martedì 30 aprile 2019

RECENSIONE | "La gabbia dorata" di Camilla Läckberg

La regina del giallo nordico torna con una nuova serie in cui parla di temi che le stanno a cuore e interessano tutta la società. Con “La gabbia dorata”, collana Farfalle per Marsilio Editori, Camilla Läckberg consegna al suo pubblico di lettori una storia  audace, forte, dai risvolti inquietanti. È la storia di una donna tradita e usata dal proprio marito. È la storia di una sofferta decisione: riprendere in mano la propria vita ed essere l’artefice del proprio destino. È la storia di un inganno, di un riscatto, di una vendetta.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 8
La gabbia dorata
Camilla Läckberg (traduzione di L. Cangemi)

Editore: Marsilio
Pagine: 410
Prezzo: € 19,90 
Sinossi
Howland, Massachusetts. Mark Firth è un imprenditore edile con grandi ambizioni ma scarsa competenza negli affari, tanto da aver affidato tutti i suoi risparmi a un truffatore; lo sa bene sua moglie Karen, preoccupata per l’istruzione della figlia: sarebbe davvero oltraggioso per lei se la piccola dovesse ritrovarsi nei pericolosi bassifondi della scuola pubblica. Il fratello di Mark, nonché suo eterno rivale, è un agente immobiliare che ha mollato la precedente fidanzata sull’altare e ha una relazione con la telefonista della sua agenzia. C’è poi Candace, la sorella, che è insegnante alla scuola pubblica locale e coltiva una storia clandestina con il padre di una delle sue allieve… Gli abitanti della cittadina sono tutti accomunati dalla diffidenza nei confronti dei turisti della domenica, abitanti della grande metropoli che possono permettersi una seconda casa in provincia: gente disposta a spendere cinque dollari per un pomodoro, perché ignora il valore di un pomodoro quanto quello di cinque dollari. Sarà proprio uno di loro a far precipitare il fragile equilibrio della comunità. In seguito all’Undici Settembre, infatti, il broker newyorkese Philip Hadi, sapendo grazie a “fonti riservate” che New York non è più un posto sicuro, decide di traslocare a Howland insieme a moglie e figlia. Arriverà a tentare la carriera nella politica locale, suscitando idolatria in alcuni e odio feroce in altri…



“Siamo uguali. Ambiziosi. Solo che tu hai uno svantaggio nella tua corsa verso l’alto: sei una donna. E questo è un mondo di uomini.”
Faye ha tutto: un marito di successo, una splendida figlia, un lussuoso appartamento a Stoccolma. La sua vita apparentemente perfetta, nasconde crepe profonde. Faye è una donna fragile segnata da un passato terribile che sperava di aver seppellito a Fjallbacka, l’isola natale che ha lasciato da ragazza. Suo marito Jack è adorabile in pubblico ma pronto a umiliarla e sminuirla in privato. Faye cerca in tutti i modi di compiacerlo. Un giorno, tornando a casa prima del previsto, lo scopre a letto con una collega. Il mondo le crolla addosso e quando tutto sembra spingerla verso il baratro della depressione, Faye trova la forza di reagire e trasforma la sua rabbia in forza per attuare un piano ben preciso. Un piano di vendetta.

“La gabbia dorata” segna un nuovo capitolo nella produzione letteraria della Läckberg e presenta per la prima volta ai lettori una protagonista indimenticabile, portavoce di un forte messaggio femminista.

Faye è una donna che spontaneamente si è chiusa in una gabbia dorata. Un tempo era forte e ambiziosa. Studiava economia. Era bravissima e aveva dei sogni da realizzare. Poi è arrivato Jack, il suo principe azzurro diventato suo marito, e lei ha rinunciato a tutto per lui. A lui dedica la propria esistenza, lo aiuta a far carriera e si trasforma in ciò che Jack vuole: una casalinga sempre pronta per lui quando ne aveva bisogno. Invidiata dalle altre donne, sempre in lotta con la bilancia, sempre pronta a chinare il capo per mostrare a tutti la superiorità di Jack. Poi il tradimento di lui e Faye, salita da sola su un piedistallo, vede il suo mondo dorato andare in frantumi. Caduta dall’Olimpo, Faye si risveglia ed è pronta a combattere.
Sapeva di avere nel suo arsenale la più efficace delle armi: il fatto di essere donna, che portava gli uomini a sottovalutarla, a trasformarla in un oggetto e a catalogarla come una stupida. Jack non avrebbe vinto quella partita, perché quanto a intelligenza lei lo batteva da sempre. Aveva solo permesso a lui e a se stessa di dimenticarlo.
La vendetta arriverà in modo raffinato e crudele. Faye smetterà di fare “la brava bambina” e userà la sua rabbia per passare al contrattacco.

“La gabbia dorata” è un noir che ho letto con vivo piacere provando tante emozioni. Ho letto di uomini che trasformano le donne e di donne che si lasciano trasformare. La realtà non è molto lontana, nella vita reale ciò accade molto spesso e tutte noi lo sappiamo. Quante volte abbiamo scelto con il cuore, quanti passi indietro abbiamo fatto, quante volte siamo rimaste in silenzio invece di urlare. La donna è la debolezza, l’uomo è la forza.
L’esperienza di dover restare in secondo piano, di essere giudicate in base al proprio aspetto fisico, l’aspirazione a adeguarsi alle aspettative e a compiacere il proprio marito, era questo ad accomunare le donne di ogni età, paese ed epoca.
Il tradimento è il bacio che la desta da anni di sonno incantato, è una favola al contrario un “non vissero più felici e contenti”.

Sicuramente la protagonista di questo romanzo non è certo la prima donna al mondo ad essere stata umiliata dal marito, trattata come una stupida e costretta a lasciare il posto a una più giovane e piacente. Quasi tutte le donne, per quanto ricche e arrivate, sono state tradite da un uomo che ha spezzato il loro cuore e l’ha calpestato. Non solo in amore. Riflettete un attimo e sicuramente ricorderete quel capo che ha dato la promozione al collega maschio con qualifiche inferiori e meno capacità. Ricorderete le disparità salariali, le battute, le mani moleste.
 Quasi tutte le donne sono ferite di guerra, in un modo o nell’altro.
Eppure abbiamo sempre taciuto, stretto i denti, ci siamo mostrate comprensive, abbiamo consolato i nostri figli per le mancanze del padre. “Le brave bambine” non alzano mai la voce, ingoiano l’orgoglio e si sminuiscono fino a sparire. I tradimenti sono “come cicatrici di guerra, solo che si trovano nel cuore invece che sulla pelle.”

Faye vede frantumarsi il suo paradiso dorato, l’amore svanisce e forse non è mai esistito. La gabbia dorata si dissolve. Ora lei è libera e sola. Jack vuole il divorzio lasciandola senza l’ombra di un quattrino. La famosa poetessa Alda Merini scriveva: “La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice.”

Faye seguirà un percorso tortuoso e pericoloso che la porterà a vendicarsi e a trovare la felicità. Ma quale sarà il prezzo da pagare?

“La gabbia dorata” è un thriller psicologico che ha molto in comune con “Donne che non perdonano” sempre della Läckberg (recensione). Entrambi i romanzi affrontano tematiche difficili e parlano di donne maltrattate pronte a tutto per vendicarsi. È senza dubbio giusto non lasciarsi calpestare dagli uomini, lottare per i propri diritti e non perdere mai la propria dignità. Tuttavia anche le donne sanno essere crudeli e Faye ha molti lati oscuri. L’importante non è come reagisce, la vendetta non è mai giusta, ma rialzare il capo e riprendere possesso della propria vita. I personaggi, lo noterete subito, non sono particolarmente simpatici e la trama è spesso dura mostrando cosa subisce la protagonista negli anni del suo matrimonio. Il personaggio che mi è piaciuto di più è quello di Chris, una donna indipendente, una forza della natura. Sicuramente continuerò a seguire questa serie.
Aveva giocato a fare il sesso debole per troppo tempo. Era ora di prendere il comando.

mercoledì 17 aprile 2019

BLOGTOUR | "Non ti lascerò" di Chevy Stevens | I 5 motivi per leggere il libro

Arriva domani in libreria “Non ti lascerò”, il nuovo romanzo di Chevy Stevens, nella collana Darkside della Fazi Editore. La scrittrice, miglior autrice di thriller canadese, ci propone un romanzo duro a tratti violento che lascia il lettore senza fiato. Assisteremo a un’ossessione amorosa che sfiora la tragedia nutrendosi di legami sbagliati. Tutto  ruota intorno alla figura di Lindsey, una giovane donna che narra il suo tormentato rapporto con il marito, la fuga, il difficile inserimento in una vita ordinaria e il ritorno dell’incubo perché “non ti lascerò” suona come una dolce promessa ma si rivelerà essere una terribile minaccia.


Non ti lascerò
Chevy Stevens (traduzione di G. Marano)

Editore: Fazi
Pagine: 428
Prezzo: € 17,50 
Sinossi
Un uomo molto attraente che ti porta in vacanza in un resort di lusso: il mare cristallino, la spiaggia bianchissima, un luogo paradisiaco. Un sogno, per Lindsey. Almeno in apparenza. Nella realtà, il matrimonio di Lindsey è un incubo. Andrew è un uomo morboso: qualunque gesto della moglie, anche involontario, può scatenare la sua rabbiosa gelosia e farlo diventare violento. Beve molto e ha minacciato di ucciderla, se scappa. Una notte, Lindsey riesce finalmente a fuggire portando con sé la figlia. Non torneranno più. Il marito verrà arrestato in seguito a un incidente e per lei e la bambina inizierà un periodo di pace. Undici anni dopo, Lindsey è una piccola imprenditrice, e la sua vita e quella della figlia adolescente scorrono tranquille in una nuova città. Lei frequenta un gruppo di sostegno e ha un nuovo fidanzato, Greg, che la ama più di quanto lo ami lei. Fino a quando Andrew non viene scarcerato e cominciano ad accadere cose strane, una serie di incidenti sempre più misteriosi.

Lei e Sophie sono nei guai o si sta solo suggestionando? È Andrew che vuole fargliela pagare per ogni giorno trascorso dietro le sbarre? È tornato per mantenere la sua promessa? D’altronde, chi altro potrebbe essere…? 



5 MOTIVI PER LEGGERE IL LIBRO
Non avevo molto tempo. Lui stava aspettando in spiaggia, e avrebbe contato ogni minuto. Mi spruzzai dell’acqua fredda sul viso, lasciando scorrere i rivoli sul collo e sulla maglia. Fissai lo specchio. Cercai di ricordare come tenere le labbra per non avere un’aria così spaventata, rilassai i muscoli intorno agli occhi, strofinai il mascara sbavato. Gli avevo già detto che non stavo flirtando con quell’uomo, ma era come gridare nell’oceano.
Come avrete compreso, “Non ti lascerò” è un thriller incalzante, avvincente, enigmatico. La storia procede con ritmo serrato e cattura l’attenzione del lettore. I protagonisti non sono nettamente divisi tra buoni e cattivi poiché il lato oscuro dell’amore rovescia i ruoli, insinua sospetti, mette i brividi. Mi sono ritrovata, infatti, intrappolata in una ragnatela mortale che la scrittrice ha tessuto con abilità narrativa intrecciando false piste, dubbi, bugie e vendette, cattivi presagi e ossessioni.

In questa tappa del Blogtour dedicato al romanzo ho il piacere di esporvi cinque motivi per leggere questo romanzo:

1. Perché la trama sostiene una gran verità: la violenza ha mille volti!

L’autrice è immediata, non perde tempo prezioso, presentandoci Lindsey e suo marito Andrew, insieme alla loro figlioletta Sophie, durante una vacanza ad alto tasso di adrenalina. Andrew inizialmente è l’uomo perfetto. È premuroso, gentile, sa come far sentire Lindsey la donna più amata al mondo. Poi, quasi senza accorgersene, Lindsey entra in un abisso di buio e si trasforma. Da principessa diventa una nullità ma non riesce a capire che ciò è solo l’inizio di un incubo. I primi soprusi di Andrew vengono perdonati sulla scia di scuse fallaci poi, finalmente, Lindsey toglie la benda che ha sugli occhi e decide di dire basta  per riprendersi la propria dignità, la libertà, la vita.

Lei, la preda inerme: “Il nostro matrimonio non funziona. Non sono felice. Tu bevi di continuo e Sophie vede, capisce. Non mi lasci fare niente. Sei così ossessivo. Mi sento soffocare.”

Lui, il cacciatore manipolatore:  “Se mi lasci, se anche solo ci provi, Sophie si ritroverà soltanto con un genitore, hai capito?”

La violenza psicologica è un’arma più subdola della violenza fisica. È una forma ambigua di maltrattamento perché invisibile e silenziosa. Nel romanzo leggeremo d’insulti, umiliazioni, minacce. Poi ci sarà anche l’aggressione. Prima si spezza l’anima poi si passa al corpo. Reagiamo donne! Se diventiamo pecore i lupi ci mangiano.

2. Perché potrete oltrepassare quella porta chiusa e guardare “il grande fratello” intriso di paura.

La famiglia felice del Mulino Bianco, tutti lo sappiamo, non esiste. Tra le mura domestiche tutto cambia e noi lettori abbiamo, con questo romanzo, la possibilità di osservare la paura della protagonista e capire i motivi del suo comportamento. Lui appare gentile, affidabile, amorevole, amichevole. Poi, chiusa la porta di casa, diventa ostile, aggressivo, minaccioso.
La paura monta e si fa strada nel mio corpo, irrompendo come una bestia gigante e sgraziata.
Andrew è possessivo, installa delle telecamere in tutta la casa. Lindsey deve mandargli continuamente dei messaggi. Lui controlla i suoi abiti, i conti, fruga nei suoi cassetti. È un manipolatore e non è in grado di gestire le sue emozioni. Crea un clima di paura e per il lettore è facile immedesimarsi nei protagonisti, partecipare alle loro emozioni, scavare nella loro psicologia. Proveremo ansia e tensione, paura e sollievo. Avremo la possibilità di mettere alla prova la nostra emotività condividendo forti emozioni. In tutto il romanzo percepirete un’atmosfera di minaccia indefinita. Potrete, a un certo punto, giocare anche a nascondino. Qualcuno si nasconderà e un altro cercherà di trovarlo. C’è chi fugge e chi insegue. Preda e cacciatore. Attenti però: la violenza può ricadere sul violento. Giustizia o vendetta?

3. Perché potrete scoprire “l’effetto farfalla”.

“Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Questa locuzione rende in modo perfetto ciò che succederà a un certo punto della storia. Una singola azione può determinare un grande cambiamento e influire sul destino di molti. Lindsey farà qualcosa, non vi svelo cosa, che provocherà una sequenza di eventi, conseguenze, reazioni, destinata a cambiare la vita di molte persone. Vi chiederete: “Chi si accorge di un battito d’ali?” Leggete e capirete perché tutto il nostro mondo è collegato da tanti piccoli fili invisibili. Capirete cosa si nasconde dietro il sorriso di un alcuni uomini e riflettendo giungerete alla conclusione che da un battito d’ali può nascere la libertà.

4. Perché a un buon thriller non si può resistere.

Leggendo questo thriller in particolare verrete a contatto con un timore universale: l’amore malato. Ogni capitolo vi regalerà forti emozioni, ansie e timori. Potremo identificarci con la protagonista e vivere, con lei, profonde paure. Abbiamo la possibilità di osservare da lontano l’amore malato. Questo thriller ci porta vicino alla cronaca, alla realtà. In voi il dubbio sarà sovrano e proverete un’enorme curiosità riguardo agli sviluppi narrativi. Chiuso il libro proverete un senso di sollievo ma sarete scossi dall’idea che nessuno è al sicuro tra le braccia della persona amata. Inizierete un viaggio turbolento in cui tutto è poco rassicurante ma giungerete alla meta, il finale, in cui tutto verrà svelato. Finita la lettura potremo ritornare alla nostra normale quotidianità ma ponendo un po’più di attenzione a tutto ciò che ci circonda. Sentirsi al sicuro e tirare un sospiro di sollievo è un tutt’uno ma non abbassiamo mai la guardia. La violenza mascherata d’amore potrebbe bussare alla nostra porta e il “mostro” potrebbe guardarci in faccia e sorriderci.

5. Perché è un libro dai mille volti.

“Non ti lascerò” è un libro intenso, moderno e per tutti. La scrittrice, con stile fluido e ritmo sostenuto, narra una storia travolgente che cambia pelle continuamente. È la cronaca di un delitto annunciato, non vi svelo chi muore. È un grido d’aiuto verso una giustizia con le mani legate. È il disperato desiderio di riallacciare legami mai sopiti. È la voglia di credere nell’amore. È un incubo travestito da cuore. “Ti amo” e “Ti uccido” diventano sinonimi di un amore che pugnala l’anima. È una fuga disperata, un non voltarsi indietro, un nascondersi agli occhi del mostro. Non tutto è però così evidente, l’autrice rivela solo la punta dell’iceberg e lascia che pian piano gli indizi ci conducano a scoprire un’atroce verità. Quando la salvezza è a portata di mano basta un soffio e il destino mostra le sue carte. Carte nere. Carte di sangue.

lunedì 8 aprile 2019

RECENSIONE | "È tempo di ricominciare" di Carmen Korn

L’attesa è finita. Oggi, 8 aprile 2019, tornano in libreria Henny, Kathe, Ida e Lina con “È tempo di ricominciare”, secondo volume dell’appassionante trilogia di Carmen Korn iniziata con “Figlie di una nuova era”. Entrambi i volumi sono stati pubblicati da Fazi Editore nella collana Le strade.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
È tempo di ricominciare
Carmen Korn (traduzione di M. Francescon)

     Trilogia "Figlie di una nuova era"     
#1 Figlie di una nuova era (recensione)
#2 È tempo di ricominciare
#3 Aria di novità (recensione)

Editore: Fazi
Pagine: 564
Prezzo: € 20,00 
Sinossi
È il 1949. La guerra è finita. I nazisti sono stati sconfitti. Come molte altre città, Amburgo è ridotta a un cumulo di macerie e in parecchi si ritrovano senza un tetto sulla testa. Fra questi, Henny, che ha finalmente accettato di sposare Theo e continua a cercare la cara Käthe, che risulta ancora dispersa nonostante l’amica sia sicura di avere incrociato il suo sguardo, la sera di San Silvestro, su quel tram… Nel frattempo, mentre Lina e la sua compagna Louise aprono una libreria in città, Ida si sente delusa dal modesto ménage coniugale con il cinese Tian, pur avendo mandato all’aria il suo precedente matrimonio per stare con lui, e ricorda con nostalgia la sua giovinezza di rampolla di una famiglia altolocata. Sono in molti ad aver perso qualcuno di caro, e sono in molti ad attendere il ritorno di qualcuno, giorno dopo giorno, alla finestra. Ma per i sopravvissuti tornare a casa non è facile, si ha paura di cosa si potrebbe trovare, o non trovare più.

Gli anni passano, i figli delle protagoniste crescono e anche loro hanno delle storie da raccontare. Sullo sfondo, la ripresa dell’economia tedesca e le rivoluzioni sociali che hanno scandito gli anni Cinquanta e Sessanta: lo sbarco sulla Luna, la costruzione del Muro di Berlino, il riarmo e la paura del nucleare, l’arrivo della pillola anticoncezionale, l’irruzione della televisione nella vita quotidiana delle famiglie, l’inizio dei movimenti studenteschi e la musica dei Beatles.

Dopo Figlie di una nuova era, il secondo, attesissimo capitolo di questa fortunata e appassionante trilogia che racconta la vita di quattro amiche nella Germania del Novecento.



Aspetta a metterti il cuore in pace. Il diavolo ne ha sempre una pronta.
È il 1949. La guerra è finita, i nazisti sono stati sconfitti e  Amburgo, come molte altre città, è ridotta a un cumulo di macerie. Molte persone non hanno più una casa e hanno perso parenti e amici. Henny ha accettato la proposta di matrimonio di Theo ma non smette di cercare Kathe, l’amica del cuore, che risulta ancora dispersa. Henny è sicura di averla vista su un tram la sera di San Silvestro. Lina e la sua compagna Louise aprono una libreria in centro mentre Ida è sempre più delusa dal suo matrimonio con il cinese Tian. Purtroppo la guerra ha causato molto dolore e distruzione. In tanti aspettano il ritorno di una persona cara, di un amico. Per i sopravvissuti non è facile tornare a casa perché hanno paura di cosa potrebbero trovare o  non trovare più.
La paura di arrivare a casa, ce l’hanno in tanti.
Trascorrono gli anni, i figli delle protagoniste crescono e raccontano le loro storie che s’intrecciano con la ripresa economica tedesca e le rivoluzioni sociali negli anni Cinquanta e Sessanta.

“È tempo di ricominciare” riparte dal marzo del 1949 e narra la vita di quattro amiche nella Germania del Novecento mettendo in luce i lati oscuri e dimenticati di un periodo storico ricco di eventi storici e politici. Le protagoniste, ognuna con un carattere ben definito, ci trasmettono, con le loro storie, sentimenti ed emozioni. Vivono tempi difficili, la resa non è nel loro DNA. Malgrado la guerra abbia travolto le loro esistenze, sono pronte a ricominciare tra sconfitte e conquiste. La loro è una strada in salita ma possono contare l’una sull’aiuto delle altre per andare avanti. Le quattro amiche dovranno fare i conti con cambiamenti, storici e culturali, di notevole portata. La presenza della televisione nelle case, lo sbarco sulla Luna, la costruzione del Muro di Berlino, la pillola anticoncezionale, la crisi di Cuba e la Guerra Fredda. Il mondo non sembrava aver imparato nessuna lezione, l’umanità era sull’orlo della terza guerra mondiale.

Si cammina su un terreno minato. La politica che aveva dominato la vita dei tedeschi ora è vista con sospetto e paura. Si vive nell’incubo del passato e nell’incertezza del futuro. Tuttavia bisogna pur ricominciare a vivere, non è mai troppo tardi per un nuovo inizio. I personaggi del libro riprendono in mano la loro vita pronti a ricostruire non solo l’aspetto pratico ma, soprattutto, sono pronti a curare la propria interiorità per dar pace al loro cuore. Scacciare dalla loro testa le immagini delle persecuzioni, di una lunga prigionia è quasi impossibile. Pensieri cupi, vergogna, risentimento albergano nel cuore di qualcuno e richiede coraggio il mandarli via. Non tutti ci riescono. Alcuni soccombono, altri vanno incontro al cambiamento con curiosità e con il desiderio di eliminare i possibili ostacoli che intralciano il cammino. Dopo tanto dolore è giusto esser felici? Chi si è salvato dalla Morte in guerra ha il diritto, negato a chi non c’è più, di esser felice? Occorre accettare il dolore, non soffocare nel senso di colpa. Nonostante il dolore, qualunque esso sia, è possibile dare valore alle piccole e semplici cose della vita. L’amore, l’amicizia, il lavoro, la famiglia servono a rafforzare le relazioni e a conoscere meglio le persone. Il dolore non va dimenticato ma trasformato in energia vitale per guardare avanti e sorridere alla vita.
Rudi ha paura di dimenticare. Ha paura che la vita facile e le belle cose ricoprano completamente la memoria dei morti.
Nel romanzo si assiste a un’implacabile ma necessaria opera di sostituzione. Nel primo capitolo della saga, le nostre quattro amiche avevano affrontato la fame, l’umiliazione, la prigionia, la morte. Ora, dopo la fine della guerra, hanno la possibilità di sostituire la morte con la vita, il dolore con la felicità, l’umiliazione con la speranza. Naturalmente il dopoguerra non si presenta come un’oasi di pace, la Guerra Fredda e la costruzione del Muro di Berlino, sono minacce travestite da politica per la difesa della pace. Il mondo dovrà affrontare altre prove sanguinose. Il futuro è nelle mani dei giovani e, nel romanzo della Korn, la nuova generazione è pronta a lottare per realizzare i suoi sogni attraverso la rinascita sociale e la ricostruzione sia materiale che emotiva.

“È tempo di ricominciare” è un romanzo che narra un’epoca nuova colma di speranze e di problemi. Il finale è un inno alla vita che ritroveremo nel terzo capitolo della trilogia. Gli avvenimenti sono guidati dal fluire della memoria. Il passato, il presente e il futuro si alternano sulla scena e si cedono la parola l’un l’altro. I personaggi mostrano i loro caratteri attraverso il loro modo di comportarsi, nei loro discorsi, nel modo di pensare. Non ci sono eroi ma persone a volte incerte e confuse, a volte capaci di assumersi delle responsabilità e di cercarsi un ruolo nella vita. I sopravvissuti sono i depositari della vita pronti a ricominciare da zero. In loro c’è la pena per la sofferenza del mondo ma anche l’invito ad amare la vita e la libertà.

Leggere “È tempo di ricominciare” è come sfogliare un album di fotografie in bianco e nero che fermano l’attimo per poi riversarsi nel fluire del tempo. Carmen Korn accosta, dispone, organizza tali immagini e le rende efficaci, pregne di una forte tensione emotiva. La speranza dei vivi non mette a tacere il dolore per i morti in guerra ma trasforma le urla di odio in parole di pace. Il messaggio dell’autrice è tutto nel titolo: basta distruggere la vita, è ora di salvarla e continuarla. Il Male è sempre stato presente nell’uomo, nella sua Storia. Nel XX secolo i Potenti hanno liberato il Male e a combattere è stato l’uomo comune segnato per sempre nel corpo e nello spirito.

giovedì 4 aprile 2019

RECENSIONE | "I provinciali" di Jonathan Dee

È da oggi in libreria “I provinciali” di Jonathan Dee, traduzione dall’inglese di Stefano Bortolussi, Fazi Editore. L’autore ci mostra un ritratto al vetriolo dell’America di Trump dando vita a un romanzo capace di far sorridere e al tempo stesso riflettere sulla società di questo grande Paese in cui il risentimento e i disinganni hanno mostrato il lato oscuro del sogno americano.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
I provinciali
Jonathan Dee (traduzione di S. Bortolussi)

Editore: Fazi
Pagine: 440
Prezzo: € 20,00 
Sinossi
Howland, Massachusetts. Mark Firth è un imprenditore edile con grandi ambizioni ma scarsa competenza negli affari, tanto da aver affidato tutti i suoi risparmi a un truffatore; lo sa bene sua moglie Karen, preoccupata per l’istruzione della figlia: sarebbe davvero oltraggioso per lei se la piccola dovesse ritrovarsi nei pericolosi bassifondi della scuola pubblica. Il fratello di Mark, nonché suo eterno rivale, è un agente immobiliare che ha mollato la precedente fidanzata sull’altare e ha una relazione con la telefonista della sua agenzia. C’è poi Candace, la sorella, che è insegnante alla scuola pubblica locale e coltiva una storia clandestina con il padre di una delle sue allieve… Gli abitanti della cittadina sono tutti accomunati dalla diffidenza nei confronti dei turisti della domenica, abitanti della grande metropoli che possono permettersi una seconda casa in provincia: gente disposta a spendere cinque dollari per un pomodoro, perché ignora il valore di un pomodoro quanto quello di cinque dollari. Sarà proprio uno di loro a far precipitare il fragile equilibrio della comunità. In seguito all’Undici Settembre, infatti, il broker newyorkese Philip Hadi, sapendo grazie a “fonti riservate” che New York non è più un posto sicuro, decide di traslocare a Howland insieme a moglie e figlia. Arriverà a tentare la carriera nella politica locale, suscitando idolatria in alcuni e odio feroce in altri…



Quando avrebbero smesso, tutti quanti, e ripreso a comportarsi come se non ci fosse nessuno che li guardava? Erano tutti ancora vivi. Erano ancora le stesse, brutte persone che erano sempre state. Avrebbero dimenticato quei momenti, perché la gente fa così, dimentica quello che prova. Tutti ridiventano animali. Tutti ridiventano selvaggi.
Howland, Massachusetts. Mark Firth è un imprenditore edile con grandi ambizioni ma scarsa competenza negli affari. Ha perso un bel po’ di denaro affidando i suoi risparmi a un truffatore e sua moglie Karen è preoccupata per il futuro della loro figlia. Sarebbe oltraggioso per lei lasciare la dorata scuola privata per ritrovarsi nei bassi fondi della scuola pubblica. Il fratello di Mark è un agente immobiliare mentre Candace, la sorella, è insegnante alla scuola pubblica locale e ha una relazione clandestina con il padre di una delle sue allieve. Gli abitanti di Howland sono tutti molto diffidenti versi i ricchi turisti della domenica che poi acquistano in zona una seconda casa per le vacanze. Il turismo è la maggior fonte di guadagno per la cittadina ma si rivela anche fonte di perplessità  e sospetto. È gente, si sussurra, disposta a spendere cinque dollari per un pomodoro, perché ignora il valore di un pomodoro quanto quello di cinque dollari. A mettere alla prova il fragile equilibrio della comunità, sarà il broker newyorkese Philip Hadi. Dopo l’attentato dell’11 settembre, New York non è più un posto sicuro e il miliardario Hadi, insieme alla sua famiglia, decide di traslocare a Howland. Arriverà a tentare la carriera nella politica locale, suscitando ammirazione sconfinata in alcuni e odio in altri.

In questo romanzo vengono affrontati temi universali che ancora ci appartengono come il rapporto dell’individuo con la famiglia, con la propria città, con l’altro sesso, con il mondo del lavoro e della politica. Gli attentati dell’11 settembre hanno sconvolto e mutato i destini di molti. Anche nel piccolo mondo chiuso della provincia arriva quest’onda di cambiamento rappresentata dal miliardario Hadi. Egli considera la cittadina come un nuovo territorio da colonizzare facendosi eleggere sindaco, rinunciando al suo stipendio, diminuendo le tasse e aiutando, con soldi suoi, le imprese locali in difficoltà. Fa anche installare due telecamere alle estremità della via principale in nome di una maggiore sicurezza e poco importa se limitano la libertà dei cittadini.

Per Mark, Hadi è una guida, un uomo saggio e discreto. Di opinione opposta è invece Gerry che considera il miliardario come un uomo potente che fa ciò che vuole.

Così per alcuni Hadi è un benefattore, per altri è un uomo pronto a esercitare un’influenza determinante sulla vita politica e sociale. Egli ha un modo tutto suo di far politica e spesso trova il modo di raggirare le regole sempre, naturalmente, per il bene della comunità.
Se si lascia che tutti votino su tutto, si ottengono solo rovinosi compromessi e mezze misure.
Sulla crisi economica e sul senso di perenne insicurezza, Hadi costruisce la sua tela aspettando la fine dell’emergenza attentati perché tutto rientri nella normalità e la vita ritorni a scorrere tra meschinità, frustrazioni e impazienze. C’è la voglia, negli abitanti di Howland, di migliorare la propria esistenza per diventare uomini e donne di successo. Pensare in grande non è sbagliato ma bisogna esser pronti ad accettare le conseguenze che la scalata al potere ha in serbo per noi.

Con penna affilata Jonathan Dee, già finalista al premio Pulitzer con “I privilegiati”, ci presenta numerosi personaggi che hanno tutti una storia da raccontare. Oltre a Mark, interessato a far soldi, troviamo sua sorella Candace che si ritrova a doversi occupare dei suoi anziani genitori senza l’aiuto dei fratelli. Poi c’è il padre di Mark e Candice, arrabbiato con la moglie perché sta invecchiando e per la sua demenza senile. Questi sono solo alcune delle storie narrate e sapientemente mescolate insieme. Tutti i personaggi presentano una psicologia complessa e nutrono sentimenti di insoddisfazione, rabbia, delusione. Per loro il sogno americano è diventato un incubo. Aver duramente lavorato non garantisce più il successo. Hadi appare come il salvatore della cittadina, qualcuno in cui sperare. I suoi soldi trasformano la cittadina in un paradiso terrestre ma a quale prezzo.  Per trasformarsi da cittadini, attivi e partecipi, in sudditi basta un attimo.

“I provinciali” è una storia a tratti malinconica, a tratti divertente, narrata con una prosa pacata e raffinata. Lo scrittore non esprime alcun giudizio morale. Egli descrive l’universo-provincia con lo sguardo rivolto all’intera società. Attraverso il duro lavoro, la determinazione, il coraggio è possibile raggiungere un migliore tenore di vita. Questo vale per tutti gli uomini ma l’attenzione deve sempre rimanere vigile. Se ci dicono di cercare i nostri nemici oltreconfine e oltreoceano, è più probabile, la storia insegna, che i nemici siano sotto il nostro naso. Non bisogna chinare il capo e affidarsi a un Santo protettore in veste di politico. Così come dobbiamo sempre mettere la faccia in ciò che facciamo e pensiamo. Non bisogna essere grandi pensatori per rendersi conto che pochi uomini si espongono in prima persona. Internet nasconde l’identità e così ci si sente liberi di esprimere le proprie idee senza timore. Ma nel mondo reale come ci comportiamo? Abbiamo paura di perdere il nostro “status” e votiamo di conseguenza consegnando il nostro futuro e il futuro del nostro Paese in mani non sicure. Mai crogiolarsi nella mancanza di soluzione ai nostri problemi. Siamo noi gli artefici del nostro futuro.

“Chiedere giustizia ai potenti era un errore tattico. Nel farlo rinunciavi alla sola arma a tua disposizione: privarli del potere di dire no.”

martedì 2 aprile 2019

RECENSIONE | "La scomparsa di Josef Mengele" di Olivier Guez

In “La scomparsa di Josef Mengele”, tradotto da Margherita Botto per Neri Pozza, Olivier Guez narra la storia della fuga di uno dei più efferati criminali nazisti: l’angelo della morte. Il libro ha vinto il prestigioso Prix Renaudot 2017. Per coinvolgervi nella lettura di questo romanzo vi riporto il parere di Susanna Nirestein, pubblicato da Repubblica:

“Mengele non è finito mai nelle mani dei cacciatori nazisti e da questo libro capiamo tappa per tappa come ha fatto. La sua inafferrabilità divenne un mito ammantato di una definizione epica, l’Angelo della morte. Per Guez occorreva destrutturare la leggenda e calarsi nella sua miseria. […] Se può essere di consolazione, la sua esistenza non sarà sempre dorata. La mente malefica di Mengele è messa a nudo. Il risultato è compatto, disturbante. Non c’è, come non ci poteva essere, redenzione.” 

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
La scomparsa di Josef Mengele
Olivier Guez (traduzione di M. Botto)

Editore: Neri Pozza
Pagine: 202
Prezzo: € 16,50
Sinossi
Buenos Aires, giugno 1949. Nella gigantesca sala della dogana argentina una discreta fetta di Europa in esilio attende di passare il controllo. Sono emigranti, trasandati o vestiti con eleganza, appena sbarcati dai bastimenti dopo una traversata di tre settimane. Tra loro, un uomo che tiene ben strette due valigie e squadra con cura la lunga fila di espatriati. Al doganiere l'uomo mostra un documento di viaggio della Croce Rossa internazionale: Helmut Gregor, altezza 1,74, occhi castano verdi, nato il 6 agosto 1911 a Termeno, o Tramin in tedesco, comune altoatesino, cittadino di nazionalità italiana, cattolico, professione meccanico. Il doganiere ispeziona i bagagli, poi si acciglia di fronte al contenuto della valigia più piccola: siringhe, quaderni di appunti e di schizzi anatomici, campioni di sangue, vetrini di cellule. Strano, per un meccanico. Chiama il medico di porto, che accorre prontamente. Il meccanico dice di essere un biologo dilettante e il medico, che ha voglia di andare a pranzo, fa cenno al doganiere che può lasciarlo passare. Così l'uomo raggiunge il suo santuario argentino, dove lo attendono anni lontanissimi dalla sua vita passata. L'uomo era, infatti, un ingegnere della razza. In una città proibita dall'acre odore di carni e capelli bruciati, circolava un tempo agghindato come un dandy: stivali, guanti, uniforme impeccabili, berretto leggermente inclinato. Con un cenno del frustino sanciva la sorte delle sue vittime, a sinistra la morte immediata, le camere a gas, a destra la morte lenta, i lavori forzati o il suo laboratorio, dove disponeva di uno zoo di bambini cavie per indagare i segreti della gemellarità, produrre superuomini e difendere la razza ariana. Scrupoloso alchimista dell'uomo nuovo, si aspettava dopo la guerra di avere una formidabile carriera e la riconoscenza del Reich vittorioso, poiché era... l'angelo della morte, il dottor Josef Mengele.


Buenos Aires, giugno 1949. Nella gigantesca sala della dogana argentina tra i tanti emigranti, che aspettano di passare il controllo, c’è un uomo che tiene ben strette due valige. Al doganiere mostra un documento di viaggio su cui è riportato il suo nome: Helmut Gregor, cittadino di nazionalità italiana, cattolico, professione meccanico. Il doganiere ispeziona i bagagli e rimane stupito di fronte al contenuto della valigia più piccola: siringhe, quaderni di appunti e di schizzi di anatomia, campioni di sangue, vetrini di cellule. È tutto molto strano ma il medico di porto non ci trova nulla di strano e fa cenno al doganiere che può lasciarlo passare. Così l’uomo raggiunge il suo santuario argentino, dove lo attende una seconda vita lontanissima dal suo nero passato. Quell’uomo era un ingegnere della razza, un angelo bianco. Il suo nome era Josef Mengele.

Un tempo il “dottor” Mengele circolava vestito come un dandy: stivali, guanti, uniforme impeccabile, berretto leggermente inclinato. Portava sempre con sé un frustino con cui sanciva la sorte delle sue vittime: a sinistra la morte immediata, le camere a gas, a destra la morte lenta, i lavori forzati o il suo laboratorio. In Mengele c’era la totale mancanza di empatia verso le sue stesse vittime. I suoi esperimenti avevano lo scopo di creare, in laboratorio, bambini di razza ariana. Le cavie “del dottor Morte” venivano recluse nel blocco 10 e sottoposte a terribili esperimenti. Sulle coppie di bambini gemelli, Mengele conduceva gli esperimenti più atroci per ricostruire in laboratorio il codice genetico della razza ariana. Torturò e uccise 400 mila persone fischiettando arie liriche e seviziando bambini, nani, rom e soprattutto gemelli, la vera folle ossessione. Le sue molteplici atrocità appartengono a una tra le pagine più buie della Storia.
Mengele è il principe delle tenebre europee. Il medico orgoglioso ha dissezionato, torturato, bruciato bambini. A lungo ha creduto di cavarsela facilmente, lui, “il parto deforme di fango e di fuoco” che si considerava un semidio, lui che aveva calpestato le leggi, i comandamenti e causato, imperturbabile, tante sofferenze e tanta tristezza agli uomini, suoi fratelli.
Atrocità per cui non ha mai pagato, infatti non è mai stato catturato. Alla caduta di Hitler, Mengele scompare facendo perdere le sue tracce. Trovò rifugio in Sud America spostandosi poi  in diversi paesi tra cui Paraguai e Brasile. Inizialmente l’esilio era  una specie di “dolce vita” per il famigerato scienziato del Terzo Reich. Poi, con la caduta del regime di Juan ed Evita Peròn, i nazisti che vivevano in Argentina furono costretti a fuggire per non dover affrontare il tribunale degli uomini. Per Mengele, la descrive bene Olivier Guez, inizia una vita governata dalla paura che ogni giorno possa essere l’ultimo. L’arrivo del Mossad diventa il suo incubo. Camaleontico nell’assumere tante diverse identità, “l’angelo della morte”, non proverà mai l’ombra di un pentimento per gli orrori perpetrati. Guez ricostruisce il vagabondare maledetto di Mengele costretto a strisciare da una tana all’altra, forte dell’appoggio della sua ricca famiglia. È granitica il lui la convinzione di  non aver mai fatto nulla di riprorevole. Ogni suo esperimento era stato eseguito solo per il bene della scienza tedesca. Nessuno sa esattamente come si sia evoluta la fuga di Mengele. La latitanza termina nel 1979  con la sua morte avvenuta per cause naturali.

Olivier Guez con “La scomparsa di Josef Mengele” racconta la storia di Josef Mengele in Sudamerica. Non tutto corrisponde al reale verificarsi di eventi, probabilmente alcune zone d’ombra non saranno mai chiarite. Tuttavia ciò che mi ha coinvolta è stato il ridimensionamento  di Mengele. L’autore lo descrive come un uomo abbandonato da tutti, braccato e terrorizzato dalla possibile cattura, moderno Caino che vaga in Brasile. Il suo nome incuteva terrore ma dietro alla sua “bestialità” si nascondeva un piccolo uomo. Il ritratto psicologico che ne emerge ci mostra un uomo mediocre e crudele. Scrive Guez:
Nel marzo 2016 le ossa di Mengele sono state lasciate alla medicina brasiliana. I suoi resti in mano agli apprendisti medici dell’Università di San Paolo: così si conclude la fuga di Josef Mengele, più di settant’anni dopo la fine della guerra che annientò un continente colto e cosmopolita, l’Europa. Mengele, ovvero la storia di un uomo senza scrupoli, dall’anima blindata, che ha risposto alle sollecitazioni di un’ideologia velenosa e mortifera in una società sconvolta dall’irrompere della modernità. Quell’ideologia non stenta a sedurre il giovane medico ambizioso, a sfruttare colpevolmente le sue mediocri propensioni, la vanità, la gelosia, il denaro, fino a spingerlo a commettere crimini abietti e a giustificarli.
“La scomparsa di Josef Mengele” è un romanzo ben documentato, duro e sconvolgente, che non esprime giudizi perchè basta il semplice racconto dei fatti per farsi un’idea di chi era Mengele e della sua psicologia. È un cammino fatto di terrore e sofferenza, di fedeltà all’ideologia nazista. Mengele ha la profonda convinzione di essere nel giusto, ha solo obbedito al volere della Patria. Man mano che proseguivo con la lettura ho provato l’agghiacciante sensazione di trovarmi davanti a mostri, Mengele non è l’unico nazista reo di indicibili torture, dal volto umano.

Primo Levi ha scritto che se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Io concordo, con il grande scrittore, sulla necessità non solo di conoscere ma anche sull’importanza della memoria. Un monito per le generazioni future che, speriamo, non vengano mai colte d’amnesia. Se ciò dovesse nuovamente accadere sarà  impossibile mettersi in salvo. L’odio, il razzismo, il dovere all’obbedienza, il pensare tutti allo stesso modo, generano un cancro che divora la società annientandola con l’assuefazione al male che diventa “normale” e quindi temibile. Oggi siamo tutti veramente liberi nel pensare in completa autonomia o siamo condizionati? L’uomo è stato, è e sarà sempre davanti all’abisso. A impedirci di cadere sarà la nostra coscienza, luce nelle tenebre.
Ogni due o tre generazioni, quando la memoria si affievolisce e gli ultimi testimoni dei massacri precedenti scompaiono, la ragione si eclissa e alcuni uomini tornano a propagare il male.
C’è di che riflettere.