giovedì 21 gennaio 2021

RECENSIONE | "Ora che eravamo libere" di Henriette Roosenburg

“Ora che eravamo libere” di Henriette Roosenburg, pubblicato da Fazi editore, è la storia della liberazione di quattro prigionieri politici olandesi alla fine della seconda guerra mondiale e del loro viaggio di ritorno a casa dopo che i soldati russi li liberarono dalla prigione di Waldheim. Questo libro è un intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e documenta in modo diretto la Nacht und  Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regima nazista.

Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà iniziando un lungo e accanito ritorno a casa, restare in vita per poter essere testimone di una drammatica esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista, sono i punti cruciali di una narrazione atta a testimoniare la mostruosità della tragedia che ha coinvolto milioni di persone    durante e immediatamente dopo la guerra.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Ora che eravamo libere
Henriette Roosenburg

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà tramite un lento e accanito ritorno verso casa, restare in vita per testimoniare e non far dimenticare un’esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista: tutto questo è "Ora che eravamo libere", l’intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e che, grazie all’immediato successo presso i lettori americani, documentò in modo diretto la Nacht und Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regime nazista. Nata nel 1916 in Olanda, Henriette Roosenburg aveva appena cominciato l’università quando si unì alla resistenza antinazista. A causa della sua attività come staffetta partigiana prima e giornalista poi, nel 1944 fu catturata, imprigionata nel carcere di Waldheim in Sassonia e condannata a morte. Nel maggio dell’anno successivo, venne liberata assieme ad altre sue compagne di prigionia, iniziando un lunghissimo viaggio per tornare a casa, un’autentica odissea attraverso la Germania sprofondata nel caos di fine conflitto. In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti o addirittura ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questa estenuante via crucis riusciranno alla fine a riabbracciare le proprie famiglie in patria. 


Ci guardammo in faccia, rendendoci conto che eravamo tutte lì, vive e libere! Ci gettammo una nelle braccia dell’altra e ci stringemmo e ci baciammo, e versammo le prime lacrime, e lasciammo andare i primi singhiozzi di felicità.

In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti e ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questo     estenuante viaggio  cercano di ritornare a casa attraversando la Germania sprofondata nel caos.

I quattro protagonisti sono:

Nell, trent’anni. Faceva parte della resistenza e prima di essere arrestata dalla Gestapo nell’autunno del 1943, coordinava una serie di nascondigli per i piloti alleati abbattuti in Olanda. Riuscì ad organizzare una “via di fuga” che dal Belgio e dalla Francia arrivava alla Spagna e al Portogallo.

Joke, vent’anni. Collaborava con i partigiani per aiutare i piloti alleati abbattuti nei dintorni del villaggio dove abitava. Lavorava sulle “vie di fuga” accompagnando personalmente aviatori alleati oltre il confina tra Olanda e Belgio. Venne arrestata nel maggio del 1944 e condannata a morte.

Zip, ventotto anni, narratrice della storia. Lavorava nella stampa clandestina e divenne una staffetta in Belgio, Francia e Svizzera per aiutare un gruppo di partigiani che trasmettevano informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche al governo olandese a Londra. Fu catturata nel marzo 1944 e condannata a morte.

Dries, ventisei anni. Marinaio mercantile in congedo, tentò di attraversare il canale della Manica partendo da una spiaggia olandese. Venne catturato nell’aprile 1944 e condannato a morte.

Nell, Joke e Zip erano amiche e conobbero Dries nella prigione di Waldheim dove facevano parte del cosiddetto gruppo “Nacth und Nebel” (Notte e Nebbia), soprannominato “NN”. All’interno dei campi di prigionia o di concentramento, gli NN rappresentavano il gradino più basso nella scala gerarchica della prigione. Venivano rinchiusi in celle separate e ogni volta che uscivano, per la mezz’ora di ginnastica, le guardie facevano in modo che nessuno li vedesse. Inizialmente erano tenuti in isolamento, ma nell’ultimo anno di guerra le prigioni tedesche erano talmente affollate  che questa regola decadde e in una cella singola vennero stipati fino a sei NN. Erano i più vessati e le loro giornate erano scandite da lavori e ricevevano la minor quantità di cibo e avevano scarse possibilità di ricevere cure mediche. Spesso venivano uccisi nel segreto più assoluto. L’ordine era di non trasmettere nessuna informazione circa il destino o il luogo di morte di questi deportati. Sparivano “nella nebbia e nella notte” come Alberich ne “L’oro nel regno di Wagner” che sparisce in una colonna di fumo cantando “Nacht un Nebel, niemand gleich!” ( Notte e nebbia, non c’è più nessuno).

In questo clima di odio e abisso umano, inizia la storia di Henriette, chiamata Zip, e delle sue amiche Joke e Nell. Le ragazze cadono nelle mani dei nazisti nell’Olanda occupata e vengono deportate in Germania. La loro prigionia avrà fine con l’arrivo dei soldati sovietici. Con Dries, un giovane connazionale, le ragazze decidono di tornare a casa affrontando un viaggio pieno d’insidie. Ma come può aver successo un’odissea del genere in un paese in cui i soldati sono predoni e il cibo scarseggia? Di chi ti puoi fidare?

“Ora che eravamo libere” racconta i primi titubanti passi “degli invisibili” verso la libertà. Racconta dell’arrivo degli eserciti vincitori che non avevano preso nessun accordo per riportare i prigionieri liberati alle loro città d’origine. Non più numeri ma di nuovo essere umani, smagriti e deboli, senza soldi, senza un’identità costituita, senza sapere se avevano ancora una casa, i nostri protagonisti  affrontano il ritorno forti solo dell’amicizia che li lega.

Leggere “Ora che eravamo libere” è come vedere un drammatico film in bianco e nero. Sai perfettamente che ciò che stai leggendo è verità, sai che questi tempi oscuri non appartengono alla fervida immaginazione ma sono frutto della malvagità umana. A tutti il compito di vigilare, di creare una staffetta di ricordi che non si interrompe mai per consegnare alle generazioni future un monito .

Nel romanzo si susseguono tre linee narrative. La prima ci descrive la vita nella prigione, le privazioni e le violenze subite dai prigionieri. Lo sapevate che a Waldheim le prigioniere, per evadere dall’incubo che quotidianamente vivevano, si distraevano con il ricamo e interminabili discorsi sul cibo? Il ricamo, come qualunque attività in autonomia, era severamente proibito e andava fatto di nascosto. Era un’attività per non perdere il senno. I fili colorati e gli aghi erano dei piccoli tesori, rubare un piccolo pezzo di tessuto poteva costar caro con punizioni crudeli e violente. Sulla stoffa ricamavano il nome del carcere, il numero della cella, le date e le canzoni associate a quei luoghi. Si comunicava da una cella all’altra con l’alfabeto Morse. Con la mente occupata era più facile sopportare le privazioni e le malattie causate dalla malnutrizione.

La seconda linea narrativa ci narra l’arrivo degli alleati, la liberazione, la frenesia dell’attesa. Sarebbero state liberate o i nazisti le avrebbero uccise a un passo dalla liberta?

Trascorse un momento interminabile durante il quale udimmo porte che si aprivano, detenute che si precipitavano fuori urlando; poi il tintinnio delle chiavi giunse davanti alla nostra cella, la porta si spalancò e noi ci lanciammo su un’orda di donne francesi e su un magro soldato russo con le chiavi. Lo travolgemmo di gratitudine; lui si svincolò pazientemente e proseguì verso la cella successiva.

Alla liberazione, era il maggio del 1945, seguono giornate incredibili, scoperte dolorose, ma si riaccende la speranza di un ritorno a casa.

Nella terza parte della narrazione scopriamo che, dopo la liberazione, i russi avevano collocato sentinelle lungo le rotte principali, compresi i ponti, e vietavano tutti i viaggi non autorizzati per paura che i soldati tedeschi scappassero insieme agli ex prigionieri di guerra. Zip e le sue amiche, attraverso il baratto e l’astuzia, riuscirono a raggiungere un campo di sfollati popolato da belgi, olandesi e italiani.  Era solo una tappa della lunga odissea che le attendeva. Un viaggio di coraggio, eroismo e umanità.

Con una scrittura chiara e ricca di emozioni, Zip rivela tutti i dettagli della sua prigionia, la liberazione e il ritorno a casa.

È un libro di memorie che vi trasmetterà vivide emozioni, è una storia che vi legherà ai protagonisti rendendovi partecipi del loro calvario. Una via di 650 chilometri le separa dai loro affetti più cari

Nel 1950 Henriette Roosenburg è stata la prima donna a ricevere il “Leone  di bronzo”, premio per il comportamento coraggioso di fronte al nemico.

Per non dimenticare, mai!

1 commento:

  1. i libri su questo argomento non sono mai troppi ed io ogni anno cerco pubblicazioni che lo trattino, quindi mi segno questo memoir!

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