lunedì 10 marzo 2025

RECENSIONE | "La levatrice di Nagyrév" di Sabrina Zuccato

Sabrina Zuccato per il suo primo romanzo, "La levatrice di Nagyrév" (edito da Marsilio), prende spunto da un fatto di cronaca realmente avvenuto, tra le due Guerre Mondiali, nell'Ungheria rurale.

L'Europa venne sconvolta per l'efferatezza dei crimini e per una ribellione silenziosa delle donne che iniziarono a vendicarsi degli abusi e dei soprusi subiti da parte dei loro uomini e familiari. 

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
La levatrice di Nagyrév
Sabrina Zuccato

Editore: Marsilio 
Pagine: 448
Prezzo: € 19,00
Sinossi

Zsigmond Danielovitz, incaricato di indagare sul cadavere di un’anziana contadina, è un uomo indebolito dalla guerra, ma vigile. E così ci mette poco a scorgere, dietro gli occhi degli abitanti di Nagyrév, qualcosa di sinistro. Nagyrév è un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, l’anno è il 1929 e il benessere, in quella ristretta comunità rurale, non arriva. Zsigmond Danielovitz si rende presto conto che la morte della donna sulle sponde del fiume Tibisco non è che l’anello di una lunga catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio. "La levatrice di Nagyrév" racconta un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne uccidono gli uomini, si vendicano. Superstizione, violenze, miseria e soprusi sono i protagonisti delle vite che si incrociano in questo affresco rurale, dove a fare le spese di appetiti e frustrazioni sono sempre le donne. Le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano creano situazioni insostenibili e sofferenze ingiustificabili per mogli e figlie, anziane e ragazze. Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, levatrice dal passato fumoso, spesso etichettata come «strega» dai suoi concittadini, temuta e, ogni tanto, rispettata, una figura carismatica, rarissimo esempio di donna emancipata, cui molte «sorelle» chiedono aiuto per risolvere i guai che hanno dentro casa: gravate da inganni, stupri e sottomissioni, le vittime hanno deciso di alzare la testa. Gli avvenimenti che ebbero luogo a Nagyrév, mostrando gli orrori di cui è capace la vita domestica e le forme di resistenza alle sopraffazioni di genere, possono essere una finestra utile, e dolorosa, per capire il presente.



"Adagiato sull'erba ristagnante, tra le mosche che vi vorticavano intorno, c'era il corpo di una donna. La pelle cerulea e i tessuti rigonfi rendevano irriconoscibili quei lineamenti che erano appartenuti a un'anziana signora. La decomposizione si era arrestata, e le basse temperature sembravano aver avuto compassione della salma."

Siamo nel 1929. Nel villaggio "sperduto tra il nulla e l'addio" di Nagyrév, sulle sponde del fiume Tibisco, viene trovato il corpo senza vita di una vecchia signora. Per gli abitanti del villaggio a uccidere la donna è stata sua figlia, Anna la lurida, "due occhi incagliati in un volto orrendamente butterato che sprigionavano cattiveria e rancore."

Zsigmond Danielovitz, capitano della gendarmeria, è incaricato di indagare sull'omicidio. Osservando il cadavere "ciò che vide lo fece rabbrividire: all'attaccatura dei denti, le gengive erano quasi completamente nere, probabilmente a causa della presenza di ulcere necrotiche" spie di un avvelenamento da arsenico.

Anna la lurida confessa l'omicidio e inizia a raccontare la propria storia. Una storia carica di dolore e sofferenza. Ed è solo l'inizio di una lunga catena di personaggi femminili che celano un passato marchiato da violenze e abusi perpetuati in ambito famigliare. Si delinea il ritratto di una società patriarcale che non ha alcun rispetto per le donne che vengono derise, violate, vessate, picchiate, da parte di mariti e suoceri alcolizzati e violenti. Donne costrette a sposarsi con uomini che non amano e che disprezzano. Non hanno alcun diritto ma il continuo dovere di procreare. Ogni figlio maschio rappresenta una forza-lavoro da impegnare nell'economia famigliare. Se le donne non hanno figli "rappresentano un pericolo per tutta la società, pertanto devono essere trattate come nemiche del Regno. La maternità deve essere la principale priorità delle donne, altrimenti la razza ungherese scomparirà presto."

In questo poco amabile contesto sociale, le indagini del capitano delle gendarmeria procedono anche se Anna, rea confessa, è stata già arrestata. Un altro mistero bussa alla porta della giustizia. qualcuno infila sotto la porta della taverna nella quale Zsigmond soggiorna un foglietto su cui c'è scritto:

Le tombe di Nagyrév sono rimaste silenziose per più di un decennio, ma adesso finalmente parleranno rivelando i loro orribili segreti.

Zsigmond Danielovitz si rende conto che la morte della donna sulle sponde del Tibisco non è che l'anello di una catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio.

"La levatrice di Nagyrév" è un romanzo complesso con più piani di lettura. L'autrice intreccia abilmente riferimenti storici ed elementi narrativi di fantasia. Ad amalgamare il tutto è un linguaggio fluido in cui si alternano atmosfere cupe e fiabesche a un'esplicita denuncia sociale sulla condizione femminile. Il romanzo nasce dalle voci di più figure femminili che raccontano la propria storia. Si narra di bambini  con i corpi deturpati dalla fame, di case distrutte dai bombardamenti, ma soprattutto di uomini che perpetuavano la loro violenza fra le mura domestiche. In una girandola di superstizione, violenze, miseria e soprusi, si assiste a un ribaltamento dei ruoli: le donne si vendicano, alzano la testa per porre fine alle situazioni insostenibili in cui vivevano. Le regole patriarcali della comunità magiara vengono squarciate.

Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, la levatrice del villaggio. Spesso etichettata come "strega" dai suoi concittadini, è temuta e, ogni tanto, rispettata. Figura carismatica è un rarissimo esempio di donna emancipata alla quale molte "sorelle" si rivolgono chiedendo aiuto per risolvere i guai che hanno dentro casa. Sono donne gravate da inganni, stupri e sottomissioni. Sono vittime che hanno deciso di alzare la testa. Per tutte loro la levatrice rappresenta la speranza, la possibilità di poter fuggire da vite opprimenti. Per tutte la guaritrice aveva consigli, insegnamenti e soluzioni semplici e definitive per estirpare il male da ogni famiglia.

Lei sapeva guardare dentro le persone, riuscendo a scandagliare la loro anima. Forse era per questo che le donne del villaggio le chiedevano udienza così spesso. Per loro lei non era solo la levatrice di Nagyrév. Non era solo la guaritrice. Era molto di più: un'amica, un'insegnante, una confidente. Lei era zia Zsuzsi, e aveva una soluzione per tutto.

Anche il personaggio del capitano Zsigmond Danielovitz gioca un ruolo importante in questa vicenda. È un uomo tormentato fin da giovane quando "aveva intuito come non fosse stato un figlio desiderato". Aveva trascorso "la giovinezza in solitudine" ed era tornato dal fronte "con la mano sinistra spappolata, cicatrici sparse sul corpo e una parziale perdita dell'udito." Nascondeva sempre il moncherino dentro la tasca. Sua sarà la decisione di riesumare tutti i cadaveri a partire dal 1910. Si scopriranno amare verità e l'innocenza del colera che pur aveva flagellato quelle terre.

"La levatrice di Nagyrév" è un fiume narrativo in piena alimentato dall'alternarsi di piani temporali e da molti personaggi tutti ben caratterizzati. É una storia inquietante che porta a riflettere sulla natura del potere e sul desiderio di vendetta. Sabrina Zuccato dà voce alla "rivolta silenziosa delle donne". I ruoli si ribaltano, le vittime diventano carnefici. Costruire il proprio futuro sul sangue non è giusto ma ogni caso va analizzato e diversamente giudicato. Occorre tener conto anche del momento storico. Le donne, che durante la guerra avevano sostituito gli uomini in tutti i lavori, erano costrette, alla fine del conflitto, a dover rientrare nei vecchi ruoli sottostando alla volontà del capofamiglia. Ricominciano le umiliazioni e le violenze. In questo contesto si evolve il piano di salvezza della levatrice. Lei aveva cercato di migliorare quella società abietta affidandosi a una "soluzione definitiva". Era convinta di agire per un bene supremo. "È questa la missione che Dio le aveva affidato."

Gli orchi che si celavano all'interno di una famiglia dovevano ricevere la giusta punizione per le loro malvagie azioni. Donne che avevano già cercato di denunciare i propri aguzzini, le loro parole si erano perse nel nulla, le loro richieste d'aiuto erano rimaste inascoltate. Naturalmente vi furono anche donne che fecero scelte amorose di eutanasia, per non veder più soffrire i loro cari, ma anche scelte fatte per avidità, per ereditare e vivere felici.

Il finale riserva un lampo nel buio, la possibilità di vedere la vita da un'altra prospettiva, magari surreale, ma non per questo meno vera. Così mentre diciamo "addio" al villaggio sperduto, lontano dal progresso e da ogni assistenza statale, portiamo con noi amare riflessioni. Si può sempre scegliere? Esistono morti giuste? Quanti omicidi si commettono in nome della patria? In guerra se uccidi il nemico ti danno una medaglia. Non sempre si può scegliere.

In coda al libro troverete un'Appendice a cura dell'autrice che illustra le fonti documentarie e secondarie, le figure storiche e i personaggi coinvolti che sono alla base del lavoro preparatorio del romanzo.

Da non perdere.

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