venerdì 31 marzo 2023

RECENSIONE | “Althénopis” di Fabrizia Ramondino

“Althénopis” è un romanzo di Fabrizia Ramondino, pubblicato da Fazi e arricchito da una prefazione firmata da Chiara Valerio. Pubblicato nel 1981, apprezzato da Natalia Ginzburg e da Elsa Morante, vince il Premio Napoli e il Premio Lombardi-Satriani. È considerato un classico del Novecento. Ambientato nella Napoli  occupata dai Tedeschi, il romanzo è il prodotto originale di un perfetto mix realizzato con momenti evocati dalla memoria autobiografica, storia collettiva e invenzione romanzesca. La memoria, come una calamita, ripesca immagini di vita dai sette anni della protagonista alla prima adolescenza, narrate attraverso i luoghi, le cose, gli interni delle case. 


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Althénopis
Fabrizia Ramondino

Editore: Fazi
Pagine: 318
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Mentre la seconda guerra mondiale volge al termine e da Napoli giunge il grido di una città martoriata, a Santa Maria del Mare, paesino immaginario di poche anime annidato sulla costa, la protagonista di Althénopis trascorre le sue giornate tra giochi infantili e divertenti avventure. La piccola appartiene a una famiglia bizzarra, giunta lì dall’esotica isola di Porto Quì: il padre diplomatico è sempre in viaggio, la madre, donna algida e distante, è assillata da continue emicranie e la nonna, figura onnipresente e piena di fascino, è avvolta da un’aura di mistero dai contorni quasi onirici. Nell’esistenza quotidiana della bambina, ai parenti e agli amici si alterna la presenza degli “scugnizzi”, che rubano gli spiccioli ai passanti nella piazza del paese. Nonostante in casa si disapprovino certi comportamenti, la piccola, ignorando un atteggiamento che non le appartiene, si lascerà coinvolgere in mille peripezie mischiandosi con i coetanei di ogni ceto sociale, sospesa tra l’ingenuità dell’infanzia e le incomprensibili stranezze dell’età adulta. Quando all’improvviso il padre muore, la famiglia è costretta a trasferirsi altrove e viene ospitata da diversi parenti prima di stabilirsi definitivamente a Frasca. La ragazza, nel frattempo, diventa donna e all’inizio degli anni Cinquanta decide di intraprendere un misterioso e solitario viaggio al Nord. Al ritorno, il confronto con la madre, sempre più sola e bisognosa di attenzioni, sarà inevitabile, facendosi presto scontro drammatico e portando alla luce dinamiche complesse rimaste latenti troppo a lungo.





Era sempre vestita di nero, ma quando passava per la piazza di Santa Maria del Mare, come fiamme d’inferno i colori le guizzavano intorno, dei gialli, dei viola, perfino talora dei rossi e dei verdi; non portava bracciali, eppure bagliori dorati sembravano splenderle intorno ai polsi.

Il romanzo si compone di tre parti (Santa Maria del Mare, Le case degli zii, Bestelle dein Haus) che ripercorrono tre periodi della vita dell’autrice, periodi che hanno una collocazione ben precisa nel tempo. I nomi dei luoghi hanno invece subito una mutazione ma sono facilmente identificabili: Althénopis è Napoli, Santa Maria a Mare è un paese della costiera amalfitana, la Capitale è Roma. Le tre parti riflettono tre modi diversi di narrare: le prime sezioni sono narrate in prima persona, l’ultima parte in terza persona.

L’autrice narra di sé bambina insieme ai suoi fratelli. Mentre la seconda guerra mondiale volge al termine, a Santa Maria del Mare vive la protagonista di “Althénopis” con la nonna e la madre, ha molti amici, mentre il padre diplomatico è lontano da casa poiché lavora a Roma. È un uomo che riserva una rigida educazione ai figli ed è incapace di trasmettere affetto. La madre, donna algida e distante, è assillata da continue emicranie e concede più libertà ai figli. La nonna è una figura piena di fascino e di mistero. Compone canzoni d’amore, è generosa e ama cucinare in gran quantità anche in tempo di carestie.

La nonna aveva una colpa particolare. Allora potevo soltanto intuirle. Quella principale era di aver sperperato i beni della famiglia, ereditati in parte dai genitori, in parte dal marito, morto quando era una giovane madre venticinquenne!

Nell’esistenza quotidiana della bambina, oltre a parenti e amici, sono presenti gli “scugnizzi” con cui vivrà mille peripezie mischiandosi con i coetanei di ogni ceto sociale, sospesa tra l’ingenuità dell’infanzia e le stranezze dell’età adulta.

Quando il padre muore, la famiglia torna a Napoli e si trova in ristrettezze economiche. La famiglia riceve aiuto dai parenti (zia Callista, zia Cleope) e sono ospiti in varie case. Alcune volte sono costretti a dividersi finché un parente mette a loro disposizione una villa in un luogo chiamato Frasca. La ragazza nel frattempo, diventa donna e all’inizio degli anni Cinquanta decide di intraprendere un misterioso e solitario viaggio al nord.

Era tornata sconfitta dalla Madre, come a chiederle ragione della sua vita. Non era, al di fuori delle Maniere, che affanno e cuore aritmico. Alle Maniere rispondeva con altre Maniere. Al geroglifico con altro geroglifico. Intanto il mondo attorno crollava pezzo a pezzo.

L’autrice, ormai adulta, torna a Napoli dalla madre. La narrazione è in terza persona, i personaggi diventano la Madre e la Figlia. La Madre, ormai anziana, ha bisogno di un’assistenza costante. La Figlia assolve il gravoso compito. Nella casa ogni oggetto, ogni stanza, ha una voce ed è un ricordo a testimoniare il tempo passato. Il confronto tra Madre e Figlia diventa scontro drammatico portando alla luce dinamiche complesse rimaste nel limbo della memoria troppo a lungo.

Althénopis, ovvero “Occhio di vecchia”, così era chiamata Napoli dai tedeschi in tempo di guerra. La città descritta da Goethe come grandiosa, “occhio di vergine” è ormai devastata e imbruttita dalla guerra. Le truppe germaniche rimanendo perciò deluse, davanti a tale realtà, la chiamarono Althénopis. Intorno a questo nome e a questa città si svolge il libro di narrazioni della Ramondino. La narrazione è un crocevia di personaggi stravaganti e bizzarri, di vicissitudini familiari, incentrate soprattutto sul rapporto tra madre e figlia. Il filo autobiografico lega le tessere del mosaico che l’autrice traccia con mano sicura nei capitoli che  hanno titoli indicativi di luoghi come la piazza, le ville, la Marina, e sono contenitori di storie che tracciano la sua esistenza. Un vagabondare da una casa all’altra, case che sono “vive” in simbiosi con le persone che le abitano. Persone che non coglierete mai nell’atto di dialogare, l’autrice lascia che a parlare siano i loro gesti, i loro corpi. La nonna e la madre sono il cuore di queste narrazioni che fuggono via da una trama precostituita per percorrere nuovi sentieri e spogliandosi, pian piano, del superfluo tracciano il nitido ricordo di un microcosmo felice nonostante la guerra. All’interno del triangolo nonna-madre-figlia, rivivono le reminiscenze dell’io narrante. È un mondo al femminile intessuto di  figure solitarie e stravaganti, aneddoti, tradizioni e sentimenti, caratterizzato da solitudine e amore, dolore e felicità.

Con una scrittura evocativa ed elegante, Ramondino ci guida e ci permette di guardare ciò da cui proviene, il suo passato, la sua genesi, attraverso la memoria fatta di esperienze, immagini, personaggi, sapori e odori. Ogni capitolo presenta numerose note che sono parte integrante del romanzo perché spiegano costumi, abitudini, accenti dialettali e classi sociali del tempo.

Althénopis è il luogo in cui la memoria sopravvive, un limbo in cui i ricordi sono al sicuro e generano un caleidoscopio di narrazioni da cui si affacciano una miriade di volti che guardano al labirinto familiare dove si proiettano le immagini della guerra, della povertà, dell’amore e del dolore. “Althénopis” è un “piccolo mondo antico” che continua a vivere nella stagione dell’infanzia, sospesa nel tempo ma saldamente ancorata al cuore dell’autrice.

venerdì 24 marzo 2023

BLOGTOUR | "Il caso Morel" di Rubem Fonseca | Recensione in anteprima

Dal 28 marzo troverete nelle librerie “Il caso Morel” (Fazi Editore) di Rubem Fonseca, il noir letterario di un ex poliziotto diventato un grande della letteratura brasiliana. Pubblicato nel 1973, “Il caso Morel”  è il suo romanzo d’esordio. Si tratta di un noir a tinte forti ambientato a Rio de Janeiro, sempre in bilico tra la parte di società benestante di Copacabana e un’attrazione irresistibile per la decadenza dei bassifondi.



STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il caso Morel
Rubem Fonseca

Editore: Fazi
Pagine: 196
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Vilela, ex commissario diventato scrittore di gialli, incontra in prigione Paul Morel, artista incarcerato con l’accusa di avere assassinato barbaramente una delle sue amanti, il cui cadavere è stato ritrovato su una spiaggia di Rio de Janeiro. È stato Morel a chiedere di vedere Vilela, per fargli leggere dei brani di un manoscritto in cui racconta la sua vita e (chissà?) la verità sull’omicidio. L’ex commissario, che è in crisi creativa, accetta di leggere il libro, sempre più intrigato dall’ambiente descritto dall’artista: da una parte il gran mondo carioca tra il perverso e il gaudente, fatto di orge in grandi appartamenti lussuosi a Copacabana e di piccole angherie borghesi; dall’altra un sottobosco di prostitute, delinquenti e immigrati dalle zone povere del Brasile. Procedendo nella lettura, a Vilela viene voglia di indagare sul delitto. A poco a poco, i nomi dei personaggi vengono sostituiti da quelli reali, le scene del libro si sovrappongono a quelle della vita vera, Vilela a Morel, i romanzi ai diari, fino alla risoluzione dell’enigma… O forse era la fine del romanzo?





Ho il sospetto che l’universo non sia solo più strambo di quanto immaginiamo, ma più strambo anche di quanto sapremmo immaginare. 

Con uno stile diretto, duro, l’autore racconta una storia all’interno di un’altra storia, mescolando menzogna e verità, con vari riferimenti a se stesso e al mondo dei personaggi puntellati da una pluralità di discorsi. Sono voci di periferia, inquiete, che diventano il tramite per esprimere il gusto amaro della vita. I personaggi mostrano il loro lato peggiore, vivono ai margini della società in un presente fatto di prostitute, assassini, vite defraudate dei propri sogni, povera gente. È una società, quella descritta da Fonseca, in cui prevale la violenza in tutti gli strati sociali. Al centro della trama c’è l’artista d’avanguardia Paul Morel che viene arrestato con l’accusa di aver ucciso barbaramente una delle sue amanti. Vilela, ex commissario diventato scrittore di gialli, incontra in prigione Paul Morel. È stato Morel a chiedere di vedere Vilela, per fargli leggere dei brani di un manoscritto in cui racconta la sua vita e (forse) la verità sull’omicidio. L’ex commissario, che è in crisi creativa, accetta di leggere le bozze del libro, sempre più intrigato dall’ambiente descritto dall’artista: da una parte il gran mondo carioca tra il perverso e il gaudente, fatto di orge in grandi appartamenti lussuosi a Copacabana, dall’altra un sottobosco di prostitute, delinquenti e immigrati delle zone povere del Brasile. Leggendo i capitoli scritti da Morel, a Vilela vien voglia  di indagare sul delitto. Pian piano l’Ex commissario riesce a trovare i veri nomi dei personaggi del romanzo a cui Morel sta dando vita e si crea un ponte tra finzione e realtà. Le scene del libro si sovrappongono a quelle della vita reale, Vilela a Morel, i romanzi ai diari, fino alla risoluzione dell’enigma… O forse era la fine del romanzo?

In “Il caso Morel” c’è crudeltà e poesia, sesso e violenza, mistero e determinazione, riflessioni sull’arte e sulla funzione stessa della letteratura. La trama è costruita con flashback e anticipazioni, che donano alla narrazione un nuovo modo di vedere il tempo e lo spazio.

I personaggi hanno più personalità strettamente intrecciate tanto che è impossibile distinguerle in un quadro narrativo in cui c’è una frase ricorrente:

Non dobbiamo temere nulla. A parte le parole.

Frammenti di memoria compongono un racconto intriso di violenza in cui si muovono personaggi problematici. La narrativa  non concede alibi alla società esposta con pessimismo nei dialoghi tra Vilela e Morel. Entrambi conducono una vita trasgressiva riflettendo le trasgressioni della parte più oscura della società. In loro c’è l’istinto di conservazione e il desiderio di distruzione che diventano inchiostro nero con cui scrivere due piani narrativi entrambi necessari per esplorare gli abissi della degradazione umana. L’indagine poliziesca del romanzo si trasforma in una gigantesca ragnatela che intrappola tutti i personaggi. Non c’è alcuna via di scampo e Morel narra la sua vita vissuta in modo frenetico e distruttivo. Ossessionato dal sesso, Morel mette in opera un esperimento: vuol abitare insieme a tante donne per creare una famiglia fatta di legami che non fossero filo spinato.

Come se fossimo una famiglia, ma una famiglia di tipo diverso, che non esiste ancora, i cui membri siano tutti liberi, i cui legami siano non di protezione ma di amore.

Per poi aggiungere:

 Che discorso pieno di stronzate.

Una delle donne che Morel diceva di amare viene trovata morta e si scopre, durante l’indagine, che la vittima teneva un diario in cui raccontava i dettagli della sua relazione con Morel.

Morel semina il suo cinismo ovunque e sprofonda nelle sabbie mobili della sua nevrosi accompagnato da donne che esprimono apertamente e aggressivamente la loro sessualità.

Noi umani alberghiamo in noi, continuamente alimentati, i semi della nostra distruzione. Abbiamo bisogno di amare come di odiare. Di distruggere, ma anche di creare e di proteggere.

“Il caso Morel” è una fucina di temi trattati: la violenza, il sesso, l’arte, la droga e il rapporto dell’uomo con la società.

Il rapporto tra Morel e l’arte è una delle colonne portanti del romanzo. L’artista non vede nell’arte un mezzo per far soldi, per arricchirsi, ma vede la libertà della creazione artistica. Libertà che si riflette anche nel sesso dove piacere e dolore sono due facce della stessa medaglia. Accade, però, che una sua opera viene premiata alla Biennale d’Arte. Lui che dall’arte non vuole profitto, finisce per guadagnare proprio grazie a una sua opera. Contraddizioni che creano poli magnetici per la verità e la menzogna. Così come Morel e Vilela offrono punti di vista opposti sul romanzo che nasce, sull’omicidio, sul colpevole e sui limiti del desiderio. Entrambi sono funamboli sul confine tra realtà e delirio e rappresentano l’apparente dualismo del romanzo. Due anime che si sovrappongono.

“Il caso Morel” è un romanzo che si offre a più interpretazioni lasciate alla sensibilità del lettore. La società brasiliana mostra il suo volto senza trucco. L’emarginazione dei più poveri e le ingiustizie sociali fanno da contraltare all’ambientazione che rispecchia la collettività. A volte i luoghi in cui gli eventi evolvono sono case misere, disordinate e oscure. Oppure ci ritroviamo in luoghi violenti, come le carceri, e in luoghi dove l’empatia umana è stata bandita, come negli ospedali. Poi ecco lo splendore di luoghi piacevoli come belle case, ristoranti famosi, hotel di lusso.

Alla molteplicità dei luoghi segue l’ambiguità dei personaggi che si mostrano bugiardi e nascondono la verità. Sarà compito del lettore sbrogliare la matassa dell’enigmaticità. Cosa è vero e cosa non lo è? Cosa è reale e cosa non lo è? La lettura è anche interpretazione in questo viaggio narrativo tra citazioni letterarie e opere di artisti nel campo della pittura, della filosofia, della scultura e della psicologia. Se poi conoscete più lingue avrete una possibilità in più per apprezzare questo romanzo che presenta frammenti scritti in francese e inglese.

“Il caso Morel” è un  libro non facile da leggere ma, proprio per questo, è coinvolgente ed affilato come un bisturi che incide il tessuto sociale. Se volete uscire dalla vostra comfort zone questo libro ve ne offre la possibilità con un romanzo conciso, brutale e acido. Un intreccio narrativo creativo e convincente. Quindi lasciatevi coinvolgere da Rubem Fonseca in una storia pericolosa, in una concatenazione di dubbi ma con una profonda attenzione alle disuguaglianze sociali. In altre parole, leggete Rubem Fonseca, sarà   un’esperienza molto interessante.



martedì 21 marzo 2023

RECENSIONE | "Maledizione Notre-Dame" di Barbara Frale

“Maledizione Notre-Dame” (Newton Compton Editori) di Barbara Frale, storica del Medioevo nota per gli studi sui Cavalieri Templari e sulla Sindone di Torino, è un romanzo dal contenuto intrigante. Ambientano nella Parigi del 1302, narra di una maledizione, del re di Francia, del sommo poeta e di un oscuro patto col demonio.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
Maledizione Notre-Dame
Barbara Frale

Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 12,00
Sinossi

Parigi, 1302. C’è una maledizione che aleggia sulla porta sinistra della facciata di Notre- Dame, quella forgiata dal geniale fabbro Biscornet con l’aiuto del Maligno: chi la attraversa nelle notti di luna nera può evocare lo spirito del fabbro e chiedere il suo aiuto per compiere imprese impossibili a un comune mortale. A questa leggenda pensa il re di Francia Filippo il Bello, proprio in una notte di luna nera. Una minaccia inimmaginabile incombe sul suo regno, e per allontanarla il sovrano è disposto a tutto, anche ad attraversare quella soglia maledetta. Nello stesso momento, a Roma, il sonno di Dante Alighieri è turbato da un incubo: una foresta oscura, popolata di fiere e attraversata da un sentiero che conduce a una terribile porta… È la porta dell’Inferno, che lo attende come un sinistro presagio di dannazione. Quando la giovane Maddalena Caetani, nipote di papa Bonifacio VIII, scompare misteriosamente nel nulla, i sospetti si addensano proprio su Dante, che ha lasciato Roma pochi giorni prima. L’A­lighieri intende vendicarsi di Bonifacio VIII che ha favorito la sua condanna all’esilio? Oppure è stato il re di Francia a ordinare quel sequestro, per tenere il papa sotto ricatto? Qualcuno ha davvero attraversato la porta maledetta di Notre-Dame e stretto un oscuro patto con il demonio. Un nemico senza volto si muove nell’ombra, deciso a scatenare una guerra all’ultimo sangue tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, pronto a sacrificare senza il minimo scrupolo tutte le vite innocenti che serviranno per raggiungere il suo scopo.





Dicono che l’ultimo istante di vita sia come passare attraverso una porta: di colpo ci troviamo dentro un abisso buio, o in un abbraccio di luce sfolgorante. Per altri invece somiglia a un tuffo nel vuoto.

Parigi,1302.  C’è una maledizione che aleggia sulla porta sinistra della facciata di Notre-Dame, quella forgiata dal geniale fabbro Biscornet con l’aiuto del Maligno: chi la attraversa nelle notti di luna nera può evocare lo spirito del fabbro e chiedere il suo aiuto per compiere imprese impossibili a un comune mortale. A questa leggenda pensa il re di Francia Filippo il Bello, proprio in una notte di luna nera. Una minaccia terribile incombe sul suo regno e il sovrano è disposto a tutto per allontanare tale minaccia dal suo popolo. Nello stesso momento, a Roma, il sonno di Dante Alighieri è turbato da un incubo: una foresta oscura popolata di fiere e attraversata da un sentiero che conduce a una terribile porta. È la porta dell’Inferno, che lo attende come un sinistro presagio di dannazione. Quando la nipote di papa Bonifacio VIII scompare nel nulla, tutti i sospetti ricadono proprio su Dante. L’Alighieri intende vendicarsi del papa che ha favorito la sua condanna all’esilio? Oppure qualcuno trama nell’ombra per tenere il papa sotto ricatto? La guerra, tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, è alle porte.

Con un intrigo vertiginoso, uno stile fluido e ricercato, personaggi ben caratterizzati, Barbare Frale ci porta nel Medioevo al cospetto di uomini e donne illustri. La ruota del tempo gira, i destini si incrociano ma all’orizzonte compaiono venti di guerra. Due i personaggi storici che rappresentano le colonne del romanzo.

Filippo IV di Francia detto il Bello, ma anche “il re di ferro” per la sua rigida e inflessibile personalità, comandava sul regno più vasto e sull’esercito più potente del mondo cristiano. Sovrano consacrato e nipote di un re santo

Bonifacio VIII, sommo romano pontefice, era signore sulle anime e sui corpi di tutto il genere umano. Era un uomo complesso e poliedrico che rivendicò per sé tutta la pienezza del proprio potere. Sfortunatamente, Il re e il papa, non erano in accordo tra loro.

Il romanzo si arricchisce di una galleria di personaggi e storie che riflettono le virtù e i vizi degli uomini. Molteplici voci mostrano il loro ruolo svolto nell’intreccio del potere politico e del potere religioso rendendo perfettamente le dinamiche del potere medievale. I temi affrontati sono vari e complessi. Le difficoltà economiche e politiche di Filippo IV. La gelosia di sua moglie, la regina Giovanna di Navarra. L’odio della regina Maria di Brabante verso Filippo IV. L’intenzione di Bonifacio VIII di scomunicare il re di Francia e la sua propensione a eliminare i suoi nemici senza rifletterci troppo. Un ruolo importante svolgono anche Arnaldo di Villanova, medico talentuoso esperto di dottrine esoteriche, e Simone Matifort, vescovo che combatteva ogni giorno la sua battaglia contro il male. Un fascino del tutto particolare emanano le figure femminili, protagoniste positive o negative della storia.

Vestita perennemente di scuro per la morte dello sposo Filippo III e si diceva che ardesse per la brama di portare il lutto per la morte dell’odiato figliastro, Filippo il Bello.

Nell’ombra trama la regina Maria di Brabante, moglie del defunto re di Francia Filippo III. Donna colta e intelligente, era la matrigna del re Filippo il Bello. Lei odiava il re e così gli intrighi politici, il sangue e la vendetta diventarono le sue ossessioni.

Al fianco del re di Francia c’è la regina Giovanna di Navarra, donna decisa, astuta e carismatica. Era soprattutto una donna innamorata del marito, pronta a trasformarsi in una leonessa se solo percepiva un grave pericolo aleggiare intorno al suo sposo. La possibile guerra nelle Fiandre era un massacro annunciato e lei doveva difendere Filippo IV. Sinistri presagi turbavano il suo sonno.

Due regine, una Dama Nera e una Dama Bianca.

Sullo sfondo, ma non per questo meno importante, c’è l’ordine dei Templari che completa l’affresco medievale realizzato da Barbara Frale.

“Maledizione Notre-Dame” ha il pregio di far percepire al lettore l’atmosfera caleidoscopica tipica dei tempi passati. È come se un angolo di Medioevo ritorna in vita confinato tra le pagine di questo romanzo. Ogni personaggio ha un ruolo ben preciso tra alleanze e giochi di potere, tradimenti e intrighi, che ben rispecchiano la vita politica dell’epoca medievale. Per amalgamare il tutto non mancherà un riflesso di alchimia racchiuso in un magico amuleto.

Leggere “Maledizione Notre-Dame” è come fare un salto indietro nel tempo per riscoprire ambientazioni medievali e scoprire i più segreti intrighi di palazzo. Il periodo storico ben si presta a numerosi colpi di scena. Tra luci e ombre il Medioevo mostra la sua anima tormentata che si intreccia a grandi passioni, oscuri omicidi, molteplici enigmi. Anche le donne, spesso dimenticate dalla Storia, hanno ruoli ben definiti e combattono in una società governata dagli uomini. Sono disposte a rischiare, ad architettare fini strategie dando vita a interessanti sottotrame che il romanzo ci offre. Dalle storie d’amore a quelle di guerre, dalle segrete aspirazioni ai ruoli pubblici, dalle alleanze ai complotti, è come un gioco di prestigio che mescola realtà storica e finzione coinvolgendo una molteplice umanità. L’intreccio tra  realtà e finzione è un punto di forza del romanzo. Così come la folta schiera di personaggi assicura una narrazione corale che mette in secondo piano le vicende dei singoli a vantaggio della Storia.

“La Maledizione Notre-Dame” è il quarto capitolo di una saga basata su documenti storici originali: agli inizi del Trecento, il re di Francia Filippo IV sfidò l’autorità della Chiesa alleata al ricchissimo Ordine dei Templari.

Apre la saga “I labirinti di Notre-Dame”, segue “I sotterranei di Notre-Dame”. Il terzo romanzo è “La torre maledetta dei Templari”. Infine c’è “Maledizione di Notre-Dame” dove, ancora una volta, ha un ruolo importante Notre-Dame. La grande chiesa sarà testimone di eventi cruciali e scrigno di misteri che attendono ancor oggi di esser svelati.

Quindi se siete pronti a viaggiare attraverso i secoli, in un’altalena di emozioni, non vi resta che leggere i romanzi di Barbara Frale. Buona lettura e buon viaggio a tutti voi.

martedì 14 marzo 2023

RECENSIONE | “I frutti di Jalna” di Mazo de la Roche

“I frutti di Jalna” a firma Mazo de la Roche, è il quinto volume della saga bestseller di Jalna pubblicato da  Fazi nella traduzione di Sabina Terziani. Nuovi intrighi e nuovi conflitti , intrecciati con tradimenti e dissapori, attendono i componenti della famiglia Whiteoak in questo nuovo capitolo



STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
I frutti di Jalna
(Saga di Jalna #5)
Mazo de la Roche

Editore: Fazi
Pagine: 414
Prezzo: € 19,50
Sinossi

Wakefield, ormai maggiorenne, lavora in un’officina ed è fidanzato con Pauline; il piccolo di casa finora non ha mai lasciato Jalna, ma i cambiamenti arrivano per tutti, prima o poi: a un passo dalle nozze, il ragazzo sorprende la famiglia con una decisione davvero radicale. L’ennesimo grattacapo per Renny, il quale, costantemente tormentato dalle sorti del parentado e dalle molte incombenze domestiche, dovrà affrontare un problema ben più grave: Alayne scoprirà di essere stata tradita, e di lui e dei Whiteoak non vorrà più saperne. Ma lasciarsi Jalna alle spalle è difficile: lo sa bene Finch, ormai concertista di successo, che rientra da Parigi insieme alla moglie Sarah. I due, però, faticano a trovare un equilibrio: lui è stremato e incolpa lei di tutto il suo malessere. La crisi della coppia ha strascichi pericolosi e minaccia di compromettere la stabilità dell’intera famiglia. Ancora una volta il nucleo rischia di sfaldarsi e i Whiteoak temono di perdere la proprietà, e con essa il proprio futuro e il proprio passato: riusciranno a salvaguardare l’amata tenuta per le nuove generazioni?







Wakefield, ormai maggiorenne, lavora in un’officina ed è fidanzato con Pauline. A un passo dalle nozze, il ragazzo sorprende la famiglia con una decisione davvero radicale. L’ennesimo grattacapo per Renny, il quale,  costantemente tormentato dalle sorti del parentado e dalle molte incombenze domestiche, dovrà affrontare un problema ben più grave. Alayne scoprirà di essere stata tradita, e di lui e dei Whiteoak non vorrà più saperne. Intanto Finch, ormai concertista di successo, torna a Jalna insieme alla moglie Sarah. I due, però, faticano a trovare un equilibrio: lui è stremato e incolpa lei di tutto il suo malessere. La crisi della coppia minaccia di compromettere la stabilità dell’intera famiglia. I Whiteoak devono affrontare anche una pesante crisi economica e potrebbero perdere la proprietà e con essa il proprio futuro e il proprio passato: riusciranno a salvaguardare l’amata tenuta per le nuove generazioni?

Tornare nella grande tenuta di Jalna, nelle vesti di lettrice, è sempre un gran piacere ed è intrigante entrare nel mondo dei Whiteoak caratterizzato dalle loro personalità, dalle burrasche amorose, dalle preoccupazioni economiche e dai colpi di scena di ogni tipo.

“I frutti di Jalna”  è il nuovo appassionante  capitolo della saga canadese che l’autrice, Mazo De La Roche, scrisse e pubblicò tra il 1927 e il 1958. Vincitrice di numerosi premi, successo editoriale già all’epoca della sua prima uscita, viene oggi pubblicata in Italia da Fazi. I Whiteoak vivono nella grande tenuta di Jalna che deve il suo nome alla città indiana dove i due capostipiti, il capitano Whiteoak e la moglie Adeline Court, si sono conosciuti. Jalna rappresenta un luogo vivo che tutti chiamano “casa”. È il focolare domestico che vede più generazioni nascere, crescere e compiere le proprie scelte che, a volte, complicano i rapporti famigliari dimostrando la fragilità e la forza dei loro rapporti. Jalna accoglie tra le sue braccia protettive     tutti i Whiteoak che vivono a stretto contatto nella tenuta e il tempo sembra fermarsi.

Jalna era come un frutto maturo nella luce dorata, avvolta in un rosso manto di vite vergine, circondata da prati appena rasati.

I personaggi del romanzo sono tanti e ognuno mostra varie sfaccettature del proprio carattere.

Renny, ormai capofamiglia e gestore della tenuta, è alle prese con nuovi problemi ed è l’emblema del personaggio dalle mille sfaccettature. In alcune situazioni si mostra buono, generoso e gentile, per poi mutare atteggiamento e mostrare il suo lato burbero e dispotico. In lui convivono bene e male. Il suo rapporto con la moglie Alayne si fa sempre più complicato e la sua attitudine da donnaiolo non aiuta. La piccola Adeline, la loro primogenita, mostra tutto il suo carattere ribelle e feroce. È sempre più capricciosa, egoista e viziata.

A Jalna tornano anche gli zii Nicholas ed Ernest, sempre più simpatici e pronti a riprendere le vecchie abitudini.

La saga di Jalna, oltre a raccontare la storia della famiglia Whiteoak attraverso più generazioni, ha il pregio di approfondire anche il periodo storico e la realtà socio-culturale dei luoghi e dell’epoca in cui gli eventi si svolgono. Tutti i personaggi sono descritti in modo straordinario nelle loro passioni, nei loro desideri, nelle loro inquietudini. Le vicende private vengono messe a nudo in un intreccio di relazioni che ingarbugliano sempre più le loro esistenze. L’amore ha un ruolo principale e si mostra sotto vari aspetti: l’amore per la propria terra e per gli animali, l’amore appassionato capace di superare ogni ostacolo, l’amore per i figli, l’amore per le proprie scelte. In ogni capitolo troverete passione e desiderio, peccato e sensi di colpa, contraddizioni e privilegi di un mondo vittoriano racchiuso tra le mura della grande tenuta che difficilmente lascia andare i suoi abitanti perché il suo compito è proteggerli e renderli felici.

Questa serie mi ha coinvolta per la capacità dell’autrice di analizzare gli stati d’animo dei protagonisti mettendo in luce la loro psicologia. Interessante il contesto sociale in cui la storia evolve ed è impossibile non creare un forte legame con i protagonisti. Alcuni si rivelano simpatici, altri odiosi, ma sempre in balia delle passioni e dei problemi economici che generano grandi drammi.

Ogni famiglia è infelice a modo suo, scriveva Tolstoj. Nel mondo dei Whiteoak si è infelici per mille motivi perché le difficoltà della vita sono sempre presenti e ognuno le affronta a modo suo.

Jalna è una saga familiare amatissima che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo, seconda solo a “Via col vento” fra i bestseller all’epoca della prima uscita.

Dopo aver letto “I frutti di Jalna” non mi resta che aspettare il sesto capitolo della saga nella certezza che

 A Jalna il gioco della vita continua…

martedì 7 marzo 2023

RECENSIONE | "Hide" di Kiersten White

“Hide” di Kiersten White, scrittrice americana autrice di libri di successo e vincitrice del Bram Stoker Award, è un romanzo horror pubblicato da Mondadori, traduzione di Aurelia Di Meo, nella collana Fantastica. La storia narra di una gara a nascondino che si trasformerà in una competizione mortale.

La sfida consiste nel trascorrere un’intera settimana a giocare a nascondino, dal sorgere del sole al tramonto, in un parco divertimenti abbandonato da decenni e fare di tutto per non essere presi (da chi non è dato saperlo).

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 8
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Kiersten White

Editore: Mondadori
Pagine: 216
Prezzo: € 20,90
Sinossi

La sfida: trascorrere un'intera settimana a giocare a nascondino, dal sorgere del sole al tramonto, in un parco divertimenti abbandonato da decenni e fare di tutto per non essere presi (da chi non è dato saperlo). Il premio: denaro a sufficienza per rivoluzionare completamente la propria vita. Anche se gli altri concorrenti sono determinati a vincere – per ritagliarsi un futuro da sogno o sfuggire a un passato che li perseguita –, Mack è sicura di poterli battere tutti. In fondo, ciò che deve fare è nascondersi e lei, fin da bambina, non fa altro. Anzi, è proprio questa la ragione per cui è ancora viva mentre la sua intera famiglia è morta. Ma, quando capisce che l'eliminazione dei concorrenti nasconde qualcosa di sospetto, Mack comprende che il gioco è molto più sinistro di quanto potesse immaginare e che per sopravvivere sarà necessario unire le forze...



L’autobus procede a scossoni nella galleria buia della notte portando con sé quattordici sognatori disperati soli contro il mondo.

Sette giorni per cambiare la propria vita con un premio in denaro sufficiente a rivoluzionare ogni cosa. Anche se gli altri concorrenti sono determinati a vincere – per ritagliarsi un futuro da sogno o sfuggire a un passato che li perseguita –, Mack è sicura di poterli battere tutti. In fondo, ciò che deve fare è nascondersi e lei, fin da bambina, non fa altro. Anzi, è proprio questa la ragione per cui è ancora viva mentre la sua intera famiglia è stata sterminata dalla furia omicida del padre. Ma, quando capisce che l’eliminazione dei concorrenti nasconde qualcosa di sospetto, Mack comprende che il gioco è molto più sinistro di quanto potesse immaginare e che per sopravvivere sarà necessario unire le forze. 

Se tutto il mondo intero è un inferno e la malvagità li assedia, cosa possono fare se non aiutarsi a vicenda?

Una composita umanità di anime inquiete, che si dividono in due gruppi, partecipa alla sfida. Al primo gruppo appartengono coloro che hanno delle aspirazioni: una fitness model per i social media, uno street artist, la conduttrice di un programma di candid camera su YouTube, uno sviluppatore di app/house sitter, una designer di gioielli/dog sitter, un arrogante istruttore di CrossFit, un’attrice con gravi allergie alimentari. Del secondo gruppo fanno parte coloro che hanno un blocco: uno scrittore con una grave allergia alla gente, un ragazzino esiliato e smarrito, un addetto alla stazione di servizio, una reduce di guerra, un rappresentante di pannelli solari, un’eterna stagista. E poi c’è Mack, che non è nessuno e vuole continuarlo ad essere. 

Tutti vogliono vincere. 

Sono 14 i partecipanti, ognuno è determinato a vincere, per dare una possibilità ai propri sogni, per riscattarsi dopo i fallimenti di una vita. Sono i benvenuti nel Parco delle Meraviglie. Il Parco, inaugurato nel 1953, è rimasto vuoto per molti anni in seguito all’omicidio di una bambina di cinque anni. Isolato e fatiscente, il parco è lo scenario perfetto per un gioco mortale. Quattordici sacrifici umani basteranno per placare l’ambigua presenza che si aggira tra giostre, montagne russe e ruote panoramiche? 

“Hide” sicuramente non è il tipo di horror che mi aspettavo, non è un angoscioso incubo dai colori cruenti, ma un interessante horror sociale. Il romanzo non ha suscitato in me emozioni di ribrezzo e di raccapriccio in seguito agli eventi cruenti che pur avvengono all’interno del parco. Tutte le sensazioni forti che ho provato sono nate dall’incontro con demoni in carne e ossa che, pur di mantenere i propri privilegi sociali, sono pronti a tutto. Il tessuto sociale del romanzo è composto da varia umanità e i concorrenti rappresentano le fragilità umane, le difficoltà dell’esistenza, le scelte fatte per amore e il rispetto dell’amicizia. L’orrore nasce come paura di non farcela, come paura della morte, come paura del futuro, come disagio sociale. I concorrenti sono pedine in un gioco al massacro e l’horror è tutto in questa scelta di ruoli che sono caratterizzati dalla forza della memoria, dai traumi infantili, dai sensi di colpa, dalla grettezza umana che si nasconde dietro a fragili maschere. Gli istinti primordiali, presenti in ogni natura umana, si manifestano in breve tempo e agli orrori soprannaturali, si sostituiscono orrori reali che si nutrono delle ossessioni della psiche umana. L’ossessione dell’apparire, del potere, della superiorità sociale sono mostri che assumono altre forme. Nessun fantasma, nessun vampiro, nessuno zombie, troverete però l’ombra poco rasserenante di una figura mitica che vi ricorderà il Minotauro. Anzi l’orrore nasce da un patto maledetto di prosperità e di protezione che fa da specchio alla psicologia dei personaggi, alle loro situazioni famigliari e sociali sottilmente inquietanti. 

“Hide” è una storia ancor più terrificante perché è nel quotidiano, nella vita dei partecipante che si nasconde una concezione della paura molto più sottile. Continuare a vivere può essere, a volte, più difficile che morire. I mostri sono il cancro della nostra società: razzismo, violenza, abusi domestici, disturbo da stress post-traumatico, ricerca di un lavoro, avidità, potere, denaro, privilegi e superiorità sociale, emarginazione, solitudine, i social e la voglia di apparire. 

Tutti fingono che le cose vadano bene anche quando la realtà grida il contrario perché hanno troppa paura di guardare in faccia l’orrore, ciò che non va, hanno paura di affrontare la verità in tutta la sua gloria sconvolgente. Come bambini che giocano a nascondino. Se non vedono il mostro, il mostro non può scoprirli. E invece li trova. Li trova sempre. E, mentre chi si nasconde tiene gli occhi chiusi, il mostro divora tutti gli altri.

Di “Hide” ho molto apprezzato l’ambientazione. Varcare il cancello del parco giochi è stato inquietante, sorprendente, implacabile. È come un canto di sirena che ti attira in un gioco diabolico e trasforma il mito in realtà. Il parco è in stato di totale abbandono e offre molti posti in cui i giocatori possono nascondersi. Nel declino del mondo reale si specchia anche il declino della moralità di alcuni personaggi. Non sarà possibile tracciare una linea che divida in modo netto i cattivi dai buoni. I cattivi, però, nell’occulto trovano la loro piena realizzazione e la loro crudeltà si proietta nella società. È horror la crudeltà del mondo. È horror leggere di genitori che uccidono i figli. È horror la guerra che distrugge. Horror che si nutre della gioventù, della speranza e dei sogni sacrificati sull’altare dell’umanità. Altare circondato da alte mura nascoste dalla vegetazione che si riprende i suoi spazi all’interno del parco giochi dove l’eco di un mostro invisibile incute ancor più terrore perché foriero di una caccia in cui si è preda e cacciatore. 

“Hide” è una storia oscura dal sapore amaro, labirintica, intrisa di sangue e horror. È una sorta di bilancia esistenziale, un modo per sfidare le leggi che regolano la vita della società. I mostri sono davvero lontani da noi? 

Con una scrittura precisa e affilata come un bisturi, l’autrice incide ed esplora la personalità dei partecipanti, mi permetto di osservare che quattordici candidati al premio sono un po’ troppi perché si crea confusione nel ricordarli tutti, che nel giocare a “nascondino” vedono una via di fuga apparente che cela una voglia di cambiamento. Andranno incontro a violenze, sia fisiche che psicologiche, coinvolti in un disegno orribile in cui l’uomo forte pratica “una selezione” che di naturale non ha nulla. Il finale vi troverà del tutto impreparati. 

Quindi, cari concorrenti, che il gioco abbia inizio.

giovedì 2 marzo 2023

RECENSIONE | "Le segnatrici" di Emanuela Valentini

“Le segnatrici” (Piemme Editore), è il debutto nel thriller della scrittrice, Emanuela Valentini. Se volete provare brividi freddi non avete altra scelta che seguire l’autrice tra i vicoli di pietra di Borgo Cardo, un paesino immaginario tra le montagne dell’Appennino, per scoprire l’antica tradizione della segnatura, una specie di medicina popolare tramandata oralmente dalle segnatrici. Sulla copertina del libro leggiamo tre brevi frasi che riassumono il senso di questa tradizione secolare:

 Un segno per curare. Uno per proteggere dal male. Uno per uccidere.

Chi sono le segnatrici? Una figura tradizionale italiana che in pochi conoscono, è colei che sa riconoscere e scacciare il male.

Ti seguo e ti incanto. Sangue resta in te. Sangue resta in te. Io ti seguo, ti incanto e ti ordino di fermarti.
STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Le segnatrici
Emanuela Valentini

Editore: Piemme
Pagine: 384
Prezzo: € 18,50
Sinossi
Il ritrovamento delle ossa di Claudia, bambina scomparsa ventidue anni fa, richiama a Borgo Cardo, nell'Appennino emiliano, Sara Romani, chirurgo oncologico di stanza a Bologna. Per lei il funerale è una pericolosa occasione di confronto con un passato da cui è fuggita appena ne ha avuto la possibilità. Al ritorno nella routine bolognese, il desiderio è quello di dimenticare. I segreti, gli amici d'infanzia rimasti inchiodati a una realtà carica di superstizioni e pregiudizi, le ossa di una compagna di giochi riemerse da un tempo lontano. Finché scompare un'altra bambina: Rebecca. Sara ha avuto giusto il tempo di conoscerla. Dopo il funerale Rebecca le ha curato una piccola ferita secondo l'antica tradizione della segnatura e adesso Sara è in debito con lei. Un legame che sa di promessa. Un filo rosso che unisce il passato di Sara, schiava della convinzione di dover salvare tutti, con un incubo appena riemerso dall'oblio. Mentre il paese si mobilita per ritrovare Rebecca, la donna è costretta a tornare. È l'inizio di una discesa negli inferi dell'Appennino, un viaggio doloroso nelle storie sepolte nel tempo attraverso strade, boschi, abitazioni e volti che lei aveva imparato a cancellare dalla memoria, e che ora diventano luoghi neri in cui cercare una bambina innocente. Quale oscuro mistero si cela dietro la secolare tradizione delle segnatrici? In una sfrenata corsa contro il tempo per scoprire chi ha rapito Rebecca e riuscire a salvarla prima che sia troppo tardi, Sara dovrà scendere a patti con una parte di sé messa a tacere ventidue anni prima. A costo di perdersi nel labirinto dei ricordi e non trovare più la via d'uscita.


“Chi sono le persone in questo disegno?”

“Sono quelle che ho ucciso.”

“Ma hai solo otto anni.”

“Le ho uccise quando ero grande.”

Il ritrovamento delle ossa di Claudia, bambina scomparsa ventidue anni fa, richiama a Borgo Cardo, nell’Appennino emiliano, Sara Romani, chirurgo oncologo di stanza a Bologna. Per lei il funerale è una pericolosa occasione di confronto con un passato da cui è fuggita appena ne ha avuto la possibilità. Tornata a Bologna, il suo unico desideri è quello di dimenticare. I segreti, gli amici d’infanzia rimasti inchiodati a una realtà carica di superstizioni e pregiudizi, le ossa di una compagna di giochi riemerse da un tempo lontano. Finché scompare un’altra bambina, Rebecca. Sara ha avuto giusto il tempo di conoscerla. Dopo il funerale Rebecca le ha curato una piccola ferita secondo l’antica tradizione della segnatura e adesso Sara è in debito con lei. Un legame che sa di promessa. Un filo rosso che unisce il passato di Sara, schiava della convinzione di dover salvare tutti, con un incubo appena riemerso dall’oblio. Sara ritorna al paese dove tutti cercano Rebecca. È l’inizio di una discesa negli inferi dell’Appennino, un viaggio doloroso nelle storie sepolte nel tempo. Quale oscuro mistero si cela dietro la secolare tradizione delle segnatrici? Per salvare Rebecca, Sara dovrà scendere a patti con una parte di sé messa a tacere ventidue anni prima. A costo di perdersi nel labirinto dei ricordi e non trovare più la via d’uscita.

Come medico avevo sempre nutrito una certa repulsione per le cure naturali, l’omeopatia, la medicina olistica e le stregonerie di montagna, e non avrei certo cambiato idea quel giorno… La segnatura doveva essere una gran bella cosa nell’antichità, quando i borghi erano davvero isolati dal resto del mondo e il rimedio della guaritrice poteva alleviare dolori, far nascere bambini, vincere un male che era solo nella testa, ma oggi non trovava il minimo spazio nella percezione della cura e non potevo credere che tutte quelle persone avessero fatto uso del sapere della grande Vecchia quando a pochi chilometri da Borgo Cardo esistevano ottime realtà ospedaliere.

Devo ammettere di non aver mai sentito parlare di queste guaritrici che hanno il compito di curare, ma per far ciò devono affrontare il male faccia a faccia e questo le rende delle figure inquietanti. Hanno  davvero il potere di guarire o tutto si può spiegare razionalmente? Io adoro il mistero e per un momento metto in stand by la ragione e leggo la storia di Emanuela che parla di malocchi e di segnatrici che sapevano curare il male attraverso segni e frasi sussurrate. Storie alla base di questo thriller psicologico, con sfumature soprannaturali, per scoprire i segreti del paesino di Borgo Cardo e salvare una bambina innocente.

“Le segnatrici” è un romanzo dall’ambientazione montana molto suggestiva, siamo sull’Appennino Emiliano e qui ogni paese, con piccole variazioni legate alla tradizione, ha le sue segnatrici che esistono ancor oggi. Una caratteristica della segnatura è saper parlare il linguaggio del male a cui bisogna lasciare sempre una via d’uscita. La conoscenza si trasmette oralmente: le segnatrici più anziane, la notte di Natale o in altri momenti particolari dell’anno, trasmettono l’insegnamento delle parole e dei segni ad altre donne più giovani.

“Le segnatrici” è un thriller raffinato fatto di luci e di ombre, di cupi paesaggi e gotiche presenze che si palesano, è il risveglio di antichi demoni, una danza di superstizione e scienza. Il romanzo ha un fascino che conquista, spaventa, sorprende, fa riflettere e sicuramente non lascia indifferente il lettore.

“Le segnatrici” è un romanzo dall’incipit che cattura e apre le porte a una vicenda misteriosa e dal fascino senza tempo. Il bene e il male si mostrano come facce della stessa medaglia, si contrappongono e si rincorrono con la fluidità che caratterizza un buon thriller. C’è suspense, domande irrisolte, sensi di colpa e si percepisce la presenza di oscure forze. Leggendo il romanzo mi sono sentita partecipe della vicenda come se la stessi vivendo in prima persona. L’atmosfera di mistero che caratterizza la storia contribuisce a tenere il lettore incollato alle pagine per scoprire cosa succederà. La suggestione del bosco, “immobile, nero, attento”, mi ha coinvolta. È come se un’energia profonda leghi uomini e natura. L’ambientazione silvestre diventa uno spazio dove i confini del reale si addentrano nel fantastico costringendoti ad abbandonare le certezze per entrare nelle terre dell’ignoto. Custode dei segreti vi svelerà il volto del male con passaggi intrisi di bellezza nera.

Oltra alla cornice della suspense e dell’avventura, i temi affrontati sono importanti: il rapporto tra genitori e figli, la complicità nell’amicizia, l’elaborazione di una perdita, il fascino malsano del denaro. Assisterete a incontri fuori dalla norma, voci arcane per incontri onirici che sono lo specchio rovesciato di un’accusa, di una condanna, di una profonda richiesta di giustizia. La voce del tempo, la voce di chi non c’è più, la voce di un’età rubata all’innocenza sono sussurri che popolano la periferia del cuore della protagonista coinvolta, suo malgrado, in una vicenda di violenza e di rinascita. Una vicenda in cui i sentimenti sono ancora una luminosa avventura che illumina il buio del male.