mercoledì 25 ottobre 2023

RECENSIONE | "La casa del mago" di Emanuele Trevi

“La casa del mago” (Ponte alle Grazie) è il nuovo, bellissimo libro di Emanuele Trevi, premio Strega con “Due vite”. Il “mago” del titolo è suo padre Mario, magnetico e sfuggente psicanalista junghiano scomparso nel 2011. Trevi inizia un viaggio per comprendere l’indecifrabile genitore attraverso la casa del mago, quella in cui lo scrittore finisce per vivere.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La casa del mago
Emanuele Trevi

Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 256
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Nel memorabile incipit di questo libro, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre gli ripete spesso un'istruzione enigmatica: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo (ad esempio, fra le calli di Venezia, in una passeggiata dell'infanzia) occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza.

Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Così il figlio decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua atmosfera inquieta e feconda, e così facendo prova a sciogliere (o ad approfondire?) l'enigma del padre.

Muovendosi nel suo sempre mutevole territorio, fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e dell'esistenza, storia culturale del Novecento (ne La casa del mago – accanto a straordinari personaggi contemporanei, tra cui spicca Paradisa, una prostituta peruviana – figurano Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard...), Emanuele Trevi ci offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico (e perfino umoristico): una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più semplici rimandano alla trama più sottile dell'essere, se li si ascoltare, se si sa lasciarli accadere.





Lo sai com’è fatto

Con questo memorabile incipit, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre, ci accoglie mettendo ben in chiaro che tutti, Emanuele in primis e noi con lui, dobbiamo accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza.

Per Emanuele il padre, Mario Trevi, è il mago, un guaritore di anime. Trevi vuol andare oltre l’immagine del genitore, attraverso la conoscenza del padre arrivare a una più profonda conoscenza di se stesso.

Trevi, dopo la morte del genitore, cerca di vendere l’appartamento-studio nell’elegante quartiere Parioli di Roma ma nessuno vuole acquistarla. C’è chi la trova buia, chi un po’ polverosa, chi un po’ rumorosa. C’è sempre qualcosa che non va.

Quello non era un posto qualunque, ma l’antro di un grande guaritore, un luogo dove la Cura si era giocata a viso aperto la sua partita col Male: e vincesse il più scaltro dei due, se ne era capace.

Così, seguendo il destino, decide di farne casa propria entrando in un ambiente misterioso ancora saturo dalla presenza delle vite storte che per decenni il padre ha lenito, raddrizzato. La casa diventa simbolo dell’Anima, custodisce l’eco della voce dei pazienti che si affidano al Mago.

Il trasloco fu semplicissimo, come si svolgono i traslochi nei film. Del resto, non mi è mai interessato possedere nulla di particolare; l’unica cosa materiale a cui attribuisco valore sono i soldi, e quelli stanno saggiamente in banca, non esistono più nemmeno in concreto.

In quei novanta metri quadrati, l’autore ritrova la presenza del padre attraverso gli oggetti, solo apparentemente insignificanti, disseminati nelle stanze della casa. Questi oggetti nel loro insieme formano “il museo del padre”, ognuno ha un significato, è legato a un ricordo, rivela un lato del carattere paterno. Tutto ha una spiritualità intrinseca, una energia vitale e rassicurante. Vengono alla luce sentimenti e ricordi di persone che non ci sono più ma che sono state importanti per lui. Persone che hanno avuto un’anima e davanti a quest’anima lo scrittore cerca sé stesso rivedendosi non solo adulto, ma anche bambino e ragazzo. Racconta Trevi il rapporto con il padre Mario.

Bellissimo l’episodio in cui nei dedali di Venezia, durante la Biennale, il piccolo Emanuele si attacca alla cinta dell’impermeabile del padre, sempre distratto, per scoprire alla fine d’essersi attaccato tutto il giorno al “trench sbagliato”. Per fortuna, seguendo i consigli materni, ha messo in tasca la saponetta dell’albergo in cui soggiornano su cui è stampato l’indirizzo.

Tuttavia se il passato porta con sé delusioni, insoddisfazioni, errori fatti, il presente si mostra avvolto in una fitta nebbia e Trevi figlio ripopola la casa con strane figure. Infatti Emanuele inizia a trovare tracce del passaggio di una, non ben definita, presenza. Vasi cinesi preziosi che svaniscono nel nulla, la comparsa di un piattino con un mozzicone di sigaretta macchiato di rossetto che compare al centro della scrivania paterna, la pila del telecomando che non è più al suo posto. Chi si introduce in casa, nel cuore della notte, lasciando tracce del suo passaggio?

Chi è la Visitatrice che “si manifestava con dispetti e scompigli di piccola entità” mentre il proprietario di casa dorme beato?

Una cosa è certa: Emanuele non rinnega mai la sua inquietante tranquillità ma è deciso, alla morte del mago, a penetrare l’enigma di “quell’uomo meraviglioso e misterioso”, in vita tanto affettuoso quanto impenetrabile.

Alla misteriosa Visitatrice si affianca la figura, questa ben definita, della Degenerata, la colf sudamericana che non è minimamente capace di portare a termine nessun lavoro domestico “e sparge  una patina di sciatteria ovunque”. Degenerata sfrutta il suo datore di lavoro Emanuele che, da perfetto inetto, non riesce a licenziarla e continua a pagarla per dei lavori che non svolge.

Grazie a Degenerata, il protagonista conosce un’irresistibile donna dalla pelle sempre “sudata e vanigliata”, il suo nome è Paradisa, una prostituta peruviana dal carattere imperturbabile.

Accanto alla Visitatrice, alla Degenerata e a Paradisa, troviamo grandi personalità come Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli ed Ernest Bernhard.

Emanuele Trevi cerca di comporre, con toni lievi e a tratti umoristici, il ritratto del padre. Sicuramente un ritratto parziale perché nel padre sussiste sempre un lato che si sottrae alla conoscenza. Attraverso la scrittura Trevi mostra le proprie debolezze senza alcun timore, anzi le usa per ancorare la realtà. L’esplorazione della sua interiorità lo mette in comunicazione con i morti nella convinzione che solo dopo la morte si possono capire le persone amate.

Non è che in assoluto i morti non comunichino con i vivi, semmai devono verificarsi determinate circostanze perché il messaggio arrivi al destinatario.

Con i suoi scritti Trevi avvicina i vivi e i morti, consola i primi e dona immortalità a chi non c’è più.

“La casa del mago” è un libro potente e commovente, un libro che inizia con un racconto personale e poi si espande a inglobare un po’ tutti noi. Trevi ci apre le porte della sua memoria privata, ci guida in uno spazio intimo in cui il dolore per la perdita del padre si intreccia alla dolcezza del ricordo e all’ironia verso sé stesso.

La consapevolezza della morte è come il centro di ogni tipo di scrittura, e in particolare di quella autobiografica. Si potrebbe arrivare a dire che di qualsiasi cosa apparentemente parli la scrittura, questo muco dell’Io, il suo unico argomento reale è la morte. L’Io è il suddito fedele, il premuroso paggio della morte.

Con le parole lo scrittore crea il ritratto del padre e del mondo che lo circonda. È un salto indietro nel tempo, dei flashback di quando era bambino. Essere figlio “di un mistero” non è facile. Mario c’è e allo stesso tempo non c’è, è presenza e assenza, chiuso nel silenzio in “quel retrobottega che Montaigne consiglia di farsi sempre nella testa” per ritrovare il controllo di sé, riecheggiano le parole della madre, “sai com’è fatto!”

Trevi figlio non fa luce su alcun mistero. L’attimo fuggente conserva la sua bellezza.

Un equilibrio imprevedibile di forze contrarie, una configurazione unica del caso nella fuga degli specchi della possibilità, un oracolo cinese.

Enigmi a parte, una verità emerge da “La casa del mago”: i padri vanno amati, protetti e rispettati. Il tempo, lo sappiamo, porta via le persone che amiamo. La scrittura è un mezzo per donare loro l’immortalità, per riportarli in vita e continuare a dialogare con loro.

8 commenti:

  1. Ciao Aquila Reale, che bella recensione, mi hai commossa!

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    1. Grazie Fra, sei davvero gentile! Ma se vuoi provare un'altalena di emozioni ti consiglio di leggere "La casa del mago" dove cuore e memoria si incontrano :)

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  2. Si percepisce come questa lettura ti abbia coinvolta, il che mi orienta verso di essa perché le storie in cui l'autore, nel mettersi a nudo, permette a noi lettori di ritrovarci e specchiarci in ciò che racconta, le accolgo sempre volentieri.
    Sono sempre alla ricerca di libri che mi diano molte emozioni.
    ciao Aquila, complimenti per l'appassionata ed efficace recensione e grazie per questo consiglio letterario.

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    1. Ciao Angela, leggere Trevi è sempre un'esperienza ricca di emozioni. Tracciare un ritratto del padre fatto di momenti vissuti, presenze e assenze, insegnamenti e cose non dette, è sicuramente un varco per entrare nell'esistenza dello stesso autore, conoscere le sue radici e apprezzare i suoi scritti. Un cordiale saluto :)

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  3. Come sempre, mi incanti. Me ne parlava benissimo anche una cara collega. Metto in lista!

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    1. Sei sempre gentilissimo! Trevi mi ha conquistata e spero sia, anche per te, una lettura ricca di emozioni. Un caro saluto :)

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