venerdì 28 giugno 2019

RECENSIONE | "L'anno nuovo" di Juli Zeh

 Come ogni estate tante sono le novità che affollano gli scaffali delle librerie. Oggi vorrei segnalarvi “L’anno nuovo” l’ultimo romanzo di Juli Zeh. Questo romanzo conferma lo straordinario talento dell’autrice. In Germania è arrivato al primo posto in classifica e la scrittrice ha appena vinto il prestigioso Heinrich-Boll-Preis! Queste le motivazioni della giuria: “Juli Zeh rientra a pieno titolo tra i migliori autori tedeschi contemporanei. Probabilmente nessun autore di lingua tedesca ha fatto tanto scalpore ultimamente come Juli Zeh. Nei suoi scritti si muove tra letteratura e politica, tra poesia e realtà.”

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
L'anno nuovo
Juli Zeh (traduzione di M. Giacci)

Editore: Fazi
Pagine: 178
Prezzo: € 18,50
Sinossi
Henning ha una quarantina d'anni ed è sposato con Theresa, con la quale ha due figli. La famiglia sta trascorrendo le vacanze di Natale sull'isola di Lanzarote, dove il vento impetuoso spazza via tutti i pensieri e il sole accecante allontana lo stress quotidiano. Henning si ripete di essere un uomo fortunato: vive in un bell'appartamento di Gottinga, lavora per una casa editrice, ha una famiglia felice. Nonostante ciò, da alcuni mesi soffre di attacchi di panico. Non è sereno, non riesce a dormire, litiga in continuazione con la moglie, che lo esorta a comportarsi «come un uomo, un uomo che io possa amare». Il mattino del primo giorno dell'anno, durante un'escursione in bicicletta verso uno dei punti più alti dell'isola, quel malessere torna a fargli visita. A soccorrerlo è Lisa, un'artista tedesca che lo invita a casa sua offrendogli acqua e cibo. Dettaglio dopo dettaglio, la casa della donna gli appare sempre più familiare, una strana sensazione di déjà-vu comincia a farsi strada nella sua mente e, quando Lisa gli mostra un pozzo nel giardino, quella che sembrava una strana suggestione si trasforma in certezza: in quella casa c'è già stato, tanto tempo fa. E poco alla volta tornano a galla i ricordi di un'esperienza terrificante vissuta fra quelle mura, un'esperienza che lo ha segnato per sempre. 






Da quel giorno LA COSA cominciò a fargli visita quando le pareva. Tutto inizia con un bruciore al diaframma, un miscuglio tra febbre della ribalta e paura di volare. Il cuore prende a battergli all’impazzata, poi incespica. Corpo e mente diventano incontrollabili. A volte LA COSA lo prende nel pieno della notte. Si sveglia di soprassalto, gli manca l’aria, deve correre al bagno, ha voglia di urlare o di sbattere la testa contro un muro ma lascia perdere per non svegliare nessuno… Tra un attacco e l’altro si tormenta con la paura di un nuovo attacco.
Henning  è sposato con Theresa con la quale ha due figli. La famiglia sta trascorrendo le vacanze di Natale sull’isola di Lanzarote lontano dalle preoccupazioni quotidiane e dallo stress. Henning si ripete di essere un uomo fortunato. Non può proprio lamentarsi: lavora per una casa editrice, vive in un bell’appartamento di Gottinga, ama la moglie e ha una famiglia felice. Eppure qualcosa non va. Da circa due anni soffre di attacchi di panico che hanno minato la sua serenità e lo portano a litigare spesso con la moglie che lo esorta a comportarsi “come un uomo, un uomo che io possa amare”. Il mattino del primo giorno dell’anno, durante un’escursione in bicicletta, LA COSA torna a fargli visita. L’uomo viene soccorso da Lisa, un’artista tedesca, che lo invita a casa sua. Pian piano, la casa risveglia in Henning una strana sensazione di déjàvu e nella sua mente i ricordi emergono prorompenti.

“L’anno nuovo” è un romanzo che incuriosisce intrecciando thriller e analisi sociale. La scrittrice ci induce a riflettere sul ruolo dell’uomo moderno per poi condurci per mano in un cupo racconto.

Con penna leggera l’autrice ci presenta il protagonista Henning, un uomo normale che descrive le sue giornate di vita normale, di gioie normali, di problemi normali. A rompere l’equilibrio della normalità è un malessere che viene chiamato LA COSA. L’uomo non vuole logorare la propria famiglia con le sue nevrosi. Vorrebbe essere un uomo che valga la pena d’amare. Vorrebbe ridere di più, abbracciare più spesso sua moglie, perdere meno le staffe con i bambini, uscire di più. LA COSA però non lo perde di vista, è rintanata nella sua tana, è in agguato in attesa di torturarlo. Anche rallegrarsi dell’assenza della COSA è deleterio, perché quanto più forte è la speranza, tanto più forte LA COSA lo colpisce con i suoi lunghi tentacoli. Per lui è difficile trovare il proprio posto tra lavoro e bambini. Theresa è una donna forte, non indietreggia davanti alle responsabilità. Insieme hanno deciso di lavorare entrambi part time, per stare più vicino ai bambini. L’organizzazione della giornata è suddivisa in compiti. Loro sono genitori moderni, fifty-fifty. Eppure Henning è inquieto, ha completamente plasmato la sua vita in base alle esigenze dei bambini e non sa più cosa fare da solo. Un tempo ascoltava la musica, leggeva, andava in bicicletta, usciva con gli amici. Ora tutto è cambiato. Vorrebbe avere un po’ di tempo per se stesso ma si sente già in colpa solo per averlo pensato. Mi piace questa problematica sociale capovolta. Nel romanzo ad avere mille incertezze a sentirsi quasi soffocare da una famiglia che pur ama, non è la donna ma l’uomo. È lui che si preoccupa delle faccende domestiche perché lei è più coinvolta con il lavoro. Nella mente di Henning mille difficoltà prendono vita e la vita diventa una montagna da scalare portandosi sulle spalle il lavoro arretrato, la quotidianità con i bambini, gli imprevisti nascosti dietro l’angolo.
Il bisogno di controllare i propri pensieri è quasi peggiore della COSA stessa. Henning non sa più nemmeno se praticare un’igiene dei pensieri serva a qualcosa. Quando cerca di evitare pensieri sbagliati, si sente come un cervo braccato. Praticamente qualsiasi pretesto può risvegliare la COSA.
Quando LA COSA apre gli occhi, si prepara a saltare e l’afferra, allora il cuore di Henning comincia a incespicare: batte all’impazzata e poi si ferma all’improvviso, fa un paio di saltelli e riprende la sua pazza corsa. Poi improvvisamente il cuore ritorna normale, l’uomo riprende fiato e l’attacco viene archiviato provando una miserabile felicità per essere ancora una volta sopravvissuto.
Forse vede tutto sempre nero come se dietro il mondo ne esistesse un secondo in cui le cose avessero un significato diverso, un significato maligno e diabolico. Crescere due figli piccoli è stancante, snervante e a volte pensi d’impazzire.
“L’anno nuovo” è una lettura stimolante, coinvolgente, emozionante. È un romanzo che, concedetemi l’accostamento, paragonerei a una seduta psicanalitica. La scrittrice, infatti, sparge i germogli del senso di sicurezza dando ai protagonisti la libertà di coltivarli. Henning parla, racconta la sua quotidianità, i cambiamenti dovuti alla nascita dei bambini. Mette in atto una specie di transfert spostando sentimenti, emozioni e pensieri dal passato alla sua attuale famiglia. Racconta di una ferita ancora aperta anche se lui ha solo la sensazione di “essere ferito” e non ricorda esattamente l’origine di questo dolore. Nella sua mente e nella sua anima c’è un trauma nascosto, appollaiato nell’ombra e avvolto dall’oblio.

Un proverbio arabo dice: “Il destino ti aspetta sulla strada che hai scelto per evitarlo”. Perfetta descrizione degli eventi. Henning programma una vacanza relax a Lanzarote. Vuol fare nuovi propositi per l’anno nuovo, riprendere in mano la propria vita e “comportarsi come un uomo che la moglie possa continuare ad amare”. Proprio sull’isola gli eventi precipiteranno, presente e passato si fronteggeranno in un duello di ricordi, emozioni, paure, eventi cancellati. La scena dell’epico scontro sarà proprio il giardino di una casa dove sorge un pozzo…

Henning non ha scelta, nessuno di noi è veramente libero, deve entrare nel campo minato dei ricordi, per intraprendere un viaggio difficilissimo e doloroso nella memoria.

mercoledì 26 giugno 2019

BLOGTOUR | "Nestor Burma e la bambola" di Léo Malet | I 5 motivi per leggere il romanzo

Cari lettori, Nestor Burma è un personaggio nato dalla penna agile del romanziere francese Léo Malet, uno dei padri del romanzo poliziesco francese. Burma è il protagonista di una serie di romanzi polizieschi in cui interpreta la parte di un detective privato. Lavora con una segretaria, Hélène, che è infatuata di lui, in una agenzia di investigazioni che si chiama “Fiat Lux Agency”. La sua prima apparizione nel 1943 lo vede protagonista di “120, Rue de la Gare” (Fazi 2004). Il libro che Fazi Editore propone in questo caldo mese di giugno è un inedito per l’Italia, “Nestor Burma e la bambola”, nella collana Darkside. Una lettura piacevole e scorrevole, con vicende ben costruite, dove tutto è imprevedibile e nulla è ciò che sembra.

Tutto inizia quando Nestor Burma, come sempre a corto di denaro, si reca di nascosto presso un’isolata villa di Boulogne. Qui sarà l’involontario e sbigottito testimone di una strage messa in atto da un losco individuo dal volto deturpato. Inizia così una rocambolesca serie di eventi che vedrà il protagonista risolvere    l’intrigo, muovendosi tra sicari prezzolati, locali a luci rosse, chanteuses decadute e “bambole”, reali o sognate. E sarà proprio una bambola la chiave per decifrare il mistero.





Nestor Burma e la bambola
Léo Malet (traduzione di F. Angelini)

Editore: Fazi
Pagine: 176
Prezzo: € 15,00
Sinossi
Tempi duri per Nestor Burma: le casse dell'Agenzia Fiat Lux sono drammaticamente vuote e la pioggia primaverile rende Parigi sempre più cupa. Così, fiutata la possibilità di un mistero, il detective privato si reca di nascosto presso un'isolata villa di Boulogne, dove sarà l'involontario e sbigottito testimone di una strage, messa in atto da un losco individuo dal volto deturpato. La vittima, tale Mauffat, sembra essere a sua volta un personaggio poco raccomandabile: un ex medico radiato dall'ordine, che custodiva nella propria cassaforte mazzette di banconote e bottiglie di benzina... A complicare le cose si aggiunge il fatto che Mauffat venga anche considerato il responsabile della morte della giovanissima Yolande Bonamy, deceduta in seguito a un aborto mal praticato: ad accusare l'ex medico sono i nonni della ragazza, che, in mancanza di prove concrete, affideranno al protagonista il compito di incastrare l'assassino rimasto impunito. Ma come fare, ora che l'assassino stesso è stato a sua volta brutalmente assassinato? Ancora una volta toccherà a Nestor Burma risolvere l'intrigo, muovendosi tra sicari prezzolati, locali a luci rosse, chanteuses decadute e "bambole", reali o sognate... E sarà proprio una "bambola" la chiave per decifrare il mistero.



I 5 motivi per leggere il romanzo

In questa tappa del blogtour vi illustrerò cinque buoni motivi per leggere “Nestor Burma e la bambola”.   

1. Il personaggio di Nestor Burma è un investigatore irriverente, fuori dagli schemi, ma con un gran cuore. È il protagonista di una trentina di avventure. Sciupafemmine e trovacadaveri dalla lingua sarcastica, Burma non ama estrarre la pistola ma preferisce usare il cervello. Le inchieste dure e difficili sono il suo pane quotidiano. Le indagini in cui è coinvolto sono ambientate nella Parigi degli anni Cinquanta fra gangster e maîtresse, ricatti e tradimenti, bugie e mezze verità. Non resiste al fascino femminile anche se il suo rapporto con le donne è spesso conflittuale. Nestor è un antieroe sempre al verde e con pochi amici. Sbuffa, beve vino, fuma la pipa, sbraita ma non sbaglia un colpo. Ama lavorare da solo, è un tipo duro e solitario  e frequenta ombrosi locali notturni. Ha un rapporto controverso con la polizia. Sa che lui e i poliziotti combattono dalla stessa parte ma tende a non fidarsi di nessuno e fa tutto da solo anche a costo di infrangere le regole. Dai romanzi che vedono Burma mettere ko il crimine, è stata tratta una serie televisiva nel 1991 di 85 episodi, con protagonista l’attore Guy Marchand, e una serie di graphic novel realizzate da Jacques Tardi, pubblicata con grande successo di critica. La serie a fumetti venne pubblicata inizialmente sulla rivista antologica  “À  Suivre” nel 1981 e poi in volumi cartonati editi da Casterman dal 1982 realizzata da Tardi che ne disegnò le prime cinque storie in cui traspare una Francia messa a nudo con i suoi peccati. La serie venne poi continuata da Emmanuel Moynot e dal 2013 da Nicolas Barral.

2. L’ambientazione in un giallo è molto importante e Malet sceglie, come sempre nei polizieschi in cui Burma è protagonista, Parigi per creare l’atmosfera adatta e plasmare la tensione necessaria per catturare l’attenzione del lettore. Il nostro detective si muove nella Parigi anni ‘50 tra assassini, industriali e politici tutti avidi e con molti scheletri negli armadi. Le sue indagini permettono a noi lettori di percorrere il labirinto della città. Non ci si può perdere seguendo Burma anche se è meglio memorizzare dei punti di riferimento: un bistrò, un marciapiede, il boulevard, i vicoli. Malet non trascura nessuna zona della città anche se Burma predilige i quartieri meno eleganti e non si stupisce mai di niente. Una cosa accomuna tutti i luoghi, sono abitati da uomini che vogliono tenere nascosti i loro peccati e sono disposti a tutto affinchè ciò avvenga.

3. “Nestor Burma e la bambola” è un poliziesco che presenta tutte le caratteristiche che distinguono il genere. Vari delitti, un investigatore, indagini svolte e arresto del colpevole. Il detective non si limita a risolvere il caso ma affronta il pericolo e rimane coinvolto in scontri violenti. Burma è un detective irriverente e freddo. Questo libro è un buon romanzo poliziesco che inizia in modo classico con un omicidio anzi un duplice omicidio. Malet gioca con gli indizi: informa sempre il lettore sugli indizi reali ma anche su quelli falsi mescolando le carte. Il meccanismo dell’intreccio è poi rispettato con personaggi costruiti in modo semplice e schematico. Vittime, assassini, sospettati e investigatori sono tutti presenti. Gli indizi e le tracce sono condivise con il lettore che ha l’opportunità di partecipare alle indagini e la ricerca dell’assassino non è una passeggiata. Il romanzo non contiene descrizioni troppo dettagliate e gode di un susseguirsi di colpi di scena.

4. Vi spiego perché il romanzo mi è piaciuto. Fin dalle prime pagine mi sono sentita coinvolta nelle indagini e ho rivissuto emozioni (come la paura, l’indignazione, la rabbia, il coraggio, il potere) evocate nella storia. Non c’è mai stato un calo di attenzione, più procedevo con la lettura e più ero curiosa di vedere come si risolveva l’indagine. La suspense e la tensione mi hanno tenuta incollata al libro fino all’epilogo. Naturalmente il lato avventuroso della storia mi ha coinvolta, pur rimanendo comodamente seduta sul mio divano ho affrontato manigoldi e assassini! Non c’è mai pace per Burma travolto dal ritmo coinvolgente. Riprende fiato solo in pochi momenti in cui prevalgono i dialoghi e le osservazioni.

5. Leggere questo romanzo è un’opportunità per conoscere lo scrittore francese Léo Malet (nato a Montpellier nel 1909 e morto a Parigi nel 1996). Entrambi i genitori, la madre è sarta e il padre impiegato, muoiono di tubercolosi quando Léo è molto piccolo.rimasto orfano viene cresciuto dal nonno, che lo inizia alla letteratura. A 16 anni si trasferisce a Parigi, conosce André Colomer e si avvicina agli ambienti anarchici. In gioventù esercita diversi mestieri: commesso, operaio, magazziniere da Hachette, venditore di giornali, comparsa e debutta anche come chansonnier. Nel 1931, su invito di André Breton, si lega all’ambiente surrealista. Il suo nome compare nel primo dei dodici manifesti del surrealismo e scrive poesie. Dopo una dura esperienza in un campo di concentramento nazista, nel 1941 inizia a scrivere polizieschi e crea il personaggio del reporter Johnny Métal. Nel 1943 pubblica “120, Rue de la Gare”, con cui esordisce il suo personaggio più celebre, l’investigatore privato Nestor Burma, che sarà protagonista di una trentina di avventura, inclusa un’interessante “Serie nella serie” intitolata “I nuovi misteri di Parigi”. Sarà proprio Nestor Burma a far riscuotere a Malet i primi consensi di pubblico mentre la critica lo riscoprirà parecchi anni più tardi.

“Nestor Burma e la bambola” è un’ottima lettura da mettere in valigia. Vi farà compagnia ovunque voi andiate e vi permetterà qualche ora di lettura spensierata avvolti in intrighi e misteri.

lunedì 24 giugno 2019

RECENSIONE | "L'enigma dell'abate nero" di Marcello Simoni

Esce oggi, per la Newton Compton Editori, un thriller storico pregno di misteri e intrighi : “L’Enigma Dell’Abate Nero” di Marcello Simoni. Simoni ci propone il terzo volume della Secretum Saga ricca di enigmi, colpi di scena e dettagli storici accurati. Leggere un libro di questo scrittore è come viaggiare nel passato alla scoperta di ciò che deve rimanere nascosto. Ora se volete conoscere l’Abate Nero, il ladro Tigrinus e Bianca de’ Brancacci, non vi resta che mettervi comodi e aprire il libro. Dimenticavo di dirvi che c’è anche lui, il grande burattinaio, Cosimo de’ Medici.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 6
L'enigma dell'abate nero 
(Secretum Saga #3)
Marcello Simoni

Editore: Newton Compton
Pagine: 336
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Estate 1461, Mar Ligure. Angelo Bruni, diventato mercante navale e all’occorrenza contrabbandiere, abborda una nave proveniente da Avignone, intenzionato a saccheggiarla. A bordo di quell’imbarcazione, però, si nasconde una spia informata di un complotto ordito ai danni del noto cardinal Bessarione. Deciso a sfruttare a proprio vantaggio quell’informazione, Angelo pianifica di correre in soccorso del prelato, che si trova a Ravenna, per derubarlo delle sue ricchezze con l’aiuto del ladro Tigrinus. Ma l’avventura non andrà come previsto e Tigrinus raggiungerà Ravenna da solo. Qui, però, diventerà inaspettatamente il bersaglio di attacchi incrociati: quelli dei fedeli di Bessarione, convinti che il ladro fiorentino sia un sicario pericolosissimo, e quelli di Bianca de’ Brancacci, inviata a Ravenna da Cosimo de’ Medici. Inseguimenti, catture, fughe rocambolesche: Tigrinus dovrà fare appello a tutta la sua astuzia e al suo ingegno per salvarsi la vita e recuperare la Tavola di Smeraldo, il pericoloso libro che tutti vogliono. E mentre lotta per scampare alla morte scoprirà una verità sconvolgente che riguarda l’inquietante Abate Nero…


Estate 1461. Durante un arrembaggio, in pieno stile corsaro, Angelo Bruni, mercante e all’occorrenza contrabbandiere, scopre una spia informata di un complotto ordito ai danni del noto cardinale    Bessarione. Deciso a ottenere un guadagno da questa informazione, il mercante decide di correre in aiuto del prelato che si trova a Ravenna. Nel piano di Bruni c’è la volontà di derubare delle sue ricchezze il cardinale. Al suo fianco ci saranno il ladro Tigrinus e il nano Caco. Tuttavia i piani non procedono come previsto. A Ravenna Tigrinus diventerà il bersaglio dei fedeli di Bessarione e di Bianca de’ Brancacci. I primi lo credono un sicario pericolosissimo, mentre la gentildonna agisce per conto di Cosimo de’ Medici. Tigrinus dovrà far ricorso a tutta la sua astuzia per salvarsi la vita tra inseguimenti, catture e fughe rocambolesche. Su tutto e tutti si scaglia impietosa l’ombra dell’Abate Nero.

Simoni ci ha ormai abituati a storie dall’animo avventuroso e dai risvolti misteriosi. La sua scrittura coinvolgente ci narra un intreccio fittissimo di crimini e intrighi di metà Quattrocento. Tutto ruota intorno a un antico testo esoterico, La Tavola Di Smeraldo attribuito a Ermete Trismegisto. Tra le sue pagine si nasconde la conoscenza dell’universo, l’antica saggezza della trasmutazione, i segreti del cosmo e della longevità. Se qualcuno dovesse ottenere quella conoscenza, diventerebbe il padrone della vita, una specie di essere sovrumano che potrebbe fare ogni cosa.

Le ricerche e gli enigmi sono iniziati con i primi due capitoli della Secretum Saga ("L’Eredità Dell’Abate Nero" e "Il Patto dell’Abate Nero") che io non ho letto ma ho ugualmente apprezzato il terzo volume senza alcuna difficoltà perchè Simoni ha seminato vari riferimenti alle vicende precedenti e quindi la lettura è risultata fluida e veloce.

I personaggi, alcuni reali altri frutto di fantasia, mi hanno colpito favorevolmente perchè sono lo specchio dell’epoca: si lasciano travolgere dalle ambizioni, dai sentimenti e sono umanamente imperfetti. Tigrinus è impeccabile nel ruolo di ladro coinvolto nella ricerca di tesori nascosti e di viaggi per mare Egli è, come se non bastasse, anche alla ricerca del padre scomparso. C’è poi la bella e affascinante Bianca tutta presa da un prepotente desiderio di vendetta. I personaggi, nessuno è ciò che appare, si muovono tra la Firenze e la Ravenna del Quattrocento e l’autore è bravo nel far trasparire il fervore che si manifesta in tutti i campi dell’attività umana. Scopriremo i retroscena della scalata al potere di Cosimo de’ Medici, primo signore de facto di Firenze. Scalata che non lo vedeva mai diretto protagonista, ma sempre in seconda linea dietro a uomini di sua fiducia. Metteremo il naso negli affari del Banco di famiglia. A rendere tutto ancora più interessante si alternano nel romanzo, ma sempre con studiato equilibrio, fatti veri e fatti verosimili.

Pur essendo un thriller storico, si legge tutto d’un fiato grazie alle capacità dello scrittore di rendere la trama intricata e ricca di colpi di scena. Molte cose sono però ancora avvolte da un mistero che incuriosisce. Mi ha positivamente incuriosita un argomento del tutto nuovo che Simoni affronta con cura e dovizia di particolari: la Ravenna tardomedievale di cui ricostruisce la dimensione urbanistica, topografica, spirituale e politica, una città che nel xv secolo attraversò un periodo davvero singolare. Singolare anche una tecnica di avvelenamento descritta in questo romanzo, ispirata ad alcuni effetti d’intossicazione ambientale. Il finale è aperto, aspetterò con ansia il seguito anche perché voglio ritrovare il protagonista, il ladro Tigrinus, e vorrei conoscere più a fondo la veste insolita in cui viene presentata Firenze come città dell’economia, dei banchieri e del denaro.

giovedì 20 giugno 2019

RECENSIONE | "Avviso di chiamata" di Delia Ephron

Buongiorno carissimi lettori, oggi vorrei proporvi un libro fresco di stampa: “Avviso di chiamata” di Delia Ephron, sorella della famosa Nora e insieme a lei autrice di film indimenticabili come “ C’è posta per te”. Il romanzo fa parte della collana Le strade della Fazi Editore.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Avviso di chiamata
Delia Ephron (traduzione di E. Budetta)

Editore: Fazi
Pagine: 334
Prezzo: € 17,50
Sinossi
Eve Mozell è un'organizzatrice di eventi quarantaquattrenne che vive a Los Angeles. Quella da cui proviene è una famiglia di eccentrici artisti. Da tempo la madre ha lasciato il padre per un altro uomo e, ora che lui è divenuto anziano, tocca a lei farsene carico, insieme alle sue sorelle: la maggiore, Georgia, estrosa e brillante, è la direttrice di un'importante rivista e trasforma in moda qualsiasi cosa indossi o dica; la minore, Maddy, è un'attrice stralunata alle prese con una gravidanza imprevista e il conseguente licenziamento dalla soap opera in cui lavora. Il padre, con il suo alcolismo, i suoi episodi maniaco-depressivi, i suoi tentativi di suicidio e le sue assurde storie d'amore e di sesso, è un disastro. Ma Eve ha anche altri problemi: gli impegni lavorativi, le preoccupazioni per il figlio adolescente, l'angoscia per il proprio declino fisico. Per questo esistono le sorelle: nonostante le gelosie e le incomprensioni, basta alzare la cornetta del telefono per trovare un po' di sollievo... 






Tra noi sorelle va sempre così. Ore attaccate al telefono, vite aggrovigliate, ma quando ci ritroviamo  davvero faccia a faccia ci tratteniamo. Mio padre può scoppiare a piangere facilmente. È sdolcinato. Ma noi abbiamo preso da nostra madre. Non siamo tipi da smancerie.
La voce narrante è quella di Eve Mozell, organizzatrice di eventi che vive a Los Angeles. La famiglia da cui proviene è formata da eccentrici artisti. Da molti anni la madre è andata via da casa abbandonando il marito per un altro uomo. Ora che lui è diventato anziano e malato, tocca a Eve e alle sue sorelle farsene carico. Georgia, la maggiore, è estrosa e brillante. È la direttrice di un’importante rivista e trasforma in moda qualsiasi cosa indossi. La sorella minore è Maddy, l’unica che mantiene i rapporti con la madre. È un’attrice stralunata che, a causa di una gravidanza imprevista, viene licenziata dalla soap opera in cui lavora. Il padre è un uomo difficile e fragile con il suo alcolismo, i suoi episodi maniaco-depressivi, i suoi maldestri tentativi di suicidio e le sue storie d’amore. Eve, oltre a occuparsi del padre, deve affrontare gli impegni lavorativi, le preoccupazioni per il figlio adolescente, l’angoscia per il proprio declino fisico. In questo mare in tempesta l’ancora di salvezza è il telefono che le permette di comunicare con le sorelle. Infatti, nonostante le gelosie e le inevitabili incomprensioni, basta alzare la cornetta dell’apparecchio telefonico per trovare un po’ di pace.

“Avviso di chiamata” è un romanzo intenso, sincero, tenero, a volte irriverente, che mette in primo piano le nostre debolezze, le nostre paure e sofferenze. Il romanzo, che ha molto di autobiografico, vede l’autrice svelare molti retroscena sulla famiglia Ephron mescolando abilmente toni brillanti a quelli malinconici. L’allegria e la tristezza fanno parte della vita delle tre sorelle, scandita dalla tradizione come il Natale e il giorno del Ringraziamento. È un viaggio nella malattia e nell’atavica necessità d’amore. La famiglia non è “un nido felice” ma un luogo dove, a volte, è difficile vivere. Il libro è scorrevole e vivace trattando temi come il rapporto tra padre e figlia, la vecchiaia, la malattia, la famiglia e il lavoro.

Il padre è sempre stato una persona difficile. Era un alcolizzato bipolare e ora ha anche la demenza senile. Le figlie hanno lasciato ben presto la casa natia per andare lontano e non dover affrontare la quotidianità con un padre e una madre in perenne litigio. La vita però non si ferma, procede a lunghe falcate e arriva il momento in cui i genitori hanno bisogno dei figli.

La demenza senile non guarda in faccia a nessuno. Tuttavia dietro a ogni problema, scriveva Galileo Galilei, si cela un’opportunità. La sensibile Eve sente in sé due forze che la dilaniano: vorrebbe fuggire dal compito di assistere il padre e non riesce a staccarsi dal genitore ammalato. Non vuole rimanere intrappolata nel ruolo di figlia badante ma non può e non vuole abbandonare il padre che spesso non si ricorda di lei e anzi sostiene di non aver figli.

È una sfida al femminile quella di occuparsi di un anziano genitore e accudire un figlio adolescente. Lo sa bene la protagonista divisa tra la voglia di libertà e i sensi di colpa per aver pensato al proprio padre come a un peso. Anche le sorelle fanno il possibile per aiutare Eve ma è sempre lei in prima linea. C’è un legame tra padre e figlia che va oltre la malattia e si chiama “amore”. Quando tutto diventa complicato, praticamente sempre, il telefono le permette di parlare con le sue sorelle salendo su una giostra di avvenimenti, informazioni, pensieri ed emozioni.

Nel bene come nel male, l’autrice mostra l’umanità dei personaggi, le ragioni psicologiche che mettono in luce comportamenti che possono sembrare innaturali ma non lo sono. Non rispondo al telefono perché ho paura che mi dicano che mio padre è morto. Se non rispondo non so nulla quindi mio padre è ancora vivo! Oppure tutto l’opposto: la morte ci può liberare da una situazione più grande di noi.

Magari esprimiamo questo concetto con le parole ma mai con il cuore. La mente e il cuore percorrono vie diverse, quante volte abbiamo detto cose che non pensavamo veramente? Le tre sorelle super impegnate del romanzo dovranno affrontare tante difficoltà, ognuna lo fa come può. A volte si scappa dai propri doveri inventando mille scuse. Non ci sono eroi in questa storia ma personaggi vivi che si muovono tra conflitti emotivi subito messi in luce dall’autrice.

Nessuno è perfetto, i difetti sono le crepe dell’armatura sociale che indossiamo e spesso diventano ciò che di noi ama chi ci sta a fianco. È facile amare i pregi, difficile amare le imperfezioni. Le nostre protagoniste di difetti ne hanno una gran quantità ma sono pronte a perdonarsi reciprocamente anche se ci sono stati momenti difficili durante il cammino della vita. Le sorelle sono come pietre miliari. Gli amici cambiano, gli innamorati se ne vanno ma loro restano lì pronte ad aiutarsi. Non lasciatevi però ingannare, a volte la relazione tra sorelle oscilla tra la rivalità e l’affetto più intenso. Nascono profonde rivalità perché ci si contende l’amore dei genitori, perché c’è sempre la sorella perfetta mentre le altre si sentono meno attraenti, meno eleganti, meno interessanti. Odio e amore camminano tenendosi per mano. Più si ama una persona, più si soffre se ci offende e ci esaspera. Discutere di ciò che si prova è la soluzione migliore magari alzando la cornetta del telefono e digitando il numero così familiare.

Il telefono diventa coprotagonista di questa storia, moderno traghettatore di emozioni e lamentele e le protagoniste sembrano proprio maniache di questo mezzo di comunicazione. Si chiama con facilità e con altrettanto facilità sono assenti nei momenti importanti. Il libro mi è piaciuto perché non nasconde la difficoltà di un momento così drammatico come la malattia di un genitore. C’è chi si fa in quattro e chi latita senza mai sentirsi in colpa. Misteri della vita!

martedì 18 giugno 2019

RECENSIONE | "La casa del manoscritto maledetto" di Claudio Aita

Dopo aver apprezzato il thriller  “Il monastero dei delitti” (recensione), ho letto con vivo piacere un’altra avventura che vede protagonista Geremia Solaris, un personaggio decadente che io oserei definire “la voce della nostra coscienza”. Il nuovo romanzo è “La casa del manoscritto maledetto” di Claudio Aita, Newton Compton Editori.

Questo libro non è solo un buon thriller, non vi procurerà solo angoscia e brividi sulla pelle ma vi darà l’occasione per riflettere sul problema del male. Purtroppo che il male esista è una gran verità e mi attrae il modo in cui Geremia Solaris si avvicina a una visione della vita colma di amarezza. Le sue riflessioni non sconvolgeranno nessuno ma riporteranno temi noti su cui, forse, non ragioniamo più. Se eliminassimo le guerre, la violenza, se rispettassimo i diritti di tutti, se prestassimo attenzione all’agonia del nostro Pianeta morente, pensa Geremia, la terra potrebbe essere un paradiso. Sicuramente l’uomo dovrebbe mutare i propri comportamenti vivendo in pace con il suo prossimo. Aita, tramite Solaris, ci ricorda che l’uomo deve fare i conti con la presenza reale del male anzi esiste un connubio tra uomo e male. Intesa che nessuno riesce a scalfire ma, forse, questa affermazione non è del tutto vera. Qualcuno al male si è opposto ma non ha fatto una bella fine. 

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La casa del manoscritto maledetto
Claudio Aita

Editore: Newton Compton
Pagine: 346
Prezzo: € 7,90
Sinossi
Geremia Solaris ha cinquant'anni e non ha ancora rimesso in sesto la sua vita: si attribuisce la colpa per la morte della moglie, non riesce a pubblicare il suo romanzo e la bottiglia di Chianti è l'unica amica fedele che gli è rimasta. Un giorno si presenta alla porta dello studioso un avvocato che intende assumerlo per conto di un uomo misterioso. Incuriosito, Geremia lo segue in una villa nel circondario di Firenze e qui incontra il conte Guidi, prossimo a morire, ma deciso a ritrovare suo figlio, sparito in circostanze misteriose. Il conte sostiene che è stato ammaliato da una giovane donna, che deve averlo indotto a svuotare il conto in banca e fuggire. Ma la presenza di Geremia è cruciale perché nell'appartamento dell'uomo è stato rinvenuto il Libro delle Evocazioni, un antico manoscritto di magia nera. Il conte teme che l'incolumità di suo figlio sia a rischio e vuole ricorrere alle abilità di Geremia per ritrovarlo. Lo ritiene, infatti, l'unico in grado di decifrare l'antico volume. Quello che Geremia non sa è che accettare significherebbe, una volta ancora, mettere la sua vita in grave pericolo.


Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.  (Genesi 6, 5-6)
Perdere la speranza non è una gran bella cosa e anche se tutto rema contro l’ottimismo umano, una piccola speranza c’è. In una terra dove il male prospera rigoglioso, ecco spuntare una tenera piantina. È la speranza in un domani migliori, in una vita più semplice e vera, in un amore puro e semplice. A noi curare quella piantina!

Sui muri della civilissima Firenze, appaiono strani simboli legati ad antichissimi riti sanguinari. Simboli del colore del sangue. Simboli del male che ricostruiscono una mappa dell’orrore. Cosa rappresentano e cosa sta per accadere?

Geremia Solaris, un tempo studioso e uomo brillante, dopo varie disillusioni e fallimenti, a cinquant’anni, si ritrova senza soldi, senza lavoro, con l’unica compagnia di una bottiglia di Chianti. In lui alberga tenace un profondo senso di colpa per la morte della moglie. Un giorno un avvocato si avvicina a Geremia proponendogli un incontro con un uomo misterioso che ha bisogno di lui. Solaris, incuriosito, va all’incontro e conosce il conte Guidi, prossimo alla morte, deciso a ritrovare suo figlio sparito nel nulla. Per Geremia inizia un viaggio diabolico fra antichi riti blasfemi, divinità che sembrano dimenticate da millenni, logge massoniche, sette sataniche e oscure leggende. Tutto ruota intorno a un codice maledetto che riporta sulla copertina quel simbolo apparso sui muri della città. Per scoprire la verità Geremia dovrà scendere nei sotterranei di Firenze dove si celano oscure verità. Un fiume di sangue attende il nostro studioso, un fiume alimentato dal male che si nutre di sangue innocente.
 Anima pro anima, sanguine pro sanguine, vita pro vita.
Giusto per incuriosirvi ecco il mantra infernale che fa da trait d’union tra le varie vicende che arricchiscono una storia ben scritta e dall’architettura infernale. L’uomo è sempre stato sedotto dal fascino del male, dell’immortalità, della ricchezza oltre ogni limite. Il mondo è sempre stato pieno di persone folli e credulone. Se poi queste persone  dispongono della capacità economica e del potere per realizzare i loro sogni, allora le cose si complicano e nascono veri problemi. Lo scrittore ambienta anche questo thriller nella bellissima Firenze dando risalto, però, al lato buio della città in cui c’è un rapporto molto stretto tra satanismo e massoneria. Alla Firenze splendente con i suoi magnifici tesori d’arte, si contrappone una città viva nel sottosuolo dove c’è un labirinto di cunicoli che si perdono nelle viscere della città del giglio. Qui si trovano le tombe di esseri sospesi tra la vita e la morte, esseri con una sete inestinguibile di sangue umano. Leggende? Chi sono “coloro che vivono nell’ombra”? A Geremia l’ardua sentenza.

“La casa del manoscritto maledetto” è un romanzo dall’anima nera che si muove procedendo a piccoli passi. Il lettore non può sottrarsi dal seguire la mappa del male che lo scrittore tesse con abilità intrecciando false piste, sospetti, cattivi presagi, oscuri simboli collegati ad antichi culti sanguinari. Leggerete di sorprendenti scoperte e molte certezze, soprattutto in ambito religioso, verranno messe in dubbio. L’uomo è in perenne ricerca “dell’autentica conoscenza”. Le verità assolute non esistono. Esistono il male e il bene. Si combattono da sempre e procedono l’uno affianco all’altro. Dal cielo all’inferno la lotta continua.

mercoledì 12 giugno 2019

BLOGTOUR | "Attacco dalla Cina" di Michael Dobbs | La guerra cibernetica

La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Il caos è la continuazione della guerra con mezzi ancora migliori.
Cari lettori, il 13 giugno uscirà in libreria “Attacco dalla Cina" di Michael Dobbs, traduzione di Giuseppe Marano, collana Darkside, Fazi Editore. Si tratta di un nuovo thriller politico mozzafiato scritto dall’autore della serie “House of Cards”. Dopo “Il giorno dei Lord”, proseguono le avventure di Harry Jones, integerrimo e insolente ex militare pluridecorato. Anche in questo romanzo, come nel precedente, lo scrittore racconta la politica senza mitigare il suo essere crudele e spietato. Dobbs descrive la grandezza della politica ma anche i suoi compromessi, i suoi retroscena. Non c’è monotonia nella sua narrazione intrisa di passione e abilità. Egli dipinge con brio gli avvenimenti che s’incastrano in un’avventurosa storia di uomini potenti e crudeli, di spie immolate sull’altare della politica, ma anche di uomini coraggiosi e onesti.

In questa tappa del blogtour per la presentazione di “Attacco dalla Cina”, avrò il compito di trattare un argomento spinoso ma affascinante: La guerra cibernetica.


Attacco dalla Cina
(Serie di Harry Jones #2)
Michael Dobbs (traduzione di G. Marano)


Editore: Fazi | Prezzo: € 16,00 
Sinossi
Il mondo è sull'orlo del baratro: la Cina minaccia un attacco cibernetico di proporzioni inaudite al cuore dell'Occidente. I cinesi si preparano all'assalto finale contro i loro vecchi nemici, per metterli in ginocchio con una guerra che non vedrà sparare un solo colpo. I computer sono subentrati ai missili e basta un clic per scatenare il disastro globale: la guerra cibernetica annienta le nazioni staccando le linee energetiche, paralizzando i mercati finanziari, privando i leader di autorità. Per scongiurare il pericolo il primo ministro britannico convoca un ristrettissimo gabinetto che comprende la presidente usa, il presidente russo e l'immancabile Harry Jones, i quali si riuniscono in un castello in Scozia. Hanno un fine settimana per salvare il pianeta, e devono farlo da soli. Nel frattempo, a Pechino avvengono fatti preoccupanti: manovre militari, truppe sulle strade. Ma i leader riuniti nel castello scozzese, completamente isolati dal resto del mondo e distratti da una serie di dinamiche interpersonali, devono affrontare un pericolo assai più vicino...



LA GUERRA CIBERNETICA

La storia inizia con il mondo sull’orlo del baratro. La Cina minaccia un attacco cibernetico di proporzioni inaudite al cuore dell’occidente. I cinesi vogliono vendicarsi di tutti i loro nemici storici, vogliono metterli in ginocchio senza sparare un solo colpo. Basterà un click per scatenare il disastro mondiale.
L’arte suprema della guerra è quella di sottomettere il nemico senza combattere.
(Sun Tzu)
L’uomo ha sostituito i missili con i computer e la guerra cibernetica non risparmierà nessuno staccando le linee energetiche, entrando nel cuore delle centrali nucleari, paralizzando i mercati finanziari. Per scongiurare tutto ciò, il primo ministro britannico convoca un summit che comprende la presidente USA, il presidente russo e l’immancabile Harry Jones. I “potenti” si riuniscono in un castello in Scozia, hanno solo 48 ore per salvare il mondo e devono farlo da soli. I leader, isolati da tutto e da tutti, devono trovare un accordo, fare fronte comune verso una minaccia sempre più concreta. Però, mentre loro discutono e si guardano con diffidenza, la minaccia si trasforma in realtà. La guerra cibernetica ha inizio.

L’uomo dipende in tutto e per tutto dai computer e ciò lo rende sempre più vulnerabile. Tutto è ormai controllato dalla rete e gli attacchi hacker avvengono ma noi non lo sappiamo. Forse già esiste un cyber esercito pronto a mandare il mondo in corto circuito con segnali sbagliati e informazioni false.
Non ci sarebbero stati cannoni in quella guerra, né missili, né scie di condensazione che si allungavano nei cieli come dita accusatrici, nessuna di quelle esplosioni distruttive e di quelle improvvise vampate di oscurità che ci si aspetterebbe. Nemmeno un urlo. Non ci fu niente, solo un timido picchiettare di tasti su una tastiera da quattro soldi. Ma non ci s’inganni: era guerra, e avrebbe portato il mondo sull’orlo del baratro. E la genialità del tutto era che nessuno se ne sarebbe reso conto.
La guerra cibernetica fa del computer la sua arma ideale per paralizzare, ingannare e distruggere il nemico. Per gettare nel caos ogni sistema di controllo provocando guasti, manipolando il funzionamento e mandando in tilt ogni cosa. Ogni chip diventa letale, la guerra si muove sinuosa nel buio dei circuiti e non si sa nemmeno che sta avanzando, non si ha la percezione del pericolo finchè non è troppo tardi. Basta impadronirsi dei sistemi informatici che controllano il mondo e tutto verrà paralizzato. Non c’è una vera e propria dichiarazione di guerra, ma una serie di incidenti che gli hacker provocano. Incidenti che hanno lo scopo di indebolire la volontà del nemico e la sua capacità di reagire. Sottomettere il nemico con la paura è il risultato di un’operazione di guerra perfetta e la guerra cibernetica è una lotta informatica. Vincere senza combattere, senza sganciare bombe o muovere eserciti. Lo sapete che, a livello strategico, lo spazio cibernetico è considerato il più recente ambiente di guerra? Il quinto dominio dopo terra, mare, cielo e spazio.

Esistono vari tipi di attacco nella guerra cibernetica.

Attacco a infrastrutture critiche come i servizi energetici, idrici, di combustibili, di comunicazioni, commerciale, dei trasporti e militari.

Vandalismo web, attacchi che hanno il fine di modificare pagine web o rendere inagibili i server.

Raccolta dati che favorisce lo spionaggio rubando informazioni riservate ma non adeguatamente protette.

Intralcio alle apparecchiature, qualsiasi ordine e comunicazione può essere intercettata e cambiata.

Tutto ciò non è fantascienza, è realtà.

I virus informatici sono i nuovi soldati, una tastiera e un codice malvagio le nuove bombe atomiche. I nuovi giganti potrebbero essere gli stati più deboli ma con tecnologie avanzate, basta riuscire a penetrare le difese avversarie solo una volta. Il nemico rimane nell’ombra, non è rintracciabile con precisione. Astuzia, velocità e creatività sono le nuove pallottole usate dai cyber-soldati. Un click potrebbe innescare un nuovo conflitto. L’uomo non ha imparato nulla dalle guerre mondiali. Parla di pace e prepara la guerra. Distruzione, stragi, paura e miseria diventano frammenti di incubi diventati realtà. I politici di tutto il mondo dovrebbero riflettere tanto, ma proprio tanto, prima di parlare. Dovrebbero chiedersi se ciò che stanno per dire sia la verità, se è cosa buona e se è indispensabile dirlo. Quanti conflitti si potrebbero evitare!

L’umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all’umanità.
(John Fitzgerald Kennedy)

giovedì 6 giugno 2019

RECENSIONE | "Favola di New York" di Victor LaValle

Carissimi lettori, oggi vorrei attirare la vostra attenzione su un libro dalla trama carismatica: “Favola di New York” di Victor LaValle, Fazi Editore. È un romanzo che indaga le paure dei nostri giorni e che affonda le sue radici nella realtà per poi proiettarsi in un mondo metafisico dove tutto è possibile. Leggerete di normale quotidianità che s’intreccia con il mito e la leggenda. Non potrete sottrarvi al suo potere ipnotico e inizierete un arduo percorso verso luoghi misteriosi, luoghi dove il terrore regna sovrano ma che vi regaleranno la possibilità di un viaggio straordinario in bilico tra ragione e follia.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Favola di New York
Victor LaValle (traduzione di S. Terziani)

Editore: Fazi
Pagine: 512
Prezzo: € 20,00 
Sinossi
Il piccolo Apollo, figlio della New York di oggi, cresce con la madre, giovane single di origini ugandesi. Il padre, che è sparito nel nulla, gli ha lasciato solo una scatola di libri e uno strano incubo ricorrente. Da grande, Apollo diventa un commerciante di libri antichi e si innamora della bibliotecaria Emma, insieme alla quale ha presto un figlio. Ma il nuovo arrivato incrina l’idillio della coppia: lui rivive l’abbandono del padre e, alle prese con i propri fantasmi, fatica a comprendere che in lei qualcosa è cambiato. Emma si comporta in modo strano, è sempre più distante e insofferente fino a quando, un giorno, compie un gesto indicibile. Quanto possono essere oscuri i segreti delle persone che più amiamo? Inizia così l’avventura di Apollo alla ricerca della verità su quell’atto terribile: un viaggio che lo porterà su un’isola misteriosa nel cuore della metropoli dove accadono cose al di là di ogni immaginazione e dove la vita quotidiana in una modernissima New York si sospende per lasciare spazio al mito e alla leggenda.


I vampiri non possono entrare in casa tua a meno che tu non li inviti, e postare qualcosa è come lasciare la porta aperta e invitare i mostri a entrare.
Con ritmo vivace intriso di romanticismo, inizia la storia d’amore tra Lillian Kagwa e Brian West. Siamo a New York, nel lontano 1968, e i due ragazzi, entrambi emigranti, decidono di unire i loro destini per sempre. Si amano e hanno un figlio, che chiameranno Apollo, ma all’improvviso tutto cambia. Avevano vissuto per alcuni anni felici e contenti ma il “per sempre” non è una caratteristica dei sentimenti umani. Brian va via di casa. Apollo cresce senza un padre, diventa un mercante di libri rari e sposa Emma, una bibliotecaria.
Un pensiero, un’idea, un sogno condiviso; essere genitori è una storia che si comincia a raccontare in due.
La favola ricomincia, Emma e Apollo vivono un amore magico e assoluto. Niente cuori infranti, forse la felicità esiste, forse. Dal loro amore nasce un figlio che chiamano Brian, come il nonno scomparso. Così, giorno dopo giorno, la loro felicità cresce, Brian cresce, la sensazione di essere invincibili indossando l’armatura della felicità cresce, ma la catastrofe è dietro l’angolo. Anche questa volta “il vissero felici e contenti” si rivela un’enorme bugia. Nella storia si spegne la luce dei bei sentimenti e di un futuro meraviglioso per lasciare il posto al buio e all’orrore.

“Favola di New York” è un romanzo affascinante e inquietante che cattura e ammalia. All’inizio ho pensato si trattasse di una storia d’amore poi ho iniziato a cogliere i sintomi di una tragedia imminente come se un serpente strisciasse tra le pagine pronto a mordere. E come un serpente anche la verità cambia pelle, si trasforma e non è più liscia e lucente ma buia e fredda. Tutti indossano una maschera per nascondere il vero volto dell’uomo che si è lasciato affascinare dalla modernità, dalla tecnologia e non vede più il mostro nascosto nell’ombra. Ed è proprio l’ombra degli errori del mondo a condurci in un luogo metafisico dove il razionale, il reale, il concreto svaniscono e i mostri, loro sì, diventano reali.

Un tempo, si narra, i mostri non potevano varcare la soglia di casa se tu non li invitavi ad entrare. Oggi non è così. La tecnologia ci ha regalato una casa senza mura, senza finestre da chiudere. Il computer, il cellulare sono diventati le abitazioni dell’uomo. Lì raccontiamo ogni minuto della nostra vita e della vita dei nostri figli. Condividiamo tutto. Più foto, più like. Più like, più ci sentiamo bene. Abbiamo bisogno di quel momento di gloria che vede aumentare il numero dei nostri like e siamo pronti a salutare con la manina la nostra privacy. Il mondo virtuale ci fagocita, è la trappola in cui siamo tutti caduti perdendo di vista la vita reale. I genitori non sono da meno quando, orgogliosi come non mai, postano foto dei loro figli e condividono, con perfetti sconosciuti, ogni informazione. Anche solo una foto può rimanere online per sempre e non sappiamo nulla del percorso che la foto può fare nel web.

Al di là della realtà esiste un mondo di ombre in cui i mostri vivono la “tecnologia” e sono in agguato pronti a seguire le orme che noi lasciamo. Quando il mostro si palesa noi rimaniamo sconvolti e ci trasformiamo, a nostra volta, in eroi pronti a tutto per salvare chi amiamo.
Se devi salvare la persona che ami, diventi una persona diversa, ti trasformi. L’unica magia è in quello che siamo capaci di fare per le persone che amiamo.
“Favola di New York” è un romanzo camaleonte che vi offrirà le sue tante sembianze come in una danza magica intorno al fuoco che proietta mille ombre sul viso dei partecipanti. Allora lasciamoci conquistare dalla scrittura magnetica di Victor LaValle e riflettiamo sui molteplici temi trattati nel romanzo: le ansie e le difficoltà che i genitori devono affrontare, il valore psicologico delle favole che tutti abbiamo ascoltato da bambini e che ora raccontiamo ai nostri figli.
"Vissero felici e contenti". Ti rendi conto dei danni che hanno arrecato all’umanità queste quattro parole?
La vita è un continuo cambiamento nulla è “per sempre”. La felicità, per chi ha la fortuna d’incontrarla, non è mai “per sempre”.
Una brutta fiaba ha sempre qualche maledetta morale. Una grande fiaba dice semplicemente la verità.
Quindi non ci resta che ricordare come “c’era una volta” e c’è ancora, l’uomo con le sue paure, i suoi desideri e i suoi sogni custoditi in fondo al cuore. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che l’uomo nero non morirà mai! Si nutre delle nostre paure e anche questa volta, alla fine del romanzo, fa una bella riverenza a noi lettori e scompare. Attenti però, la felicità per la sua scomparsa è solo momentanea. Essere felici è un attimo, è il presente, è l’oggi, mai il domani.