martedì 31 ottobre 2023

RECENSIONE | "A Roma si muore da soli" di Enrica Aragona [BookTour]

“A Roma si muore da soli” è il primo romanzo di Enrica Aragona pubblicato con la Newton Compton Editori. Un efferato omicidio scuote Roma sotto Natale, la commissaria Nadia Montecorvo dovrà affrontare un’indagine  che la porterà a fare i conti con il proprio passato.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
A Roma si muore da soli
Enrica Aragona

Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 12,00
Sinossi

Mancano pochi giorni a Natale, e la commissaria Nadia Montecorvo sta indagando su un caso molto delicato: davanti a una scuola elementare di Roma sono stati esplosi diversi colpi di pistola. A perdere la vita è una giovane donna, Emilia Colantonio; mentre Carlotta Lenzi, una bambina che stava andando a scuola insieme a suo padre, è rimasta gravemente ferita. Le indagini si concentrano subito sul passato di Emilia: l’assassino aveva un movente personale o la follia omicida si è scatenata a seguito di un diverbio per motivi di lavoro? Determinata a non escludere nessuna ipotesi, Nadia comincia a interrogare diversi sospettati. Ma dopo una visita in ospedale per sincerarsi delle condizioni della piccola Carlotta, i ricordi personali cominciano a sovrapporsi all’indagine in corso. In un caso in cui è vitale mantenere la lucidità e il sangue freddo, la commissaria Montecorvo dovrà riuscire a tenere a bada i suoi demoni interiori per trovare al più presto il colpevole.



Le mani erano tenaglie, aggrappate con forza al lenzuolo. Respira. 

La trachea era un budello dove la sopravvivenza passava a stento e colava lenta nei polmoni, goccia dopo goccia. Non è niente. Puoi farcela. 

Il sudore era benzina che bagnava il cuscino, appiccicava le ciglia. È tornato. Devi combattere. 

Il mostro. Lo sentiva. Lo sentiva scivolare tra i muscoli e le vene, pronto ad avvinghiarla in un abbraccio melmoso. Pronto a trascinarla giù nella palude.

Un killer terrorizza la Capitale. Mancano pochi giorni a Natale e la commissaria Nadia Montecorvo sta indagando su un caso molto delicato: una giovane donna è stata uccisa davanti a una scuola elementare. Carlotta, una bambina che stava andando a scuola accompagnata dal padre, è rimasta gravemente ferita. Nadia e la sua squadra raccolgono testimonianze, controllano alibi e iniziano a formulare delle ipotesi. Ma dopo una visita in ospedale, per sincerarsi delle condizioni della piccola Carlotta, i ricordi personali di Nadia iniziano a sovrapporsi all’indagine in corso. In un caso in cui è vitale mantenere la lucidità e il sangue freddo, la commissaria Montecorvo dovrà riuscire a tenere a bada i suoi demoni interiori per trovare al più presto il colpevole. 

Leggere “A Roma si muore da soli” è stata una piacevole sorpresa, un thriller nostrano con protagonisti che si muovono in una realtà ricca di luci e ombre. La Città Eterna mostra, nel romanzo, le sue bellezze ma anche le fragilità della periferia fatta di degrado e violenza, dove si vive sulla propria pelle la quotidiana sensazione di sentirsi soli, abbandonati da tutti. 

I sogni svaniscono e la realtà contamina ogni scelta, allontana le persone e i rapporti si sgretolano anche quando si cerca di cambiar vita, di migliorare. 

Roma è la città madre che abbraccia ma non protegge i suoi figli. Roma seduce, si rivela col tempo, ma ha diverse anime e periferie in cui manca un rapporto diretto con gli abitanti di questi luoghi. Abitanti ormai rassegnati alle mille manchevolezze dei servizi pubblici locali, alla criminalità organizzata a e alla burocrazia. 

Enrica Aragona nel suo romanzo affronta varie tematiche che tracciano una trama fluida e accattivante. L’omicidio della giovane donna è l’inizio di un viaggio nel dolore, nei sensi di colpa, nel complesso rapporto genitori-figli, nel mondo delle malattie mentali. Tutti abbiamo i nostri demoni ben racchiusi in zone d’ombra relegate nelle profondità del nostro essere. I problemi iniziano quando i demoni si liberano e raggiungono la superficie delle nostre coscienze. 

La protagonista del romanzo, la commissaria Nadia Montecorvo, ha un passato difficile. Ha fatto delle scelte che oggi non perdona a se stessa. L’indagine innesca un effetto domino che svela fatti celati nell’ombra. 

L’autrice narra i fatti e compone ritratti psicologici dei personaggi calandoli in una società celata dietro la maschera del perbenismo. Ogni capitolo collabora a creare una spirale di crudeltà umana e fragilità dei sentimenti. Viene a galla una gran verità: per amare gli altri occorre prima amare se stessi. 

A stemperare l’atmosfera delle questioni oscure, c’è l’arma dell’ironia ben padroneggiata dalla scrittrice perchè ci vuol coraggio a entrare in un vissuto doloroso, nei sensi di colpa, nell’odio che porta alla vendetta e alla perdizione. 

“A Roma si muore da soli” non è solo l’occasione per leggere un buon giallo, è il ribaltamento della normalità nello scambio di ruoli fissati dalla società. È la liberazione di segreti che, per troppo tempo, sono rimasti intrappolati. Il passato non fa sconti, non si può cancellare. Affrontare il mondo non è facile e ci vuol un gran coraggio. Alcuni personaggi sono ambigui e tessono ragnatele di dipendenza, menzogne e dominazione. 

“A Roma si muore da soli” è un romanzo che coinvolge catapultandoti in un mondo dove sogni e aspirazioni muoiono nella lotta per la sopravvivenza. In fondo si nasce e si muore soli. In mezzo c’è la vita.


mercoledì 25 ottobre 2023

RECENSIONE | "La casa del mago" di Emanuele Trevi

“La casa del mago” (Ponte alle Grazie) è il nuovo, bellissimo libro di Emanuele Trevi, premio Strega con “Due vite”. Il “mago” del titolo è suo padre Mario, magnetico e sfuggente psicanalista junghiano scomparso nel 2011. Trevi inizia un viaggio per comprendere l’indecifrabile genitore attraverso la casa del mago, quella in cui lo scrittore finisce per vivere.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La casa del mago
Emanuele Trevi

Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 256
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Nel memorabile incipit di questo libro, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre gli ripete spesso un'istruzione enigmatica: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo (ad esempio, fra le calli di Venezia, in una passeggiata dell'infanzia) occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza.

Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Così il figlio decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua atmosfera inquieta e feconda, e così facendo prova a sciogliere (o ad approfondire?) l'enigma del padre.

Muovendosi nel suo sempre mutevole territorio, fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e dell'esistenza, storia culturale del Novecento (ne La casa del mago – accanto a straordinari personaggi contemporanei, tra cui spicca Paradisa, una prostituta peruviana – figurano Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard...), Emanuele Trevi ci offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico (e perfino umoristico): una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più semplici rimandano alla trama più sottile dell'essere, se li si ascoltare, se si sa lasciarli accadere.





Lo sai com’è fatto

Con questo memorabile incipit, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre, ci accoglie mettendo ben in chiaro che tutti, Emanuele in primis e noi con lui, dobbiamo accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza.

Per Emanuele il padre, Mario Trevi, è il mago, un guaritore di anime. Trevi vuol andare oltre l’immagine del genitore, attraverso la conoscenza del padre arrivare a una più profonda conoscenza di se stesso.

Trevi, dopo la morte del genitore, cerca di vendere l’appartamento-studio nell’elegante quartiere Parioli di Roma ma nessuno vuole acquistarla. C’è chi la trova buia, chi un po’ polverosa, chi un po’ rumorosa. C’è sempre qualcosa che non va.

Quello non era un posto qualunque, ma l’antro di un grande guaritore, un luogo dove la Cura si era giocata a viso aperto la sua partita col Male: e vincesse il più scaltro dei due, se ne era capace.

Così, seguendo il destino, decide di farne casa propria entrando in un ambiente misterioso ancora saturo dalla presenza delle vite storte che per decenni il padre ha lenito, raddrizzato. La casa diventa simbolo dell’Anima, custodisce l’eco della voce dei pazienti che si affidano al Mago.

Il trasloco fu semplicissimo, come si svolgono i traslochi nei film. Del resto, non mi è mai interessato possedere nulla di particolare; l’unica cosa materiale a cui attribuisco valore sono i soldi, e quelli stanno saggiamente in banca, non esistono più nemmeno in concreto.

In quei novanta metri quadrati, l’autore ritrova la presenza del padre attraverso gli oggetti, solo apparentemente insignificanti, disseminati nelle stanze della casa. Questi oggetti nel loro insieme formano “il museo del padre”, ognuno ha un significato, è legato a un ricordo, rivela un lato del carattere paterno. Tutto ha una spiritualità intrinseca, una energia vitale e rassicurante. Vengono alla luce sentimenti e ricordi di persone che non ci sono più ma che sono state importanti per lui. Persone che hanno avuto un’anima e davanti a quest’anima lo scrittore cerca sé stesso rivedendosi non solo adulto, ma anche bambino e ragazzo. Racconta Trevi il rapporto con il padre Mario.

Bellissimo l’episodio in cui nei dedali di Venezia, durante la Biennale, il piccolo Emanuele si attacca alla cinta dell’impermeabile del padre, sempre distratto, per scoprire alla fine d’essersi attaccato tutto il giorno al “trench sbagliato”. Per fortuna, seguendo i consigli materni, ha messo in tasca la saponetta dell’albergo in cui soggiornano su cui è stampato l’indirizzo.

Tuttavia se il passato porta con sé delusioni, insoddisfazioni, errori fatti, il presente si mostra avvolto in una fitta nebbia e Trevi figlio ripopola la casa con strane figure. Infatti Emanuele inizia a trovare tracce del passaggio di una, non ben definita, presenza. Vasi cinesi preziosi che svaniscono nel nulla, la comparsa di un piattino con un mozzicone di sigaretta macchiato di rossetto che compare al centro della scrivania paterna, la pila del telecomando che non è più al suo posto. Chi si introduce in casa, nel cuore della notte, lasciando tracce del suo passaggio?

Chi è la Visitatrice che “si manifestava con dispetti e scompigli di piccola entità” mentre il proprietario di casa dorme beato?

Una cosa è certa: Emanuele non rinnega mai la sua inquietante tranquillità ma è deciso, alla morte del mago, a penetrare l’enigma di “quell’uomo meraviglioso e misterioso”, in vita tanto affettuoso quanto impenetrabile.

Alla misteriosa Visitatrice si affianca la figura, questa ben definita, della Degenerata, la colf sudamericana che non è minimamente capace di portare a termine nessun lavoro domestico “e sparge  una patina di sciatteria ovunque”. Degenerata sfrutta il suo datore di lavoro Emanuele che, da perfetto inetto, non riesce a licenziarla e continua a pagarla per dei lavori che non svolge.

Grazie a Degenerata, il protagonista conosce un’irresistibile donna dalla pelle sempre “sudata e vanigliata”, il suo nome è Paradisa, una prostituta peruviana dal carattere imperturbabile.

Accanto alla Visitatrice, alla Degenerata e a Paradisa, troviamo grandi personalità come Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli ed Ernest Bernhard.

Emanuele Trevi cerca di comporre, con toni lievi e a tratti umoristici, il ritratto del padre. Sicuramente un ritratto parziale perché nel padre sussiste sempre un lato che si sottrae alla conoscenza. Attraverso la scrittura Trevi mostra le proprie debolezze senza alcun timore, anzi le usa per ancorare la realtà. L’esplorazione della sua interiorità lo mette in comunicazione con i morti nella convinzione che solo dopo la morte si possono capire le persone amate.

Non è che in assoluto i morti non comunichino con i vivi, semmai devono verificarsi determinate circostanze perché il messaggio arrivi al destinatario.

Con i suoi scritti Trevi avvicina i vivi e i morti, consola i primi e dona immortalità a chi non c’è più.

“La casa del mago” è un libro potente e commovente, un libro che inizia con un racconto personale e poi si espande a inglobare un po’ tutti noi. Trevi ci apre le porte della sua memoria privata, ci guida in uno spazio intimo in cui il dolore per la perdita del padre si intreccia alla dolcezza del ricordo e all’ironia verso sé stesso.

La consapevolezza della morte è come il centro di ogni tipo di scrittura, e in particolare di quella autobiografica. Si potrebbe arrivare a dire che di qualsiasi cosa apparentemente parli la scrittura, questo muco dell’Io, il suo unico argomento reale è la morte. L’Io è il suddito fedele, il premuroso paggio della morte.

Con le parole lo scrittore crea il ritratto del padre e del mondo che lo circonda. È un salto indietro nel tempo, dei flashback di quando era bambino. Essere figlio “di un mistero” non è facile. Mario c’è e allo stesso tempo non c’è, è presenza e assenza, chiuso nel silenzio in “quel retrobottega che Montaigne consiglia di farsi sempre nella testa” per ritrovare il controllo di sé, riecheggiano le parole della madre, “sai com’è fatto!”

Trevi figlio non fa luce su alcun mistero. L’attimo fuggente conserva la sua bellezza.

Un equilibrio imprevedibile di forze contrarie, una configurazione unica del caso nella fuga degli specchi della possibilità, un oracolo cinese.

Enigmi a parte, una verità emerge da “La casa del mago”: i padri vanno amati, protetti e rispettati. Il tempo, lo sappiamo, porta via le persone che amiamo. La scrittura è un mezzo per donare loro l’immortalità, per riportarli in vita e continuare a dialogare con loro.

martedì 17 ottobre 2023

RECENSIONE | "Le streghe di Manningtree" di A.K. Blakemore

Dal 17 ottobre in libreria "Le streghe di Manningtree" (Fazi Editore), l’emozionante romanzo di esordio di A.K. Blakemore. È la storia di una piccola comunità lacerata dai sospetti e dalla superstizione, in cui il potere degli uomini è sempre più illimitato mentre la sicurezza delle donne è sempre più minata.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Le streghe di Manningtree
A.K. Blakemore

Editore: Fazi
Pagine: 336
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Inghilterra, 1643. Il Parlamento combatte contro il re, la guerra civile infuria, il fervore puritano attanaglia il Paese e il terrore della dannazione brucia dietro ogni ombra. A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a se stesse; soprattutto alcune di loro, che vivono ai margini della comunità: le anziane, le povere, le non sposate, quelle dalla lingua affilata. In una casupola sulle colline abita la giovane Rebecca West, figlia della vedova Beldam West, «donnaccia, compagna di bevute, madre»; tra un espediente e l’altro Rebecca trascina faticosamente i suoi giorni, oscurati dallo spettro incombente della miseria e ravvivati soltanto dall’infatuazione per lo scrivano John Edes. Finché, a scombussolare una quotidianità scandita da malelingue e battibecchi, in città non arriva un uomo: Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, che si mostra fin dal principio molto curioso. Il suo sguardo indagatore si concentra sulle donne più umili e disgraziate, alle quali comincia a porre strane domande. E quando un bambino viene colto da una misteriosa febbre e inizia a farneticare di congreghe e patti, le domande assumono un tono sempre più incalzante…





Siamo state legate da nome, destino e sangue, e non esiste altro.

Inghilterra, 1643. Il Parlamento combatte contro il re, la guerra civile infuria, il fervore puritano attanaglia il Paese e il terrore della dannazione brucia dietro ogni ombra. A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a se stesse; soprattutto alcune di loro, che vivono ai margini della comunità: le anziane, le povere, le non sposate, quelle dalla lingua affilata.

Voce narrante è la giovane Rebecca West.

Sono povera. Ma quel che è peggio è che sono povera e diversa.

Sua madre, conosciuta come Beldam West, è una vedova coraggiosa con la passione per il bere. Rebecca e la madre vivono insieme nella misera casa, fame e sospetto inquinano i rapporti con i vicini. In chiesa le due donne occupano la penultima panca e da lì possono osservare come “le donne si fanno vento con i fazzoletti, diffondendo un effluvio eterogeneo di acqua alle rose, sangue raggrumato, sudore e cenere.”

Un giorno giunge in città, per affari non ben definiti, un pallido sconosciuto vestito di nero dalla testa ai piedi di nome Matthew Hopkins. Tutti provano una gran ammirazione per i bei vestiti che indossa e per la sua apparente cultura. Ma Rebecca non si unisce al coro dell’entusiasmo generale.

Matthew Hopkins, gentiluomo e studioso di Cambridge. È piuttosto giovane e bello. Un paio di baffi curati e una bocca fine e leziosa. I suoi indumenti sono di una raffinatezza non comune a Manningtree e trasmettono un’eleganza tenuta a freno: gli stivali alti lucidati a fondo, i boccoli che gli sfiorano il petto. Stivali neri, guanti neri, mantello nero, ricci neri e un viso diafano che fluttua al centro di quel funebre simulacro.

Hopkins si mostra subito molto curioso, il suo sguardo indagatore si concentra sulle donne più umili e disgraziate, inizia a porre strane domande.

C’è qualcosa in lui di inclinato e inconsistente, come se tutto il suo allestimento drammatico non ospitasse la solita carne umana.

Rebecca concentra fatalmente la sua attenzione su un giovane studioso dai modi miti di nome John Edes.

Sia la figura di Rebecca West che quella di Edes, sono realmente esistite e se ne ha documentazione negli archivi a cui attinge la scrittrice che, con la fantasia, ne narra il loro coinvolgimento.

Nella cittadina di Manningtree tutto sembra tranquillo, ma sotto la cenere il fuoco inizia a prendere vita. Iniziano ad accadere cose strane: nell’oscurità si nascondono forme strane, animali tormentati da una specie di allucinazioni, bambini colti da febbri misteriose. Ed ecco farsi strada tra fanatismo e superstizione, l’accusa più infamante: a Manningtree ci sono le streghe.

 Quando le donne pensano da sole, pensano il male.

Hopkins si svela essere l’Inquisitore e la sua attenzione è tutta per Rebecca, sua madre e per le loro vicine. Nei cuori delle donne sole, abbandonate a se stesse, brucia la dannazione e il Diavolo deve essere sconfitto. La povertà stravolge corpo e mente. I sogni svaniscono, la fame resta. Per un tozzo di pane si è disposti a tutto. Il processo alle streghe ha inizio, nello stesso calderone si gettano Dio, il Diavolo, i folletti.

In una cultura intrisa di fervore puritano, la priorità era data allo spirito e non alla carne. I corpi delle donne tentano e dannano chi si avvicina loro.

Ho letto con vivo interesse “Le streghe di Manningtree” e mi ha colpito vedere come la povertà e il disinteresse sociale diventino fonte di accuse verso donne indifese che non hanno più il diritto di sognare, di avere dei desideri e di guardare a un futuro migliore. La loro paura diventa tangibile alimentata da una rabbia che nasce dall’indifferenza degli altri. Il romanzo oltrepassa la semplice rivisitazione dei fatti e mostra i fattori sociali e culturali che hanno portato alla caccia alle streghe. Fattori religiosi, economici e sociali, carestia, il crescente radicalismo puritano dell’Inghilterra. Il mondo dello spirito entra in conflitto con il mondo della carne, tutto si trasforma in una minaccia ultraterrena. Accusate di praticare malefici e di adorare il diavolo, le donne di Manningtree vengono legate con il filo nero del fanatismo, della superstizione, delle torture che producono confessioni ma non verità.

Lo stesso Hopkins, nel romanzo, può essere considerato come un vile opportunista, un manipolatore, un difensore del dogma puritano. Ma il focus sono le perseguitate con le loro paure e insicurezze di donne costrette a vivere ai margini della società. Erano vittime senza voce. Tuttavia “le streghe” non sono figure appartenenti al passato. Ci sono ancora donne che vengono giustiziate perchè accusate di stregoneria. In generale si può affermare che la guerra alle donne non è mai cessata ma ha cambiato aspetto diventando violenza domestica e sessuale, economica e strutturale. A noi donne, nel romanzo Rebecca apre la via, spetta organizzarci contro la moderna caccia alle streghe. Nessuno lo farà al posto nostro.

“Le streghe di Manningtree” ci porta in luoghi oscuri dove sospetto, sfiducia e tradimento, si scatenano mentre gli uomini arroganti continuano a sottomettere le donne. La trama è ricca, intrisa di superstizione, distruzione e paura. La vicenda narrata è frutto di una accurata ricerca storica che catapulta il lettore in tempi remoti e costumi diversi. La lettura è fluida ricca di emozioni e riflessioni. Ma protagonista vera del romanzo è la diffidenza dell’uomo verso l’ignoto e verso la donna quando si mostra “diversa” dai canoni tradizionali di ogni epoca.

“Le streghe di Manningtree” è un’immersione nelle pulsioni più profonde degli uomini, nell’amore amaro, nella giustizia che giustizia non è. Ieri come oggi. La ricerca della libertà è sempre un mondo oscuro da attraversare con l’orgoglio di essere donne.

martedì 10 ottobre 2023

RECENSIONE | "Holly" di Stephen King

Esce in Italia per Sperling & Kupfer, con la traduzione di Luca Briasco, il nuovo agghiacciante romanzo del maestro dell’Horror Stephen King. Intitolato “Holly”, il romanzo segna il ritorno sulla scena di Holly Gibney. Dopo la trilogia di Billy Hodges (“Mr Mercedes”, “Chi perde paga” e “Fine turno”), il romanzo “The Outsider” e il racconto “Se scorre il sangue”, l’investigatrice Gibney, donna dal passato tormentato e dal presente ancora difficile, torna acquisendo il ruolo di protagonista alle prese con una scia di sparizioni in una città del Midwest, con una famiglia disperata e con due vecchietti rispettabili che nascondono un cupo segreto.

Siete pronti a seguire il re del brivido nel buio del suo ennesimo coinvolgente romanzo? Io mi avvio, voi seguitemi senza indugi in questo nuovo inquietante caso per svelare la raccapricciante verità.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Holly
Stephen King

Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 512
Prezzo: € 21,90
Sinossi

Quando Penny Dahl chiama l'agenzia Finders Keepers nella speranza che possano aiutarla a ritrovare la sua figlia scomparsa, Holly Gibney è restia ad accettare il caso. Il suo socio, Pete, ha il Covid. Sua madre, con cui ha sempre avuto una relazione complicata, è appena morta. E Holly dovrebbe essere in ferie. Ma c'è qualcosa nella voce della signora Dahl che le impedisce di dirle di no. A pochi isolati di distanza dal punto in cui è scomparsa Bonnie Dahl, vivono Rodney ed Emily Harris. Sono il ritratto della rispettabilità borghese: ottuagenari, sposati da una vita, professori universitari emeriti. Ma nello scantinato della loro casetta ordinata e piena di libri nascondono un orrendo segreto, che potrebbe avere a che fare con la scomparsa di Bonnie. È quasi impossibile smascherare il loro piano criminale: i due vecchietti sono scaltri, sono pazienti. E sono spietati. Holly dovrà fare appello a tutto il suo talento per superare in velocità e astuzia i due professori e le loro menti perversamente contorte.





Proprio quando credi di aver visto il peggio che un essere umano possa offrirti, scopri di esserti sbagliato. Non esiste un limite al male.

In “Holly” ritroviamo Holly Gibney che non si è mai ripresa del tutto dopo la morte del suo adorato socio Bill Hodges che le ha lasciato in eredità l’agenzia investigativa Finders Keepers. Insieme a Holly ritroviamo anche Pete, che ricoprirà un ruolo secondario avendo contratto il Covid. Con loro collaborano Jerome e sua sorella Barbara. Queste persone rappresentano la famiglia di Holly, soprattutto ora che sua madre è morta per il Covid. Naturalmente tra madre e figlia c’era un rapporto complicato perché Holly era vittima di una madre che aveva sempre cercato di tenerla accanto a sé “non per proteggerla ma per imprigionarla” e ora è morta di Covid. Aveva sempre rifiutato di vaccinarsi sostenendo che il Covid era solo una semplice influenza. Naturalmente il comportamento della madre aveva reso Holly insicura, aveva spento la fiducia negli altri e nell’amore. Affrontare il presente non sarà facile per Holly, ma deve pur trovare un modo per andare avanti e cercare di dimenticare gli eventi che hanno segnato la sua esistenza. 

Ma in fondo esiste qualcuno che sia in grado di chiudere davvero con il proprio passato? E, soprattutto, con i propri genitori?

Il romanzo ha inizio nel luglio del 2021, quando Penny Dahl chiama l’agenzia di investigazione Fonder Keepers nella speranza che possano aiutarla a ritrovare la figlia sparita nel nulla tre settimane prima. Holly, che ha appena partecipato al funerale via Zoom di sua madre, è restia ad accettare il caso. Ma c’è qualcosa nella voce della signora Dahl che le impedisce di dirle di no. Penny è disperata e si sente in colpa per aver litigato con la figlia. Della ragazza sparita era stata ritrovata la bicicletta e sul sellino c’era un biglietto: “Non ce la faccio più”. 

La pandemia aveva reso tutto più difficile, gli ospedali erano al collasso e la polizia non aveva agenti disponibili per cercare Bonnie. Holly non se la sente di voltare anche lei le spalle alla povera Penny che non sa nemmeno se la figlia è viva o morta. Se è stata lei stessa a porre fine alla sua vita o se sia stata uccisa o rapita da qualcuno. Per Holly inizia un’indagine che le riserverà molte sorprese perché a scomparire non è stata solo Bonnie. Ma più le cose si complicano e più Holly, ipocondriaca e arguta, è decisa ad andare avanti per scoprire la verità. 

A volte l’universo ti lancia una fune. Se succede usala subito per arrampicarti. E va’ a controllare cosa c’è in cima.

A pochi isolati di distanza dal punto in cui è scomparsa Bonnie Dahl, vivono Rodney ed Emily Harris. Sono il ritratto della rispettabilità borghese: ottuagenari, sposati da una vita, professori universitari emeriti. Emily insegna letteratura inglese, Rodney è biologo e nutrizionista. Si amano come il primo giorno. Ma nello scantinato della loro casetta, ordinata e piena di libri, nascondono un orrendo segreto che potrebbe avere a che fare con la scomparsa di Bonnie. È quasi impossibile smascherare il loro piano criminale: i due vecchietti sono scaltri e pazienti. E sono spietati. Holly dovrà fare appello a tutto il suo talento per superare in velocità e astuzia i due professori e le loro menti perversamente contorte. 

In “Holly” è assente l’elemento soprannaturale, tutto si basa sul lato più oscuro degli esseri umani. Il Male vive e si agita in tutti, anche nelle persone insospettabili, ma c’è sempre la possibilità di opporsi al buio del Male costruendo un presente usando l’arma del coraggio. 

Stephen King, tramite “Holly”, parla della società americana inquieta e lacerata. Descrive un Paese travolto dal Covid, con una società divisa in pro vax e no vax, dal razzismo e dall’omofobia. Ma narra anche di una politica incerta, Trump ha appena perso le elezioni e c’è stato l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti, l’assistenza sanitaria è prossima al collasso e la polizia è sempre più brutale. 

King, come sempre, affonda il bisturi nella viva carne dei suoi personaggi per scandagliare soprattutto i rapporti tra madri e figli. Una vivida narrazione del rapporto tra Holly e sua madre, tra Bonnie e sua madre, tra un altro ragazzo svanito nel nulla e la madre alcolista. Entriamo così nel mondo del confronto tra genitori e figli, tra buio e luce, tra male e bene. 

“Holly” è una storia di oscuri segreti e di abissi umani che vi terrà con il fiato sospeso fino alla raccapricciante verità. Di una cosa potete essere certi, la realtà può rivelarsi più spaventosa dei demoni che albergano nei nostri peggiori incubi. Tuttavia non si deve soccombere al male, resistere con coraggiosa opposizione è un dovere e il perdono è la possibilità che abbiamo per andare avanti nella costruzione di un futuro migliore. Godetevi “Holly” che “ha deciso di saltare sull’auto in corsa anziché nascondersi dietro le motoseghe” e lunga vita al Re!

lunedì 2 ottobre 2023

BLOGTOUR | "Cicatrice" di Juan Gomez-Jurado | I 5 motivi per leggere il romanzo

Una storia d’amore appassionata, diverse bugie e una misteriosa cicatrice costituiscono il fulcro del romanzo “Cicatrice” (Fazi) dello scrittore spagnolo Juan Gomez-Jurado, in libreria dal 3 ottobre.

Dopo “Il paziente”, “Cicatrice” ci riporta nell’universo di Regina Rossa, trilogia che domina le classifiche spagnole da anni. Io ho avuto il piacere di leggere tutti i libri della serie, che però potete leggere singolarmente perché autoconclusivi, quindi vi segnalerò ben cinque motivi per avvicinarvi a “Cicatrice” ricordandovi che in noi albergano tutti gli istinti dell’umanità.




Cicatrice
Juan Gomez-Jurado

Editore: Fazi
Pagine: 396
Prezzo: € 20,00
Sinossi
Simon Sax si potrebbe considerare un ragazzo fortunato: programmatore informatico americano, genio della matematica, a soli trent’anni sta per diventare miliardario. È infatti a un passo dal concludere un affare che gli cambierà la vita: venderà la sua grande invenzione – un sofisticato software – a una multinazionale. Eppure non è felice. Si sente solo. Il suo successo fa a pugni con una totale assenza di abilità in ambito sociale: le ragazze, per lui, sono sempre state una meta irraggiungibile. Finché un giorno supera i suoi pregiudizi ed entra in un sito di incontri dove conosce l’ucraina Irina, e comincia a sognare un futuro con lei nonostante le migliaia di chilometri che li separano. Ma Irina, il cui volto è segnato da un’enigmatica cicatrice, porta con sé un oscuro segreto: dietro quella ferita si cela più di quanto Simon possa immaginare, e innamorarsi di lei è solo il primo di una lunga serie di errori…



I 5 motivi per leggere il romanzo

1. Perché la trama si rivela un vaso di Pandora. Simon Sax è un genio dell’informatica che vive a Chicago. È un ragazzo fortunato: a soli trent’anni sta per diventare miliardario. Infatti ha creato un nuovo sistema di riconoscimento di immagini LISA: Algoritmo di Ricerca di Interpolazione Lineare. Una multinazionale si mostra molto interessata all’algoritmo. Simon però si sente solo e un giorno supera i suoi pregiudizi e si iscrive a un sito di incontri online dove conosce l’ucraina Irina, il cui volto è segnato da un’enigmatica cicatrice. Innamorarsi di lei è soli il primo di una lunga serie di errori.

La ragazza, però, sembra nascondere dei segreti a iniziare dalla cicatrice sulla guancia che non rimanda sicuramente a un’infanzia felice.

Due le voci narranti. Da un lato Simon in prima persona narra come è giunto alla situazione in cui si trova. Dall’altra parte c’è un narratore esterno che ci parla di Irina e di altri personaggi che popolano le pagine di “Cicatrice”. La trama è costellata da misteri, pericoli ed enigmi che rendono la lettura affascinante e presenta anche una sottile ironia nella narrazione che serve sicuramente per alleggerire la tensione.

2. I personaggi possono sembrare stereotipati ma vi invito a leggerli attraverso i loro chiaroscuri. Penetrando nel profondo del loro essere troverete molto su cui riflettere.      

Simon è un uomo intelligente, un programmatore informatico americano e sta per concludere un affare che gli cambierà la vita. Eppure non è felice. Il suo tallone d’Achille sono i rapporti in ambito sociale. Per lui le ragazze sono sempre state una meta irraggiungibile. Quando conosce Irina comincia a sognare un futuro con lei nonostante le migliaia di chilometri che li separano. Simon, quindi, chiede a Irina di raggiungerlo a Chicago. Primo errore.

Simon ha un passato oscuro, un’infanzia difficile e si dedica con tutto il cuore a proteggere suo fratello maggiore Arthur, affetto dalla sindrome di Down.

Irina, occhi tristi e capelli rossi, è un personaggio complesso tormentata da un passato drammatico e porta con sé un oscuro segreto. Dietro la cicatrice che le segna il volto si cela più di quanto Simon possa immaginare. Irina è divorata da sete di vendetta e passerà anni a prepararsi per diventare una macchina di morte pronta a tutto per vendicarsi.

Naturalmente Gomez-Jurado riesce a rendere tutto ancor più intrigante introducendo due personaggi davvero particolari: il misterioso e spietato Afgano e il crudele Ragno, uno dei cinque boss della Mafia di Chicago.

Scoprire le loro storie attraverso i vari flashback che arricchiscono la storia principale è come entrare in un vortice di eventi, di verità inconfessabili e realtà insospettabili.

La storia di Irina mi ha coinvolta emotivamente e il fascino oscuro dell’Afgano mi ha conquistata. Una cosa è apparsa subito evidente: i malvagi, a volte, nascondono un soffio di bontà; i buoni, per equilibrare la bilancia delle emozioni, possono perdere la loro bontà e diventare meno buoni. Che bella alchimia di misteri e sentimenti che si incrociano per condurre il lettore alla imprevedibile emozione finale.

3. Perchè lo stile è degno di nota: piacevoli e semplici i dialoghi, essenziali le descrizioni, il linguaggio si adatta come un guanto a ogni personaggio. Buona la componente psicologica. La trama è ben strutturata con personaggi ben sviluppati. I temi trattati sono molteplici: intrigo, bugie, successo, denaro, solitudine, amore, violenza, fobia sociale, social media, appuntamenti online, tecnologia informatica, mafia e guerre. Tutti ben dosati e intrecciati da Juan Gomez-Jurado. Nel romanzo, a compendio di tutte le tematiche trattate, c’è una frase che viene ripetuta:

 Il passato diventa presente.

Ognuno di noi ha dentro di sé la forza e il coraggio per reagire quando vediamo i nostri cari in pericolo. Simon sarà il supereroe per cui tifare e mi ha riportato alla memoria il protagonista, il neurochirurgo Evans, di “Il paziente”, altro romanzo di successo di Jurado. Sia Simon che David sono uomini pacifici che entreranno in collisione con il mondo della violenza quando, Irina per Simon e la figlia per David, saranno in pericolo.

Lo scrittore conferisce un’anima a questo romanzo narrandoci il senso di angoscia di coloro che si sentono “vinti” dalla vita ma che troveranno la forza per contrastare un destino che non meritano.

Per Simon la forza nascerà dal suo amore per Irina, dalla sua fiducia nella ragazza. Secondo errore.

4. Perché "Cicatrice", per i protagonisti, è il libro della vita segnato da un senso controverso della giustizia, da indelebili legami di sangue. Trovare le tessere mancanti sarà, per il lettore, una coinvolgente caccia all’indizio. Segreti e peccati creeranno un gioco di specchi tra passato e presente e la ricerca della verità si complicherà a causa delle molteplici piste che deviano continuamente l’attenzione del lettore.

5. Perché “Cicatrice” è un romanzo nero intrigante e avvincente con un ritmo e suspense in crescendo capaci di far trattenere il fiato ai lettori dalla prima all’ultima pagina.  Lo scrittore affronta temi spinosi ma lo fa con apparente semplicità. Il romanzo  rispecchia il carattere dell’età che viviamo e con un linguaggio cinematografico diventa un’incredibile gira pagina. L’autore ci mostra solo un lembo di verità, a noi scoprire tutto il resto.

Non vi ho rivelato troppi dettagli per lasciarvi il gusto di aprire le scatole cinesi della narrazione. Dopo la lettura di “Cicatrice” una domanda si affaccerà alla vostra mente: “Conosco davvero la persona con la quale dormo?”. Se avete qualche difficoltà a rispondere, vi segnalo la serie di Juan Gomez-Jurado magari leggendola troverete spunti su cui riflettere: “Regina Rossa”, “Lupa Nera”, “Re Bianco”, “Il paziente” e “Cicatrice”.