venerdì 29 maggio 2020

RECENSIONE | "Il gioco della vita" di Mazo de la Roche

Dal 28 maggio è disponibile nelle librerie “Il gioco della vita”, secondo volume della serie “Jalna” di Mazo de la Roche. Grazie a Fazi Editore abbiamo conosciuto la famiglia Whiteoak, i protagonisti di una saga familiare amatissima che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Il gioco della vita
(Saga di Jalna Vol. 2)
Mazo de la Roche

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Sinossi

È trascorso un anno da quando abbiamo lasciato la turbolenta Jalna. Eden è scomparso e non si hanno più notizie di lui, Alayne è tornata a New York, Pheasant ha avuto un figlio da Piers e lo ha chiamato Maurice, come suo padre. Ritroviamo la famiglia riunita attorno al tavolo davanti a un invitante soufflé al formaggio e una bottiglia di rum di quelle buone per gli uomini. Manca solo Adeline. La nonna ormai passa la maggior parte del tempo a letto: quello stesso letto che è stato testimone di concepimenti, nascite e addii, e che ora sembra attendere un commiato. Difficile credere che la complicata trama tessuta da Adeline nelle stanze di Jalna possa squarciarsi. Ma una preoccupazione domina su tutte: a chi andrà l’eredità? Per tenere tutti in pugno, la furbissima nonna ha dichiarato che sarà destinata a una sola persona. Così, fra gelosie e sospetti reciproci, scatta la rincorsa all’ingente patrimonio: finirà forse nelle mani di Renny, per cui tutte le donne, nonna compresa, perdono la testa? O il fortunato sarà Nicholas, il più anziano, il figlio preferito? O l’adorabile piccolo Wakefield? Nel frattempo, il giovane Finch ha ben altro a cui pensare e coltiva in gran segreto la sua passione per le arti nell’attesa di entrare finalmente a far parte del gruppo degli uomini Whiteoak, mentre Renny non riesce a dimenticare l’affascinante Alayne, che tornerà a rimescolare le carte.



Quando la calma e la disciplina della notte ebbero placato la turbolenta Jalna, l’antica dimora sembrò rannicchiarsi al riparo del tetto come un vecchio sotto le coperte. La casa parve raggomitolarsi, chiudendosi in se stessa. […] L’oscurità la avvolse come una trapunta, e lei si lasciò andare con tutto il proprio peso contro la terra. E, mentre un nuovo sogno si aggiungeva alla sua già ricca scorta, i pensieri e i movimenti dei suoi abitanti vagavano come ombre da una stanza all’altra.
È trascorso un anno da quando abbiamo lascito la turbolenta Jalna. Ritroviamo la famiglia riunita attorno al tavolo davanti a un invitante soufflé al formaggio e una bottiglia di rum. Manca solo nonna Adeline, 101 anni, che ormai passa la maggior parte del tempo a letto. Tutti si preoccupavano per la sua salute, erano gentili e premurosi, sempre pronti a soddisfare ogni desiderio dell’anziana matriarca. Ma una domanda serpeggiava tra tutti: a chi andrà l’eredità?
La morte della mamma! Il pensiero della sua dipartita non era mai scevro da un brivido di apprensione, dovuto innanzitutto alla paura di perderla, e poi alla prolungata incertezza riguardo al destinatario dell’eredità. Lei non aveva fornito neppure un vago indizio. Le era bastato far sapere che il testamento riguardava un membro solo della famiglia. Ecco come, anno dopo anno, aveva conservato intatto l’ascendente su tutti loro. Tenendoli in sospeso.
Quindi per tenere tutta la famiglia in pugno, la furbissima nonna aveva dichiarato che l’eredità era destinata a una sola persona. Scattano così gelosie e sospetti reciproci. Il prescelto sarà forse Renny, per cui tutte le donne, nonna compresa, perdono la testa? O il fortunato sarà Nicholas, il più anziano, il figlio preferito? O l’adorabile Wakefield? Intanto il giovane Finch coltiva in gran segreto la sua passione per le arti. Complicati gli uomini Whiteoak! Sempre pronti ad affrontare la vita guardano negli occhi le difficoltà, nascondono passioni e si tormentano per amori impossibili. Il destino, però, ama mescolare le carte e l’affascinante Alayne tornerà a Jalna.

La cassetta degli attrezzi, da cui attinge questo romanzo, si compone di rivalità, relazioni intricate e segreti affari di cuore. La saga, si compone di ben 16 volumi, propone per ogni libro delle storie ricche di personaggi e di eventi. La famiglia Whiteoak ha una spiccata attenzione per ciò che riguarda la concretezza della vita. Tra tutti risalta il personaggio di Renny, grande seduttore che nasconde un animo gentile e non riesce a dimenticare l’affascinante Alayne. In questo capitolo della narrazione, approfondiamo la conoscenza con il giovane Finch che ama la musica e il teatro. In famiglia nessuno apprezza la sua profonda sensibilità. Finch ama suonare il pianoforte e mentre le sue dita volano veloci sulla tastiera, lui dimentica le difficoltà della sua esistenza e si sente libero. Ogni nota è un colore con cui dipinge il suo futuro ma la realtà lo vede come un giovane uomo impacciato, buono a nulla, incompreso. La vita è sempre una sfida e non tutti sono pronti ad affrontarla a muso duro. Finch ammette di aver paura della vita e mentre tutti lo ignorano, nonna Adeline inizia a parlare con lui incoraggiandolo.
Paura della vita? Ma che sciocchezza! Un Court che ha paura della vita? Non lo tollero. Non devi aver paura della vita, devi prenderla per le corna, afferrarla per la coda, stringerla dove è più facile che ti sfugga: devi farle paura. Io ho fatto così.
Ed è proprio nel personaggio di Finch che la scrittrice si rivede condividendo le difficoltà del crescere, del diventare adulti difendendo le proprie aspirazioni.

La famiglia Whiteoak è profondamente legata a Jalna, una tenuta vastissima nel cuore della natura canadese. Il nome deriva da una città indiana dove Adeline Court e il suo defunto marito avevano vissuto l’inizio del loro amore. In nome di Jalna i Whiteoak sacrificano amori, desideri, passioni. Tra le stanze dell’antica dimora scorre la vita dei Whiteoak e sulla scena si alternano gli abitanti di Jalna. La nonna, la monumentale, sinistra, polena sulla prua della nave da guerra di Jalna! Gli uomini della famiglia sempre duri con gli altri e con se stessi. Giovani nipoti che cercano il coraggio per muovere i primi passi sul cammino della vita. Tutti hanno la loro storia da raccontare nel gioco della vita. Dolori mai placati, matrimoni ostacolati, gelosie, segreti si nascondono nel paesaggio idilliaco di Jalna. I boschi, i tortuosi sentieri, i piccoli laghi rappresentano una protezione dal mondo esterno e ogni elemento di disturbo viene allontanato. La vita, però, non è mai semplice. Le complicazioni sono ovunque e non bastano paesaggi incantati per tenerle lontane. Il destino ama mescolare le carte e gioca con tutti, nessuna eccezione.

Con prosa leggera ed elegante, venata da un delizioso sguardo ironico, Mazo de la Roche narra una storia dal fascino senza tempo. Una saga familiare densa di legami forti. Una lettura incalzante, coinvolgente, che vi ruberà un sorriso e velerà di lacrime i vostri occhi. Entrare nel mondo di Jalna vuol dire affrontare se stessi liberando la parte repressa che è in noi, vuol dire libertà di sognare, di crescere con sensibilità senza sentirsi inetti. Vuol dire non fermarsi davanti alle difficoltà. Vuol dire essere disposti a rischiare svelando le nostre debolezze.

Mi piace quando i rapporti interni di una famiglia vengono messi a nudo. Si scoprono luci e ombre di ogni componente, i legami spesso si rafforzano ma qualche volta vaccillano fino a spezzarsi. Nessuno è perfetto, i cuori battono indipendentemente dalla nostra volontà nutrendo drammi e sorrisi, avventure e sogni.

L’universo dei Whiteoak è sempre in movimento, fuori dagli schemi, perso nel suo continuo divenire e sempre in bilico fra tradizioni e trasgressioni, discriminazioni e desideri, tradimenti e riconciliazioni, sottomissioni e libertà. 

Ora non mi resta che spargere un velo di polvere magica affinchè il tempo voli in attesa della prossimo appuntamento con la famiglia Whiteoak.

martedì 26 maggio 2020

BLOGTOUR | “Primo piano sul cadavere" di Léo Malet | I 5 motivi per leggere il romanzo

Con “Primo piano sul cadavere”, il 28 maggio torna nelle librerie italiane lo scrittore Léo Malet. Il romanzo, un poliziesco avvincente e intrigante, è pubblicato da Fazi Editore nella Collana Darkside. Questa nuova indagine segna il ritorno del detective privato Nestor Burma nato dalla fantasiosa penna dello scrittore francese.




Primo piano sul cadavere
Léo Malet

Editore: Fazi

Prezzo: € 15,00
Sinossi
Cosa ci fa Nestor Burma in uno studio cinematografico, tra le mani di un truccatore russo che riesce a rendere il suo volto irriconoscibile? Sta lavorando, naturalmente: ha bisogno di celare la sua identità per poter sorvegliare e proteggere il suo cliente del momento, il noto attore Favereau, che ha ricevuto misteriose minacce di morte. Burma sospetta che la star del cinema abbia abusato fin troppo del suo fascino di tombeur de femmes, inimicandosi il padre di una ragazza sedotta e poi abbandonata, morta nel tentativo di abortire. Ma il nostro non avrà il tempo di verificare le sue intuizioni, perché l’attore muore improvvisamente sotto i suoi occhi. Il lavoro di sorveglianza, per cui Burma era stato assoldato, è stato interrotto da cause di forza maggiore, ma il detective parigino non può certo abbandonare la missione senza aver fatto chiarezza: deve trovare l’assassino, in una caccia serrata tra le insidie del set cinematografico, dove ogni oggetto potrebbe trasformarsi nell’arma di un delitto.



I 5 motivi per leggere il romanzo

Per stuzzicare la vostra curiosità, vi riassumo la trama in poche righe:
Un attore famoso, sentendosi minacciato, assume Nestor Burma, un giovane detective privato, come guardia del corpo. Durante le riprese di un film, l’attore, dopo aver girato una scena, muore sotto gli occhi di Burma. L’attore era odiato da molti, era un dongiovanni dal fascino irresistibile e aveva ricevuto misteriose minacce di morte. Il detective parigino non può certo abbandonare la missione senza aver trovato l’assassino.


In questa tappa del blogtour vi illustrerò cinque buoni motivi per leggere questo romanzo:

1. Perchè “Primo piano sul cadavere”, finora inedito in Italia, mette in scena la primissima indagine di quello che diventerà il detective più geniale di Parigi. Per coloro che già conoscono questo camaleontico personaggio, sarà interessante vedere un Burma alle prime armi. Per i nuovi lettori sarà un’ottima occasione per imparare a conoscere un protagonista inconfondibile del noir europeo.

2. Perché Burma si muove tra le insidie di un set cinematografico, dove ogni oggetto potrebbe trasformarsi nell’arma del delitto. Il fascino del set è innegabile, offre molteplici interpretazioni, ambientazioni scenografiche, creatività e capacità di gestire l’imprevisto. La finzione diventa realtà, i pensieri più segreti diventano realtà, l’omicidio diventa realtà.

3. Perché questo romanzo non può mancare nelle librerie di chi colleziona la serie, ma è anche un’opportunità per scoprire come è stata fondata l’agenzia investigativa Fiat Lux. Burma è, in quest’avventura, alle prime armi. Ha già un modo tutto suo d’indagare e si muove a suo agio sulla scena del crimine dove incontra il giornalista Marc Covet per la prima volta. È l’inizio di una lunga amicizia personale e professionale. Infatti ritroveremo la figura del giornalista in altri romanzi della serie di Nestor Burma.

4. Perché è un romanzo che si svolge interamente in un luogo chiuso ben determinato, lo studio cinematografico dove le relazioni tra i personaggi diventano oggetto di approfondita analisi. L’azione si svolge interamente in questo microcosmo dove si sveleranno molti segreti. A prima vista i protagonisti sembrano estranei l’uno all’altro, l’indagine di Burma mostrerà che le loro storie sono intimamente collegate.

5. Perchè “Primo piano sul cadavere” ha una trama classica ma ben costruita. Lo stile di Léo Malet è facilmente riconoscibile con le sue espressioni caratteristiche, con l’ironia e la personalità del suo detective. La storia non ha tempi morti e procede con un buon ritmo segnato dal piacere della suspense e dai colpi di scena. C’è un’irrinunciabile soddisfazione nel finale quando il colpevole è assicurato alla giustizia e l’ordine, turbato dal crimine, viene ristabilito.

“Primo piano sul cadavere” non è sicuramente una lettura impegnativa ma vi assicurerà la giusta dose di brividi. Provate a identificare voi il colpevole. Potreste concorrere con Nestor Burma e scoprire che anche voi, come l’anarchico e ironico detective, siete in grado di mettere KO il crimine.

giovedì 21 maggio 2020

RECENSIONE | "Eredità" di Vigdis Hjorth

“Eredità” è un romanzo emozionante e drammatico di Vigdis Hjorth, pubblicato da Fazi Editore, che parla di un passato mai svelato, di un trauma che ha segnato la vita di una donna sempre in lotta con se stessa e i fantasmi del passato.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Eredità
Vigdis Hjorth

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Quattro fratelli. Due case a picco sul Mare del Nord. Un dramma familiare sepolto nel silenzio da decenni.
Tutto comincia con un testamento. Al momento di spartire l’eredità fra i quattro figli, una coppia di anziani decide di lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bård e Bergljot, il fratello e la sorella maggiori, vengono tagliati fuori. Se Bård vive questo gesto come un’ultima ingiustizia, Bergljot aveva già messo una croce sull’idea di una possibile eredità, avendo troncato i rapporti con la famiglia ventitré anni prima. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Bård e Bergljot non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle. Bård e Bergljot condividono il più doloroso dei segreti. Il confronto attorno alla divisione dell’eredità sarà l’occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia che i familiari per anni hanno rifiutato di sentire. Per dividere con loro l’eredità – o il fardello – che hanno ricevuto dalla famiglia. Per dire l’indicibile. 


Mio padre non era riuscito ad evitarlo, mia madre non riusciva di evitare di essere com’era, io assomigliavo a loro, nel senso che non riuscivo a evitare di essere me stessa, di essere distrutta e di distruggere. 
Premiato dai librai norvegesi come miglior libro dell’anno, in vetta alle classifiche di vendita per mesi, osannato dalla critica internazionale, “Eredità” è il romanzo con cui la norvegese Vigdis Hjorth ha raggiunto la fama mondiale.

Tutto inizia con la lettura di un testamento. Al momento di dividere l’eredità tra i quattro figli, una coppia di anziani genitori decide di lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bård e Bergljot, il fratello e la sorella maggiore, vengono tagliati fuori. Bård vive ciò come un’ultima ingiustizia, Bergljot,avendo tagliato i ponti con la famiglia ventitré anni prima, aveva già accettato l’idea di non ricevere alcuna eredità. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Troncare i rapporti con la propria famiglia è una decisione dolorosa ma a volte necessaria. Bård e Bergljot non hanno avuto la stessa infanzia delle sorelle e condividono il più doloroso dei segreti. L’eredità sarà l’occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia che i famigliari per anni hanno rifiutato di sentire, per dire l’indicibile.

“Eredità” è un romanzo duro, crudele, che scuote le coscienze narrando la storia di una famiglia lacerata da un lungo silenzio. Silenzio che verrà meno dopo molti anni e ci porterà a riflettere sulle conseguenze delle azioni dei genitori sulla vita dei figli.

Bergljot, la protagonista, non è stata mai ascoltata, compresa, difesa dalla sua famiglia che sembra non capire quale sia il problema. Dimenticare ciò che è successo è la soluzione migliore, rendere invisibili le colpe di un “padre orco” è ciò che unisce la famiglia. L’eredità pone non un problema economico ma un problema morale. I “cattivi” non si nascondono ma anche la vittima mostra difetti e contraddizioni.
Ogni vittima è un potenziale carnefice, quindi non bisogna essere troppo generosi con la compassione. 
Infrangere i tabù non è facile, a difesa “dell’onore” si ergono complicati meccanismi. Bergljot non riesce ad affrontare la sua famiglia perché nessuno le crede, tutti vorrebbero dimenticare. Non può dimenticare l’abuso sessuale del padre e con coraggio ripete la sua versione della storia anche se ciò vuol dire distruggere tutte le relazioni con la madre e le sorelle.
Ma mia madre fece mai una scelta? È una scelta lasciarsi condurre, far finta di niente, sperando che le cose passino, non reagire? Comportarsi come una bambina e non sforzarsi di capire troppo. Cercare di prendere tutto alla leggere, limitarsi alla superficie delle cose, fare buon viso a cattivo gioco, fare del proprio meglio quando era ancora quella di un tempo, consapevole del fatto di non avere la forza di andarsene, eppure ci aveva provato. 
Il romanzo è emotivamente intenso. I segreti vengono centellinati lungo il percorso narrativo che si arricchisce di riflessioni e discussioni su argomenti interessanti come la guerra e le sue conseguenze. Bergljot conduce una lotta con se stessa, con la sua storia che ha inevitabilmente conseguenze sulla sua vita. Un grande dramma emotivo coinvolge i personaggi e i loro ricordi sono frammenti di un’immagine che si compone pian piano. È più facile nascondersi che affrontare l’amara verità. La famiglia non è sempre un luogo di protezione e i genitori influenzeranno per sempre la vita dei figli.
È la strada dell’infanzia quella che ti ha insegnato a odiare, che ti ha insegnato la durezza e la derisione, che ti ha fornito le armi più potenti. Devi saperle usare con dovizia. 
Bergljot è una donna vulnerabile ma decisa a dar voce al suo dolore.

“Eredità” è un romanzo segnato da molteplici verità e si basa non tanto sul racconto di ciò che è realmente accaduto quanto sulla lotta della protagonista con la sua storia. Le conseguenze del trauma subito si riflettono anche sulle situazioni quotidiane e sulle relazioni più intime. La diatriba legata all’eredità è la scintilla che riaccende un fuoco che sonnecchia sotto le ceneri. È un ritorno al passato, ad una realtà travestita da tsunami emozionale. Vergogna, rabbia, angoscia travolgono la vita di Bergljot. Il segreto di famiglia è stato sempre nascosto, ben difeso dall’oblio della memoria.
Non si può perdonare ciò che non è stato oggetti di ammissione! 
Per i genitori della ragazza era impossibile ammettere ciò che era successo, avevano rimosso la verità, la negavano con forza per non subire una condanna generale, per salvare la propria reputazione.

“Eredità” è un romanzo travolgente su accuse e riconciliazioni impossibili. La famiglia, tranne Bård, è unita contro Bergljot. L’abuso è, per la mamma, solo un tentativo per rendersi interessante, mentre il padre la definisce una psicopatica. Le sue sorelle non le hanno mai chiesto nulla. Alla morte del padre la famiglia pensa che sia arrivato il momento della riconciliazione ma non si può perdonare ciò che, secondo loro, non è mai accaduto.
Bergljot ha bisogno che gli altri riconoscano ciò che lei ha vissuto.
Il pare per cui provavo compassione non era mio pare, ma l’idea di padre, il suo archetipo, il mito di padre, il mio padre perduto. 
Un’ammissione di colpa è ciò che la donna ha sempre desiderato. Ora che il padre è morto ciò non potrà più accadere.
Per tutta la mia vita ho sempre avuto paura di mio padre. Fino a che punto l’ho capito solo il diciassette dicembre di quest’anno,quando è morto. Ho avvertito un sollievo fisico in tutto il corpo. Mio padre mi diceva, quando avevo cinque, sei, sette anni e avevo subito ripetuti abusi sessuali, che se lo avessi raccontato a qualcuno, papà sarebbe finito in prigione e la mamma sarebbe morta. 
La verità fa paura e rappresenta una minaccia per l’onore della famiglia. Bergljot si sente schiacciata, ignorata e abbandonata ma si trasforma in una guerriera decisa e risoluta.
Non si diventa buoni quando si soffre. Di norma, quando si soffre, si diventa cattivi. 
Per anni Bergljot ha vissuto richiudendosi in se stessa, rifugiandosi nell’alcol, nella letteratura, lontano dalla realtà e dai ricordi. Il dolore tormenta la sua anima.

“Eredità” è una storia potente di abusi e di lotte per la verità, un romanzo brutale sulla natura interiore della famiglia.

giovedì 14 maggio 2020

RECENSIONE | "Il capofamiglia" di Ivy Compton-Burnett

Dopo “Più donne che uomini” (recensione), torna nelle librerie italiane Ivy Compton-Burnett con il romanzo “Il Capofamiglia” edito da Fazi nella collana Le strade. La grande autrice del Novecento inglese racconta la ferocia delle dinamiche familiari con uno stile unico che coinvolge e crea sorpresa quando l’imprevedibile accade e tutto cambia.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Il capofamiglia
Ivy Compton-Burnett

Editore: Fazi
Prezzo: € 19,00
Sinossi

Il patriarcato trova la sua più fedele espressione nella figura di Duncan Edgeworth: padre tirannico, anaffettivo e lunatico, è il capofamiglia per antonomasia. Attorno a lui si muovono, atterriti o solleticati dal desiderio di sfida, i membri della sua famiglia: la moglie Ellen, naturalmente dimessa e timorosa, le due figlie ventenni Nance e Sybil, tanto egocentrica e sarcastica l’una quanto affettuosa e remissiva l’altra, e infine il nipote Grant, giovane donnaiolo dotato di grande spirito, costantemente in competizione con lo zio, di cui è il perfetto contraltare. Nella sala da pranzo degli Edgeworth va in scena quotidianamente una battaglia su più fronti: sotto il velo di una conversazione educata, si intuiscono tensioni sotterranee e si consumano battibecchi, giochi di potere, veri e propri duelli a suon di battute glaciali: «non stiamo semplicemente facendo colazione». Fino a quando la famiglia viene colpita da un lutto improvviso, che mescola le carte in tavola innescando una reazione a catena; strato dopo strato, ognuno dei personaggi svelerà la sua vera natura, in un crescendo di trasgressioni che comincia con l’adulterio e culmina con l’efferatezza.


Viene sempre il momento in cui uno si rivela diverso da come l’altro lo immagina, un momento dopo il quale le cose non saranno più le stesse.
Pubblicato nel 1935 il romanzo è ambientato in una casa di campagna del diciottesimo secolo dove vive la famiglia Edgeworth. Il capofamiglia Duncan è un padre anaffettivo, impietoso, lunatico e tirannico che stabilisce le regole di vita dei membri della famiglia. La storia ha inizio la mattina di Natale dell’anno 1885, la famiglia è riunita per la colazione e conosciamo Ellen, moglie sottomessa e timorosa. Le due figlie Nance e Sybil, tanto egocentrica e sarcastica la prima quanto affettuosa e remissiva l’altra. Il nipote Grant, giovane donnaiolo dotato di grande spirito e in costante competizione con lo zio. Ogni giorno, nella sala da pranzo degli Edgeworth, si consuma una guerra fredda nelle vesti di una conversazione educata, sottili battibecchi e giochi di potere. I dialoghi sono freddi e le parole hanno le sembianze di armi per difendersi e per colpire. Ogni semplice frase viene da Duncan derisa e nessuno può permettersi il privilegio di rispondere. Fare colazione è un momento per affilare le armi e controllare il campo di battaglia. Tutto ciò si percepisce immediatamente e la tragedia aleggia imprevista tra le mura di questa casa. La docile Ellen muore tra l’indifferenza del marito che vive questo momento come un fastidio, per fortuna, di breve durata. Il lutto mescola le carte e svelerà la vera natura di ogni personaggio. Duncan si consola subito sposando in breve tempo una giovane donna e il suo arrivo sarà la causa di una serie di catastrofi. Duncan è destinato a sposarsi anche una terza volta mentre la vita dei suoi figli è testimone di un effetto domino, cadono convenzioni sociali e privilegi. Si crea una tempesta perfetta che travolge tutti e squarcia il velo del “nulla è come appare”. Un nuovo inizio vede verità e menzogna confondersi per arginare il rimorso.
La debolezza che porta a commettere un gesto avventato non comporta la forza di affrontarne le conseguenze.
Gli eventi non sono narrati palesemente ma si muovono tra allusioni e deduzioni. Anche i sentimenti non sono mai manifesti ma si nascondono nei dialoghi che avvengono tra i personaggi mai pacifici messaggeri di pace. In loro c’è una voglia di confronto, di lotta, di scontro perenne che si nasconde tra sorrisi e piacevoli riunioni per sorseggiare un tè. Occorre difendere il proprio ruolo nella famiglia, solo i più capaci ad adattarsi ai cambiamenti potranno sopravvivere. Nuovi matrimoni, tradimenti, adulteri, decessi misteriosi, ricatti s’intrecciano formando il nido in cui la famiglia Edgeworth  vive. Anche la morte è benvenuta se può tornar utile. Tristezza e gioia vanno a braccetto, si sorride ma si vorrebbe uccidere e alla fine un fatto criminale avverrà. 

Duncan è il personaggio odioso per antonomasia. È un uomo dispotico che umilia e domina la sua famiglia. Nessuno osa contraddirlo. Lui si crede un dio in terra e così viene trattato mentre guida la famiglia verso la retta via.

Sulla famiglia Edgeworth incombe il giudizio del mondo che scivola sullo scudo di apparenza e tranquillità eretto a difesa della casa. Le fibrillazioni però si percepiscono perfettamente, tengono alta la tensione ma non si svelano apertamente.
La via del dovere porta alla gloria.
A far da cornice le malelingue. Le calunnie si diffondono, gli abitanti del villaggio di campagna amano spettegolare. Sono ipocriti, pettegoli, maliziosi.
Le malelingue circolano e si gonfiano, ma in fondo non si tratta che di nuvole di polvere.
Ivy Compton Burnett è famosa per i temi trattati nei suoi romanzi. Le famiglie conflittuali, i personaggi sempre in lotta fra loro. Strategie di sopravvivenza corrono sul filo di conversazioni educate sorrisi svelando molte ipocrisie e rare virtù. 

Io ho amato subito questa scrittrice per il suo stile narrativo che pone i dialoghi al centro della scena. I vari personaggi, che si muovono quasi sempre solo tra le mura domestiche, si cimentano in conversazioni intrise di cinismo. Le sue storie vedono i medesimi argomenti trattati sempre con una buona dose di perfidia. Intrighi, eventi imprevisti, drammi sconvolgono la vita, apparentemente tranquilla, della famiglia. Poco si palesa, tanto si intuisce. Le trame dei suoi romanzi, “Il Capofamiglia” non fa eccezione, sono ambigue e complesse. Su un territorio sempre minato dal calcolo e dall’imprevisto, si muovono personaggi custodi di segreti che abilmente vengono svelati tra pettegolezzi e frasi lasciate a metà. I suoi scritti traboccano di umorismo e giochi di potere, odio e complicità,apparenze e denaro. Il nucleo famigliare viene sapientemente sezionato tramite un bisturi che si identifica con ciò che è detto e ciò che è taciuto. Quindi bisogna leggere sempre con molta attenzione, parola per parola, per scoprire ciò che si nasconde tra le pause, nei silenzi carichi di significati, nei sospiri e i tentennamenti.

“Il Capofamiglia” è la cartina al tornasole di un mondo familiare di passioni represse e contrasti insanabili. La tirannia domestica ci accoglie direttamente nella sala da pranzo di casa Edgeworth, all’orizzonte nubi nere. Al tavolo della colazione siedono personaggi caratterizzati da un umorismo letale che avvolge comportamenti affettuosi, falsi sorrisi e cattiverie innate. Fin dalle prime pagine, accanto alla rispettabilità borghese, emerge il lato oscuro della famiglia. Non è tutto oro ciò che luccica. Scoprirete ciò di cui è capace la natura umana duramente coinvolta a destreggiarsi tra egoismi e passioni, tradimenti e avidità di ricchezze. Le debolezze umane regnano sovrane nei romanzi di questa scrittrice britannica, nata a Londra, sesta di dodici figli di un noto medico omeopata.La sua vita familiare infelice le fornì materiale per i venti romanzi che scrisse, tutti di matrice autobiografica. La realtà non muta anzi è una miscela esplosiva, pericolosa ma sempre implacabilmente attuale.