lunedì 27 settembre 2021

RECENSIONE | "La stagione dei ragni" di Barbara Baraldi

“La stagione dei ragni” segna il gradito ritorno nelle librerie di Barbara Baraldi (Giunti). L’autrice, con questa storia da brivido ambientata negli anni Ottanta, inaugura una nuova serie poliziesca che vede protagonista il magistrato Francesco Scalviati. Sostituto procuratore meticoloso e pragmatico, non ha paura di combattere il male, sempre alla ricerca della verità, è il futuro padre di Aurora, la profiler che noi fan di Barbara Baraldi già conosciamo come protagonista della trilogia “Aurora Scalviati, profiler del buio”.

“La stagione dei ragni” si apre con una immagine forte, da incubo: il ponte Vittorio Emanuele I, a Torino, è invaso da una colonia di ragni. Gli aracnidi si muovono veloci e ricoprono il parapetto di ragnatele. Fino al giorno prima non c’erano e sembrano comparsi all’improvviso. Verrebbe da pensare a un prodigio, a un cattivo presagio. L’autrice ha deciso di cominciare così questo romanzo perché la parola “monstrum”, in latino, significa proprio “prodigio” e c’è un mostro nel capoluogo piemontese che sta lasciando dietro di sé una scia di sangue innocente.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La stagione dei ragni
(Serie Aurora Scalviati. Profiler del buio #4)
Barbara Baraldi

Editore: Giunti
Pagine: 564
Prezzo: € 16,90
Sinossi

È una notte d'estate del 1988, e a Torino si verifica un evento inspiegabile: il ponte Vittorio Emanuele I è completamente invaso da colonie di ragni, con lunghissime ragnatele sul parapetto che porta al santuario della Grande Madre. Quasi un prodigio, che attirerà decine di curiosi. Intanto il sostituto procuratore Francesco Scalviati si trova dalle parti del Pian del Lot, sulla scena di un crimine: una coppia di fidanzati uccisi in macchina in un luogo solitario. È il terzo, feroce omicidio che sembra imputabile alla stessa mano. Un caso cruciale e insidioso per il magistrato, in un momento particolarmente delicato della sua vita, visto che sta per diventare padre. Tra i presenti sulla scena c'è anche Leda De Almeida, giornalista investigativa con un passato traumatico in Libano, che Scalviati tenta di dissuadere dall'intraprendere un'indagine autonoma che potrebbe rivelarsi pericolosa. Ma a dare una svolta imprevista agli eventi sarà l'arrivo di Isaak Stoner, giovane e arrogante analista dell'FBI, che offre a Scalviati i nuovi potenti strumenti della criminologia, come il profiling e la teoria degli omicidi "seriali", ancora sconosciuti in Italia. Seppur affascinato da queste idee innovative, Scalviati non riesce a fidarsi completamente del collega americano, convinto che nasconda un segreto. Nel frattempo, si avvicina il giorno del parto per sua moglie: sarà una bambina, ma i due non riescono a deciderne il nome. Proprio allora, il "mostro" colpisce di nuovo...


In me la notte non finisce mai. Mentre vi dedicate ai giochi di enigmistica, mi preparo per tornare a caccia. Sei sono ancora pochi. Il numero finale è ancora lontano. Altri brilleranno alla luce della luna.

È una notte d’estate del 1988, e a Torino si verifica un evento inspiegabile: il ponte Vittorio Emanuele I è completamente invaso da colonie di ragni, con lunghissime ragnatele sul parapetto che porta al santuario della Grande Madre. Nella stessa notte il sostituto procuratore Scalviati si trova dalle parti del Pian del Lot, sulla scena di un crimine: una coppia di fidanzati uccisi in macchina in un luogo solitario. È il terzo, feroce omicidio che sembra imputabile alla stessa mano. Un caso insidioso per il magistrato, in un momento delicato della sua vita, visto che sta per diventare padre. Tra i presenti sulla scena c’è anche Leda De Almeida, giornalista investigativa con un passato traumatico in Libano. Pronta a condurre una personale indagine per scoprire l’autore degli omicidi, non indietreggia davanti al pericolo. A dare una svolta imprevista agli eventi sarà l’arrivo di Isaak Stoner, giovane analista dell’FBI, che offre a Scalviati i nuovi potenti strumenti della criminologia come il profiling e la teoria degli omicidi seriali, ancora sconosciuti in Italia. Scalviati non riesce a fidarsi completamente del collega americano, convinto che nasconda un segreto. Intanto si avvicina il giorno del parto per sua moglie, sarà una bambina. Proprio allora il mostro colpisce di nuovo.

Gli piace pensare di essere invisibile, di essere in grado di colpire per poi scomparire. È compiaciuto dall’osservazione dello spettacolo di morte che riesce a provocare. Lo fa sentire potente. Quasi si identificasse con una forza soprannaturale, capace di colpire ferocemente e dileguarsi nella notte.

Con una scrittura incisiva, ricca di dettagli storici e sociali, la Baraldi ci conduce indietro nel tempo, negli anni Ottanta quando dilaga la paura del mostro di Firenze. Erano gli anni dell’eroina e al parco bisognava stare attenti a dove mettevi i piedi per non calpestare le siringhe usate. Erano gli anni dell’AIDS e della nube tossica da Cernobyl. Erano gli anni delle stragi di mafia, dell’attentato al papa, del terremoto in Irpinia, della scoperta di Gladio e della P2, della banda della Uno Bianca. L’autrice trasporta questa marea di inquietudine a Torino, la più misteriosa ed esoterica città italiana, e la racconta a modo suo.

“La stagione dei ragni” si muove tra le paure e le ossessioni di un’epoca, quando le indagini si avvalevano di mezzi tradizionali. Protagonista un magistrato, che mi ha fatto subito pensare al coraggio di Falcone e Borsellino,  alla ricerca della verità. Scalviati è un uomo poco incline a manifestare le proprie emozioni. Annota ogni indizio sulla sua agenda, è deciso ma non infallibile, non è un eroe ma una persona che segue il suo fiuto e il buon senso. È diffidente verso le nuove tecnologie investigative americane.

In questo giallo, una catena di delitti, progetto di una mente criminale, insanguina la città di Torino. Gli omicidi del mostro sembrano avere  uno sfondo esoterico. Sapete che San Francisco, Torino e Londra rappresentano i vertici del triangolo esoterico del male?

Il mostro sfida il magistrato, è un gioco pericoloso. L’omicida ha bisogno di “assaporare la paura nell’aria quando viene evocato il suo nome. È un cacciatore di esseri umani. La sua sete di sangue è implacabile. Uccidere è molto di più di una semplice pulsione. È la sua vocazione.”

Come i ragni, il mostro tende molteplici fili per formare la tela in cui cadono le sue vittime. Mette in atto una vera e propria strategia del terrore costruendo una rete di complicità, spargendo il seme del male per tutta la città.

“La stagione dei ragni” è un romanzo dalla trama ben costruita, dal ritmo incisivo, dalla tensione sempre alta. È un romanzo in cui il male si manifesta in tutto il suo fascino e noi lettori abbiamo la sensazione di poter penetrare nella mente malata di un assassino seriale. Coinvolgente  la  formulazione di teorie legate all’esoterismo che conferiscono ancor più mistero a una storia da brivido. Le atmosfere, le storie e i personaggi vi faranno rivivere gli anni Ottanta sulle note dei Simple Minds, dei Duran Duran e dei primi Litfiba.

Il finale è un omaggio alla speranza, alla luce di una nuova vita che cancella il buio del male. Nasce la figlia del sostituto procuratore Scalviati:

La chiameremo Aurora perché non dovrà mai camminare nel buio.

giovedì 23 settembre 2021

RECENSIONE | "Lontananza" di Vigdis Hjorth

Dopo “Eredità” (recensione), torna Vigdis Hjorth con il suo ultimo romano “Lontananza” (entrambi editi da Fazi), un libro crudo, doloroso, coraggioso. È una nuova storia di famiglia in cui le bugie, i silenzi e i segreti vengono messi a nudo.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Lontananza
Vigdis Hjorth

Editore: Fazi
Pagine: 300
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Dopo trent'anni di assenza Johanna torna in Norvegia e, rompendo il divieto di contattare la famiglia, telefona alla madre, che ora ha ottantacinque anni ed è vedova. Nessuna risposta. Per la famiglia Haug Johanna non esiste più: è morta quando, appena sposata e studentessa di Legge per volere del padre avvocato, ha mollato tutto per diventare pittrice e si è trasferita nello Utah con il suo professore d'arte, con cui ha avuto un figlio. Johanna ormai è un'artista piuttosto affermata, ma anche i soggetti dei suoi quadri scatenano l'ira dei familiari, che vedono in essi una distorsione e una denigrazione ulteriore nei loro confronti, soprattutto per il modo in cui viene raffigurata la madre. Nella mente di Johanna affiorano vecchi ricordi di una donna all'apparenza leggera, spensierata, bellissima, ma quando riesce finalmente a spiegarsi alcuni episodi sconcertanti a cui ha preso parte, capisce che la madre non faceva che nascondersi dietro una corazza di convenzioni. Il lunghissimo silenzio fra le due donne si spezzerà in maniera violenta in un ultimo, spietato confronto.


Oltretutto è diversa la relazione tra madre e figlio rispetto a quella tra madre e figlia, perché la madre è uno specchio in cui la figlia vede se stessa come sarà nei tempi a venire, mentre la figlia è uno specchio in cui la madre vede il proprio io perduto, è per questo che mia madre non mi vuole vedere, per non vedere ciò che ha perso?

Johanna torna in Norvegia dopo trent’anni di assenza e, rompendo il divieto di contattare la famiglia, telefona alla madre che ormai ha ottantacinque anni ed è vedova. “Ho telefonato a mia madre, non ha risposto”. Per lei e per il resto della famiglia, Johanna non esiste più: è morta quando, appena sposata, studentessa di Legge per volere del padre avvocato, ha mollato tutto per diventare pittrice e si è trasferita nello Utah con il suo professore d’arte, con cui ha avuto un figlio. Johanna ormai è un’artista piuttosto quotata, ma persino i soggetti dei suoi quadri scatenano l’ira dei familiari, che in essi vedono una denigrazione ulteriore nei loro confronti, soprattutto per il modo in cui raffigura la madre. Sono tanti gli argomenti rimasti insoluti che hanno condizionato Johanna nella sua vita di figlia, di donna, di artista e di madre. Nella sua mente affiorano antichi ricordi di una donna all’apparenza spensierata e bellissima, ma quando riesce finalmente a spiegarsi alcuni episodi sconcertanti di cui è stata spettatrice, capisce che la madre non faceva che nascondersi dietro una corazza di convenzioni finchè il lunghissimo silenzio fra le due donne si spezzerà in maniera violenta in un ultimo, spietato confronto.

Con “Lontananza” Vigdis Hjorth conferma la sua maestria nell’osservare e descrivere, con gran sensibilità, la condizione umana e le sue fragilità. L’autrice esplora il mondo delle relazioni, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra sorelle, penetrando nel territorio minato della famiglia. Si procede con attenzione sapendo che il pericolo è in agguato, silente ma presente, nei ricordi.

I pensieri, le riflessioni che affollano la mente di Johanna, sono come frammenti di ricordi di un’infanzia che ha al centro la figura di sua madre. Dopo 30 anni di silenzi, Johanna si pone mille domande e immagina la vita dei suoi genitori durante la sua assenza.

La paura spinge l’essere umano a inventare, in mia assenza mia madre si inventa me, dipingendomi peggiore di quanto non sia. Ma probabilmente avverte più risentimento che paura.

Johanna con le parole inventa la madre, colma con l’immaginazione quelle lacune prodotte dalla lontananza, riflette sugli eventi e sulle loro conseguenze, sonda la natura più intima delle persone a lei care.

Johanna ha una sorella, Ruth, che ha sempre assecondato il volere dei genitori e si è occupata sempre con devozioni di loro. Johanna rappresenta la ribellione. Cosa avviene tra una madre e una figlia quando la figlia non desidera vivere un’esistenza già scontata, ma una vita libera? Tra loro nasce rabbia e dolore. Madre e figlia fanno i conti con i propri demoni. Sembrano fronteggiarsi in un duello a distanza, si guardano negli occhi ma non si vedono. Tra loro una distanza che appare incolmabile. Eppure non c’è confine che la memoria non sia in grado di attraversare, non c’è situazione che l’immaginazione non possa visualizzare, non c’è lontananza che non possa essere annullata.

La famiglia accusa Johanna di aver causato loro sofferenza con i suoi quadri grotteschi, per non aver mostrato nessuna forma di gratitudine per ciò che avevano fatto per lei, per aver abbandonato gli studi e il marito.

Il ritorno in Norvegia di Johanna smuove i sopiti equilibri. La protagonista innesca il tentativo di capire e avvicinare la madre per costruire un ponte tra passato e presente. Può una madre rifiutarsi di rivedere la figlia? Può non voler sapere più nulla della sua creatura?

“Lontananza” è una fonte preziosa di emozioni e riflessioni. Attraverso un lungo autoesame, la protagonista rivede il suo passato e mette nelle nostre mani tanti tasselli di una verità sorprendente e dolorosa. La tensione è palpabile, si comprende subito che tra le righe si cela una drammatica realtà.

Ancora una volta, con “Lontananza”, Vigdis Hjorth scrive in modo accattivante e approfondito su argomenti senza tempo. Scava nel trauma familiare e il lettore si lascia coinvolgere  in questa storia sconvolgente di perdita. Tra le pagine del romanzo troverete frustrazione, tristezza e rabbia. Viene giù il mito della mamma migliore del mondo e affiorano episodi dolorosi nati da legami familiari spezzati.

“Lontananza” è una lettura forte con una vena di umorismo, è la descrizione straziante della relazione tra madre e figlia, è un precipitare nel buio del loro rapporto che si delinea man mano che la lettura procede. Il lettore dovrà procedere facendosi largo tra più strati sovrapposti in cui si comprende l’ossessione della protagonista per la madre. Protagonista che percorre una strada ad ostacoli. Ogni ostacolo è una domanda. Ogni domanda è una riflessione nel proprio io.

I genitori accusano Johanna di oltraggiarli e disonorare con la sua arte. I suoi quadri, pur avendo titoli affidabili, riproducono una visione, secondo loro, errata della realtà.

La relazione dell’opera con la verità è fondamentale, il grado di verità dell’opera non risiede nella sua relazione con la cosiddetta realtà, ma nell’impatto che ha sullo spettatore.

Con i suoi dipinti può, Johanna, infliggere un dolore psichico alla madre? Quando le relazioni emotive diventano di pubblico dominio, diventano un problema?

Togliti la benda dagli occhi, dipingi i tuoi occhi aperti, dipingi i loro occhi aperti, è in tuo potere.

“Lontananza” è un romanzo tessuto di angoscia che esplora il rapporto madre figlia ponendo molti interrogativi. Si oscilla tra passato e presente. Il lettore è assalito dall’ansia di capire, si muove tra più punti di vista e dovrà fare ordine tra immagini e pensieri che spesso si ripetono. Emergeranno verità non dette, complicate relazioni familiari e arriveremo al cuore del problema, all’evento da cui tutto ha preso origine. Essere felici sembra un dovere ma quando questa felicità prende una piega oscura, la storia si fa più complessa e le bugie, che ti hanno aiutata a vivere, si svelano donandoti la vera verità e l’indipendenza che hai sempre cercato.

giovedì 16 settembre 2021

RECENSIONE | "I guardiani del faro" di Emma Stonex

Ispirato da eventi reali, nel 1900 tre guardiani sparirono da un faro sull’isola di Eilean Mòr (Ebridi, Scozia), “I guardiani del faro” di Emma Stonex (Mondadori),  è la storia di un mistero, è una storia di isolamento e ossessione, è una storia di realtà e illusioni, è una storia di amore e dolore, che esplora il modo in cui le nostre paure offuscano il confine tra il reale e l’immaginario.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
I guardiani del faro
Emma Stonex

Editore: Mondadori
Pagine: 330
Prezzo: € 19,00
Sinossi

Cornovaglia, Inghilterra, fine dell'anno 1972. Una barca approda al faro dello Scoglio della Fanciulla, un isolotto remoto a miglia di distanza dalla costa, per dare il cambio ai custodi. Il primo guardiano Arthur Black, il primo assistente William "Bill" Walker e il secondo assistente Vincent Bourne sono svaniti nel nulla. La porta d'ingresso del faro è chiusa dall'interno. Gli orologi in soggiorno e in cucina sono fermi alle 8,45. La tavola è preparata per un pasto che non è mai stato consumato. E la torre è vuota. Il registro meteorologico del capo dei guardiani descrive una tempesta che infuria intorno all'isola, ma il cielo è stato sereno per tutta la settimana. Cos'è successo ai tre uomini? Il mare agitato sussurra i loro nomi. La marea si muove, annegando i fantasmi. E fuori dalle onde, come un dito di luce, la torre graffiata dal sale si erge solitaria e magnifica. I loro segreti potranno mai essere recuperati dalle onde? Vent'anni dopo, le donne dei tre guardiani stanno ancora cercando di andare avanti, anche se senza risposte. Helen, Jenny e Michelle avrebbero dovuto essere unite dalla tragedia comune, che invece le ha separate. Fino a quando, un giorno, uno scrittore le contatta: vuole scrivere un libro su quel mistero irrisolto e dare loro la possibilità di raccontare la propria versione della storia. Ma solo affrontando le paure più oscure di tutti i protagonisti della vicenda la verità può iniziare a emergere. Attraverso i racconti delle tre donne e le ultime settimane degli uomini al faro, i segreti a lungo custoditi vengono alla luce e le verità si trasformano in bugie mentre il giovane scrittore cerca di capire cosa è successo, perché e a chi credere.


Dicono che non sapremo mai cos’è successo a quegli uomini. Dicono che il mare mantiene i suoi segreti.

Cornovaglia, Inghilterra, fine dell’anno 1972. Una barca approda al faro dello Scoglio della Fanciulla, un isolotto perduto a miglia di distanza dalla costa, per dare il cambio ai custodi. Il primo guardiano Arthur Black, il primo assistente William “Bill” Walker e il secondo assistente Vincent Bourne sono svaniti nel nulla. La porta d’ingresso del faro è chiusa dall’interno. Gli orologi sono fermi alle 8,45. La tavola è apparecchiata per un pasto che non è mai stato consumato. La torre è vuota e il registro meteorologico del capo dei guardiani descrive una tempesta che infuria intorno all’isola, ma il cielo è stato sereno per tutta la settimana. Cos’è successo ai tre uomini? Il mare agitato sussurra i loro nomi. La marea si muove annegando i fantasmi. I loro segreti potranno mai essere recuperati dalle onde?

Vent’anni dopo uno scrittore torna sul posto per risolvere il mistero e chiede aiuto alle donne dei tre guardiani. Helen, Jenny e Michelle hanno reagito in modo diverso alla tragedia comune.

Helen, la moglie del capo guardiano Arthur, orgogliosa e pragmatica, se ne è fatta una ragione ed è decisa ad andare avanti. Per lei è stata un’onda anomala a portarsi via i guardiani.

In tutto questo tempo ho capito che esistono due tipi di persone. Quelle che quando sentono uno scricchiolio in una casa isolata e buia chiudono le finestre perché dev’essere stato il vento. E quelle che quando sentono uno scricchiolio in una casa isolata e buia, accendono una candela e vanno a dare un’occhiata.

Jenny, nervosa e depressa moglie di Bill, trascina con sé il peso della scomparsa e i segreti fallimenti del suo matrimonio. Beve molto ed è convinta che un giorno suo marito, sparito per magia, possa tornerà da lei nello stesso modo. Lei pensa che lo Scoglio della Fanciulla sia lì, in mezzo al mare, isolato, come una pecora distante dal gregge. Una preda facile. Chi è il lupo? Per Jenny il faro è come una rivale che teneva lontano da lei il marito.

Michelle, compagna di Vince, si è rifatta una vita con un altro uomo. Tuttavia vive nel ricordo della grande storia d’amore della sua vita, finita troppo presto.

La scomparsa dei mariti e fidanzati le ha allontanate e le donne vivono chiuse nel loro dolore decise a difendere a oltranza segreti inconfessabili.

Attraverso i racconti delle tre protagoniste e le ultime settimane degli uomini al faro, i segreti a lungo custoditi vengono alla luce ma è sempre più difficile capire cosa sia realtà e cosa sia frutto di menzogne. A chi credere? Tutte difendono la reputazione dei loro mariti e nascondono nei loro cuori ciò che nessuno dovrà mai scoprire.

“I guardiani del faro” non è solo la storia di tre donne che affrontano la tragedia in modo diverso, non è solo la storia di uno scrittore deciso a scoprire la verità, è soprattutto la storia di Arthur, Bill e Vincent, prima della loro scomparsa. Tre uomini diversi per età, esperienze, passioni. Tre uomini che vivono per lunghi periodi in isolamento. Il faro è la loro casa in mezzo al mare, circondato da onde ora placide ora tempestose, proietta la sua luce come guida per i marinai durante la navigazione notturna. Il mare diventa il confidente dei guardiani che si specchiano nelle acque profonde con un senso di smarrimento alla ricerca di una pace che non c’è.

Arthur, orgoglioso dei suoi trent’anni di servizio, ama il mare, e appena giunge sulla terraferma già sente la nostalgia di quella voce che parla alla sua anima. Bill odia il mare, lui non ha potuto scegliere cosa fare da grande. Proviene da generazioni di guardiani del faro e il suo destino era già scritto. Per Vincent, un tipo solitario, il mare è un’opportunità di redenzione dopo aver commesso molti errori.

“I guardiani del faro” è un romanzo che dà vita agli incubi neri dei tre uomini, è un cammino in salita per riannodare il filo del “prima” al “dopo”, è un mistero a porte chiuse, una storia suggestiva, un’indagine psicologica. Tra le nebbie, il mare testimone, s’intravede un mondo che appare e scompare, un mondo alimentato dalla repressione, dai sensi di colpa, dalle bugie. I peggiori timori diventano tangibili, se allunghi la mano puoi toccarli, ti sfiorano mentre dormi, si nutrono dei tuoi pensieri. I fari avvertono del pericolo i naviganti, ma chi protegge i guardiani dalla solitudine, dal desiderio di essere amati anche se imperfetti, dalla paura di perdere ciò che di più caro hanno al mondo? Le menzogne costruiscono un muro, giorno dopo giorno, tra loro e le persone che amano. Occorre, però, essere sinceri anche con sé stessi prima che i rimpianti possano cancellare le loro orme sul terreno.

“I guardiani del faro” è un romanzo fatto di quotidianità, coinvolgenti le pagine che narrano la vita all’interno del faro, che vede i tre guardiani cucinare, lavare, preparare innumerevoli tazze di thé, occuparsi della lanterna del faro, lucidare, usare la pistola antinebbia, dormire in cuccette che seguono la curva del muro, avere pochissimo spazio per sé. Ed è bellissimo, credetemi, entrare in quel mondo, toccare con mano il fascino del faro, percepire presenze che si confondono nei venti feroci, nella pioggia martellante, nei riflessi oscuri delle acque fredde. Ci si sente subito coinvolti, il mare selvaggio è come una sirena che attira e ammalia, e si percepisce un imminente senso di sventura e presagio. Il faro, complice di oscuri segreti, è l’unico testimone degli eventi e assiste ai tentativi dei tre guardiani di sfuggire a una realtà asfissiante. Maestoso, superbo, irremovibile, diventa il portale per entrare in un’altra dimensione dove si respira un’atmosfera gotica che inebria e travolge.

“I guardiani del faro” è un libro oscuro che cattura il lettore man mano che la verità si svela. Non tutto è però pura realtà e fredda ragione. Nel faro, luogo segreto in cui i tre uomini quasi si nascondono dalle loro famiglie, i protagonisti sembrano trovare consolazione alle brutture della vita.

Niente sopravviveva. Niente era permanente. Tutto si perdeva negli abissi.

Ed eccola la tempesta della vita scatenarsi.

La tempesta peggiorò. Le onde sempre più alte erano imbiancate di schiuma. Il vento infuriava e ululava. I tuoni rimbombavano per tutta la volta lampeggiante del cielo. Le onde crollavano, le creste si frangevano, gli schizzi esplodevano sulla superficie caotica dell’acqua. Lampi di luce spezzavano il turbinio delle tenebre, il nero del mare, il nero del cielo, l’oceano che si gonfiava e sbavava.

Ora chiudete gli occhi, immaginate di essere in cima al faro, lasciatevi travolgere dai rumori cupi della tempesta. Poi, pian piano, aprite gli occhi ed ecco lì davanti a voi comparire una barchetta in pericolo. Piccola. Di legno. Con la vela strappata. Una barchetta a remi, sollevata e sbattuta di qua e di là dalle onde. Nella barchetta una testolina fa capolino e un braccino si alza per salutare. Lo vedete. Sì, lo vedete. Sono le otto e tre quarti. È l’ora della scelta: vivere ma essere morti dentro o morire e finalmente poter risalire su quella barchetta. Piccola. Di legno. Con la vela strappata.

giovedì 9 settembre 2021

RECENSIONE | "Giorni felici" di Brigitte Riebe

Dopo “Una vita da ricostruire” (recensione), esce oggi nelle librerie “Giorni felici” (entrambi editi da Fazi nella collana Le strade), il secondo volume della trilogia di Brigitte Riebe “Le sorelle del Ku’damm”. Io ricordo con vivo piacere la lettura del primo romanzo e non vedevo l’ora di rivedere Rike, Silvie e Florentine che con le loro vicissitudini mi hanno emozionata e conquistata. Quindi per me è un gran piacere ritornare nella Berlino del dopoguerra in compagnia delle sorelle Thalheim.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Giorni felici
(Le sorelle del Ku'damm Vol. 2)
Brigitte Riebe

Editore: Fazi
Pagine: 450
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Berlino, 1952: «Vivi la vita come una danza», questo è sempre stato il motto di Silvie Thalheim. Mentre i Grandi magazzini sul Ku'damm sono la priorità assoluta per sua sorella Rike, Silvie vuole solo una cosa dopo il periodo oscuro della guerra: godersi la vita al massimo. Terminata una storia passionale ma tormentata con l'attore Wanja Krahl, corona il sogno di una relazione stabile e felice con l'editore Peter van Ackern, conosciuto alla Fiera del libro di Francoforte. Grazie al boom economico, gli affari vanno a gonfie vele e i Grandi magazzini Thalheim sono sulla bocca di tutte le berlinesi. Sottogonne e calze di nylon, ma anche raffinate collezioni dall'Italia vanno a ruba. Il sogno di Silvie, però, è sempre stato lavorare in radio, dove ormai riscuote grande successo. Da quando suo fratello gemello è tornato dalla guerra, le dinamiche familiari sono cambiate: Oskar dovrebbe dirigere l'azienda, ma preferisce abbandonarsi alla frenesia delle notti di festa… Quando un concorrente minaccia di portare via tutto ai Thalheim, Silvie si rende conto che deve assumersi la responsabilità degli affari e dei suoi cari.


L’anno successivo avrebbe compiuto trent’anni. Silvie aveva sempre considerato ridicole le preoccupazioni di chi, avvicinandosi a quell’età, si comportava come se fosse un numero stregato ma, adesso che quel momento stava arrivando anche per lei, provava strane sensazioni. Era vero, a causa della guerra c’erano più donne che uomini in giro, eppure gli ammiratori non le erano mai mancati. Ma era sola.

Berlino 1952. “Vivi la vita come una danza”, questo è sempre stato il motto di Silvie Thalheim. La guerra è ormai alle spalle e  grazie al boom economico, gli affari sono ben avviati. I Grandi Magazzini Thalheim hanno ritrovato l’antico splendore e sono sulla bocca di tutte le berlinesi che vogliono vestire di nuovo chic e seguono la moda. Sottogonne e calze di nylon, ma anche raffinate collezioni dall’Italia vanno a ruba. In questo contesto di relativa sicurezza economica, si muovono i Thalheim. Per Rike, la sorella maggiore, la gestione dei Magazzini è stata la priorità assoluta nella sua vita, ma il suo matrimonio la porterà a mutare i suoi interessi. Silvie, dopo gli anni bui della guerra, vorrebbe godersi la vita al massimo. Anche Oskar, fratello gemello di Silvie, è tornato a casa dopo aver trascorso sette anni in una prigione sovietica. Apparentemente si potrebbe pensare a un florido futuro per tutta la famiglia, ma il destino ha in serbo per loro molte sorprese.

Senza un uomo. Senza una casa. Senza un figlio.

Il mantra positivo di Silvie , “Vivi la vita come una danza”, si è trasformato in una maledizione. Il lavoro in radio è fonte di grande soddisfazioni ma il lato affettivo della sua vita è una vera tragedia. Ha sofferto per amori sbagliati e le cocenti delusioni sembrano punti fermi nella sua vita. Lei, però, crede ancora nell’amore assoluto e incondizionato. Dopo tante avversità, preoccupazioni e incertezze, Silvie spera in “giorni felici” per lei e per tutta la famiglia.

Anche per Oskar ci sono grandi difficoltà da superare. Da quando è tornato dalla guerra, mutilato nel corpo e nell’anima, le dinamiche familiari sono cambiate. Ora è lui il responsabile dell’attività di famiglia, lui è il figlio maschio, un degno erede nelle cui mani confluisce il futuro dei Magazzini. Il ragazzo dovrebbe dirigere l’azienda e invece preferisce abbandonarsi alla frenesia delle notti di festa. È un giovane inesperto e privo di motivazioni. Per la sua avventatezza, la famiglia rischia di perdere l’attività. Un misterioso concorrente minaccia di portare via tutto ai Thalheim. Silvie si rende conto che è arrivato il momento di mettere a disposizione dell’attività di famiglia il suo talento, la sua creatività e le sue conoscenze.

Mentre nel primo romanzo, “Una vita da ricostruire”, l’attenzione era centrata sulla figlia maggiore Rike, in questo secondo volume sarà Silvie ad essere al centro degli eventi. Assisteremo a una sua metamorfosi e ci svelerà i suoi sogni, i suoi desideri e le mille preoccupazioni. Dopo un periodo felice ecco che tutto precipita complici intrighi e rivalità in affari.

Brigitte Riebe non risparmia ai suoi personaggi preoccupazioni e dolore. Con una scrittura fluida e ricca di sentimenti, l’autrice cattura l’attenzione del lettore e lo coinvolge nella storia dove  momenti di felicità  si alternano a dolorose tragedie. Tutta la famiglia sarà chiamata a fare delle scelte importanti e anche Florentine, la sorella minore, sarà fonte di preoccupazioni.

Leggere le loro storie è un sentirsi partecipe degli eventi. Mi sono sentita proiettata nella Berlino dell’epoca e invisibile, ma sempre al loro fianco, ho vissuto con loro gioie e dolori. Ho cercato di capire il comportamento di Oskar, ho temuto per alcune sue scelte e mi si è intenerito il cuore per la sua infelicità. Con Rike mi sono sentita una donna d’affari, sicura delle sue scelte e sempre pronta a cogliere i desideri delle donne berlinesi in fatto di moda. Seguire Silvie è stato intrigante ma anche doloroso. Lei è una donna forte che lotta per difendere le persone che ama. È uno spirito libero e conserva sempre un inesauribile ottimismo. Tuttavia la vita la metterà a dura prova e vivrà momenti davvero terribili.

“Giorni felici” è una storia poliedrica, emozionante e ricca di sorprese. È un mix di eventi familiari e fatti storici. È un mondo di personaggi femminili vivaci e autentici. Sono donne emancipate che a testa alta affrontano difficoltà e apprezzano le gioie della vita. Sono sempre pronte a confrontarsi con le loro debolezze.

In questo secondo volume della trilogia ho ritrovato l’attenzione dell’autrice per i dettegli storici e ho letto con interesse l’appendice al libro in cui vengono elencati i maggiori eventi storici tra il 1952 e il 1957. Ripercorriamo  la nascita, da un unico paese, di due Stati nemici. Berlino si trovava nella Repubblica Democratica ed era a sua volta divisa in due parti: la parte ovest controllata dagli Occidentali e la parte est dai Sovietici. Due realtà diverse che nel romanzo si intrecciano con le vicende della famiglia Thalheim.

“Giorni felici” non nega sicuramente l’esistenza di momenti bui, quando vorresti solo chiudere gli occhi per non riaprirli mai più, ma lascia sempre una scia di speranza. Anche nella disperazione può succedere qualcosa che ti riporta a toccare il cielo con un dito.  Nell’attesa del terzo e conclusivo volume, vorrei salutarvi con una frase di Cesare Pavese:

L’unico modo di sfuggire all’abisso è di guardarlo e misurarlo e sondarlo e discendervi.

giovedì 2 settembre 2021

RECENSIONE | "La violenza del mio amore" di Dario Levantino

La penna di Dario Levantino torna ad emozionare, dopo il pluripremiato “Di niente e di nessuno” e “Cuorebomba” (recensione), con “ La violenza del mio amore” (tutti editi da Fazi). Il nuovo capitolo della saga del giovane Rosario alle prese con le difficoltà e le sofferenze della vita. Con il protagonista ritorneremo nella dura realtà di Brancaccio, periferia di Palermo dimenticata dalla politica e dal Signore, dove anche sognare è un lusso che i poveri non possono permettersi. È un luogo degradato, malfamato, dove droga, violenza e criminalità prosperano senza nessun ostacolo.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
La violenza del mio amore
Dario Levantino

Editore: Fazi
Pagine: 260
Prezzo: € 16,00
Sinossi

Quando una sera d’estate Anna torna a Palermo incinta di lui, Rosario giura a se stesso che farà di tutto per prendersi cura di lei e del figlio che porta in grembo. A Brancaccio, però, non è concesso neppure sognare senza l’approvazione del boss del quartiere e ben presto i propositi dei due ragazzi si infrangono contro le condizioni e gli ostacoli posti da Totò Mandalà. Pur costretti a vivere nello sgabuzzino di una chiesa e incapaci di ottenere una casa popolare senza piegarsi ai ricatti del boss, i due giovani non si rassegnano. I continui soprusi dei potenti e le inevitabili complicazioni che il crescere troppo in fretta porta con sé non intaccano il legame puro e profondo tra Anna e Rosario e ai due basta una barca abbandonata in riva al mare e l’affetto del fedele cane Jonathan per sfuggire alla miseria che assilla le loro giornate. La situazione precipita quando Anna partorisce una bambina prematura: annebbiato e sfinito dall’impotenza, Rosario scoprirà dentro di sé una fiamma inesauribile in grado di cancellare ogni minaccia, alimentata dall’unica cosa che conta: l’amore.


Rosario non è più solo. Anna torna a Palermo incinta di lui e il giovane giura a se stesso che farà di tutto per prendersi cura di lei e del figlio che porta in grembo.

Anna era partita con un granello di noi dentro di lei, aveva reciso una parte di me per propagarla, come uno di quei fiori carnivori che divorano per amare. Aveva provato a dimenticarmi, forse, ma il suo grembo di nascosto aveva preso a covare la sintesi dei nostri corpi dipendenti. Era partita per dimenticarmi, era tornata per dirmi che non era possibile. Avevamo trentacinque anni in due.

A Brancaccio, però, tutto, anche i sogni, deve ottenere l’approvazione del boss del quartiere. Esiste, infatti, una famiglia che solo a pronunciare il nome devi portare rispetto, quella dei Mandalà.

Sono cresciuto a Brancaccio, il posto più schifoso di Palermo. Nessuno può entrare nel quartiere se non c’è nato, sennò finisce male. Nessuno può permettersi di sfidare la famiglia più discussa del rione, sennò finisce ammazzato. Nessuno ti aiuta se pesti i piedi alla persona sbagliata, sennò lo accoltellano. Tutto, a Brancaccio, ha delle regole precise. Se sgarri, te la sei cercata.

Rosario e Anna sognano un lavoro e una casa popolare ma i loro desideri si infrangono contro le condizioni e gli ostacolo posti da Totò Mandalà.

Non facevamo del male a nessuno, i sognatori fanno male solo a se stessi.

L’unico ad aiutarli è Padre Giovanni, il parroco di Brancaccio, che offre loro lo sgabuzzino della chiesa per poter affrontare i mesi della gravidanza. La casa popolare viene loro negata, solo se si piegheranno al volere del boss avranno una possibilità.

Era diventato questo Totò: un sostituto dello Stato, che elargiva lavoro ai bisognosi col suo mercato criminale?

I due giovani non si rassegnano e insieme affronteranno i soprusi dei potenti e le complicazioni che conseguono al loro sottrarsi ai ricatti del boss. Loro riescono ugualmente a ritagliarsi dei momenti di pura felicità. Una barca abbandonata in riva al mare e l’affetto del fedele cane Jonathan diventano la via di fuga dalla miseria che assilla le loro giornate. Le cose si complicano quando Anna partorisce una bambina prematura affetta da una grave malattia. Rosario troverà in sé la forza per annientare ogni minaccia. L’amore tutto può e Rosario è pronto, anche a sbagliare, per dare un futuro di speranza alla sua adorabile famiglia.

Rosario, per chi ha letto il precedente romanzo, è un cuorebomba. È un ragazzo dal cuore gentile, fragile all’apparenza ma forte nei fatti, conosce la felicità ma anche lo sconforto che nasce dai fallimenti. Il suo amore per Anna e per la creatura che cresce nel suo grembo, non ha limiti ma naviga nel mare in tempesta della vita. Rosario non ha nessuno su cui poter contare, sua madre è morta e suo padre, uomo cinico e bugiardo, è in prigione. Ama la mitologia classica e il mare. I genitori di Anna, i cuorisecchi per antonomasia, le hanno chiesto di scegliere tra loro e Rosario. Quando la ragazza ha scelto di vivere il suo amore, le hanno voltato le spalle dicendole che per loro lei è morta. Nella loro solitudine sociale, i due ragazzi cercano di ingannare il presente proiettando la loro felicità nel futuro. C’è solo una possibilità  per poter costruire un domani: lavorare per Totò, entrare nel cono d’ombra della legge, chinare il capo.

Schierarsi al fianco di Rosario e Anna è questione di un attimo. Ti emozionano i loro pensieri, la loro integrità, il loro coraggio e la loro libertà. Purtroppo l’uomo non vive solo di ideali e la loro esperienza personale si fonde con una società che non brilla per solidarietà verso i più deboli. Occorre nutrire il corpo, vestirlo, comprare le medicine se si ammala, avere un tetto sulla testa. Mi si è intenerito il cuore quando i due ragazzi sono andati a vivere nello sgabuzziono della chiesa, mi sono sentita forte al fianco di padre Giovanni che faceva di tutto per togliere i ragazzini dalla strada e per difendere i più fragili porgendo una mano a tutti. Salta agli occhi, a Brancaccio, l’assenza dello Stato e come non ricordare Don Pino Puglisi, il parroco ucciso dai sicari di Cosa Nostra nel giorno del suo 56° compleanno, a causa del suo costante impegno evangelico e sociale. Anche padre Giovanni lotta per difendere la vita delle persone. Durante le sue omelie egli predica l’amore per gli emarginati, per chi dalla vita ha ricevuto solo pugni in faccia.

Ho letto “La violenza del mio amore” provando molte emozioni, ipnotizzata dal dolore e dalla bellezza che sgorgano dalle pagine del libro. Rosario, voce narrante, sfida ogni giorno il suo destino. A scuola, tra professori e compagni che non lo comprendono. Tra le vie del suo quartiere dove cerca di racimolare qualche euro per dar da mangiare alla sua famiglia. Spesso ha paura camminando tra giganti violenti e disumani. Diventare qualcuno a Brancaccio vuol dire diventare cattivo, più sei feroce e più sei uomo. Rosario spietato non è ma vuol lottare per costruire un domani.

Tante le riflessioni da fare leggendo questo intenso romanzo. L’autore mostra una microsocietà dai mille problemi dove i “cuorisecchi” traggono sicurezza e successo da chi è più debole e i “cuoribomba”  fragili ma gentili vivono al massimo ogni emozione. Possibili ancore di salvezza sono la scuola e lo sport. Nella scuola, come sempre, ci sono luci e ombre. Accanto a professori capaci di cogliere i talenti nascosti dei loro allievi, ci sono professori incapaci di instaurare un rapporto con i loro studenti. L’istruzione apre le porte del futuro per poter realizzare se stessi e mutare il male in bene. Anche lo sport, quando diventa uno stile di vita, ha un’importantissima funzione sociale perché insegna la lealtà, lo spirito di squadra, il rispetto dell’avversario e lo spirito di sacrificio.

“La violenza del mio amore” è la storia di vite complicate che affrontano situazioni drammatiche avendo in mente l’unico obiettivo di allontanarsi dalla violenza e dalla miseria. Tuttavia le sabbie mobili della criminalità si nascondono dietro i buoni propositi e lottare diventa difficile. Ti sembra di correre verso un futuro che non c’è e provi sulla tua pelle il senso spietato della vita. Quando Anna darà alla luce la piccola Maria, l’incubo della miseria diventa feroce e l’esistenza sembra scivolarti tra le dita. Allora ti poni delle domande e pensi a come proteggere chi ami.

Ci vuole più coraggio a disobbedire o ad accettare le regole, non scritte, dei Mandalà?

“La violenza del mio amore” è un libro che ha il pregio di variare natura di pagina in pagina: ora narrativa, ora memoir, ora invettiva. È una storia triste e dolorosa in cui il rifiuto del male diventa una colpa, l’innocenza una condanna. Come tirarsi fuori dall’inferno della miseria? Anche l’innocenza può nascondere un lato oscuro le cui conseguenze possono diventare tragiche.

La saga di Rosario continua e io faccio il tifo per lui, per Anna, per la piccola Maria e per il fedele cane Jonathan.

Io, Anna, Maria e Jonathan siamo come una testuggine, nessuno ci può separare. Siamo soldati di pace in un mondo di guerra, ma no come quelli finti di cui parla il potere. Combattiamo contro il male che ci circuisce, che ci allontana, che ci ferisce, che ci fa perdere le speranze, che ci induce a pensare che sia tutto finito, ma alla fine siamo noi i più forti. Rinasciamo sempre. Siamo una famiglia. Di più: siamo un nido.

La realtà squarcerà ben presto il velo di illusioni tessuto dai due ragazzi, ma dietro quei desideri dissolti troveranno l’amore e la speranza.