"L'isola della felicità" (Feltrinelli, 2025) di Davide Ferrario, sceneggiatore, critico e regista di film e documentari, è un romanzo nato da una storia vera. Racconta la parabola di un paradiso trasformato dalla ricchezza.
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![]() STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7 |
Pagine: 176

Dato che sul Continente chiamavano il guano "oro bianco", be', allora noi dell'isola eravamo seduti sopra una miniera di quell'oro. È così, purtroppo, che siamo diventati ricchi.
C'era una volta una piccola e sperduta isola nell'Oceano Pacifico. Era abitata da uomini semplici dediti alla pesca e all'agricoltura. Uomini felici che vivevano a stretto contatto con la natura che scandiva il tempo e l'alternarsi delle stagioni anche se il caldo regnava sovrano per tutto l'anno e c'era tanta umidità. Si andava a pesca nell'Oceano e nella laguna, si coltivava il necessario, c'erano capre, maiali e galline. La popolazione faceva il minimo indispensabile e si accontentava di quel che c'era.
Un giorno arrivarono Quelli del Continente che scoprirono sull'isola un enorme deposito di guano, formatosi dalle deiezioni degli uccelli, da cui si ricavavano fertilizzanti di pregio. Iniziarono a comportarsi da padroni e arrivò anche un missionario che non cambiò più di tanto la vita degli indigeni:
Bastava adeguarsi alla recita: andare in chiesa una volta alla settimana nel giorno che lui definiva "del Signore", ascoltarlo, fare di sì con la testa, cantare le canzoni stampate in un certo suo libro, tornarsene a casa e dimenticarsene fino alla domenica successiva. Tenendo conseguentemente lontani, beninteso, i soldati. È così, diceva la nonna, che siamo diventati cattolici.
Dopo il missionario sbarcò sull'isola anche la scienza nei panni di un ingegnere che venne chiamato dagli indigeni Lui-con-gli-occhiali. Il guano giaceva in abbondanza sotto la foresta e lo sfruttamento di quella risorsa preziosa portò a un periodo di prosperità economica e rese ricchissima la popolazione che smise di lavorare e iniziò a spendere il denaro in beni non necessari. L'oziosità spinse gli abitanti a cambiare drasticamente il proprio regime alimentare, abbandonando la sana dieta di pesce, verdura e frutta, a favore di alimenti molto calorici ma poco nutritivi (divenne piatto nazionale la coda di tacchino impanata e fritta). Una notevole varietà di merci venivano importati ed esposti nell'emporio creando l'illusione di aver bisogno di tante cose di cui non si era mai sentita la necessità. Così anche il consumismo fece la sua comparsa sull'isola. La popolazione iniziava a desiderare di possedere vestiti, inutili sull'isola visto il caldo soffocante; tutti volevano le automobili, anche se sull'isola c'era una sola strada che tracciava la circonferenza dell'isola.
Il progresso avanzava e arrivarono la scuola e l'ospedale, fece la sua comparsa anche il denaro. Sull'isola anche il tempo veniva imprigionato in anni e date; i nomi tradizionali vennero sostituiti da quelli all'occidentale; comparve la televisione, i voli aerei, la polizia e il turismo che non ottenne molto successo.
L'idea dell'isola equatoriale aveva evocato nei turisti immagini di spiagge bianche e immacolate, lagune azzurre, foreste misteriose. Niente di tutto questo era sopravvissuto: l'isola era una miniera a cielo aperto, con il suo cuore sventrato dagli scavi e calcinato dal sole; nella laguna non guizzava più un solo pesce e sulla costa troneggiava l'impianto di carico dei fosfati, la cui polvere puzzolente impestava l'aria.
L'isola veniva definita, da sarcastici servizi televisivi, uno dei posti più brutti del pianeta, e i suoi abitanti non proprio attraenti.
L'isola non era più sconosciuta e diventò uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Lui-che-parla-bene fu eletto primo Presidente.
L'euforia, costruita sulla merda di uccello, aveva cancellato la memoria del passato.
Avevamo tutti vissuto in un sogno in cui, mentre l'isola intorno cambiava, noi continuavamo a credere di essere in un altro posto, quello che conoscevamo prima. Come era stato possibile?
La teoria della rana bollita spiegava ogni cosa!
Coccolati dalla ricchezza e bolliti da quello che vedevamo alla TV, eravamo un popolo di adulti che credevano di essere rimasti bambini nel mondo della loro infanzia. E il risveglio era stato brutale.
Tuttavia tutte le cose belle finiscono e il guano, che bello non era ma dava ricchezza, era ormai esaurito. Ecco che tutto precipitava. L'isola era stata sfruttata, spogliata delle sue ricchezze naturali, sfregiata da anni di scavi. Iniziava la discesa, progressiva ma costante, verso la miseria.
Cosa fare per sopravvivere? Trasformare l'isola in un paradiso fiscale? Costruire un carcere da mettere a disposizione dei Paesi continentali?
Cinquant'anni dopo l'isola è in miseria e l'unica graduatoria in cui primeggia è quella della popolazione più obesa del pianeta. Anche il mare, inquinato per il modo in cui i fosfati venivano caricati sulle navi, aveva fame e stava per divorare ogni cosa.
La voce narrante appartiene a un isolano, Lui-col-sorriso-stanco, testimone dell'incredibile storia vera di Nauru, la repubblica indipendente più piccola del mondo, che racconta la trasformazione di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano.
Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un'esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell'isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere.
"L'isola della felicità" è un romanzo molto interessante, ironico e lucido, che pone al centro della vicenda lo scempio provocato dall'uomo in natura e le conseguenze dannose di una ricchezza facile. Importante è anche il concetto di felicità usato come metafora per descrivere un'esperienza positiva ma dalle conseguenze catastrofiche.
Davide Ferrario usa l'isola di Nauru per raccontare una metafora sulla vita contemporanea con avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l'amara coscienza del nostro tempo. L'autore ci porta a riflettere sul capitalismo, sulla gestione delle risorse naturali e sul benessere dei cittadini. Il romanzo narra la parabola autodistruttiva che investe tutto il mondo, svela amare verità che sono spunti di riflessione sul prezzo del progresso.
Da lettrice posso dirvi che "L'isola della Felicità" è una lettura che coinvolge e si stenta a credere che siano tutti fatti riguardanti la realissima isola di Nauru in Micronesia. Non c'è lieto fine, l'ottimismo non abita le pagine di questo romanzo che intrattiene con humour e una buona dose di pessimismo. Se volgiamo lo sguardo intorno a noi non vediamo sicuramente una sconfinata prateria di felicità ma il deserto dell'avidità dell'essere umano che avanza. Riflettiamoci!