lunedì 18 gennaio 2021

RECENSIONE | "L'ultimo spettacolo" di Vincenzo Zonno

“L’ultimo spettacolo” di Vincenzo Zonno, Catartica Edizioni nella Collana In Quiete, è un coinvolgente romanzo di fantascienza con una spruzzata di giallo. È un intreccio, quasi casuale, di vite vissute senza più ideali. La tecnologia diventa la madre di ogni cosa e per evadere da una falsa realtà ci si rifugia nei sogni. Fin dalle prime pagine Zonno ci mostra il portale d’accesso a un mondo sconosciuto dove tutto è apparenza. Come sempre leggere i romanzi di questo talentuoso scrittore non è cosa facile ma è indubbia la sua capacità di appassionare e ammaliare il lettore. Capire in che direzione va la trama è spesso un’ardua impresa che crea un mare magnum di sensazioni, ipotesi e deduzioni. La storia, ambientata in uno scenario del futuro, ci mostra uno mondo inquietante di invenzioni tecnologiche sempre più invasive che sgretolano caratteri sempre più fragili e modificano il comportamento umano.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
L'ultimo spettacolo
Vincenzo Zonno

Editore: Catartica
Pagine: 192
Prezzo: € 14,00
Sinossi

Dirigibili sorvolano gli oceani, trasportando uomini in viaggio premio verso oriente, mentre Harpo è disteso sul divano nella sua casa in città e non ha intenzione di cambiare nulla nella sua vita. Si addormenta di un sonno profondo. Troppo. Una ragazza è senza vita sopra una panchina in riva a un lago, e lui sembra essere il probabile omicida. Ma non lo si potrà accusare, almeno finché continuerà a dormire.


La ormai collaudata società progrediva esclusivamente a piccoli passi e nell’unica direzione consentita ai gruppi di lavoro incaricati di quell’unica mansione. Tutto ciò che in passato era stato conquistato grazie all’improvvisa illuminazione di un qualche turbolento pensatore, ora si poteva ottenere con lo studio mirato di un’equipe appropriata. I tempi per ottenere gli stessi risultati si diluivano, allungandosi a dismisura, ma il totale controllo procurava profitti innegabili a chi doveva gestire la cosa umana.

Carl è parte integrante di questa macchina. Collabora con un governo capace di prevenire tutte le necessità dei cittadini per non far sentir loro la necessità di un’autonomia più ampia. Un elaboratore centrale del governo controlla la popolazione, un ordine prestabilito regna ovunque e lo stato organizza la metropoli in modo capillare per aumentare al massimo la produttività. Gli uomini non si distinguono più per le abilità personali e i cittadini sono spiati e controllati attraverso gli schermi della televisione. In questa società così particolare conosciamo, oltre al Delegato, anche Harpo e un elettricista a cui lo scrittore non ha dato alcun nome. I due uomini vivono nella stessa città e vi sorprenderanno con le loro storie.

Capitolo dopo capitolo si assiste a un confronto spesso drammatico, da una parte c’è la collettività domata e dall’altra c’è l’uomo inteso nella sua identità.

Tuttavia l’uomo non può avere come unico intento di arricchirsi, la sua creatività lo spinge a ribellarsi. D’altro canto l’uomo è per natura, scriveva Aristotele, un “animale comunitario”, un “animale politico” che ha la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Non tutti però sono disposti ad accettare una realtà fatta di telecamere, sensori ed elaboratori. Harpo continua a sfuggire a questa vita e per sopravvivere si cela dietro a una maschera, nessuno può dire di conoscerlo davvero. Un giorno Harpo si distende sul divano, nella sua casa in città, e si addormenta di un sonno profondo. Sembra non voglia più svegliarsi.  Nel frattempo una ragazza viene uccisa, pugnalata con un tagliacarte di metallo. Sull’arma ci sono le impronte di Harpo ma il sospettato non può essere interrogato perché è caduto in un sonno senza risveglio.

Potrà mai esistere un mondo senza violenza, rabbia o rancore? C’è qualcosa in grado di porre un freno a questa anomalia dell’esistenza? Forse la bellezza? La bellezza prescinde dall’uomo, nasce spontaneamente e si evolve dal nulla. Mitiga la natura degli esseri umani che hanno bisogno di aggredire come valvola di sfogo alle proprie frustrazioni. No, non c’è sempre una ragione o una verità incontestabile per tale sgradevole caratteristica umana.

In Harpo vive il suo altro io che non è poi così affidabile? È uno spietato omicida, un essere orribile e  al contempo sensibile e caritatevole?

Nessuno lo sa, l’uomo continua a dormire e sogna. Spenta la luce delle emozioni, dei sentimenti umani, Harpo si rifugia nei sogni per provare quei sentimenti che la veglia cancellava. Anche la sofferenza è utile per cambiare la propria storia. Non sempre, però, ciò è possibile.

La perfezione sta nel giusto equilibrio fra libertà ed uguaglianza, pendere sull’una o sopra l’altra determina sempre un fallimento. Questa nuova società pendeva un po’ a destra e un po’ a sinistra a seconda delle situazioni. Non tutti avevano lo stesso trattamento e al contempo non si era del tutto padroni della propria esistenza. Bizzarro, vero? Ma forse era proprio ciò che l’uomo bramava.

Forse l’uomo stesso desidera essere un ingranaggio della macchina e si crea una propria virtuale catena di montaggio costruita con le proprie affinità in un grande gioco di equilibri e contrasti, tra istinto e ragione, tra destino e volontà. Venire a patti con una società falsa non è il massimo. Meglio rifugiarsi nei sogni. Chiudersi di più in se stessi vuol dire vivere in un continuo turbamento e forse la parola magica è “rinuncia”.

“L’ultimo spettacolo” è uno struggente desiderio di libertà, poter percorrere le vie del mondo in autonomia senza catene, andando verso un incontrollabile futuro in cui esiste l’unica natura umana. Il nostro pianeta, la nostra società sono feriti, soffrono una lunga agonia  e ci vorrebbe un atto d’amore per strappare alla morte la nostra stessa esistenza. Sul palcoscenico della vita lasciamo che siano le emozioni a dar forza alla nostra esistenza. In una società in cui tutti sono controllati  rinunciare a essere una pedina vuol dire, per Harpo, rifugiarsi nei sogni dove è possibile cancellare la solitudine e diventa prioritario realizzare i propri desideri. Come in uno spettacolo, si può ballare, volare, amare e voltare le spalle alla morte anche se sappiamo di non poterla evitare per sempre.

Iniziare a leggere “L’ultimo spettacolo” è come immergersi in acque profonde dove tutto diventa ombra, dove il tempo rallenta e si odono le note dell’amore, della libertà, della bellezza. Tutti noi siamo vulnerabili, nei sogni diventiamo eroi intraprendenti pronti a riprenderci la libertà e la bellezza che qualcuno ci ha sottratto.

“L’ultimo spettacolo” è un romanzo complesso che nasce dalla fusione di più generi e si moltiplica nelle storie dei vari personaggi. Il tutto si offre a una lettura soggettiva che procede tra mondo reale e mondo onirico, tra reale e immaginario. I personaggi si muovono in un universo surreale ma, nel sogno, si tolgono la maschera perché nessuno può vederli. L’osservazione del potere si spegne quando i sogni si accendono.

Vincenzo Zonno è uno scrittore talentuoso capace di coinvolgere il lettore. Facendo leva su trame ingannevoli crea percorsi labirintici che parlano della condizione umana. Così, con attenzione e concentrazione, passo dopo passo, iniziamo a riflettere con senso critico basandoci su tutte le idee e le possibilità che il romanzo ci offre. Adoro il modo in cui lo scrittore usa le parole, le rende libere di muoversi senza confini. Non sono legate a un significato ben preciso, la sensibilità del lettore diventa il timone che ci guida nell’interpretazione di tematiche sociali che affondano le loro radici nelle realtà urbane e nella collettività. Nel romanzo tutti i personaggi hanno un ruolo ben preciso, deciso dallo Stato. Tutto è apparenza e in questo mondo spaventoso nessuno vorrebbe mai viverci. Pensate se fosse una macchina a decidere se si è innocenti o colpevoli di un crimine, se la tortura fosse un nobile mezzo per ottenere informazioni, se i prati fossero di plastica e i profumi dei fiori fossero spruzzati da erogatori nascosti. Spesso, però, è l’uomo a scegliere di bandire l’individualismo a vantaggio di un percorso di vita già tracciato. “Rinuncia” è la parola che serpeggia tra le righe del romanzo. I personaggi collezionano un intero album di rinunce: c’è chi rinuncia alla danza, chi al confronto con la vita, chi alla vera giustizia. Dove non esiste la libertà non c’è scelta. Quindi quando tutto sembra ormai perduto, non resta che chiudere gli occhi sulla realtà e riaprirli nei sogni. Attenti però! Il confine tra realtà e sogno è davvero sottile. Una cosa è certa, leggere “L’ultimo spettacolo” ci offre la possibilità di esplorare le vicende di una futura società che nessuno vorrebbe. L’immaginazione ci permette di superare ogni limite imposto, ogni realtà sospesa, ogni muro narrativo. Con colori caldi, molteplici sentimenti e gesti di libertà è interessante esplorare l’orrido futuro che potrebbe diventare realtà se non diamo al nostro inquieto presente una possibilità di rinascita.

2 commenti:

  1. Un romanzo particolare, originale, "visionario". Zonno sa sempre come affascinare i lettori 🙂

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    1. Sì, affascina i lettori trattando temi molto attuali :)

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