Ciao
ragazzi,
in un pomeriggio freddo e piovoso, sembra Febbraio
e non Maggio, voglio parlarvi di un romanzo dai toni duri e inquietanti. No, non
è un thriller ma il racconto di una realtà che mostra problematiche attuali con
cui, spesso, dobbiamo confrontarci. Parliamo, quindi, della crescita, nelle sue
fasi, della sua complessità come risultante di più variabili. Ecco, questo
romanzo è la ricerca della propria identità, è la costruzione o la demolizione,
a seconda delle opinioni, del divenire “adulti” attraversando quel periodo
travagliato che chiamiamo adolescenza.
Il libro in questione è
“Acciaio” di Silvia
Avallone, edito Rizzoli.
Autrice: Silvia Avallone
Trama:
Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è
difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena
nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo
che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello
che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo
sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case
popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a
cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai
alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in
faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti
aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere
basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza
vie d'uscita. Poi un giorno arriva l'amore, però arriva male, le poche
certezze vanno in frantumi e anche l'amicizia invincibile tra Anna e
Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male. Silvia Avallone
racconta un'Italia in cerca d'identità e di voce, apre uno squarcio su
un'inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe
operaia non esiste più.
STILE: 8
STORIA: 9
COPERTINA: 8
“Le cose migliori risplendono di paura” Don De
Lillo, Libra.
Quante opinioni contrastanti su questo libro: molte
recensioni positive ma, anche, tanti pareri negativi. A volte capita di
trovarsi davanti a un libro che non ammette le mezze misure: o si ama o si
odia. Il l’ho amato!
Venite con me, ragazzi, vi porto in via
Stalingrado a Piombino per conoscere un mondo che non deve necessariamente
essere identificato con questa città; vi porto a conoscere una società “allo
sbando”.
Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino
crescere è difficile. Se poi hai come punto di riferimento delle famiglie
disgregate e violente, allora le tue
aspirazioni sono morte ancor prima di nascere. Anna e Francesca sono due amiche
quattordicenni che vivono in quelle casa popolari. Devono affrontare la dura
quotidianità, genitori con mille problemi, violenza tra le mura domestiche.
Crescere, per queste giovani amiche, vuol dire imporsi brandendo come arma la
propria bellezza, non ci sono alternative. La vita è dura, non concede tregue.
Tutto ruota attorno alle acciaierie Lucchini, centro economico della città; padri,
fratelli, fidanzati, quasi tutti lavorano nelle acciaierie che danno pane e
disperazione, nelle acciaierie che danno il ritmo alla vita quotidiana con i
turni diurni e notturni. Tutti i personaggi di questo libro sono protagonisti
di una storia che narra di una realtà, sicuramente amplificata, che condiziona
l’esistenza. Le acciaierie danno lavoro, ma il costo da pagare è molto alto.
Francesca e Anna sono sole nell’affrontare le difficoltà legate
all’adolescenza. Non hanno una famiglia
come punto di riferimento, non hanno modelli sani a cui guardare. Nascono così
disagi giovanili che si manifestano con comportamenti errati,
tossicodipendenza, disturbi della condotta alimentare. Alessio, fratello di
Anna, è l’emblema di una devianza sociale finalizzata all’infrazione delle
norme sociali e delle regole istituzionali.
“Mamma scusami se sono sporco” “Non ti chiedo
niente ma tu promettimi “Sssh!” “Promettimi che questa è l’ultima volta che vai
a fare non so cosa di notte”.
Come potete vedere le mamme di questo libro sono
donne rassegnate, che chinano la testa davanti alle violenze domestiche dei
loro mariti. Il padre di Anna è un buono a nulla, sempre alla ricerca del colpo
grosso che cambierà la sua vita. Non si assume le sue responsabilità, è un
fantasma all’interno di una famiglia che sopravvive alla meglio. Il padre di
Francesca è un uomo violento, possessivo, menomato da una malattia che lo rende
ancora più crudele con i suoi familiari. Subire e non reagire è il modo di fare
della mamma di Francesca che considera più opportuno avere un marito violento
che non averlo affatto. Mistero della psiche umana!
In questa situazione le due ragazze non hanno un
porto sicuro in cui rifugiarsi durante la tempesta dell’adolescenza e
reagiscono seguendo le regole della “strada”.
“Si presentò a torso nudo, Alessio, con due catene
d’acciaio al collo, i jeans mezzi sbottonati, l’orlo degli slip bene in vista.
Si lasciò cadere su una sedia. Sollevò gli occhiali, guardò in faccia il suo
branco. Disse:”La vita mi detesta”. Era il suo atteggiamento da re della
foresta. Aveva il fisico e lo sapeva. Aveva la grana, quella che ricavava dalla
coca e dal rame. E poi disponeva di molte donne nel quartiere”.
La bellezza diventa merito, è il lasciapassare per
essere accettati dagli altri, se sei brutta sei fuori. Lo sa bene Lisa che
bella non è.
“ Lisa gettò un’occhiata di traverso alle sue
compagne: le sembrava di stare ai confini dell’intero regno vivente. Io non
sono una sfigata, si disse. Anche se tutti glielo ripetevano, anche se
all’ingresso uno stronzo le aveva dato della racchia e lei si era sentita
morire. Anche se non era proprio bellissima, però era viva… Anche se era
vestita come un fungo, lei però, dentro, era come Anna. Anna che in quel
momento si avvicinava alla pista da ballo fasciata nel suo centimetro quadrato
di canottiera, nel suo mezzo centimetro di gonnellina rosa”.
Anna e Francesca formano un mondo a parte, hanno
molte paure, la loro sfrontatezza nasconde la fragilità dell’età.
“Io non voglio crescere, A’-disse Francesca”.
Poi un giorno arriva l’amore e scompagina ogni
cosa: l’amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina. Basta
un cuore travolto dalla passione per cancellare anni di vita in simbiosi? Forse
si, forse no.
Questa lettura non è stata per niente facile, la
narrazione dura ti pone davanti a un romanzo di formazione che mette in
evidenza i pensieri, i comportamenti, le non-scelte di persone fragili che si
nascondono dietro ingannevoli apparenze. In queste pagine i protagonisti, in
molti li hanno definiti “personaggi stereotipati”, si lasciano vivere
adattandosi o subendo la quotidianità del quartiere. Tante problematiche,
nessuna soluzione.
Silvia Avallone descrive una microsocietà in cui tutti
possiamo rispecchiarci. Ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza, il mito
della bellezza è ovunque, la tossicodipendenza è un male endemico, la violenza
è pane quotidiano. Sicuramente la scrittrice, alcune volte, esagera nel
contesto della descrizione della realtà attraverso dei fraseggi che tendono ad
amplificare il concetto in modo considerevole. Tuttavia lo sappiamo bene che la
realtà può essere crudele. Lottare per il proprio domani è un diritto e un
dovere di tutti, ogni scontro lascia delle ferite ma bisogna impegnarsi e
scegliere di vivere il futuro. Francesca e Anna hanno un’ancora di salvezza nella
loro amicizia, non perfetta ma reale, hanno un’altra possibilità, forse
l’ultima, di un’esistenza autentica al di là delle loro paure. Oltre via
Stalingrado.
Vi consiglio di leggere questo libro, mi
piacerebbe conoscere la vostra opinione in merito. Non soffermatevi su alcune
incongruenze che troverete nella lettura, ad es. Scamarcio idolo delle
ragazzine nel 2001, ma cogliete l’essenza del romanzo.
“Un romanzo non è una confessione dell’autore, ma
un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è
diventato”. Kundera