giovedì 21 marzo 2019

RECENSIONE | "Più donne che uomini" di Ivy Compton-Burnett

Se amate la narrativa inglese non potete perdere“Più donne che uomini” scritto da Ivy Compton-Burnett, edito Fazi Editore. Con la pubblicazione di questo romanzo, da oggi in libreria, la Fazi inaugura il rilancio di una grande autrice del Novecento inglese della quale ricorre nel 2019 il 50esimo della morte. La scrittrice racconta i rapporti tra uomini e donne  e le dinamiche familiari con uno stile unico e una sagacia senza pari. Le sue opere sono state a lungo dimenticate e perciò vi consiglio di cuore di leggere questo romanzo in cui l’umorismo pungente si mescola con la tragedia in una grande girandola che vede i piccoli drammi quotidiani incrociarsi con i grandi drammi della vita.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Più donne che uomini
Ivy Compton-Burnett (traduzione di S. Tummolini)

Editore: Fazi
Pagine: 262
Prezzo: € 19,00 
Sinossi
In una prospera cittadina inglese a inizio Novecento, un grande istituto femminile è diretto da Josephine Napier, un generale ingioiellato: alta e austera, un viso regale, «vestita e pettinata in modo da esibire i suoi anni, anziché nasconderli». Impeccabile in ogni gesto e in ogni parola, è il punto di riferimento imprescindibile per tutti, le studentesse, il corpo docente e i suoi familiari: il marito Simon, oscurato dalla personalità della moglie, il figliastro Gabriel, il fratello Jonathan, vedovo calato nel ruolo dell’anziano zio e amante segreto ma non troppo di Felix Bacon, giovane sfaccendato. Al gruppo si unisce presto Elizabeth, una vecchia conoscenza di Josephine che viene assunta come governante e porta con sé la figlia Ruth. Le giornate sono scandite da una serie di rituali obbligati e da dialoghi in cui si dice tutto e niente, botta e risposta infiocchettati che in realtà nascondono universi interi. Finché un tragico evento inaspettato fa precipitare ogni cosa, dando vita a una reazione a catena che sconvolgerà le vite di tutti e porterà a galla il lato oscuro di ognuno. Nessuno è chi dice di essere, e dietro alla spessa patina del codice vittoriano si nascondono segreti celati per intere esistenze. Verranno fuori tutti, uno dopo l’altro.



Josephine Napier, direttrice di un grande istituto femminile in una prospera cittadina inglese, era una donna di cinquantaquattro anni, alta e austera, con qualche ciocca grigia tra i capelli ramati, grandi occhi nocciola, un viso regale, dai tratti marcati eppure semplici, deliberatamente schietta e modesta, mani sorprendentemente ingioiellate, vestita e pettinata in modo da esibire i suoi anni, anziché nasconderli.
Scritto nel 1933, il romanzo è ambientato all’interno di un grande collegio femminile inglese diretto da Josephine Napier. La donna è austera e severa, capace più di emozioni che di affetti, impeccabile in ogni gesto e in ogni parola. È il punto di riferimento per la sua famiglia, per le insegnanti e per le studentesse. Al suo fianco, anzi un passo dietro di lei, c’è suo marito Saimon. Completano la famiglia il figliastro Gabriel e Jonathan, fratello di Josephine e amante segreto di Felix Bacon. A tutti loro si aggiungerà Elizabeth, vecchia amica della direttrice, che verrà assunta come governante e porterà con sé la figlia Ruth. La vita scorre apparentemente tranquilla fino a quando un tragico evento scatenerà una reazione a catena che sconvolgerà la vita di tutti portando alla luce il lato oscuro di ognuno di loro.

“Più donne che uomini” è un romanzo caratterizzato da dialoghi al vetriolo che appaiono come educati e gentili scambi d’opinione. Il codice vittoriano scandisce ogni evento della storia e i personaggi celano segreti che poi, inevitabilmente, verranno alla luce sconvolgendo la vita di tutti. La scrittrice intinge la penna nel veleno per descrivere i rapporti tra le persone e con umorismo mordace mescola sorrisi e lacrime. Una serie di colpi di scena scandisce il ritmo del romanzo che mette a nudo le ipocrisie del suo tempo ma, lasciatemi dire, ancora attuali.

Attraverso i pensieri dei vari personaggi viene tratteggiata una società falsa e profondamente detestabile. A volte bastano uno sguardo, un gesto, un sorriso per essere cattivi. Non si uccide solo con pugnali e veleni, ma anche con le parole e con i giudizi. Ogni personaggio è buono e cattivo, specchio di una società fragile che vede nella povertà, nella vecchiaia e nella morte il declino dell’uomo. La scrittrice tratta questi temi delicati con spudorato realismo e una vena di disprezzo.
E c’è da vergognarsi, invece, di cose come la povertà, la vecchiaia, e la morte. Sono irrimediabili: in questo sta l’umiliazione. Dover accettare delle condizioni che ci sono imposte non può che essere oltraggioso.
Man mano che procedevo con la lettura mi sono resa conto che nessuno è chi dice di essere. L’anima ha più volti e molte cose si nascondono dietro a un sorriso. Capitolo dopo capitolo, si assiste alla comparsa ora di un volto ora di un altro e tutti sfilano sulla passerella della vita, con disinvoltura e cinismo a testimonianza dell’impossibilità di mostrarsi come realmente si è. Con la scusa di far del bene si semina, con leggiadria, il male.
É bene che le persone sappiano quello che fanno, perché non vadano incontro alla vita con le bende agli occhi.
Questo romanzo si compone di poche sequenze descrittive e narrative a vantaggio dei tanti dialoghi con cui non si costruiscono ponti ma si edificano muri. I personaggi non abbassano mai le difese, non aprono il loro cuore, la sincerità non è di casa in questa storia ricca di pessimismo.
Io rendo il doveroso omaggio che le persone altamente civilizzate devono a coloro che vivono alla base della società.
“Più donne che uomini” è un romanzo d’amare fin dalle prime pagine. I suoi personaggi sono spesso detestabili ma presentati con garbo ed eleganza immersi in un’atmosfera tragicomica. Vi sembrerà di essere in un mondo in cui ciò che si dice è ben diverso da ciò che si pensa. L’autrice non ci aiuta in alcun modo a capire i retroscena degli eventi. Lascia a noi il compito, arduo ma piacevolissimo, di ricostruire la storia. I rapporti famigliari sono lo specchio dei rapporti sociali. La famiglia è al centro dei giochi di potere, è un luogo pericoloso. Sotto una decorosa patina di rispettabilità si celano serpenti pronti a mordere. Se pensate che l’amore, l’amicizia, il rispetto, l’educazione, l’umiltà e la serenità possano essere l’antidoto ai veleni inoculati con le parole, siete in errore. Il nucleo famigliare è un crogiolo di enigmi, tutti guardano altrove e mai in se stessi dove si annida la strada che porta dritti all’inferno.

Ogni pagina nasconde un segreto, ogni dialogo ha un retrogusto di perfidia, ogni famiglia è un covo di vipere. Non ci si può distrarre, pena l’avvelenamento e docilmente si segue la via tracciata dalla scrittrice ricordando che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Un plauso alla Fazi che ha deciso di pubblicare questo romanzo della “grande Signorina”, come la chiamò Alberto Arbasino, della letteratura inglese del ‘900.

2 commenti:

  1. Mi incuriosisce per l'ambientazione scelta dall'autrice, il soffermarsi sui rapporti Interpersonali e questa penna che sembra arguta e pungente.
    Un altro libro da tenere presente!!
    Ciao Aquila :))

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  2. Mi incuriosisce, ma al momento ci sono altri libri che mi interessano di più.

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