili trasformazioni. Alla Parigi del secondo dopoguerra, sconvolta dai nazisti e indaffarata a dimenticare la guerra, si sostituisce una Parigi dall’anima multietnica capace di trasformarsi continuamente. La capitale francese alterna momenti di infinita bellezza a momenti di vero e proprio squallore. Turisti distratti, zone in mano alla criminalità. Droga, prostituzione, clandestini che offrono manodopera a basso prezzo, immigrati in mano a uomini senza scrupoli. Questa è l’ambientazione che vede il moderno Burma lottare contro mali moderni che affondano le radici nel passato. Anche l’agenzia Fiatlux.com ha visto dei cambiamenti. La fedelissima e innamorata Hélène Chatelain ha ceduto il posto di segretaria e collaboratrice a Kardiatou, giovane donna plurilaureata. New entry è anche il personaggio di Mansour, genietto dell’informatica, sempre sorridente perché sorretto da un ottimismo d’acciaio.

5. Noir con inserti di indagine sociale
Il noir diventa un bisturi affilato d’indagine e di analisi sociale. Con abilità narrativa, le indagini per un crimine si intrecciano con drammi e problemi sociali. Le indagini diventano il tramite per fare i conti con il lato oscuro della città, con la malavita organizzata, con i poliziotti e i politici corrotti. Ciò che coinvolge in questo romanzo non è solo l’intrigante ricerca dei colpevoli ma anche la possibilità di riflettere su temi importanti come gli intrighi politici, la collusione tra malavita e polizia che nasconde, al suo interno, tanto marciume. Parigi non fa solo da sfondo ma diventa protagonista della storia e l’autore ne racconta gli aspetti meno piacevoli come se fosse un’inchiesta giornalistica che denuncia il male che ci circonda e ci spaventa. Basta pensare a una certa politica che trasmette la paura verso l’immigrato, riempendo la nostra vita di odio verso i più deboli. Anche la paura degli islamici, in nome di una protezione doveroso dagli attentati, è un modo per tentare di installare un potere forte.

“Terminus Nord” è la storia di un’indagine molto pericolosa che vedrà Burma fare da carta moschicida. Attirerà i mostri che si aggirano nel decimo arrondissement a caccia di piccoli profughi da avviare alla prostituzione e in altre indicibili  pratiche sessuali. Inalterata ritroverete l’attenzione di Burma verso i più deboli. Nessun giudizio verrà emesso, ma noterete un’azione decisa, spesso violenta, verso coloro che vogliono approfittare delle debolezze altrui. Umanità ma anche senso di ribellione continuano a convivere in Burma che si muove veloce, senza paura e con tanta determinazione.

Nell’attesa delle prossime nuove inchieste di Nestor Burma, dichiaro ufficialmente promosso Jerome Leroy. Malet sarebbe stato orgoglioso di questo romanzo e del suo autore.

lunedì 28 ottobre 2019

RECENSIONE | “Resina” di Ane Riel

Pubblicato da Guanda Editore, nella collana Narratori della Fenice, “Resina” di Ane Riel è un romanzo che racconta una storia di ossessioni, paura e istinto di protezione che costringeranno una famiglia a isolarsi dal resto del mondo. Dall’isolamento nasce un terribile incubo in cui potrete intravedere una macabra fiaba nera, una sconvolgente testimonianza di amore possessivo capace di trasformare la vita in follia.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Resina
Ane Riel (traduzione di I. Basso)

Editore: Guanda
Pagine: 304
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Liv è morta a sei anni. Si è allontanata in mare durante la notte e al mattino è stata ritrovata solo la barca vuota. O almeno, questa è la storia che i suoi genitori hanno raccontato alle autorità. Ma la realtà è ben diversa. Liv è viva, si nasconde dietro un impenetrabile muro di oggetti rubati qua e là e accumulati da Jens, suo padre, nel corso degli anni: infatti, ciò che gli altri considerano superfluo, un rifiuto da buttare, per Jens è importante, degno di una seconda vita. Impossibile, anche volendo, scovare la bambina in quel fortino; impossibile, una volta oltrepassato il cancello, uscire indenni dalle trappole seminate in cortile, lungo il percorso che porta alla casa e all'officina, alla stalla e al piccolo container che racchiude tanti segreti. Qui, lontano dagli altri abitanti dell'isola, la vita della famiglia scorre imperturbabile, cristallizzata per l'eternità come una formica nella resina. Soltanto Maria, la madre di Liv, potrebbe rompere l'incantesimo. Ma anche lei, a modo suo, ha deciso di nascondersi dal resto del mondo dentro un corpo mostruosamente grasso...


Era buio nella stanzetta bianca, quando mio padre ammazzò mia nonna. Io ero là. C’era anche Carl, ma loro non se ne accorsero. Era il mattino della vigilia di Natale e nevischiava, anche se quell’anno non fu esattamente un bianco Natale. Tutto era diverso allora. Era prima che le cose di mio padre si accumulassero tanto da non lasciarci più entrare in soggiorno. E prima che mia madre diventasse così grossa da non poter più uscire dalla camera da letto.
Liv è morta quando aveva solo sei anni. O almeno questo è ciò che credono le autorità. Jens e Maria, i genitori, hanno dichiarato alla polizia che la bambina è scappata di notte, allontanandosi in mare, e che al mattino tutto ciò che restava di lei era una barca vuota. Ma i fatti non sono andati come loro raccontano. Maria e Jens vivono in una piccola casa in mezzo al bosco, lontani da tutti gli altri abitanti dell’isola. La loro casa è diventata un regno in cui accumulare svariati oggetti, custoditi come se fossero talismani.
Quando Jens guardava il suo panorama di oggetti, non vedeva né disordine né schifezze. Vedeva un tutto indivisibile. Se avesse spostato qualcosa, avrebbe distrutto quell’immagine.
Dietro quel muro di cianfrusaglie si nasconde la loro piccola, lontana dal mondo e dal dolore, protetta come una perla. Liv crescerà in solitudine, protetta dai pericoli del mondo esterno. Loro tre, da soli, potranno essere sicuri per sempre, cristallizzati e protetti come una formica nella resina.

“Resina” è un romanzo travolgente su come il troppo amore finisca per stritolare nel suo abbraccio le persone che vorrebbe proteggere. La solitudine però, sotto la lucida superficie dell’ambra, odora di morte.

Tutti noi conosciamo le conseguenze della mancanza d’amore ma vi siete mai chiesti cosa può succedere se l’amore viene elargito in modo eccessivo?

Ronald David Laing scriveva:
“La famiglia si può immaginare come una ragnatela, un fiore, una tomba, una prigione, un castello.”

La resina, lacrima degli alberi, è un nido in cui cristallizziamo i nostri ricordi. La vita non è sempre giusta, ci ferisce senza pietà e dal nostro cuore sgorgano lacrime di resina che resteranno per sempre con noi. Un perpetuo ricordo di ciò che poteva essere e non è stato.

La vita di Jean non è stata facile. Prima la prematura morte del padre, poi l’abbandono del fratello hanno fatto di Jean un uomo chiuso e di poche parole. Garbato e servizievole, egli vede il mondo, al di fuori di Hovedet, come un luogo ingestibile e pericoloso, una minaccia indefinibile. Quando sposa Maria l’isolamento, pian piano, fagocita la famiglia e la nascita di Liv aumenta ancor di più questo disagio. La casa perde il suo ruolo di luogo sicuro, il legame di sangue si trasforma a causa di cose non dette, rancori, sensi di colpa e paure. La voce del cuore tace e inizia un lungo silenzioso canto di follia. Cosa potrà mai generare tutto ciò? Questo lascio a voi scoprirlo ma sappiate che leggendo “Resina” entrerete in un mondo malato in cui regna il caos. Vedrete ombre inquietanti infrangersi sugli scogli dell’esistenza. Assisterete alla trasformazione fisica e psicologica dei personaggi.

Jens, sempre più chiuso in se stesso, raccoglie gli oggetti buttati dagli altri. Egli prova un legame sentimentale con quegli oggetti e non può liberarsi di qualcosa. La sola idea lo distrugge. Un legame è per sempre, non importa se si tratti di persone o oggetti. Bisogna difendersi dal mondo che tende a portarti via le persone che ami. Nascondere, isolarsi, interrompere ogni rapporto con gli altri è un modo per difendere la propria famiglia. Creare un’oasi di oggetti che nessuno vuole più è  erigere un muro per difendersi ma diventa anche un modo per cristallizzare il tempo, per mantenere vivo il passato, per non perdere il ricordo della persona a cui gli oggetti sono appartenuti. È un modo per far sì che nessuno vada via. Nessuna separazione, nessun allontanamento, nessun ripetersi di eventi traumatici di tipo affettivi da dover nuovamente affrontare. Non ci troviamo davanti a un caso di semplice confusione. Il vuoto, la mancanza di dialogo con la propria moglie, la paura di “perdere” qualcosa o qualcuno fanno di Jean una persona insicura e fragile che a modo suo mette la famiglia a sicuro dal male del mondo.

Maria, sua moglie, accetta passivamente questa situazione e silenziosamente decide di uccidersi con il cibo. Ingrassa sempre più e perde l’uso della parola.
Col tempo la mia gola si riempì di un ammasso di frasi non dette. Parole che erano andate in pezzi e non avevano niente a che fare l’una con l’altra, inizi abortiti, frasi interrotte, righe senz’aria in mezzo, costruzioni spezzate, gutturali ammazzate. Era il mio dolore ad essere bloccato là, e non volevo passartelo. Non volevo passarlo nemmeno a tuo padre, perché lui aveva già il suo. Così l’ho tenuto dentro di me, era il mio modo per proteggerti. Tuo padre ne ha scelto un altro.
In tutto questo dolore e inquietudine cresce la piccola Liv convinta che il mondo sia tutto lì, tra le pareti della sua casa. La bambina vive nascosta in una prigione fatta di silenzi e di ossessioni. Le paure di Liv prendono vita nel suo amico immaginario. Lei ha paura della gente, ha paura di non poter soddisfare le esigenze dei genitori, ha paura di ciò che si può nascondere nell’oscurità.
L’intera famiglia si nasconde: Jean dietro a montagne di oggetti, Maria dietro a cuscinetti di grasso, Liv dietro la solitudine e il buio. Jean però ha un rimedio per tanto dolore. È la resina, il balsamo dorato degli alberi. È la resina che guarisce, uccide e conserva.

“Resina” è la storia di un distacco doloroso e definitivo che porta con sé, nel buio della morte, la comprensione, la confidenza, la sicurezza.

Con una scrittura fluida, a tratti poetica e commovente, Ane Riel ci svela un mondo in cui l’amore sconfina nella follia. La paura di perdere chi si ama, il terrore di veder svanire il ricordo di chi non c’è più, è intollerabile. Allora ci si rifugia nell’accumulo compulsivo di oggetti, nel cibo e nell’isolamento. Si diventa fantasmi vivendo nelle tenebre di un’esistenza che scorre sul labile confine tra ragione e follia.

“Resina” è una storia originale in cui l’eccessivo amore è inquietudine, ossessione e disordine. La sofferenza manda in frantumi la vita, la travolge come un mare in tempesta, la cristallizza nell’abbraccio rassicurante della resina. L’eternità consola ma non è per noi uomini, dopo i suoni della vita ecco giungere il silenzio della morte. Per sempre.

giovedì 24 ottobre 2019

RECENSIONE | "The Irishman" di Charles Brandt

Esce oggi, per Fazi Editore, il libro “The Irishman” di Charles Brandt, da cui è stato tratto uno dei film più attesi degli ultimi anni. Nel film, regia di Martin Scorsese, vedremo attori del calibro di Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci che porteranno sul grande schermo i tre protagonisti dell’epico racconto di Brand. L’adattamento dal libro è firmato dal grande Steven Zaillian di “Schindler’s List”. Per metà del film Pacino e De Niro appariranno ringiovaniti di 30 anni, grazie alle più sofisticate tecnologie digitali. Il film arriverà nelle sale italiane dal 4 al 6 novembre e dal 27 novembre su Netflix.

Il libro è una storia di amicizia e tradimento, una saga sulla mafia che sfiora eventi ancora avvolti nel mistero. Sull’omicidio del presidente Kennedy, l’ombra della mafia diventa qualcosa di più tangibile grazie alle rivelazioni dei mafiosi.

“The Irishman” è un lungo e avvincente viaggio nel labirinto del crimine organizzato, tra le sue dinamiche interne, le rivalità e le connessioni con il mondo della politica. Ad aprire le porte di questo mondo di “uomini d’onore” sarà Frank Sheeran, detto l’Irlandese, esponente della mafia italoamericana.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
The Irishman
Charles Brandt (traduzione di Bottali e Levantini)

Editore: Fazi
Pagine: 470
Prezzo: € 18,00
Sinossi
La scomparsa di Jimmy Hoffa, leggendario leader sindacale, definito «l’uomo più potente degli Stati Uniti dopo il presidente» dal suo oppositore Robert Kennedy, è uno dei più grandi misteri della storia americana e ha ossessionato l’opinione pubblica del paese per decenni. Arrivato talmente in alto da intrattenere rapporti con la mafia e con le più importanti cariche dello Stato, Hoffa era un personaggio scomodo a molti uomini, politici e criminali. Fu visto l’ultima volta il 30 luglio 1975 e il suo corpo non fu mai ritrovato. Frank Sheeran, detto l’Irlandese – uno degli unici due non italiani nella lista dei ventisei personaggi di maggior spicco della criminalità organizzata americana stilata da Rudy Giuliani –, prima di morire chiede di confessare tutti i suoi crimini. Nel corso di svariati anni di interviste rilasciate a Charles Brandt, noto procuratore che ha condotto innumerevoli inchieste sulla malavita americana, l’Irlandese rivela il suo coinvolgimento in più di venticinque omicidi, tra cui quello di Jimmy Hoffa. Racconta anche la storia della sua vita: figlio della Grande Depressione, fu soldato in Italia durante la seconda guerra mondiale e, una volta tornato in patria, divenne uno dei più fidati sicari della Cupola di Cosa Nostra. Basandosi sulle sue parole, la penna di Brandt dà vita a un racconto epico, che si conclude con delle scottanti rivelazioni inedite sul coinvolgimento della mafia nell’assassinio dei Kennedy.

 

Lasciate scorrere le parole e la verità troverà il modo per mostrare il suo volto.
Frank  Sheeran è un sicario della mafia e veterano della seconda guerra mondiale che sviluppa le sue abilità da esecutore criminale durante il suo servizio in Italia. Ormai ultraottantenne, Sheeran riflette sugli eventi   che hanno definito la sua carriera di sicario, in particolare il suo ruolo nella scomparsa del leader sindacalista Jimmy Hoffa, suo amico di vecchia data, e del suo coinvolgimento con la famiglia criminale Bufalino.

La sparizione di Hoffa è la più famosa della storia americana e per risolvere il caso si sperava nella cosiddetta “confessione in punto di morte” di coloro che conoscevano la verità. I riflettori erano puntati su Frank Sheeran l’Irlandese, uno dei pochi di cui Hoffa si fidasse.

“The Irishman” è una caccia all’assassino. È una storia basata sulle interviste fatte all’Irlandese, sulla ricostruzione della scomparsa di Hoffa. Per raccogliere il materiale per questo libro, il procuratore Brandt ha trascorso molte ore a parlare al telefono o di persona con Sheeran. Il libro, letto e approvato da Sheeran, rappresenta il capitolo finale della tragedia di Hoffa. Un delitto che si è trasformato in ossessione per chi l’ha commesso e per la famiglia di Hoffa, soprattutto per i suoi figli che hanno tentato di comprendere il destino del padre.
 Nessuno è intoccabile.
Sheeran racconta la sua vita avventurosa affermando che “qualsiasi cosa si possa dire della mia infanzia, devo ammettere che mi ha insegnato a difendermi. Mi ha insegnato a sopravvivere.”

Nell’agosto del 1941 si era arruolato e nel 1943 finì in Sicilia. Nel 1944 prese parte all’Operation Dragon per invadere la Francia meridionale. Partecipò alla liberazione dei prigionieri del campo di concentramento di Dachau e nell’ottobre del 1945 venne congedato.

411 giorni di combattimenti lo avevano indurito. Si era abituato alla morte. Si era abituato a uccidere. “Sarà quel che sarà” diventa il suo motto. Dopo esser sopravvissuto alla guerra, cos’altro poteva  accadergli. In lui, retaggio della guerra, c’erano reazioni impulsive e avventate. Il suo ritorno alla vita normale lo vede marito e padre impegnato in lavori da cui traeva il massimo guadagno agendo illegalmente.
Prima della guerra mi ero guadagnato tutto ciò che avevo avuto. Durante la guerra avevo imparato a prendermi ciò che volevo. Dopo la guerra, mi sembrava naturale prendermi tutto ciò che potevo ogni volta che potevo.
Sheeran diventa camionista e iniziano i primi furti di carne a beneficio di un ristorante mafioso. L’incontro con Bufalino e poi con Hoffa, lo vedrà diventare sicario della mafia e braccio destro di Hoffa.

Russel Bufalino era nato in Sicilia nel 1903. Tra tutti i presunti boss del crimine, egli, come maniere e comportamento, ricordava il personaggio di don Vito Corleone interpretato da Marlon Brando nel film “Il Padrino”. Con lui la mafia statunitense venne allo scoperto e l’organizzazione fu ribattezzata “Cosa Nostra”. Dall’omicidio alla prostituzione, dagli stupefacenti alle rapine, dall’usura al gioco d’azzardo. Tutto era un gran giro d’affari.

Jimmy  Hoffa, nel ventennio a cavallo tra la metà degli anni Cinquanta e Settanta, era all’apice della sua popolarità. Era il più potente leader sindacale del paese e da tempo si sussurrava della sua alleanza con i malavitosi di tutta la nazione. Robert Kennedy lo definì come “l’uomo più potente degli Stati Uniti dopo il presidente.”

Il sindacato dei Teamsters (che rappresentava la categoria dei trasportatori) si batteva, con la sola arma dello sciopero, per ottenere salari migliori, diritto alle ferie, alla pensione, all’assistenza sanitaria e sociale. Tuttavia per i malavitosi  i sindacati erano solo uno strumento per perpetuare altri crimini e per accumulare potere e ricchezze. Naturalmente Hoffa negava tutto.

Hoffa era quindi un personaggio scomodo a molti uomini, politici e criminali. Fu visto l’ultima volta il 30 luglio 1975 e il suo corpo non fu mai ritrovato.

Bufalino, Hoffa e Sheeran, tre uomini legati da sangue e da amicizia. Com’è riuscito Sheeran, gigante dai capelli rossi e dal pugno di ferro, a diventare il braccio armato del padrino Bufalino e insieme la spalla del sindacalista più potente degli Stati Uniti? Nel libro, l’Irlandese risponde a questa e a molte altre domande.

Sheeran prima di morire chiede di confessare i suoi crimini e il suo coinvolgimento in più di venticinque omicidi. Rilascia numerose interviste al procuratore Brandt che le raccoglie e le trasforma in un racconto epico che si conclude con delle scottanti rivelazioni inedite sul coinvolgimento della mafia nell’assassinio dei Kennedy.

Ora sorge spontanea una domanda: “Perché Sheeran ha scelto di parlare a trent’anni dai fatti, fuori da un’aula di tribunale?”

Costretto su una sedia a rotelle, Sheeran sente lo spettro della morte avvicinarsi sempre più. Convivere con i sensi di colpa porteranno Sheeran a bere sempre più. Sentedosi ormai prossimo alla morte, Sheeran prova un desiderio di redenzione spirituale e di salvezza finale tramite la confessione.
Frank portava al dito l’anello con la moneta d’oro che gli aveva regalato Russel e al polso l’orologio d’oro di Jimmy. Li portava entrambi a rammentargli la sua lealtà. Quei gioielli erano un simbolo dei conflitti emotivi e morali che lo torturavano.
“The Irishman” è un libro che scoperchia il vaso di Pandora di Cosa Nostra. È una lettura coinvolgente che incuriosisce entrando nell’organizzazione della criminalità americana. tuttavia il cammino, lastricato di omicidi, non è scevro da dolore e sofferenza anche se narrato con il timbro di voce fredda di un sicario. Decenni di storia vi trasmetteranno tensioni e paure ma anche debolezze di quel lungo periodo. Vedrete davanti ai vostri occhi lo scorrere della vita, l’amore, il tradimento, il rimpianto e la mortalità.

È un mix di storia, violenza e una goccia di umorismo ma è anche un calare di un velo di tristezza quando le luci della ribalta mafiosa si spengono. È il racconto della fragilità umana e della mortalità umana. Questi uomini duri, che non hanno mai avuto pietà per nessuno, una volta  deposte le armi devono fare i conti con se stessi, con la propria coscienza. Hanno seminato dolore a piene mani ora lo ricevono nel declino delle loro esistenze. Nulla è eterno, il tempo scorre per tutti e porta con sé le paure più umane. Se vivere non è facile, morire in pace con se stessi è arduo soprattutto se si hanno pesanti responsabilità da farsi perdonare. Essere uomini di mafia vuol dire, al di là dell’essere violenti e senza pietà, vivere in solitudine e guardare la morte in faccia da soli non è il massimo. Quando si è vecchi, si ha dinanzi a sé solo la morte e per un sicario dev’essere tremendo sapere che non mancherà a nessuno.

Scriveva Oscar Wilde: “Tutti ti amano quando sei due metri sotto terra.” Per Sheeran non sarà così, la sua famiglia l’aveva già seppellito in vita. L’Irlandese, gigante dai piede d’argilla, è destinato a crollare davanti alla morte. La caducità dei valori su cui ha fondato la sua vita crolla davanti a Dio. Il suo piedistallo, fatto di omicidi e violenza, crolla. Il rimorso apre una crepa e la sua educazione cattolica lo ha portato a vivere in costante conflitto con la sua “professione”. Le persone che lui ha amato e deluso sono ormai lontane. Le pistole non sparano più, il sangue non macchia più i vestiti, i complotti tacciono. Il silenzio e il vuoto accompagnano Sheeran verso la morte. Alla fine anche lui è sconfitto, solo e abbandonato da tutti.

martedì 22 ottobre 2019

RECENSIONE | "Dimentica la notte" di Sara Ferri

Dopo aver vinto la XII edizione del concorso “Io Scrivo” con il romanzo “Caldo amaro” e il premio “Giallo Ovidio” 2018 con il giallo breve “Acque torbide”, Sara Ferri torna nelle librerie con “Dimentica la notte”, Alter Ego Edizioni. La cover intrigante ci accoglie tra le pagine di questo thriller che rivela una storia dura e cruenta di scelte sbagliate e di vendetta. Vi troverete coinvolti in un’amara analisi sociale che vi condurrà davanti a un bivio: dimenticare o accettare le conseguenze dei nostri errori.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 8
Dimentica la notte
Sara Ferri

Editore: Alter Ego
Pagine: 312
Prezzo: € 15,00
Sinossi
È decapitato. Appeso al soffitto di un locale, la posizione macabra del corpo che ricorda vagamente quella di un Cristo crocifisso. È solo un ragazzo. È la prima vittima, e forse non sarà l'ultima. A Rimini, mentre l'arrivo della primavera sta per portare via gli ultimi ricordi del freddo invernale, il caso viene affidato a Noelia Basetti, giovane ispettore di polizia. Quando, dopo pochi giorni, un altro ragazzo viene ucciso, prende corpo l'ipotesi di un serial killer, di un assassino mostruoso e smisurato, di una mente fredda divorata da un odio primordiale. In una gara spietata contro gli eventi, Noelia Basetti dovrà scandagliare il passato delle due vittime, e nel frattempo tentare di penetrare nella mente dell'omicida.






La definizione di “in linea d’aria” mi ha sempre dato un senso di vuoto, d’impotenza. Come di qualcosa che sia raggiungibile solo con il pensiero, un luogo dove approdare con la mente, e non con il corpo.
Con mano sicura, Sara Freddi intreccia una storia carica di emozioni, azioni e ritmo serrato. La scrittrice si rivela abile narratrice della natura umana e delle sue infinite sfumature. La nitidezza dei personaggi, il coinvolgimento psicologico, l’altalena tra colpi di scena e momenti di quiete apparente, fanno di “Dimentica la notte” un thriller avvincente. Il romanzo è ambientato a Rimini. Questa città, causa l’incalzare efferato di alcuni delitti, vedrà Noelia Basetti, giovane ispettore di polizia, affrontare un caso crudele che affonda le sue radici nel passato. Nel buio di una notte che cambiò il destino di alcuni protagonisti.
Nonostante mi sforzi di guardare altrove, non riesco a distogliere gli occhi dal cadavere. L’immagine, nell’insieme terrificante e mistica, mi acceca, l’aria mi torna nei polmoni a forza, quasi mozzandomi il respiro.
Un corpo senza vita appeso al soffitto di un locale. È decapitato. È solo un ragazzo. È la prima vittima e forse non sarà l’ultima. Alcuni giorni dopo, infatti, un altro ragazzo viene ucciso. I due casi, se collegati, potrebbero essere la prova dell’esistenza di un serial killer, di un assassino mostruoso, di una mente divorata dall’odio. All’ispettrice Noelia Basetti, l’arduo compito di sciogliere l’intrigata matassa. Trovare il filo giusto per dipanarla non sarà facile anche perché Noelia dovrà cercare nel buio, nel buio della notte.

Il personaggio di Noelia nasce con il giallo “Caldo amaro” di cui “Dimentica la notte” è il naturale proseguo. Tuttavia l’autrice è brava a seminare informazioni che chiariscono ciò che è successo precedentemente. La lettura è fluida senza buchi neri e il libro riesce a catturare subito l’attenzione del lettore grazie a una trama ben articolata. Si comprende subito che il personaggio di Noelia ha un trascorso di sofferenza da cui nasce la sua trasformazione. Posso tranquillamente affermare che Basetti aborra le relazioni prive di sincerità. Per lei conta cio che è non quello che appare. Le sue relazioni amorose sono travagliate e il lavoro è la sua ragione di vita. È facile riconoscersi in lei e ciò mi ha reso caro il suo personaggio. Seguirla nella sua indagine è un piacere, anche se lei ci guiderà attraverso l’inferno sulla terra. I poliziotti sono ogni giorno a contatto con il lato oscuro della vita, non è facile dover affrontare determinate situazioni. Nietzsche scriveva:
Chi combatte contro i mostri deve guardarsi da non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro.
Tutti sappiamo quanto sia labile il confine tra bene e male ma , in questo romanzo, c’è la presenza  di un male moderno frutto della nostra società. Si tratta del volto oscuro della modernità che sussurra all’orecchio degli uomini di fuggire davanti alle proprie responsabilità. La vita spesso ci pone davanti a scelte dolorose ma inevitabili. Accettare le conseguenze delle proprie azioni significa fare la scelta giusta. Dimenticare non è mai possibile, il ricordo diventa un mostro che ti distrugge l’anima rilasciando un carico di emozioni e frustrazioni che possono spingerti verso strade senza ritorno. Questo aspetto del thriller che induce il lettore a riflettere, è una caratteristica che mi piace molto. Al di là della brutalità dei crimini, delle ferite sanguinanti da cui nasce la vendetta, ci dev’essere sempre una possibilità di accettazione delle proprie colpe e di perdono. Non ci sono uomini buoni e cattivi. Molto dipende dalle circostanze in cui ci si trova a vivere. Non si tratta di essere eroi ma di trovare il coraggio per affrontare ciò che succede.

“Dimentica la notte” è un thriller che parla delle ferite dell’anima, le più difficili da risanare. Ci conduce nel cuore della notte e ci affida al buio dove la vita, la paura e la morte si incrociano fino a un tragico epilogo. Spesso il male ci seduce con la falsa promessa di metterci al sicuro dalle nostre paure. Ognuno di noi ha due scelte: combatterlo o arrendersi. Per riemergere dalle tenebre dobbiamo lottare sempre.

“Dimentica la notte” è un thriller psicologico che affonda le radici nella mente umana. Adrenalina, tensione e angoscia vi conquisteranno e vi condurranno all’interno di questa storia, tra segreti e delitti nascosti nei cuori e nella mente dei protagonisti. Buona lettura!

giovedì 17 ottobre 2019

RECENSIONE | "Le mezze verità" di Elizabeth Jane Howard

“Le mezze verità” di Elizabeth Jane Howard (Fazi Editore) è da oggi in tutte le librerie. Autrice della saga dei Cazalet, E.J. Howard firma una commedia  dal risvolto noir che è anche un romanzo sull’amore e sulle sue molteplici sfumature. È stato bello ritrovare la scrittura affascinante e coinvolgente dell’autrice, il suo senso dell’umorismo che in questo romanzo ci conduce in un viaggio attraverso l’amore familiare, quello coniugale, quello passionale e quello che pur definendosi tale non lo è.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Le mezze verità
Elizabeth Jane Howard (traduzione di M. Francescon)

Editore: Fazi
Pagine: 330
Prezzo: € 18,50
Sinossi
May Browne-Lacey ha da poco sposato in seconde nozze il Colonnello Herbert; entrambi hanno figli dai precedenti matrimoni e vivono in una casa di singolare bruttezza nelle campagne del Surrey, fortemente voluta dall’uomo e acquistata con l’eredità di May.
Alice, la figlia di Herbert, si sta per sposare, più per fuggire dal padre che per amore. Il Colonnello non piace nemmeno ai due figli di May, Oliver ed Elizabeth: lo considerano un borioso tiranno che si comporta in modo strano e opprime la madre. Oliver, un ventenne brillante e ironico, abita a Londra, non ha un lavoro stabile e vorrebbe tanto sposare una donna ricca che lo mantenga. Elizabeth, la sorella minore, che nutre un complesso di inferiorità nei suoi confronti, è una ragazza ingenua e sentimentale. Quando quest’ultima decide di trasferirsi a casa del fratello per cercare lavoro, May, rimasta sola nel Surrey con Herbert, inizia a pentirsi amaramente di averlo sposato. Intanto Elizabeth trova lavoro e anche l’amore, Oliver cerca la sua ereditiera mentre si fa mantenere dalla sorella, e Alice, incinta e infelice, vorrebbe scappare di nuovo. In questo sottile ritratto di una famiglia in crisi, ognuno deve fare i conti con una mezza verità che lo tormenta; ma la tragedia è dietro l’angolo e quando arriva spazza via quell’aria di non detto che così a lungo ha gravato sui protagonisti.


Non esistono cause ed effetti ma piuttosto una catena circolare e sta a noi scegliere se vogliamo essere un anello della catena oppure la catena tutta intera.
“Le mezze verità” è un romanzo raffinato e appassionante che parla della natura umana e di emozioni universali. Io mi sono sentita partecipe delle vite dei protagonisti e ho gioito e sofferto con loro. Vicina ai personaggi femminili, ritratti con una raffinatezza psicologica davvero intensa, mi sono ritrovata a non sopportare  i personaggi maschili a cui viene  invece assegnato un ruolo negativo della storia. Uomini che pianificano la vita di coppia arrivando a scegliere anche i vestiti che le loro donne indosseranno o a chiudere a chiave l’armadietto dei liquori perché non si sa mai come una donna potrebbe comportarsi davanti all’alcol o destinare un numero preciso di sigarette che, sempre la gentil consorte, può fumare in una settimana. Cose d’altri tempi, mi direte! Ne siete proprio sicuri?

La trama ruota attorno a uomini che hanno la mania del controllo. Iniziamo facendo la conoscenza del colonnello Herbert, personaggio borioso, ottuso, egoista e noioso, che sposa May, sua terza moglie, diventata ricca grazie a un’eredità inaspettata. Il marito la obbliga ad acquistare una grande dimora in stile Tudor, nel Surrey. La casa si trasforma ben presto in una prigione per May e i suoi due figli, Oliver ed Elizabeth, avuti dal primo marito. La dimora ricoprirà un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei fatti. Per May la casa è fredda, triste, opprimente e richiede una costosa manutenzione che il colonnello rifiuta di fare. L’uomo, infatti, tende a risparmiare su tutto incurante delle esigenze della famiglia. In questo contesto si palesa la figura carismatica e misteriosa del dottor Sedum. Il colonnello ha una figlia, Alice, nata dal suo precedente matrimonio. Sua madre è morta quando lei era piccola e ora, nella casa paterna, viene trattata come una serva a buon mercato. Sorte, questa, condivisa con May. Quando Alice riceverà la prima proposta di matrimonio, accetterà subito per fuggire dalla tirannia paterna. Naturalmente ogni emozione positiva verrà bandita da questa nuova unione e Alice seppellirà i suoi desideri e le sue aspirazioni. La ragazza, incinta e infelice, vorrebbe scappare anche dalla casa coniugale. In ogni famiglia, vecchia e nuova, ognuno deve fare i conti con una mezza verità che lo tormenta.

Intanto Oliver ed Elizabeth vivono a Londra. Lei, fanciulla bella e ingenua, lavora come cuoca mentre lui, ragazzo affascinante e divertente,fa sempre ciò che gli passa per la mente ed è in perenne ricerca di un lavoro. Spreca il suo tempo e il suo talento per mancanza di opportunità o forse di ambizione.

Oliver spera di poter sposare una ricca donna che lo mantenga. Chi farà un eccellente matrimonio sarà invece Elizabeth che sposerà John Cole, un uomo molto ricco ma con qualche mania di controllo neppure tanto velata. Tra i due è amore a prima vista. Elizabeth andrà a vivere nella villa di lui e dovrà affrontare Jennifer, figlia di Cole, decisa a rendere difficile se non impossibile la vita ai due innamorati.

Quando Alice si sposa ed Elizabeth si trasferisce dal fratello a Londra, May rimane sola con Herbert e inizia a pentirsi amaramente di averlo sposato. La sua ostinazione, il voler essere una brava moglie, si trasforma nella certezza di essersi trasformata in una serva che deve obbedienza a un marito-tiranno ottuso e pieno di pretese.

Con eleganza e tanta ironia, Elizabeth Jane Howard racconta il mondo complesso del comportamento umano. Attenta osservatrice della società inglese, l’autrice  ci descrive vite imperfette che si nascondono dietro la maschera della perfezione celando paure, segreti e bugie. I protagonisti si troveranno spesso davanti a scelte difficili. Scelte che quasi mai porteranno a un lieto fine ma segneranno cicatrici sui cuori che forse non si rimargineranno mai.
La vita è come una corda da funambolo, sulla quale tutto sembra facile finchè non si guarda in basso, ma non appena lo si fa…
È stata per me una piacevolissima sorpresa cogliere l’ombra noir che si stava proiettando, con sempre più incisività, sul romanzo. Un fiore nero sboccerà negli ultimi capitoli e un destino beffardo farà capolino. Tra un sorriso e una riflessione, “Le mezze verità” mostra il suo intento nel perseguire le promesse di felicità che i protagonisti si scambiano. Ciò significa non sottrarsi alla sfida con il destino e con la caducità dell’esistenza e dei sentimenti umani.

È un romanzo che scava nell’anima dei personaggi, non da giudizi, non condanna e non assolve. Mostra, invece, il gelo che alcuni hanno nel cuore e che nessun calore potrà mai sciogliere.  Proprio come la grande dimora in stile Tudor in cui vivono inizialmente tutti: il freddo degli ambienti, nonostante stufe e camini, non diminuisce mai. Non c’è amore, l’incostanza dei rapporti umani non garantisce neanche un piccolo tepore. Forse solo un bicchiere di latte caldo,poggiato con mano amorevole sul comodino, ogni sera, potrebbe portare un qualche sollievo. Tuttavia è meglio diffidare mentre a occhi chiusi potrete affidarvi ai romanzi di Elizabeth Jane Howard per una lettura sempre piacevole e coinvolgente.

lunedì 14 ottobre 2019

RECENSIONE | "Le sette dinastie" di Matteo Strukul

Dopo aver vinto il Premio Bancarella 2017 con il bestseller “I Medici”, Matteo Strukul rende omaggio al Rinascimento con il romanzo “Le sette dinastie”, Newton Compton Editore, narrando le gesta delle prestigiose famiglie che ne furono protagoniste. In cent’anni di lotte per il potere leggeremo di alleanze effimere e di intrighi. Assisteremo al gioco sottile del compromesso e vedremo ogni dinastia attraversata da faide e lotte intestine. Una cosa vi sarà chiara fin dalla prima pagina: integrità e lealtà saranno doti rare  in questo complesso e avvincente mosaico storico che vede i suoi tasselli sparsi in circa 50 anni di storia dal 1427 al 1476.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Le sette dinastie
(Saga delle sette dinastie vol. 1)
Matteo Strukul

Vol.1 | Vol. 2

Editore: Newton Compton
Pagine: 544
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Sette famiglie, sette sovrani, sei città: questa è l’Italia del XV secolo, dilaniata da guerre, intrighi e tradimenti, governata da signori talvolta lungimiranti, ma molto spesso assetati di potere e dall’indole sanguinaria. A Milano, Filippo Maria, l’ultimo dei Visconti, in assenza di figli maschi cerca di garantire la propria discendenza dando in sposa la giovanissima figlia a Francesco Sforza, promettente uomo d’arme. Intanto trama contro il nemico giurato, Venezia, tentando di corromperne il capitano generale, il conte di Carmagnola. Ma i Condulmer non temono gli attacchi: smascherano il complotto e riescono a imporre sul soglio di Pietro proprio un veneziano, che diverrà papa con il nome di Eugenio IV. Tuttavia il duca milanese troverà alleati anche a Roma: sono i rappresentanti della famiglia Colonna, ostili al papa che viene da Venezia e decisi a cacciarlo dalla città. Solo l’aiuto dei Medici riesce a scongiurare la morte del pontefice, costretto però a un esilio forzato a Firenze. E mentre nel sud dell’Italia si fa sempre più cruenta la guerra tra angioini e aragonesi, il destino della penisola italica è sempre più avvolto nell’incertezza…


Filippo Maria si avvicinò alla testa di Beatrice. Vide gli occhi di fuori e la lingua violacea fra le labbra. Gettò a terra uno dei suoi bastoni e con la mano libera afferrò per i capelli la testa mozzata mentre ancora grondava sangue, camminando, si lasciava dietro una scia scarlatta. Si diresse verso il porcile.
Nell’Italia del 15esimo secolo, il nostro Paese  è dilaniato da guerre intrighi e tradimenti. Le città più potenti sono governate da signori a volte saggi,spesso assetati di potere. A Milano l’ultimo dei Visconti, il terribile Filippo Maria, rachitico dalla nascita e spietato con tutti, cerca di garantire la propria discendenza. Non avendo avuto nessun figlio maschio, il signore di Milano, cerca di garantire la propria discendenza dando in sposa la sua giovanissima figlia a Francesco Sforza, uomo d’arme. Intanto Visconti trama contro Venezia cercando e trovando alleati anche a Roma. Nelle ricche dimore romane, le potenti famiglie sono disposte a tutto pur d’imporre sul soglio di Pietro un loro congiunto. Nel sud dell’Italia non regna certo la pace. La guerra tra angioini e aragonesi diventa sempre più cruenta e il destino della penisola italica è sempre più incerto.

“Le sette dinastie” è un romanzo storico che delinea un’epoca oscura segnata da cruente lotte per il potere. Con abilità narrativa,  grande accuratezza  nella ricostruzione storica e invenzione narrativa, Matteo Strukul ricostruisce il complesso scacchiere politico del Rinascimento. Milano con i Visconti-Sforza, Ferrara con gli Estensi, Firenze con i Medici, Roma con i Colonna e i Borgia, Napoli con gli Aragonesi e Venezia con i Condulmer rappresentano le pedine di innumerevoli avventure. I protagonisti sono lupi che mostrano arguzia e forza bruta, furbizia e sangue, caccia e vendetta.

Se da un lato il Rinascimento è sinonimo di grande arte e cultura con la riscoperta del mondo classico, dall’altro è un periodo storico dilaniato da tensioni politiche e religiose. Tiranni, papi, guerre fratricide, capitani di ventura pronti a vendersi al miglior offerente fanno della nostra penisola un territorio insanguinato.

Strukul ci mostra proprio questo aspetto tragico e feroce del Rinascimento. Attraverso capitoli  tematici, l’autore disegna un percorso che agevola, a noi lettori, la comprensione di eventi intrigati e intriganti. Emozioni, pensieri, tradimenti, sete di potere, azioni e motivazioni sono ingredienti dinamici, semi che troveranno terreno fertile nel cuore degli uomini.

In questa girandola di eventi si muovono personaggi attentamente caratterizzati. È interessante scoprire gli usi familiari e i rapporti tra genitori e figli. Un ruolo di rilievo è affidato a donne dalla fortissima personalità, capaci di essere protagoniste della vita politica a fianco dei rispettivi mariti. Donne capaci di tessere ragnatele di relazioni e combinare matrimoni di prestigio per creare nuove alleanze in un periodo storico segnato dalla decadenza economica e politica.

“Le sette dinastie” è un romanzo avvincente che fa delle passioni, dei tradimenti, delle guerre, delle congiure e degli intrighi, sottilissimi fili preziosi con cui l’autore tesse una trama in cui si riflette la sua abilità nel descrivere le passioni umane che portano a situazioni oscure capaci di ribaltare l’esito di una guerra, di una trattativa o di un conclave. Non fatevi spaventare dalla mole del libro, 544 pagine voleranno via regalandovi una lettura capace di ricreare un’epoca lontana e affascinante in cui si confrontano e si scontrano le segrete aspirazioni e le passioni dei protagonisti.

martedì 8 ottobre 2019

BLOGTOUR "Heimaey" di Ian Manook | Recensione in anteprima

Uscirà il 10 ottobre in libreria “Heimaey”, il nuovo e avvincente thriller firmato da Ian Manook per Fazi Editore. Dopo le steppe mongole della trilogia di “Yeruldelgger”, Manook ambienta il suo ultimo attesissimo lavoro in Islanda. Ad accoglierci ci saranno antiche leggende, ghiacciai, vulcani e impervie scogliere a picco sul mare. Come sempre la natura è una protagonista viva della storia. Ammireremo paesaggi spettacolari, conosceremo la cultura e i riti ancestrali dell’Islanda, ma saremo ben presto testimoni di un fatto devastante: le atmosfere suggestive dell’Islanda celano il cancro distruttore di un paese arcano e luminoso.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Heimaey
(Trilogia islandese #1)
Ian Manook (traduzione di M. Ferrara)

Editore: Fazi
Pagine: 456
Prezzo: € 17,00 
Sinossi
Kornelíus, un poliziotto islandese possente come un troll, che canta musica folkloristica in un coro di donne, trova un cadavere in una solfatara, spellato dal ventre in giù. Mentre cerca una spiegazione per quel delitto associato a uno strano rituale, è anche alle prese con la mafia lituana, a cui deve dei soldi; per estinguere il suo debito, s’impegna a ritrovare due chili di cocaina rubati da un mozzo durante una transazione in mare. Negli stessi giorni, giunge in Islanda il giornalista Jacques Soulniz: quarant’anni dopo aver visitato l’isola con un gruppo di amici, vi fa ritorno con la figlia Rebecca, la sua ribelle Beckie, con la quale cerca di riallacciare un rapporto compromesso. Sin dalle prime tappe, però, il loro soggiorno prende una piega inaspettata: l’uomo è inseguito dalle ombre del suo passato e sembra avere un conto in sospeso con quelle terre misteriose, che hanno in serbo per lui un’implacabile vendetta. Le strade di Kornelíus e Soulniz si incroceranno in un gioco crudele orchestrato dal destino.



Distese di lava bruna, tappezzate di muschio fluorescente, dove le pecore si sparpagliano a pascolare, con il vello arruffato dal vento d’alto mare. Laghi argentati tra i coni sfaccettati dei vulcani. Case sparse, pulite e verniciate come giocattoli, spesso rosse, talvolta azzurre, senza mai nessuno davanti. E forse anche da lontano s’intravedono i pennacchi delle grandi solfatare di Gunnuhver in riva all’oceano, oppure il riflesso opaco dei ghiacciai delle alte terre. Becki e quel viaggio sono tutto quello che gli rimane da amare.
Kornelius, un poliziotto islandese dal fisico possente come un troll, che canta il Krummavisur in un coro di donne, trova un cadavere in una solfatara, spellato dal ventre in giù. Il delitto ricorda un antico rituale e le indagini si ammantano di un velo di magia. Kornelius, però, è anche alle prese con la mafia lituana a cui deve dei soldi. Per estinguere il suo debito dovrà ritrovare due chili di cocaina rubata durante una transazione in mare. In quei giorni giunge in Islanda il giornalista Jacques Soulniz: quarant’anni dopo aver visitato l’isola con un gruppo di amici, vi fa ritorno con la figlia Rebecca con la quale cerca di ricostruire un rapporto compromesso. La vacanza, sin dalle prime tappe, prende una piega inaspettata. Soulniz è inseguito dai fantasmi del passato e sembra avere un conto in sospeso con quelle terre misteriose. Le strade di Kornelius e Souliniz si incroceranno in un gioco crudele del destino.

Come sempre i romanzi di Manook vanno ben oltre il semplice evento criminale e l’arresto del colpevole. Leggere un suo libro significa iniziare un lungo, avventuroso e affascinante viaggio in luoghi lontani. Il romanzo vede i protagonisti spostarsi da una tappa all’altra di un viaggio pieno di imprevisti che ben presto presenterà i colori di un thriller. Sospesi sul filo dell’imprevedibilità, Kornelius e Soulniz, ci guideranno alla scoperta di territori capaci di emozionare, meravigliare e affascinare. Saranno proprio i luoghi a svolgere il ruolo di veri protagonisti. La natura allestisce spettacoli straordinari e noi siamo impotenti di fronte alla sua forza. Per chi non lo sapesse, Heimaey è un’isola situata a circa 4 miglia nautiche dalla costa meridionale dell’Islanda. È detta la Pompei del Nord perché il 23 gennaio 1973, da una fessura del suolo, cominciarono a fuoriuscire lava ed enormi quantitativi di cenere che ricoprirono parte dell’isola. Nell’arco di un giorno quasi tutta l’isola fu evacuata e in due settimane si formò il vulcano Eldfell, “ Monte di fuoco”alto 210 metri, che  eruttò per circa sei mesi fino a giugno. Questa eruzione ricoprirà un ruolo fondamentale nel romanzo riportandoci indietro nel tempo per assistere all’inizio dei fatti che origineranno tanto dolore e violenza.

“Heimaey” è un romanzo di vite spezzate e destini maltrattati il cui eco giunge fino a noi attraverso le voci di antiche leggende e talismani magici. È una storia di  vite alla deriva che credono di trovare pace nella vendetta. Non c’è mai un attimo di pace in questo thriller in cui s’intrecciano eventi drammatici da cui scaturiscono mille emozioni.

La suspense vi terrà incollati fino all’ultima pagina con un buon intreccio poliziesco, morti, fughe rocambolesche, piani di vendetta e scintille d’amore. I personaggi sono molto diversi tra loro anche se vedranno intrecciarsi le loro vite e disavventure. Un bel cocktail di cultura, storia, geografia, crimini e sentimenti perfettamente amalgamati. La scrittura, intrigante e veloce, ti fa venir voglia di viaggiare per raggiungere l’Islanda e godere delle sua bellezza selvaggia.

Dopo aver visitato le steppe della Mongolia con “Yeruldelgger” e il Brasile con “Mato Grosso, Ian Manook ci porta in Islanda con “Heimaey”, dove ci condurrà la prossima tappa di questo viaggio? Non c’è niente di più bello che aprire per la prima volta questi libri, leggerne le prime pagine e assaporare l’attimo che precede il viaggio con le sue promesse di grandi meraviglie. Il mio bagaglio pieno di sogni è sempre pronto e non vedo l’ora di scoprire dove Ian Manook deciderà di ambientare il suo prossimo romanzo.

giovedì 3 ottobre 2019

RECENSIONE | "Company Parade" di Margaret Storm Jameson

Cari amici, esce oggi in libreria “Company Parade” di Margaret Storm Jameson (Fazi Editore), primo romanzo di un ciclo chiamato Lo specchio nel buio. Il romanzo descrive l’ambiente culturale del 1918, subito dopo l’armistizio, riportando la vivacità e il fermento del mondo editoriale e pubblicitario londinese. Numerose le incursioni nella vita quotidiana del tempo per trasmettere i problemi, la frustrazione dei reduci e dei giovani lavoratori. A tessere la trama degli eventi è una giovane donna coraggiosa che non vuol trascorrere la propria vita nel ruolo di “angelo del focolare.” Le sue scelte saranno dettate da quel desiderio di indipendenza che è alla base delle conquiste femminili artefici di un cambiamento radicale della vita delle donne.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Company Parade
(Trilogia Lo specchio nel buio #1)
Margaret Storm Jameson (traduzione di V. Februari)

Editore: Fazi
Pagine: 404
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Nel 1918, all’indomani dell’armistizio che pone fine alla grande guerra, la giovane Hervey Russell racchiude tutta la sua vita in un baule e dallo Yorkshire si trasferisce a Londra, lasciandosi alle spalle il marito e il figlio piccolo. Non ha denaro né esperienza, ma ha la forza di volontà della nonna imprenditrice e i sogni della gioventù; è forte e vulnerabile al tempo stesso, a muoverla sono la voglia di affermarsi e il desiderio di assicurare al figlio un futuro migliore. Mentre tenta di sfondare come scrittrice, di giorno lavora in un’agenzia pubblicitaria e la sera vaga per le strade della città, sola ma libera, lasciandosi deliziare da ogni particolare. Nemmeno la sofferenza al pensiero del figlio lontano riesce a oscurare l’euforia della novità e la consapevolezza di chi sta facendo la cosa giusta per sé. Hervey è una donna in un mondo di uomini: il capo David Renn, veterano solitario e disilluso; i due amici storici, ex soldati che hanno in mente di dare vita a un nuovo giornale; e poi scrittori presuntuosi, intellettuali salottieri e spregiudicati uomini d’affari. Anche il marito, ogni tanto, torna a fare capolino, mentre l’amante vuole portarla con sé in America.
Un meraviglioso affresco dell’ambiente culturale del tempo, con tutto il brio e l’effervescenza del mondo editoriale e pubblicitario londinese, si amalgama a un lucido spaccato della vita quotidiana dell’epoca, segnata dallo spaesamento e dalla frustrazione dei reduci e dei giovani lavoratori. In primo piano, però, ci sono la storia di una giovane protagonista coraggiosa e l’evoluzione delle conquiste femminili che hanno cambiato per sempre la vita delle donne.






Una giovane donna arriva a Londra nel mese immediatamente successivo all’armistizio. È inesperta, povera, ambiziosa e sfiduciata. Quella che segue è la sua storia.
Poco dopo l’armistizio del 1918, una giovane donna giunge a Londra per cercar fortuna. Si è lasciata alle spalle il figlio e il marito, non ha soldi né esperienza. Può contare solo sulla sua forza di volontà, unica eredità lasciatale dalla nonna imprenditrice, e sui sogni legati alla sua giovane età. Nel primo dopoguerra ovunque c’è un gran fermento. Noi seguiremo la protagonista nel mondo delle agenzie letterarie, delle case editoriali e dei giornali della Londra borghese di quegli anni. La giovane Hervey Russel è una protagonista forte e vulnerabile al tempo stesso. Ha una gran voglia di affermarsi e il desiderio di assicurare al figlio un futuro migliore. La strada per il successo si presenterà come una ripida salita. Mentre tenta di sfondare come scrittrice, Hervey di giorno lavora in un’agenzia pubblicitaria dove le viene chiesto d’ingannare il pubblico con le parole. La sera, nella sua umile stanza, la donna ridona valore e forza alle parole lavorando al suo romanzo. In alcuni momenti la sofferenza, al pensiero del figlio lontano, si fa acuta e profonda ma Hervey non cede ai sensi di colpa. È convinta di far la cosa giusta per sé cercando di non soccombere in un mondo di uomini.

“Company Parade” è un romanzo particolare paragonabile a una parata di personaggi che si presentano ai lettori. C’è il capo di Hervey, David Renn, veterano solitario e disilluso; ci sono i due amici storici della ragazza, ex soldati che vogliono dar vita a un nuovo giornale; c’è il marito di Hervey, arruolato nell’Air Force, dalla condotta non proprio cristallina e poi scrittori presuntuosi, intellettuali salottieri e spregiudicati uomini d’affari.

Io ho letto questo romanzo, pubblicato nel 1934, con molta attenzione cogliendo i molteplici spunti di riflessione in esso contenuti. È stata una lettura stimolante per il pensiero che mi ha mostrato un momento storico riletto nella sua quotidianità. Il trauma violento della guerra, i reduci che si ritrovano a dover far parte di una nuova società, il ruolo della donna, la realizzazione personale, sono solo alcuni dei temi trattati. I tanti personaggi si mostrano senza timore con i loro fardelli di ricordi e desideri.

A guidare questa parata è lei, Hervey. Personaggio complesso mostra di voler vivere assaporando i cambiamenti, sussultando per le incertezze, seppellendo le abitudini e la routine quotidiana. Non avrebbe potuto sopportare una vita anonima e tranquilla. Lei era una creatura appassionata, trasgressiva, inaffidabile e cinica anche se tutto ciò covava sotto la cenere della tradizionalità. La Hervey avveduta teneva prigioniera la Hervey trasgressiva che ogni tanto riusciva a far sentire con ironia la propria presenza.

Altra grande protagonista è la guerra a cui un trattato di pace ha posto fine per far posto a una pace transitoria perché le radici della guerra sono presenti nell’uomo.
La guerra nobilita i pochi che non uccide.
È ormai cosa nota: ci sono uomini che hanno bisogno della guerra per vivere e arricchirsi. I nobili sentimenti svaniscono al cospetto del profitto. Vendere armi, controllare la produzione e il mercato del petrolio, tutto diventa un accordo vantaggioso e pazienza se ciò significa uccidere milioni di persone. Effetti collaterali, diremmo oggi. Ci sono tanti modi per uccidere: togliere il pane dalla bocca dei bambini, non assicurare le medicine a tutti, non assicurare il lavoro a tutti o massacrarli di lavoro. La guerra, come la Morte, non guarda in faccia a nessuno. Dopo il primo conflitto mondiale, una moltitudine di lapidi di guerra sui cadaveri ornavano la fredda terra. I padri costretti a seppellire i figli non calano nella fossa solo un corpo martoriato ma vi calano anche la loro vita. Il passato diventa tagliente come scogli che emergono dal mare e non c’è futuro perché, lo sanno bene i padri, la pace nasconde i semi della prossima tragedia che incendierà il mondo.

“Company Parade”è un romanzo raffinato considerato un manifesto dell’emancipazione femminile. È il racconto di una società che rinasce dalle macerie di una guerra devastante. Tra le pagine troverete l’amore declinato in tanti modi: l’amore perduto, l’amore illecito, l’amore familiare, l’amore non corrisposto. Ed è proprio l’amore a sostenere il mondo nel suo nuovo cammino di pace. Molti uomini porteranno, nel fisico e nell’animo, i segni indelebili della guerra. La rinascita offrirà a ognuno di loro la possibilità di guardarsi dentro, sarà lo specchio dei pensieri profondi e rifletterà la luce della speranza che rischiarerà il grande buio generato dalla violenza e dalla morte. I destini di molti s’intrecceranno, saranno intrisi di cinismo, arroganza, vanità ma anche d’amore, impegno, coraggio e determinazione.

Con una scrittura elegante, l’autrice ci propone un romanzo corale fatto di persone e delle loro aspettative, dei loro progetti per il futuro ma anche delle loro reazioni alle avversità. Ognuno con il proprio stile di vita, con il proprio bagaglio di paure, emozioni e incertezze. Uomini e donne travolti dalla Storia, uomini e donne con il cuore sempre in trepidante attesa di un futuro migliore.