martedì 1 luglio 2025

RECENSIONE | "La strada oltre il muro" di Shirley Jackson

"La strada oltre il muro" è il primo esperimento narrativo di Shirley Jackson, la maestra della letteratura gotica americana, portato in libreria da Adelphi nella traduzione di Silvia Pareschi. Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1948, lo stesso anno in cui appare uno dei suoi più famosi racconti, "La lotteria".

La storia, scritta da una giovane Shirley, ha in sé le caratteristiche dei futuri scritti. Si riconosce subito la cura del dettaglio, la presenza di ombre nell'animo umano, la visione distorta di microtragedie che generano eccitazione, panico, suspense.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 6
La strada oltre il muro
Shirley Jackson

Editore: Adelphi
Pagine: 219
Prezzo: € 19,00
Sinossi

"Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto." Alla vigilia di Natale, una visita scolastica allo zoo si trasforma in una catastrofe. Cosa è successo esattamente? I genitori di Joséphine, una bambina che ha preso parte alla gita e che sembra sapere molte cose, sono decisi a scoprirlo. Diversi anni dopo, Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe, e nei fatidici giorni che l’hanno preceduta. Joséphine e i suoi compagni sapevano dal primo momento che non poteva essere stato un incidente, ma durante la loro indagine scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile...





In certi luoghi il clima è più mite che in altri, a certe persone il mondo riserva uno sguardo più benevolo che ad altre. Certe località sono proverbialmente calde, e mantengono intatta, anche quando nevica, la loro reputazione di mete estive; certe persone sono automaticamente al di sopra di ogni sospetto.

È una tipica strada dei sobborghi americani Pepper Street, abitata ancora, siamo nel 1936 a Cabrillo, da una maggioranza Wasp che non si arrende all'arrivo degli invasori: cattolici, ebrei, cinesi. Gli uomini sono altrove, nella vicina San Francisco, assorbiti dal loro lavoro. Tocca dunque alle donne mantenere alte le barricate del conformismo.

Per quanto desideriamo trovare nuovi amici degni di stima, persone che ci entusiasmano per le loro idee nuove, o perché sono diverse, dobbiamo fare ciò che ci si aspetta da noi.

Afferma una di loro con infernale candore. E quando la figlia le chiede che cosa ci si aspetta da lei, risponde: obbedire.

A delimitare la strada c'è un muro che isola e intrappola, in un’ampolla di spazio e tempo, gli abitanti. Tutti sono ligi al dovere. Conosceremo le famiglie Perlman, esclusi perché ebrei; i Terrel che sono considerati maleducati e hanno una figlia con una disabilità dello sviluppo. I Martin sono poveri. I Desmond si sentono superiori a tutti.

La signora Desmond non era né intelligente né poco intelligente, perché il pensiero e tutti gli attributi correlati erano completamente al di fuori del suo programma di vita; i suoi valori non includevano la mente e nulla di ciò che intendeva richiedeva mai più del denaro.

 Ma cosa c'è dall'altra parte del muro?

Al di là vivevano i ricchi, su una lunga strada sinuosa da cui non si vedeva alcuna casa; al di là c'era un quartiere così esclusivo che le vie erano senza nome, le case senza numero. I proprietari del muro vivevano lì.

Quando il muro viene abbattuto cade anche la patina di rispettabilità. Come sosteneva Hercule Poirot, uno dei personaggi della letteratura gialla che amo di più, creato dalla mitica Agatha Christie, "il mondo è pieno di brave persone che fanno brutte cose".

Fu la distruzione del muro ad aprire la prima crepa nella sicurezza di Pepper Street, una sicurezza così fragile che, una volta incrinata, andò in frantumi nel giro di poche settimane.

Gli abitanti della strada sono sempre pronti a giudicare, questo è giusto e quello è sbagliato. Le donne organizzano infinite ore del te. Gli uomini, che di sera rinascono a nuova vita, non disdegnano qualche scappatella.

Sempre la stessa vita, un giorno dopo l'altro, alla fine ci si stufa di tutto. Ma ne vale la pena?

I bambini, educati alla crudeltà e alla superiorità di classe, emarginano coloro che non hanno un corpo perfetto, chi è stato adottato o chi è ebreo.

Con il bisturi dell'introspezione, Shirley Jackson penetra nel piccolo mondo di queste donne che vivono nella perenne ostilità per difendere "il loro territorio". L'autrice svela pensieri e abitudini, la facciata radiosa che cela l'orrore quotidiano e i cupi segreti che sorreggono questo mondo: infedeltà, pregiudizi, malignità morbose, tensioni pronte a esplodere e che puntualmente esploderanno.

"La strada oltre il muro" è un romanzo caratterizzato da un'ironia leggera e corrosiva, da un occhio a cui nulla sfugge, da una lingua che non perdona. Emozioni e brividi dispensati con generosità fino al gran finale, una festa di quartiere che svelerà il volto crudele della natura umana. Sotto la superficie si nascondono gli istinti più oscuri e Shirley Jackson ci costringe ad affrontare l'aspetto malvagio della nostra natura umana.

Sin dall'inizio si respira un clima avvelenato, la tensione si nasconde nella normalità, nelle utili finzioni. L'autrice ci permette di sbirciare dalle finestre nelle case degli abitanti di Pepper Street. Vedremo una giostra di pregiudizi, pettegolezzi, snobismo, bullismo, crudeltà e segreti. Alcuni si sentono più rispettabili e considerano gli altri inferiori a loro. Dietro il velo delle apparenze, esiste un mondo sconosciuto, pericoloso e minaccioso. L'orrore non ci dà scampo.

Una moltitudine di personaggi sembra camminare sull'orlo del baratro. In particolare i bambini si mostrano ipocriti, vanesi, imbroglioni, crudeli. Sembrano adulti in miniatura, possono essere cattivi tanto quanto gli adulti, ma sono vulnerabili nei loro complessi.

In un tempo sospeso tante storie si intrecciano e Shirley Jackson trasferisce nel romanzo la sua infanzia. L'autrice era stata a suo modo una bambina non convenzionale. Sicuramente non era interessata al ricamo e all'ora del te. Sua madre le preferiva suo fratello. Quando da bambina Shirley aveva iniziato a prendere peso, le cose si erano complicate ancor di più. I suoi lettori sanno che la scrittrice ha utilizzato la scrittura come un unguento per sanare le sue ferite, soprattutto quelle legate al rapporto con la madre e poi alla delusione della vita matrimoniale.

Quindi finzione e realtà si fondono, ma la realtà viene quasi del tutto inglobata dalla finzione. Il vero volto delle cose si mostra raramente e subito nuovamente mascherato, protetto dall'oblio.

Al lettore non resta che lasciarsi inghiottire dal "male incontrollato" che si cela sotto una placida superficie. Gli impulsi più oscuri sono dentro gli esseri umani e fanno di tutto per emergere. Sono le crepe sulla nostra rispettabilità che si manifestano senza alcun preavviso. Spezzano gli equilibri, alterano l'armonia, abbattono le mura del perbenismo. Il momento in cui "le crepe" appaiono è il focus del romanzo. Tutto gira attorno all'attesa, tutto è preparazione in funzione di quel momento. A ben vedere la risoluzione dei misteri non è importante e i finali non sono quasi mai del tutto risolutivi.

"La strada oltre il muro" non fa eccezione e con un triplo salto mortale ci mostra come gli uomini, senza alcuna distinzione di ruolo sociale, non sempre riescono a fermarsi prima dell'inizio della fine.

martedì 24 giugno 2025

RECENSIONE | "La catastrofica visita allo zoo" di Joel Dicker

Autore di libri che sono bestseller in tutto il mondo, lo scrittore svizzero Joel Dicker propone un romanzo che può essere letto e condiviso da lettori di tutte le età. È un libro che può interessare i lettori giovani, che non annoverano la "lettura" tra le loro passioni, i lettori emotivi, che si identificano con i personaggi, i lettori che esplorano diversi generi e coloro che magari leggono un solo libro all'anno. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" (pubblicato da La nave di Teseo, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) Dicker ha deciso di affidare la narrazione alla piccola Joséphine, l'età non viene svelata ma si sa che frequenta la scuola elementare, che propone un nuovo modo di vedere il mondo. Vi sorprenderà scoprire che in questo romanzo non c'è nessun omicidio su cui indagare, nessuna atmosfera torbida, nessun intrigo e ambiguità. 

Joséphine, una tipa tosta dalla parlantina facile che impara le cose troppo velocemente e che da grande vorrebbe fare l'inventrice di parolacce, e i suoi amichetti sono decisi a risolvere quel mistero che ha stravolto la loro quotidianità dando inizio a una serie di catastrofi culminanti nella catastrofe più grande, come indicato dal titolo, rappresentata dalla visita allo zoo.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 6
La catastrofica visita allo zoo
Joel Dicker

Editore: La nave di Teseo
Pagine: 272
Prezzo: € 20,00
Sinossi

"Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto." Alla vigilia di Natale, una visita scolastica allo zoo si trasforma in una catastrofe. Cosa è successo esattamente? I genitori di Joséphine, una bambina che ha preso parte alla gita e che sembra sapere molte cose, sono decisi a scoprirlo. Diversi anni dopo, Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe, e nei fatidici giorni che l’hanno preceduta. Joséphine e i suoi compagni sapevano dal primo momento che non poteva essere stato un incidente, ma durante la loro indagine scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile...





Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto. 

Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe allo zoo, quando era bambina, e nei fatidici giorni che l'hanno preceduta. 

Nulla avviene per caso. Un lunedì mattina di fine autunno, la scuola speciale "Picchi verdi" frequentata da Joséphine e da altri cinque bambini speciali come lei, viene dichiarata inagibile per allagamento. I rubinetti dei bagni sono rimasti aperti e l'acqua è ovunque. Ciò costringe i bambini e la loro maestra, la signorina Jennings, a trasferirsi nella scuola accanto, tra i bambini normali. 

Una catastrofe non avviene mai all'improvviso: è il risultato di una serie di piccole scosse che quasi non si notano ma che, a poco a poco, diventano un terremoto. 

La prima catastrofe, l'allagamento, ha un effetto domino sugli eventi. Prima di procedere con la narrazione conosciamo meglio i "piccoli birbanti": 

Joséphine, tutti dicono che capisce le cose troppo in fretta. Da grande vuol diventare un'inventrice di parolacce. 

Artie, l'ipocondriaco, che pensa sempre di avere malattie di tutti i tipi. Da grande vuol fare il medico per curarsi da solo. 

Thomas, il karateka, da grande vuol fare l'insegnante di karatè come il padre. 

Otto, il saputone, che ha dei genitori che vivono ognuno in una casa diversa. Adora ricevere in regalo enciclopedie e dizionari, ama spiegare le cose e conosce parole complicate. Da grande Otto vuol fare il conferenziere. 

Giovanni ha dei genitori molto ricchi e porta sempre la camicia. Da grande vuol lavorare nell'azienda di famiglia fondata dal nonno. 

Yoshi non parla mai. Ma mai mai. Yoshi è pieno di fissazioni, controlla sempre le cose dieci volte, e ogni tanto anche più di dieci. Da grande vuol fare lo scultore. 

I bambini vogliono scoprire chi ha causato l'allagamento della loro scuola, i tubi erano stati ostruiti con della plastilina, per questo chiedono aiuto alla nonna di Giovanni che ha la passione per i telefilm polizieschi. Parallelamente all'indagine, che vi porterà a sorridere molto spesso, i piccoli detective in erba devono affrontare la convivenza con i bambini normali. Ne vedremo delle belle! I bambini scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile. 

I bambini protagonisti del romanzo sono speciali. Scrive Dicker: 

Volevo fare spazio anche alla stupidità degli adulti. Gli adulti hanno paura della differenza. Ma siamo tutti differenti: marito, moglie, anche un fratello gemello... Non dobbiamo cercare le persone che sono come noi ma trovare il modo di funzionare con qualcuno di diverso da noi. E quindi ho scelto questi protagonisti particolari, che chi leggerà il libro incontrerà, per parlare di differenza. E ho scelto il termine "speciale": è la parola giusta alla quale si può dare qualsiasi significato. Ma che cos'è la normalità? Anche questa è una bella domanda. 

Nasce così un romanzo dalle mille sfaccettature che fa sorridere ed emozionare usando un linguaggio che nasce dal modo in cui i bambini comunicano ponendo sempre tante domande una dietro l'altra. La storia, tenera e divertente, vede la trasformazione di un evento scolastico in un incubo. Scavare nella memoria collettiva si rivelerà più insidioso del previsto affrontando tanti temi (l'educazione, la diversità, la tolleranza, la censura, i legami familiari, i rapporti fra adulti e bambini) che ci portano a riflettere sulla democrazia e sull'inclusione. Due argomenti importanti che spesso gli adulti cercano di insegnare ai più piccoli, ma poi loro sono i primi a non metterli in atto nei rapporti con gli altri. Lo sguardo curioso e ingenuo dei bambini, privo di pregiudizi, spesso si scontra con le certezze di genitori e insegnanti. Gli adulti non amano mettersi in discussione, hanno certezze granitiche basate sulle loro convinzioni. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e delle proprie idee, sono queste le basi del vivere civile. Trasportando la storia narrata nella realtà attuale, appare evidente come piccoli eventi concatenati possono portare a conseguenze drammatiche. 

Dicker, nel romanzo, parla del concetto di democrazia e scrive che vuol dire "essere se stessi in mezzo agli altri". Dobbiamo quindi essere consapevoli della nostra identità e ciò non è facile. La società deve aprirsi al rispetto e alla tolleranza, ognuno ha il diritto di essere come vuole e deve esser rispettato. Naturalmente vivendo in una società ci sono delle regole da osservare e occorre comprendere quali sono i limiti entro i quali si sviluppa la libertà. 

Nella postfazione Dicker riflette sull'azione negativa dei social network che allontanano dal piacere della lettura. Si è persa la voglia di socializzare, di guardarsi intorno e informarsi. Stiamo sempre con gli occhi fissi sul telefonino. Molte librerie dove ero stato invitato al mio esordio, dice l'autore, non esistono più. Quelle rimaste sono costrette, per sopravvivere, a vendere anche articoli che non hanno nulla a che fare con la letteratura. Tuttavia la cosa più importante è che leggere su carta permette all'uomo di sviluppare strumenti sociali come l'empatia, la comprensione dell'altro, la capacità di affrontare le sfide del nostro tempo. Leggere vuol dire allenare il nostro cervello a prendere decisioni autonome, a formulare propri convincimenti e a non accettare passivamente i ragionamenti altrui. Sviluppare uno spirito critico è importante anche per comprendere e rafforzare i principi su cui si basa la democrazia. Ciò non vuol dire condannare i telefonini o la lettura su schermo. Vuol dire non abbandoniamo il cartaceo, portiamo un libro con noi per occupare in modo proficuo il tempo di un'attesa, di un viaggio, di una pausa pranzo. Il nostro povero mondo è sull'orlo di un orribile precipizio, la lettura può aiutarci a non perderci per sempre. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" l'obiettivo di Dicker è "di scrivere un libro che potesse essere letto e condiviso da tutti i lettori, chiunque essi siano e ovunque si trovino, dai sette ai centoventi anni." Obiettivo raggiunto con buoni risultati.

lunedì 16 giugno 2025

RECENSIONE | "L'isola della felicità" di Davide Ferrario

"L'isola della felicità" (Feltrinelli, 2025) di Davide Ferrario, sceneggiatore, critico e regista di film e documentari, è un romanzo nato da una storia vera. Racconta la parabola di un paradiso trasformato dalla ricchezza.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
L'isola della felicità
Davide Ferrario

Editore: Feltrinelli
Pagine: 176
Prezzo: € 17,00
Sinossi

In un’isola sperduta nell’Oceano Pacifico la popolazione, che ha sempre vissuto con frugalità di pesca e agricoltura, si ritrova ricchissima grazie allo sfruttamento di un deposito di guano, da cui si ricavano fertilizzanti di pregio. Dall’oggi al domani l’isola diventa uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Cinquant’anni dopo, l’isola è in miseria e l’unica graduatoria a cui è in testa è quella della popolazione più obesa del pianeta. È uno degli isolani – testimone straniato dell’incredibile storia vera di Nauru, la repubblica più piccola del mondo – a prendere la parola e a raccontarci la traiettoria di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un’esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell’isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. "L’isola della felicità" è una satira apertamente ispirata al Jonathan Swift dei Viaggi di Gulliver, che inanella con strepitosa ironia un travolgente crescendo di avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l’amara coscienza del nostro tempo.



Dato che sul Continente chiamavano il guano "oro bianco", be', allora noi dell'isola eravamo seduti sopra una miniera di quell'oro. È così, purtroppo, che siamo diventati ricchi. 

C'era una volta una piccola e sperduta isola nell'Oceano Pacifico. Era abitata da uomini semplici dediti alla pesca e all'agricoltura. Uomini felici che vivevano a stretto contatto con la natura che scandiva il tempo e l'alternarsi delle stagioni anche se il caldo regnava sovrano per tutto l'anno e c'era tanta umidità. Si andava a pesca nell'Oceano e nella laguna, si coltivava il necessario, c'erano capre, maiali e galline. La popolazione faceva il minimo indispensabile e si accontentava di quel che c'era. 

Un giorno arrivarono Quelli del Continente che scoprirono sull'isola un enorme deposito di guano, formatosi dalle deiezioni degli uccelli, da cui si ricavavano fertilizzanti di pregio. Iniziarono a comportarsi da padroni e arrivò anche un missionario che non cambiò più di tanto la vita degli indigeni: 

Bastava adeguarsi alla recita: andare in chiesa una volta alla settimana nel giorno che lui definiva "del Signore", ascoltarlo, fare di sì con la testa, cantare le canzoni stampate in un certo suo libro, tornarsene a casa e dimenticarsene fino alla domenica successiva. Tenendo conseguentemente lontani, beninteso, i soldati. È così, diceva la nonna, che siamo diventati cattolici.

Dopo il missionario sbarcò sull'isola anche la scienza nei panni di un ingegnere che venne chiamato dagli indigeni Lui-con-gli-occhiali. Il guano giaceva in abbondanza sotto la foresta e lo sfruttamento di quella risorsa preziosa portò a un periodo di prosperità economica e rese ricchissima la popolazione che smise di lavorare e iniziò a spendere il denaro in beni non necessari. L'oziosità spinse gli abitanti a cambiare drasticamente il proprio regime alimentare, abbandonando la sana dieta di pesce, verdura e frutta, a favore di alimenti molto calorici ma poco nutritivi (divenne piatto nazionale la coda di tacchino impanata e fritta). Una notevole varietà di merci venivano importati ed esposti nell'emporio creando l'illusione di aver bisogno di tante cose di cui non si era mai sentita la necessità. Così anche il consumismo fece la sua comparsa sull'isola. La popolazione iniziava a desiderare di possedere vestiti, inutili sull'isola visto il caldo soffocante; tutti volevano le automobili, anche se sull'isola c'era una sola strada che tracciava la circonferenza dell'isola. 

Il progresso avanzava e arrivarono la scuola e l'ospedale, fece la sua comparsa anche il denaro. Sull'isola anche il tempo veniva imprigionato in anni e date; i nomi tradizionali vennero sostituiti da quelli all'occidentale; comparve la televisione, i voli aerei, la polizia e il turismo che non ottenne molto successo. 

L'idea dell'isola equatoriale aveva evocato nei turisti immagini di spiagge bianche e immacolate, lagune azzurre, foreste misteriose. Niente di tutto questo era sopravvissuto: l'isola era una miniera a cielo aperto, con il suo cuore sventrato dagli scavi e calcinato dal sole; nella laguna non guizzava più un solo pesce e sulla costa troneggiava l'impianto di carico dei fosfati, la cui polvere puzzolente impestava l'aria.

L'isola veniva definita, da sarcastici servizi televisivi, uno dei posti più brutti del pianeta, e i suoi abitanti non proprio attraenti. 

L'isola non era più sconosciuta e diventò uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Lui-che-parla-bene fu eletto primo Presidente. 

L'euforia, costruita sulla merda di uccello, aveva cancellato la memoria del passato. 

Avevamo tutti vissuto in un sogno in cui, mentre l'isola intorno cambiava, noi continuavamo a credere di essere in un altro posto, quello che conoscevamo prima. Come era stato possibile?

La teoria della rana bollita spiegava ogni cosa! 

Coccolati dalla ricchezza e bolliti da quello che vedevamo alla TV, eravamo un popolo di adulti che credevano di essere rimasti bambini nel mondo della loro infanzia. E il risveglio era stato brutale.

Tuttavia tutte le cose belle finiscono e il guano, che bello non era ma dava ricchezza, era ormai esaurito. Ecco che tutto precipitava. L'isola era stata sfruttata, spogliata delle sue ricchezze naturali, sfregiata da anni di scavi. Iniziava la discesa, progressiva ma costante, verso la miseria. 

Cosa fare per sopravvivere? Trasformare l'isola in un paradiso fiscale? Costruire un carcere da mettere a disposizione dei Paesi continentali? 

Cinquant'anni dopo l'isola è in miseria e l'unica graduatoria in cui primeggia è quella della popolazione più obesa del pianeta. Anche il mare, inquinato per il modo in cui i fosfati venivano caricati sulle navi, aveva fame e stava per divorare ogni cosa. 

La voce narrante appartiene a un isolano, Lui-col-sorriso-stanco, testimone dell'incredibile storia vera di Nauru, la repubblica indipendente più piccola del mondo, che racconta la trasformazione di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. 

Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un'esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell'isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. 

"L'isola della felicità" è un romanzo molto interessante, ironico e lucido, che pone al centro della vicenda lo scempio provocato dall'uomo in natura e le conseguenze dannose di una ricchezza facile. Importante è anche il concetto di felicità usato come metafora per descrivere un'esperienza positiva ma dalle conseguenze catastrofiche. 

Davide Ferrario usa l'isola di Nauru per raccontare una metafora sulla vita contemporanea con avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l'amara coscienza del nostro tempo. L'autore ci porta a riflettere sul capitalismo, sulla gestione delle risorse naturali e sul benessere dei cittadini. Il romanzo narra la parabola autodistruttiva che investe tutto il mondo, svela amare verità che sono spunti di riflessione sul prezzo del progresso. 

Da lettrice posso dirvi che "L'isola della Felicità" è una lettura che coinvolge e si stenta a credere che siano tutti fatti riguardanti la realissima isola di Nauru in Micronesia. Non c'è lieto fine, l'ottimismo non abita le pagine di questo romanzo che intrattiene con humour e una buona dose di pessimismo. Se volgiamo lo sguardo intorno a noi non vediamo sicuramente una sconfinata prateria di felicità ma il deserto dell'avidità dell'essere umano che avanza. Riflettiamoci!