lunedì 24 febbraio 2025

RECENSIONE | "Il sonnambulo" di Lars Kepler

"Il sonnambulo" (Longanesi) di Lars Kepler è un intrigante giallo nordico che segna il ritorno del commissario Joona Linna con l'ipnotista Erik Maria Bark.

Lars Kepler è il nome dietro il quale si celano i coniugi Alexander Ahndoril e Alexandra Coelho Ahndoril. Lars è un omaggio all'autore svedese di gialli Stieg Larsson, mentre il nome Kepler deriva dallo scienziato tedesco Johannes Kepler che, con i suoi calcoli delle orbite dei pianeti, aprì la strada alle tesi di Newton sulla gravità.

Entrambi scrittori, i coniugi Ahndoril, nel 2009 hanno deciso di sospendere le loro carriere separate per scrivere un romanzo insieme. Ne è nato il caso editoriale europeo del 2010, "L'ipnotista", che ha inaugurato l'amatissima serie di romanzi con protagonista il commissario Joona Linna, tutti pubblicati da Longanesi.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Il sonnambulo
Lars Kepler

Editore: Longanesi
Pagine: 560
Prezzo: € 23,00
Sinossi

Il cielo sopra Stoccolma è scuro come piombo, le strade sono deserte e i fiocchi di neve vorticano nella luce gialla dei lampioni. È una notte di novembre e due agenti siedono in silenzio in una volante quando arriva una chiamata dalla centrale: è in corso una violazione di domicilio nella roulotte di un campeggio. I due poliziotti giungono sul posto e la scena in cui si imbattono è qualcosa che non dimenticheranno mai più: il pavimento, le pareti e i mobili sono coperti di sangue, un uomo è stato brutalmente massacrato e il suo cadavere smembrato a colpi d'ascia. Ma l'orrore non ha ancora finito di svelare tutti i suoi volti: a terra, ai piedi del letto a castello, c'è un ragazzo steso sul fianco, con un braccio mozzato sotto la testa a fargli da cuscino. Il caso è estremamente complesso e quanto accaduto quella notte è solo il primo anello di una macabra catena. Soltanto un uomo può riuscire a mettere fine a quest'incubo: Joona Linna. E per calarsi nelle tenebre il commissario, questa volta, avrà bisogno dell'aiuto di un suo vecchio amico, l'ipnotista Erik Maria Bark.





Le pareti, il soffitto e il pavimento sono coperti di schizzi di sangue. Sul tavolino da caffè, tra due vasi di fiori finti, ci sono i resti di una testa. Anche se mancano la mandibola e il mento, John vede che la vittima è un uomo coi capelli arruffati, neri con le punte tinte di biondo... Un cellulare abbandonato sul divano si illumina: sul display compare il nome Anna, mentre la suoneria ricomincia: «Rispondi, amore mio, rispondi... rispondi, amore mio».

Il cielo sopra Stoccolma è scuro come piombo, le strade sono deserte e i fiocchi di neve vorticano nella luce gialla dei lampioni. È una notte di novembre, due agenti siedono in silenzio in una volante quando arriva una chiamata dalla centrale: è in corso una violazione di domicilio nella roulotte di un campeggio. I due poliziotti giungono sul posto e davanti ai loro occhi si presenta una scena che non dimenticheranno mai più: il pavimento, le pareti e i mobili sono coperti di sangue, un uomo è stato brutalmente massacrato e il suo cadavere smembrato a colpi d'ascia. A terra, ai piedi del letto a castello, c'è un ragazzo steso sul fianco, con un braccio mozzato sotto la testa a fargli da cuscino. Questo è solo il primo anello di una macabra catena. Solo un uomo può riuscire a mettere fine a quest'incubo: Joona Linna. E per calarsi nelle tenebre il commissario avrà bisogno dell'aiuto di un suo vecchio amico, l'ipnotista Erik Maria Bark.

Andando a ritroso nel tempo, ricordo di aver fatto la conoscenza del commissario della polizia criminale di Stoccolma, Joona Linna, nel romanzo "L'ipnotista" (2010, Longanesi). Uomo bello, coraggioso e tormentato, a momenti scomodo per la sua testardaggine.

Anche la figura magnetica e inquietante di Erik Maria Bark, noto medico specializzato in ipnosi, compare ne "L'ipnotista". Da dieci anni ormai rifiutava di praticare l'ipnosi. Il motivo era nascosto nel suo passato.

Insieme dovranno scoprire se quel giovane, Hugo Sand, che dormiva sul pavimento nella roulotte era un assassino o un testimone della strage. Hugo era un diciassettenne affetto da una forma rara di sonnambulismo causato da incubi.

Una delle caratteristiche di questo giallo nordico è quella di avere un linguaggio narrativo teso e asciutto, mai prolisso, che si lascia leggere con piacere dall'inizio alla fine. Gli autori, passando dall'introspezione all'azione dei personaggi, tessono un'atmosfera coinvolgente piena della giusta dose di suspense. Interessante è notare come il paese nordico, visto sempre come simbolo di modernità e libertà, mostri, nel romanzo, i suoi molteplici difetti. I lati oscuri della società vengono alla luce. Molto particolare è anche l'ambientazione, infatti il clima cupo, le bufere di neve, il buio, rendono l'atmosfera molto affascinante.

"Il sonnambulo" è una narrazione poliedrica molto cruenta, una miscela di psicologia e sangue. La trama si compone di diverse sotto trame che si intrecciano svelando verità sempre più inquietanti. Il ritmo serrato, un congegno narrativo tra incubi, realtà e ipnosi, la macabra violenza del modus operandi con cui le uccisioni hanno luogo, fanno di questo romanzo un thriller mozzafiato dove tutti i personaggi possono essere sospettati. Come ogni thriller scandinavo che si rispetti, anche in questo caso uno dei punti di forza è rappresentato dal contrasto tra l'atmosfera apparentemente tranquilla del paesaggio e la spirale di violenza e paura che cresce di capitolo in capitolo.

"Il sonnambulo" è un thriller psicologico molto crudo. Gli omicidi, le vittime del serial killer saranno numerose, sono descritti in modo tremendamente cruento. Il killer smembra le proprie vittime a colpi di ascia. Ucciderle non è sufficiente, devono esalare l'ultimo respiro tra atroci sofferenze.

Tra il commissario Joona Linna e il Killer, prudente e intelligente, inizia una partita a scacchi in cui ogni mossa corrisponde a un macabro omicidio. Il giovane Hugo sarà un "pezzo" bianco o nero? Lui che appena chiude gli occhi è tormentato da incubi in cui si muovono strane ombre, riuscirà a portare a termine la partita per la vita? Joona Linna, Erik Maria Bark e noi con loro, scopriremo una verità che va oltre ogni più cupa immaginazione. Se siete pronti a calarvi nelle tenebre, questo romanzo è perfetto.

mercoledì 19 febbraio 2025

RECENSIONE | "La torre d'avorio" di Paola Barbato

"La torre d'avorio" (Neri Pozza) è un giallo psicologico ad alta tensione firmato da Paola Barbato, le cui storie "da incubo" sono degne del miglior Stephen King.

Mara è una donna che sta tentando di rifarsi una vita, ma il suo tenebroso passato la raggiunge. Una macchia d'acqua sul soffitto sarà il fattore scatenante che manderà in frantumi il ritiro oscuro "dell''avvelenatrice" di Sestri Levante. 


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
La torre d'avorio
Paola Barbato

Editore: Neri Pozza
Pagine: 416
Prezzo: € 20,00
Sinossi

È possibile cancellare il passato e liberarci della persona che siamo stati? Mara Paladini ci sta provando da tredici anni, dopo aver scontato una pena in una struttura psichiatrico-giudiziaria per il tentato omicidio del marito e dei due figli. Il nome di quella donna, affetta dalla sindrome di Münchhausen per procura – una patologia che porta a far ammalare le persone che si amano per poi curarle e prendersi il merito della loro guarigione – era Mariele Pirovano, ma quel nome Mara lo deve dimenticare, perché quella persona non esiste più. Almeno questo è ciò di cui tutti vogliono convincerla. Lei però non ci crede e nella sua nuova vita in una grande città, a centinaia di chilometri dal proprio passato, ha costruito una quotidianità che la tiene lontano dal mondo, che le impedisce di nuocere ancora: non esce quasi mai e della casa procurata dai servizi sociali ha fatto una prigione di scatoloni e memorie, dove seppellire per sempre Mariele. Un giorno però nella sua torre d’avorio si apre una breccia. Comincia tutto con una piccola macchia di umidità sul soffitto, che la costringe ad andare al piano di sopra per avvertire il vicino. Potrebbe essere cosa da nulla, invece la scena che le si presenta è un uomo morto, con i segni dell’avvelenamento sul corpo. Mara potrebbe non riconoscerli, quei segni; Mariele invece non ha dubbi, perché così ha quasi ucciso le tre persone che amava di più. Ora Mara sa che è stato tutto inutile, che il suo passato l’ha riagguantata: ora Mara sa che l’unica possibilità è la fuga, da chi vorrà incolparla di quell’omicidio e da chi invece lo ha commesso per incastrarla.





Aveva sempre avuto un'idea propria di cosa fosse una Torre d'Avorio. Mara però non si levava dalla testa che l'avorio derivasse dalle zanne degli animali, e che quindi la Torre, di fatto, fosse costruita da denti. Era un'immagine ripugnante, trovarsi chiusi in una bocca che avrebbe potuto iniziare a masticarti in qualunque momento. Esattamente la condizione in cui voleva stare per il resto della vita.

Nel romanzo di Paola Barbato la protagonista è Mara Paladini, nome falso che nasconde quello vero, Mariele Pirovano. Nell'estate del 2011, con una dose letale di digitossina, la donna aveva tentato di avvelenare tutta la sua famiglia. Adesso Mara, dopo aver scontato una pena in un istituto psichiatrico, vive da sola in un appartamento milanese. Per vivere si occupa di traduzione. Non esce quasi mai e ha trasformato il suo appartamento in una torre d'avorio in cui si è spontaneamente reclusa. Mara non frequenta nessuno e spia il mondo da tre fori in una tenda. Ha paura di ciò che potrebbe fare ad altre persone. La Bestia che è in lei non è stata sconfitta è solo quiescente. Per questo ha eretto, tra lei e gli altri, una barriera di scatoloni bianchi, in cui ha riposto tutto ciò che apparteneva al suo passato, per non avere alcun contatto con l'esterno e non far più del male. Una mattina la donna nota una macchia sul soffitto forse provocata da un'infiltrazione di acqua. Mossa dalla curiosità la donna si reca al piano di sopra per avvertire il vicino. La scena che le si presenta è un uomo morto che mostra lesioni scure intorno alla bocca, labbra livide e nell'aria c'è un vago sentore dolciastro. Avvelenamento da digitossina. Mara non crede alle coincidenze. Non può essere un caso se la sostanza che ha ucciso quell'uomo è la stessa che lei ha usato per avvelenare marito e figli. No, non può essere un caso!

Così, superando la paura di uscire, la donna scappa in modo rocambolesco da una finestra. Dovrà scoprire il responsabile di tutto ciò per non essere condannata per un omicidio che non ha commesso. Chi vuole incastrarla?

Io non ho avvelenato più nessuno, perché non ho amato più nessuno.

La storia, dal ritmo sostenuto, si nutre di ricordi e di sensi di colpa. La torre d'avorio non è l'appartamento in cui Mara ha vissuto negli ultimi anni, ma la prigione mentale in cui si è rinchiusa per allontanare il peso della realtà dei fatti. Mara ricorda il suo matrimonio, l'infanzia dei suoi figli, il suo fingersi moglie e madre modello. Lei che voleva sentirsi utile, affetta dalla sindrome di Munchhausen per procura, ha finito per far del male alle persone care. Potrà mai cancellare il passato e liberarsi della persona che è stata?

"La torre d'avorio" è un romanzo originale che si legge con vero piacere. Anche perché scopriremo che Mara non è da sola nella sua fuga. Con lei ci sono altre quattro donne conosciute anni prima al Rems. Ognuna  ha una storia molto interessante e vengono svelate le motivazioni che hanno portato queste donne ad agire compiendo un reato. Conosciamole.

Moira è un'assassina sicura di sé, Beatrice dialoga con i defunti, Fiamma mente con disinvoltura e Maria Grazia agisce sempre d'impulso. Sono donne del tutto differenti, hanno estrazione sociale, studi e lavori, che non hanno nulla in comune. Eppure condividono difficoltà, drammi e traumi. Mara si fida solo di loro. Tutte hanno intrapreso un percorso di reinserimento e tra loro c'è un forte legame nato da esperienze vissute insieme. Il rapporto tra le protagoniste è il cuore pulsante del romanzo.

Mara è un personaggio ricco di sfaccettature. Il suo essere genitore, il suo rapportarsi con le altre persone, il suo modo di pensare e agire sono le caratteristiche di una persona anticonvenzionale in cerca di un equilibrio. Una persona che sa di aver sbagliato e si punisce.

Paola Barbato indaga in profondità l'animo umano, non assolve e non condanna, esplora gli abissi interiori e il disagio mentale. Pur trattando di reati deplorevoli, l'autrice è brava nel catapultare chi legge in un microcosmo e nel far amare i personaggi anche se imperfetti. Il Male è stato commesso, i cattivi esistono e le colpe pesano come macigni. Ognuno ha la propria torre d' avorio.

"La torre d'avorio" è un romanzo che esplora il male, la memoria, la pena e il rimorso. È un thriller coinvolgente, dalla narrazione dinamica e ricco di straordinaria umanità. Un libro che ti tiene con il fiato sospeso, che ti conduce per sentieri bui. È impossibile non amare le protagoniste che combattono con il senso di colpa, la paura e il desiderio di riscatto.

"La torre d'avorio" è una lettura intensa che intrappola. Mara vorrebbe lasciarsi alle spalle il suo passato, vorrebbe non essere più "un mostro", vorrebbe cambiare per costruire un futuro diverso. Nessuna delle protagoniste è un esempio da seguire, tutte hanno sbagliato una volta nella vita. Meritano il perdono? Si può eliminare il rancore, la rabbia, il risentimento e la vendetta?

Trovare la pace è quasi impossibile. Ma è proprio quel "quasi" che racchiude qualche briciola di speranza.

Riflettiamoci, magari bevendo un delizioso té ma fate attenzione alle zollette di zucchero che qualcuno potrebbe offrirvi.

lunedì 10 febbraio 2025

RECENSIONE | "Macellaio" di Joyce Carol Oates

"Macellaio" (La Nave Di Teseo, traduzione di Chiara Spaziani) è un cupo e corposo romanzo di Joyce Carol Oates, una delle più acclamate scrittrici internazionali, che racconta gli abusi della psichiatria nell'Ottocento.

L'autrice americana ha ricevuto il Premio Chandler alla carriera 2024 durante il Noir in Festival di Milano, evento che celebra la letteratura noir e gialla.


STILE: 9 | STORIA: 9 | COVER: 9
Macellaio
Joyce Carol Oates

Editore: La Nave Di Teseo
Pagine: 496
Prezzo: € 24,00
Sinossi
Nel 1836, dopo essere stato accusato di un terribile esperimento dalle tragiche conseguenze, il dottor Silas Aloysius Weir è costretto a cercare lavoro presso l’Istituto del New Jersey per donne malate di mente. Nel giro di poco tempo il dottor Weir trasforma l’Istituto nel suo regno e vi agisce indisturbato. Qui, infatti, gli è permesso proseguire a sperimentare le sue macabre pratiche, senza alcun controllo. Per decenni ha la possibilità di usare donne povere e in difficoltà, trascurate dallo Stato e dalla sanità, come cavie umane, sottoponendole a esperimenti e privazioni grotteschi. Nonostante questo viene celebrato come un pioniere della medicina chirurgica, addirittura come il “padre della Gino-Psichiatria”. L’ambizione e la follia di Weir sono alimentate anche dalla sua ossessione per una giovane serva irlandese, Brigit Kinealy, che diventa non solo il suo principale soggetto sperimentale, ma anche l’unica in grado di contrastare il suo dominio di follia e terrore. Narrato dal figlio maggiore del dottor Weir, che ha ripudiato la brutale eredità del padre, "Macellaio" è una miscela unica di finzione e realtà che racconta la vicenda del suo protagonista mentre passa dall’anonimato professionale alla fama nazionale, fino alla sua caduta. 

 

Riformatori nel nuovo campo scientifico della psicologia avevano avanzato l'idea che la "follia" fosse infatti una "malattia mentale". Non una specie di maledizione, non una pena e un flagello simile al peccato originale. Per curare la "malattia", benché il disturbo sembri avere origine nel cervello, non si deve ricorrere alla superstizione, quanto invece all'osservazione scientifica e alla sperimentazione.

Il romanzo, ispirato a una storia vera dell'Ottocento, ci trasporta nelle claustrofobiche atmosfere del sanatorio del New Jersey che ospita donne malate di mente. Qui il dottor Silas Aloysius Weir, accusato nel 1836 di un terribile esperimento su una neonata dalle tragiche conseguenze, inizia a praticare macabri esperimenti e operazioni usando le sue vittime come cavie prive di ogni dignità. Celebrato come un luminare della chirurgia, quest'uomo maniacale e ossessivo, sarà arginato solo da una giovane serva irlandese che metterà freno alla sua follia e contribuirà alla sua caduta.

Joyce Carol Oates è una famosa scrittrice che, nei suoi romanzi, ha sempre messo in primo piano i temi della violenza di genere, della sopraffazione, della subordinazione riservati alle donne.

In "Macellaio" viene affrontato il tema degli esperimenti in medicina. Siamo nell'America di metà Ottocento e la medicina procede per esperimenti sui corpi di persone che la società considera prive di qualsiasi diritto. Il titolo si riferisce al dottor Weir, acclamato come il padre della Gino-Psichiatria. La figura del "macellaio" Weir è in gran parte ispirata a J. Marion Sims, fondatore della moderna ginecologia.

La lettura di questo romanzo non è stata facile e alcuni passaggi danno davvero i brividi. Povere donne malate di mente erano operate senza l'uso dell'anestesia e l'autrice non ci risparmia la crudezza dei dettagli.

Per narrare questa storia, miscela di finzione e realtà, Oates usa l'espediente di una biografia curata dal figlio maggiore del defunto Silas Weir, che ha ripudiato la brutale eredità del padre, dottore in medicina che per ben trentacinque anni aveva diretto l'istituto del New Jersey trasformandolo nel suo regno. Qui gli era permesso proseguire e sperimentare le sue macabre pratiche, senza alcun controllo. Per decenni Weir aveva avuto la possibilità di usare donne povere e in difficoltà, trascurate dallo Stato e dalla sanità, ripudiate dalle famiglie, prostitute, vendute come serve a contratto, malate, mutilate o solo diverse, come cavie umane. Erano donne "senza speranza" che vedevano nella morte la loro unica salvezza.

L'ambizione e il suo delirio di onnipotenza erano alimentate anche dalla sua ossessione per una giovane serva irlandese, Brigit Kinealy, che diventa non solo il suo principale soggetto sperimentale (la giovane era affetta da fistola, un'apertura nella parete vaginale da cui fuoriesce l'urina, in seguito al parto), ma anche l'unica in grado di contrastare il suo dominio di follia e di terrore. Inizialmente Weir farà di Brigit la sua schiava sottomessa che, narcotizzata, diventa oggetto su cui sfogare i perversi desideri sessuali.

Con uno stile spietato che nulla nasconde, l'autrice ci propone un protagonista complesso incapace di relazionarsi con le donne e che esprime il proprio dominio con esperimenti brutali. Il corpo della donna diventa un oggetto di proprietà dell'uomo, Weir ne è attratto e disgustato allo stesso tempo.

Il dottore si pensa onnipotente come un dio. Con la Bibbia come guida e in mano gli strumenti medici,Weir squarta, sperimenta, ammazza e rare volte salva, le pazienti che lui considera affette da isteria. Grida di dolore si levano da quei tavoli operatori, ma nessuno ascolta. Per le donne, definite "nulla" per volere del Macellaio dalla mano rossa, come era chiamato Weir nelle stanze della Torre Nord dell'istituto, non c'è pietà. Mutilate e smembrate in nome della ricerca.

Eppure il mondo accademico acclama il dottor Weir.

L'isteria, secondo il dottore, poteva essere provocata dai denti marciti (che estirpava uno dopo l'altro) o dalle fistole post partum. Ma, di questo Weir era fermamente convinto, la donne sono più inclini degli uomini alla follia poiché la sede dell'isteria è l'utero. Rimuovere chirurgicamente l'organo imputato era una possibile procedura per curare l'isteria. La strada sperimentale è lastricata da esperimenti disumani in nome del progresso scientifico, in nome di Dio e con l'aiuto di Dio. Nella Torre Nord dell'istituto il dottore affinava le sue capacità sulle pazienti di umile estrazione per prepararsi a operare le pazienti facoltose. Con le povere donne usare l'anestesia era uno spreco, tra le braccia di Orfeo si potevano rifugiare solo coloro che pagavano.

Oates scrive di Silas:

La sua barbarie era d'altro tenore, era la barbarie del bisturi e della curette, della terapia; non riusciva a essere brutale senza indossare quella maschera, la postura di un gentiluomo che deve tenere una così alta considerazione di sé, da consentirgli quel genere di crudeltà.

Brigit, una serva albina dall'aspetto angelico, sorda e muta, subirà una metamorfosi, da vittima diventerà assistente del dottore e voce narrante di alcuni passi del romanzo.

Le povere donne, su di loro pregiudizi e discriminazioni di classe, sono sacrificate sull'altare del progresso scientifico.

I nostri corpi erano semplici sacchi di carne, alla mercé di altri. Ci veniva drenato il sangue, ci venivano rimossi gli organi come possibili sedi di infezioni. Inadatte al mondo dei sani e dunque scartate e lasciate morire nell'inferno dell'ospedale del Macellaio dalla mano rossa.

Tuttavia, nel romanzo, si assiste anche a un lento e doloroso processo di emancipazione. Importante la figura di Brigit che riesce a capovolgere la narrazione patriarcale che ha imperato nella prima parte del romanzo. Brigit è mossa da un'inesauribile voglia di vivere, appare fragile nel suo aspetto angelico, invece scoprirà in sé una forza che le darà il coraggio di porre fine alla dittatura delle torture e del dolore.

È una storia straziante, pervasa di sangue e agonia, scritta rielaborando fatti storici in un'atmosfera gotica, che turba per i temi ancestrali trattati, per la scarsa empatia per la salute mentale, per la completa mancanza di etica, per l'abuso e la sofferenza inferti ai corpi delle donne. Il protagonista ci attira nella sua depravazione e malvagità, così come risulta evidente il suo disperato tentativo di ottenere l'approvazione del padre.

Siamo in presenza di una storia inquietante, forse non adatta a tutti per l'argomento trattato, che descrive, con crudezza degna del potente titolo scelto, la parabola discendente di un uomo divorato dalla sua ambizione.

Nel romanzo il tema centrale è la cattiva condotta scientifica. Il protagonista è visto nel duplice ruolo di "mostro" ma anche di ricercatore e scienziato serio. Weir ha il potere perché uomo, ma saranno personaggi femminili ad avere le idee giuste per curare le pazienti. Naturalmente sarà lui, il dottore in medicina, a diventare famoso. Le donne, nella figura di Briget, riusciranno a ribellarsi alla figura maschile e maschilista. Infatti il libro è dedicato

a tutte le Brigit - quelle senza nome e quelle che un nome lo hanno, quelle ridotte al silenzio e quelle la cui voce è stata ascoltata, quelle che sono state dimenticate e quelle cui la storia ha reso onore.

A Joyce Carol Oates il mio grazie per aver indagato le oscurità dell'animo umano portando la luce dove il buio regnava incontrastato.

lunedì 3 febbraio 2025

RECENSIONE | "I titoli di coda di una vita insieme" di Diego De Silva

Nella sua ultima opera lo scrittore, giornalista e sceneggiatore, Diego De Silva, racconta la fine di una storia d'amore tra due persone, Fosco e Alice, che si sono tanto amati. Il romanzo, "I titoli di coda di una vita insieme" (Einaudi), indaga un rapporto in crisi. Un rapporto in cui le parole dell'addio sono le più difficili da pronunciare.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
I titoli di coda di una vita insieme
Diego De Silva

Editore: Einaudi
Pagine: 248
Prezzo: € 19,00
Sinossi

«Io vorrei isolare il momento in cui ho visto la crepa e ho preso atto della fine, ma non lo trovo, perché non c’è. L’amore è discreto nel morire, non si lamenta e non fa scenate, non c’informa quando si ammala. Siamo noi a risponderne, e tutto quello che gli capita è colpa nostra». Fosco e Alice si sono amati tanto. E tra poco, senza sapere bene perché, si diranno addio. Per questo, nel vortice di parole più o meno giuste o più o meno sbagliate, abbracci notturni, porte sbattute, avvocati nuovi di zecca e antiche recriminazioni, decidono di raccontare la loro storia a modo loro. Con ostinazione, dolore e persino ironia: tutto quello che nei documenti legali non potrà mai trovare spazio. Diego De Silva lascia riposare il suo personaggio più amato, l’«avvocato d’insuccesso» Vincenzo Malinconico, per consegnarci un grande romanzo sulla fine dell’amore. «L’amore non è una storia, ma due». Per questo Fosco e Alice hanno affidato ai loro rispettivi avvocati le parole che non sanno dirsi, lasciandosi. Alice aspira a una conclusione drammatica, come se un grande amore si misurasse dalle ferite, dal male che è possibile farsi. Vuole enfasi, conflitto, palcoscenico. Fosco è più morbido, quasi passivo, incline ad accettare qualsiasi condizione. E alla fine, come in tutte le separazioni, le loro posizioni si tradurranno in documenti mortificanti, che nulla dicono perché nulla sanno di una vita insieme. Che riassumono il dolore, e anche la gioia, in parole povere. Per riscrivere con una dignità diversa i titoli di coda della loro storia, decidono allora di ritirarsi in una casa amata, tra i fantasmi dal passato e di ciò che è stato tradito, che siano gli anni felici dell’infanzia, quel tempo bello in cui s’impara il mondo, gli amici di sempre o il loro stesso legame. Trovarsi lì, in quella casa, significa anche cercare un fuoco comune: il loro fuoco. Significa attraversare in due i rimpianti fino a esaurire la sofferenza, estrarre dalle macerie del tempo ciò che rimane vivo e trovare la forza di andare addosso alle cose, persino quando fanno paura. Senza rinunciare all’ironia che lo contraddistingue, come modo di illuminare ciò che conta, Diego De Silva riesce a raccontare con forza, attraverso le voci di Fosco e Alice, le speranze, le delusioni, le felicità sepolte, il complicato groviglio di sentimenti che accompagnano da sempre la fine di un amore.





Io vorrei isolare il momento in cui ho visto la crepa e ho preso atto della fine, ma non lo trovo, perché non c'è. L'amore è discreto nel morire, non si lamenta e non fa scenate, non c'informa quando si ammala. Siamo noi a risponderne, e tutto quello che gli capita è colpa nostra. Ma non siamo all'altezza di questa responsabilità, anche se in buona fede affermiamo di assumercela. Allora, molto semplicemente, non facciamo nulla. Ci affidiamo al silenzio.

Sono questi i pensieri di Fosco, uno dei due protagonisti del romanzo che ruota attorno alla fine di una storia d'amore. Raccontare la fine di un matrimonio non è mai facile. Raccontare la fine di una promessa vincolante è un compito arduo perché nella separazione rinascono sentimenti, emozioni e considerazioni, che si pensava fossero ormai sepolti e invece erano solo dormienti. Peccato che sia ormai troppo tardi per ridestarli.

Fosco e Alice, i due protagonisti, si sono amati tanto e tra poco, senza sapere bene perché, si diranno addio.

Alice e io ci vogliamo bene, per questo ci stiamo lasciando. Lo so, è un paradosso, ma è così che finiscono i matrimoni. Per quanto illogico sembri, sono i difetti che tengono in vita le coppie.

L'incipit del romanzo ci proietta subito nel racconto della fine di venticinque anni di matrimonio.

Alice e Fosco affrontano in modo diverso questa fase della loro vita insieme. Ancor oggi si vogliono bene ma si separano e ognuno ha un modo diverso per porre fine alla loro relazione.

Alice è la prima a decidere per la separazione. Ferma nella sua decisione, vorrebbe una conclusione drammatica fatta di conflitti e di recriminazioni, il tutto proporzionale all'amore che c'è stato.

Fosco affronta questa verità con difficoltà. Sa perfettamente che il loro matrimonio è finito da tempo ma non vorrebbe cambiare la sua vita ed è disposto ad accettare qualsiasi condizione. Le sue debolezze e le sue incertezze sono le debolezze e le incertezze comuni a tutti gli uomini.

Se una volta soltanto avessi sentito venire da lei un po' dell'indifferenza sprezzante tipica di chi ha smesso di amare, oggi avrei almeno del rancore a cui tenermi. Mia moglie, invece, l'ho perduta senza urti. Senza male. In silenzio, nella complicità e nella gentilezza.

Per affrontare questo difficile momento e riscrivere "i titoli di coda" della loro storia, moglie e marito decidono di trascorrere del tempo insieme nella ex casa in campagna della famiglia di Fosco. L'uomo ha venduto la proprietà alla morte dei genitori e ora prova rimorso per questa decisione.

Qui, tra i fantasmi del passato, decidono di confrontarsi con sincerità dando libero sfogo ai sentimenti che accompagnano la fine di un amore. Assisteremo alla narrazione dei ricordi felici legati all'infanzia, alle vecchie amicizie, ai rimpianti e ai sensi di colpa. Tuttavia si guarda anche al futuro che non contempla una riconciliazione.

Il fulcro del romanzo è il modo in cui i due protagonisti decidono di separarsi, alle parole che usano per raccontare ciò che stanno vivendo mentre lo spettro istituzionale giuridico si avvicina sempre più. Vedere la propria relazione, l'amore provato, i momenti felici, trasformata in una pratica d'ufficio è davvero triste. I documenti hanno il potere di rendere sterile il dramma e il dolore che i coniugi provano in quel momento. Nel linguaggio arido degli avvocati, Alice e Fosco non si riconoscono. A un passo dall'essere ex, Alice e Fosco vogliono scrivere la parola "fine" al loro rapporto con dignità, senza rabbia, senza la vendetta che avvelena le separazioni. Per questo vanno alla ricerca delle parole giuste per dirsi addio. Ormai è passato il tempo in cui la lite segnava la rinascita dell'intesa e per ritrovarsi bastava un gesto affettuoso.

Il passato narrato a due voci, perché "l'amore non è una storia, ma due", sottolinea il tempo trascorso insieme. Tempo che inevitabilmente porta con sé dei cambiamenti che comunque conferiscono importanza a quanto si è vissuto insieme. Con un vortice di parole, più o meno giuste, più o meno sbagliate, abbracci notturni, porte sbattute e antiche recriminazioni, Alice e Fosco decidono di raccontare la loro storia a modo loro. Lo fanno con ostinazione, dolore e persino ironia.

Alice è un'oncologa, Fosco uno scrittore. Sposati da molti anni, hanno un figlio ormai adulto che studia in un'altra città. Noi li conosciamo quando si sta per compiere l'ultimo atto del loro matrimonio. Fosco ha fatto del silenzio la sua arma vincente, sapeva benissimo che fra loro stava finendo ma aveva fatto finta di non capire. La sua colpa era quella di non aver fatto nulla per cercare di salvare il suo matrimonio.

Alice non sopporta i silenzi di Fosco, è arrabbiata, vorrebbe confrontarsi con il marito che invece "fugge" davanti ai confronti. Lui comprende e perdona. Lei detesta queste qualità del marito.

Alice prova rabbia quando si trova vicino al marito, "è un veleno alimentato dalla vicinanza, che si attenua quando siamo lontani, per esempio quando sono al lavoro e penso a noi con nostalgia."

La storia è malinconica, Diego De Silva esplora il territorio difficile del matrimonio tra scelte mancate e sentimenti a intermittenza.

"I titoli di coda di una vita insieme" è un libro sulle parole con cui scegliamo di raccontare un amore che finisce, sulla difficoltà di descrivere la chiusura di una storia. Sono proprio le parole a guidarci nel mare in tempesta delle complicazioni sentimentali, nei conflitti che nascono, nei desideri e nei dolori, nelle speranze e tra le rovine di una relazione. L'amore non è mai facile. De Silva intreccia ironia e riflessione creando un'atmosfera di leggerezza che stempera i temi più oscuri. Così la lettura si fa avvincente e malinconica nella certezza che "l'amore non è giusto, e non sopporta le regole. È per questo che ci rende felici."

Diego De Silva lascia riposare il suo personaggio più amato, "l'avvocato d'insuccesso" Vincenzo Malinconico, trasmesso in televisione nella serie interpretata da Massimiliano Gallo, per consegnarci un grande romanzo sulla fine dell'amore.

Esistono davvero le parole giuste per dirsi addio? Forse son giuste le parole fredde e burocratiche degli avvocati? Non lo so!

Quel che posso dirvi è che Diego De Silva riesce a raccontare con forza, attraverso i due protagonisti, le speranze, le delusioni, le felicità sepolte, il groviglio di sentimenti che accompagnano da sempre la fine di un amore. Il dolore dei sentimenti è potente. Quando ormai la passione e la complicità sono svanite, resta una quotidianità basata sull'abitudine. Chi farà il primo passo verso la separazione? Chi scriverà la parola "fine"?

La verità è che non c'è senso nella fine di un amore. Come nell'inizio, del resto.

Tuttavia la fine di un amore prelude a un nuovo inizio. Un nuovo amore? Una nuova libertà? Una nuova vita? A voi la scelta.