giovedì 25 giugno 2020

RECENSIONE | "Tornare a casa" di Dörte Hansen

“Tornare a casa” di Dörte Hansen, edito dalla Fazi nella collana Le strade, è un bel romanzo sulla fragilità e la bellezza del mondo agricolo che cambia riannodando i fili di un passato lontano. È la storia di un’intera comunità tra sogni illusori, partenze, ipocrisie e prepotenze. Tutto ha inizio nel paesino immaginario di Brinkebull, nella Frisia settentrionale, travolto da un inevitabile cambiamento che coinvolge anche i destini individuali dei suoi abitanti e mette in contrasto il loro passato e il loro presente. Dimenticare le proprie radici è impossibile, fanno parte di noi, guidano le nostre scelte. Con dolcezza e una vena di malinconia, Dörte Hansen ha scritto un libro incantevole. Caso letterario dell’anno in Germania, con oltre 400.000 copie vendute e il plauso di pubblico e critica, “Tornare a casa” è stato premiato dai librai tedeschi come miglior libro dell’anno.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Tornare a casa
Dörte Hansen

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Quando un bambino nasce in un paesino di provincia dove di bellezza non c’è neanche l’ombra, è figlio di una ragazzina affetta da ritardo mentale e fin da piccolissimo viene messo in piedi su una cassa a spillare birra al bancone di una locanda, il fatto che da adolescente frequenti il liceo è piuttosto sorprendente; se poi diventa un professore universitario e decide di lasciarsi tutto alle spalle, l’evento è più unico che raro, e in paese c’è chi lo vive come un tradimento. Nel momento in cui, alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo fugge da una vita accademica insoddisfacente e da un’ambigua convivenza a tre in un appartamento in cui non si diventa mai adulti per tornare a casa e prendersi cura dei nonni – Sönke, l’oste arroccato nella sua locanda semiabbandonata, ed Ella, che la vecchiaia ha reso capricciosa e imprevedibile –, due realtà apparentemente inconciliabili si scontrano, dando vita a una crepa profonda dalla quale tutto torna a galla. Il ritorno a Brinkebüll diventa così un’occasione per riscoprirsi e reinventarsi: ci sono conti da saldare, ruoli da invertire e tante tappe da rivisitare prima di muovere il primo passo verso il cambiamento.


La prima estate senza cicogne fu un segno, e quando in autunno gli spinarelli dal ventre bianco presero a galleggiare nell’acquitrino, anche quello fu un segno. «E’ la fine del mondo», diceva Marret Feddersen e ne vedeva i segni dappertutto.
Ingwer Feddersen era nato a Brinkebull. Cresciuto dai nonni Sonke ed Ella, proprietari della locanda del paese, lascia la sua terra natia per studiare e diventare un professore d’archeologia. Dopo tanti anni decide di prendersi un anno sabbatico, interrompe il suo lavoro, lascia l’appartamento in cui vive con altre due persone e torna a casa per occuparsi degli anziani nonni. Ormai non resta loro molto da vivere.
Ingwer Feddersen, studentello, topo di biblioteca, per una volta avrebbe fatto qualcosa di utile, di normale. Pulire, cucinare e stare al bancone della locanda.
Sonke, vicino ai cent’anni, era ormai cieco da un occhio, l’artrite aveva deformato tutto il suo corpo e per muoversi usava un deambulatore. Malgrado tutto egli continuava a lavorare nella sua locanda, niente e nessuno l’avrebbe scollato dalla sua postazione dietro al bancone. Sua moglie Ella era afflitta da demenza senile, persa nel suo mondo confondeva passato e presente. Nei rari squarci di lucidità una domanda affiorava sulle sue labbra: “Viene oggi Marret?”

Marret era la figlia di Sonke ed Ella, ed era la madre di Ingwer.

Facciamo ora un salto indietro nel tempo. Marret ha 17 anni, per tutti è “l’oracolo dagli zoccoli bianchi”. La ragazza, affetta da ritardo mentale, andava in giro per il paese indossando sempre lo stesso paio di zoccoli bianchi e annunciando a tutti la fine del mondo.

A diciassette anni si sogna, poi arriva un bambino, e allora si diventa pazzi. O forse si era pazzi già da prima e il bambino era venuto dopo, nel caso di Marret l’ordine non era chiaro.

Lascio a voi scoprire il resto della trama ma attenzione a non perdervi nel mondo emotivo dei suoi protagonisti e nell’ironia che nasconde drammi profondi.

Brinkebull è un paesino agricolo sottoposto a lavori di consolidamento del terreno e trasformazione dei piccoli campi in grandi aree e in strade asfaltate. Il volto del paesaggio muta irrimediabilmente e anche la vita del paese e dei suoi abitanti cambia profondamente. Il vecchio mondo rurale scompare pian piano e la campagna non è mai narrata in modo idilliaco ma con la cruda realtà di un’era che sta volgendo al termine. L’autrice descrive questi cambiamenti accuratamente e noterete come la vita di provincia è narrata quasi in modo austero segnando con rigore le tappe di uno sconvolgimento sociale ed economico che si intreccia con la storie delle famiglie del paese.

Il ritorno di Ingwer, alla soglia dei cinquant’anni, segna la fuga da una vita accademica insoddisfacente e da un’ambigua convivenza a tre in un appartamento dove tutti si sentono un eterno Peter Pan.
Due uomini, una donna, i conti non tornavano. Uno faceva sempre la fine del coglione.
Il ritorno diventa un’occasione per guardare finalmente in se stessi, ripercorrendo il proprio passato. Per muovere i primi passi verso un futuro di cambiamento facendo pace con il proprio vissuto. Così avremo l’opportunità di conoscere molti personaggi che insieme danno vita alla storia del paese. Ognuno ha sogni, speranze, debolezze e segreti. Già, segreti!

Tra i vari personaggi, con i quali è stato facile condividere pensieri ed emozioni, vorrei parlarvi del maestro Steensen, con un grande amore inconfessabile nascosto in fondo al cuore, e di Gonke, la figlia del fornaio.

Steensen, il maestro dell’unica scuola del paese, usciva dai gangheri oltre per la stupidità sconfinata, anche per la pigrizia, il sudiciume e l’impertinenza dei suoi alunni. Infliggeva castighi lasciandosi guidare dall’istinto. Non accettava mai nuove materie o nuovi libri nel suo programma scolastico e non condivideva i nuovi regolamenti sull’educazione non violenta.
Perché erano insensati. Fuori dal mondo. Quella gente che voleva evitare le punizioni corporali in classe non si era mai trovata di fronte a quaranta bambini di paese, duri di cotenna e scalmanati come una mandria di vitelli.
Occorreva quindi adottare un atteggiamento di paterno rigore. In ogni classe c’erano due o tre alunni veramente stupidi e altrettanti con una bella testa, il resto si collocava nel mezzo.

Tra le belle teste c’erano Gonke e Ingwer.

Gonke, la figlia del fornaio, era fonte di preoccupazione per la sua famiglia. Si vestiva malissimo, non sorrideva mai e leggeva sempre. Anche al panificio leggeva mentre serviva i clienti con una mano sola e nell’altra reggeva un libro. Lei leggeva così come gli altri bevevano, smodatamente fino allo stordimento totale. La lettura era per lei un modo per sopravvivere.

Un momento speciale vorrei dedicare a Marret, una creatura incompresa, circondata da una nebbia di enigmi. Lei rappresenta il passato, il paese di un tempo forgiato da uomini e donne “vecchio stampo”. Era una fanciulla imprevedibile, capace di starsene nascosta dietro gli alberi o accovacciata nei fossi. Nell’ora del riposo, a mezzogiorno, quando gli adulti del paese crollavano “come bestie stordite”, tutti i bambini se la svignavano e andavano incontro ai loro segreti. Anche Marret aveva un segreto, un segreto che le tenne compagnia per nove mesi.

“Tornare a casa” è un romanzo dalle mille sfaccettature, un collage di eventi che coinvolge un intero paese. Sullo sfondo la natura che si specchia nei campi, nei boschi, nelle tempeste, nel cielo. C’è malinconia, gioia e grandi delusioni, tra le pagine di questo libro. C’è la vita con le sue difficoltà.

“Tornare a casa” è il narrare di un tempo sospeso dove si celano i segreti e si svelano le verità. Ciò che appare idilliaco è solo finzione, il cuore conosce già ciò che la ragione comprenderà poi.

Cuore e mente, insieme, sono capaci di grandi cose. Così come Ella e Sonke, gli anziani nonni del protagonista, che stanno per festeggiare le nozze di ferro. Insieme da quasi settant’anni ne avevano affrontato di difficoltà e ora erano impazienti di riunire tutto il paese per festeggiare. Unica paura: la morte degli anziani invitati prima del giorno fatidico. Ora, al tramonto della vita, i nonni di Ingwer, fanno tenerezza. Per Ella i luoghi, le persone, gli anni si mescolavano alla rinfusa. Nel suo mondo riaffioravano sorelle minori che non erano mai morte, c’erano di nuovo la vecchia scuola, il recinto dietro alla sua casa, le mucche e i prati. Marret aveva ancora 17 anni e cantava nella sala della locanda. Tutto il mondo, dell’anziana donna, era governato dallo scompiglio. Immerso nel tempo ormai passato.

Ingwer voleva aiutare i suoi nonni ma si trattava, anche, di saldare un debito. Tornare a casa non è mai una sconfitta, è un momento per raccogliere i pensieri e staccare un po’ dalla vita che non ci appaga completamente. Ingwer, poi, sarebbe andato avanti come sempre: restando fermo. Per un anno avrebbe fatto l’oste e il figlio del contadino celando la sua identità di docente universitario, lettore di poesie, escursionista, scienziato, collezionista di pietre e pensatore. Era lui stesso a nascondersi per poi indispettirsi se non lo vedevano. Accade spesso di dire no a tutto ciò che il nostro passato rappresenta, ma a cosa diciamo sì? Non assecondare le aspettative dei propri cari è un atto di slealtà, d’ingratitudine, di tradimento? Vivere non è mai facile, creare se stessi vuol dire amare, osare, cambiare. Vuol dire sbagliare e poi rialzarsi, vuol dire inseguire i propri sogni ed essere liberi di scegliere.

“Tornare a casa” è un romanzo dallo stile semplice e lineare. Molti i personaggi bizzarri che sostano sotto i riflettori per raccontare le loro storie sempre intrecciate alla vita di provincia che diventa un luogo rappresentativo di qualunque area rurale europea. Tanti i temi trattati: l’incessante scorrere del tempo, il declino fisico e mentale, l’amore nascosto, le ferite inflitte alla terra in nome di una ricomposizione fondiaria per meglio utilizzare i terreni, l’abbandono e il ritorno.

Per poter andare avanti, alcune volte, occorre ritornare sui nostri passi, saldare i debiti con le persone amate, ripercorrere i sentieri già tracciati per scoprire che è giunto il momento per percorrere nuovi cammini. A farci compagnia ci saranno i ricordi, la forza delle persone amate e nessun cambiamento potrà mai privarci del nostro passato. Il viaggio della vita deve continuare.

5 commenti:

  1. Mi incuriosisce davvero tanto. E spero di leggere presto 😊😊

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    1. Romanzo interessante e coinvolgente, a tratti malinconico ma che offre molti spunti di riflessione :)

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  2. Ciao Buongiorno come stai? Sono brasiliano. Accetti uno seguendo il blog dell'altro? Possiamo essere amici (non c'è distanza per l'amicizia) e collaborare con i nostri blog. https://viagenspelobrasilerio.blogspot.com/?m=1

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  3. mi pare di capire che questo libro abbia molti elementi interessanti, dalle tematiche presenti allo sfondo, ai tanti tipi di personaggi che creano sicuramente molte dinamiche.
    Me lo segno :)

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    1. Sì, i personaggi sono tanti. Pensa a un intero paese travolto dall'eco delle voci dei suoi abitanti. E' un bel modo per rievocare mondi che il progresso ha trasformato senza, però, cancellarne il ricordo :)

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