martedì 8 luglio 2025

RECENSIONE | "Never Flinch. La lotteria degli innocenti" di Stephen King

"Never Flinch. La lotteria degli innocenti" (Sperling & Kupfer) è il nuovo attesissimo romanzo di Stephen King, il celebre "maestro del brivido" americano.

Si tratta di un thriller psicologico che affonda nelle paure più profonde dell'animo umano. Ambientato in una cittadina americana segnata da misteriosi omicidi, il libro segna il ritorno dell'investigatrice privata Holly Gibney, per la sesta volta in un romanzo del "Re". King ci propone un'opera che promette brividi e riflessioni sul coraggio, sulla giustizia e sulla colpa.

STILE: 9 | STORIA: 8 | COVER: 8
Never Flinch. La lotteria degli innocenti
Stephen King

Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 512
Prezzo: € 23,00
Sinossi

Quando il dipartimento di polizia di Buckeye riceve una lettera che minaccia una diabolica missione di vendetta, per l'ispettrice Izzy Jaynes inizia un'indagine oscura e pericolosa. Per fermare chi promette di «uccidere tredici innocenti e un colpevole» come riscatto per «l'inutile morte di un innocente», c'è bisogno della detective Holly Gibney. Nel frattempo, Kate McKay, attivista carismatica, simbolo di una nuova ondata di femminismo, inizia un tour di conferenze che attraverserà diversi Stati. Mentre le sale si riempiono di sostenitori e detrattori, qualcuno trama nell'ombra per metterla a tacere. All'inizio si tratta solo di piccoli sabotaggi, ma presto il pericolo si fa reale. Holly accetta di fare da guardia del corpo a Kate, tra la difficoltà di difendere chi non accetta protezione e l'accanimento di uno stalker rabbioso che agisce nel nome di una verità distorta. Le due storie si rincorrono e si intrecciano, tra personaggi nuovi e volti noti, come la leggendaria cantante gospel Sista Bessie e un assassino che ha fatto della violenza il suo culto, in un finale stupefacente che solo un maestro come Stephen King poteva concepire. 



Ucciderò tredici innocenti e un colpevole. E così le persone che hanno mandato a morte un innocente soffriranno. Questo è un atto di ESPIAZIONE.

Aprile 2025. Una misteriosa lettera, recapitata al dipartimento di polizia di Buckeye, annuncia l'uccisione di "tredici innocenti e un colpevole". Una diabolica missione di vendetta che vede l'ispettrice Izzy Jaynes iniziare un'indagine oscura e pericolosa. Tuttavia per fermare chi promette "una lotteria degli innocenti" c'è bisogno anche della detective Holly Gibney.

Nel frattempo Kate McKay, attivista carismatica simbolo di una nuova ondata di femminismo, inizia un tour di conferenze che attraverserà diversi Stati. Non tutti, però, condividono il suo pensiero. Qualcuno trama nell'ombra per metterla a tacere. Quando il pericolo si fa reale, Holly viene ingaggiata come guardia del corpo di Kate. Le cose si complicheranno ancor di più quando Kate si mostrerà poco incline ad accettare protezione e aumenterà l'accanimento di uno stalker rabbioso che agisce nel nome di una verità distorta.

I due filoni narrativi, apparentemente senza punti in comune, si rincorrono e s'intrecciano, tra personaggi nuovi e volti noti. King esplora temi come la giustizia, la vendetta, la violenza e la resilienza di fronte alle avversità.

Tra le new entry ci sono personaggi femminili carismatici:

C'è la leggendaria cantante gospel Sista Bessie, simbolo di fede e resistenza;

Conosceremo Kate McKay, un personaggio affascinante, idealista, ostinata nelle sue battaglie a difesa delle donne e dell'autodeterminazione. È a tratti insopportabile, sempre pronta ad affrontare qualsiasi problema, non si tira indietro neanche quando il Male bussa alla sua porta;

Seguiremo da vicino l'indagine condotta da Izzy Jaynes, una detective metodica e dinamica sempre pronta a sfidare i limiti della legalità.

Trait d'union, tra i vari personaggi, è Holly che eroina non è. Incarna l'umanità che sopravvive in mezzo alla violenza. È semplice e brillante, sempre in cerca della verità.

L'antagonista, l'assassino che ha fatto della violenza il suo credo, sarà noto fin dall'inizio. Lo seguiremo passo passo, entreremo nei suoi pensieri, lo guarderemo uccidere e scopriremo il perché di tanto male. I suoi sono omicidi per procura, ossia uccide degli innocenti al posto dei colpevoli. Clochard e tossici saranno i prescelti per questa lotteria.

Ma lui non è il solo mostro della storia. Sull'altra parallela narrativa calca la scena un personaggio che riserverà cupe sorprese.

Il titolo, "Never Flinch", significa "mai tirarsi indietro". A tirarsi indietro non ci pensa minimamente Holly Gibney, sempre pronta e determinata ad affrontare le sue paure. Questa volta Holly avrà a che fare non solo con un pericoloso stalker, ma anche con le fragilità emotive della donna che protegge.

"Never Flinch" non è solo suspense, ma è il tramite per osservare con occhio critico la società e sondare l'animo umano. King, con la maestria che lo caratterizza, intreccia thriller, dramma sociale e suspense psicologica, in un crescendo narrativo mozzafiato. La provincia americana è descritta con le contraddizioni di sempre, in bilico tra giustizia e vendetta, progresso e regressione, fanatismo e moralità. Una società dominata dalle armi, dal fanatismo religioso, dai risentimenti. Attraverso la figura di Kate affronteremo il tema del femminismo e dell'autodeterminazione. Holly sarà la paladina della resilienza e della forza femminile. Andrà incontro, come un agnello sacrificale, alla pura cattiveria umana.

"Never Flinch" è un romanzo potente, con una scrittura suggestiva, che parla ai lettori dei problemi sociali, come la dipendenza da sostanze, l'alcolismo, l'emarginazione, tramite il racconto di una storia che evolve in un dualismo accattivante fino a mostrare il suo volto unitario nel gran finale. Con una scrittura ricca di tensione, umorismo nero e riflessioni esistenziali, King ridesta i mostri interiori dei personaggi. Mostri che si nutrono di ossessioni e fanno del dolore e della solitudine il loro cibo preferito. Nel romanzo non troverete tracce di soprannaturale, nessuna creatura da incubo, ma conoscerete il Male che alberga nella quotidianità degli esseri umani. Tutto ciò è sicuramente inquietante, la suspense si insinua e intrappola il lettore mettendolo davanti a una grande responsabilità: dobbiamo guardare la realtà negli occhi. Non dobbiamo voltarci dall'altra parte. Senza paura  possiamo e dobbiamo dire di no alla società di oggi, sperando in un domani migliore. La lotteria degli innocenti è poi così lontana da tutti noi? Chi viene ucciso senza alcuna colpa è un profondo dolore per tutti noi. E il dolore non dà scampo, diventa benzina che alimenta il fuoco che sta divorando il nostro mondo.

Intrattenimento e riflessione per esplorare la parte oscura della giustizia, per comprendere la rabbia che si fa ideologia, per ammirare la capacità umana di resistere e trasformare il dolore in consapevolezza.

Non possiamo non ammirare la maestria di uno scrittore che non ha mai smesso di esplorare ciò che ci rende umani e ciò che ci rende mostri, esortandoci a non chiudere mai gli occhi, con tanto coraggio e senza mai tremare.

Lunga vita al Re.

martedì 1 luglio 2025

RECENSIONE | "La strada oltre il muro" di Shirley Jackson

"La strada oltre il muro" è il primo esperimento narrativo di Shirley Jackson, la maestra della letteratura gotica americana, portato in libreria da Adelphi nella traduzione di Silvia Pareschi. Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1948, lo stesso anno in cui appare uno dei suoi più famosi racconti, "La lotteria".

La storia, scritta da una giovane Shirley, ha in sé le caratteristiche dei futuri scritti. Si riconosce subito la cura del dettaglio, la presenza di ombre nell'animo umano, la visione distorta di microtragedie che generano eccitazione, panico, suspense.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 6
La strada oltre il muro
Shirley Jackson

Editore: Adelphi
Pagine: 219
Prezzo: € 19,00
Sinossi

È una tipica strada dei sobborghi americani Pepper Street, abitata ancora – siamo nel 1936 – da una maggioranza Wasp che non si arrende all’arrivo degli invasori: cattolici, ebrei, cinesi. Gli uomini sono altrove, nella vicina San Francisco, assorbiti dal loro lavoro. Tocca dunque soprattutto alle donne puntellare le barricate del conformismo: «Per quanto desideriamo trovare nuovi amici degni di stima, persone che ci entusiasmino per le loro idee nuove, o perché sono diverse, dobbiamo fare ciò che ci si aspetta da noi» afferma una di loro con infernale candore – e quando la figlia le chiede ottusamente che cosa ci si aspetta da lei, risponde: obbedire. Di queste donne, murate vive nell’ostilità, impettite nella difesa del loro piccolo mondo, Shirley Jackson penetra, come solo lei sa fare, i pensieri e le abitudini; e penetra le case, decifrando il codice dell’arredamento e della cura del giardino. La facciata radiosa vela infatti l’orrore quotidiano e i cupi segreti che lo sorreggono: infedeltà, pregiudizi, malignità morbose, tensioni pronte a esplodere – e che puntualmente esploderanno.





In certi luoghi il clima è più mite che in altri, a certe persone il mondo riserva uno sguardo più benevolo che ad altre. Certe località sono proverbialmente calde, e mantengono intatta, anche quando nevica, la loro reputazione di mete estive; certe persone sono automaticamente al di sopra di ogni sospetto.

È una tipica strada dei sobborghi americani Pepper Street, abitata ancora, siamo nel 1936 a Cabrillo, da una maggioranza Wasp che non si arrende all'arrivo degli invasori: cattolici, ebrei, cinesi. Gli uomini sono altrove, nella vicina San Francisco, assorbiti dal loro lavoro. Tocca dunque alle donne mantenere alte le barricate del conformismo.

Per quanto desideriamo trovare nuovi amici degni di stima, persone che ci entusiasmano per le loro idee nuove, o perché sono diverse, dobbiamo fare ciò che ci si aspetta da noi.

Afferma una di loro con infernale candore. E quando la figlia le chiede che cosa ci si aspetta da lei, risponde: obbedire.

A delimitare la strada c'è un muro che isola e intrappola, in un’ampolla di spazio e tempo, gli abitanti. Tutti sono ligi al dovere. Conosceremo le famiglie Perlman, esclusi perché ebrei; i Terrel che sono considerati maleducati e hanno una figlia con una disabilità dello sviluppo. I Martin sono poveri. I Desmond si sentono superiori a tutti.

La signora Desmond non era né intelligente né poco intelligente, perché il pensiero e tutti gli attributi correlati erano completamente al di fuori del suo programma di vita; i suoi valori non includevano la mente e nulla di ciò che intendeva richiedeva mai più del denaro.

 Ma cosa c'è dall'altra parte del muro?

Al di là vivevano i ricchi, su una lunga strada sinuosa da cui non si vedeva alcuna casa; al di là c'era un quartiere così esclusivo che le vie erano senza nome, le case senza numero. I proprietari del muro vivevano lì.

Quando il muro viene abbattuto cade anche la patina di rispettabilità. Come sosteneva Hercule Poirot, uno dei personaggi della letteratura gialla che amo di più, creato dalla mitica Agatha Christie, "il mondo è pieno di brave persone che fanno brutte cose".

Fu la distruzione del muro ad aprire la prima crepa nella sicurezza di Pepper Street, una sicurezza così fragile che, una volta incrinata, andò in frantumi nel giro di poche settimane.

Gli abitanti della strada sono sempre pronti a giudicare, questo è giusto e quello è sbagliato. Le donne organizzano infinite ore del te. Gli uomini, che di sera rinascono a nuova vita, non disdegnano qualche scappatella.

Sempre la stessa vita, un giorno dopo l'altro, alla fine ci si stufa di tutto. Ma ne vale la pena?

I bambini, educati alla crudeltà e alla superiorità di classe, emarginano coloro che non hanno un corpo perfetto, chi è stato adottato o chi è ebreo.

Con il bisturi dell'introspezione, Shirley Jackson penetra nel piccolo mondo di queste donne che vivono nella perenne ostilità per difendere "il loro territorio". L'autrice svela pensieri e abitudini, la facciata radiosa che cela l'orrore quotidiano e i cupi segreti che sorreggono questo mondo: infedeltà, pregiudizi, malignità morbose, tensioni pronte a esplodere e che puntualmente esploderanno.

"La strada oltre il muro" è un romanzo caratterizzato da un'ironia leggera e corrosiva, da un occhio a cui nulla sfugge, da una lingua che non perdona. Emozioni e brividi dispensati con generosità fino al gran finale, una festa di quartiere che svelerà il volto crudele della natura umana. Sotto la superficie si nascondono gli istinti più oscuri e Shirley Jackson ci costringe ad affrontare l'aspetto malvagio della nostra natura umana.

Sin dall'inizio si respira un clima avvelenato, la tensione si nasconde nella normalità, nelle utili finzioni. L'autrice ci permette di sbirciare dalle finestre nelle case degli abitanti di Pepper Street. Vedremo una giostra di pregiudizi, pettegolezzi, snobismo, bullismo, crudeltà e segreti. Alcuni si sentono più rispettabili e considerano gli altri inferiori a loro. Dietro il velo delle apparenze, esiste un mondo sconosciuto, pericoloso e minaccioso. L'orrore non ci dà scampo.

Una moltitudine di personaggi sembra camminare sull'orlo del baratro. In particolare i bambini si mostrano ipocriti, vanesi, imbroglioni, crudeli. Sembrano adulti in miniatura, possono essere cattivi tanto quanto gli adulti, ma sono vulnerabili nei loro complessi.

In un tempo sospeso tante storie si intrecciano e Shirley Jackson trasferisce nel romanzo la sua infanzia. L'autrice era stata a suo modo una bambina non convenzionale. Sicuramente non era interessata al ricamo e all'ora del te. Sua madre le preferiva suo fratello. Quando da bambina Shirley aveva iniziato a prendere peso, le cose si erano complicate ancor di più. I suoi lettori sanno che la scrittrice ha utilizzato la scrittura come un unguento per sanare le sue ferite, soprattutto quelle legate al rapporto con la madre e poi alla delusione della vita matrimoniale.

Quindi finzione e realtà si fondono, ma la realtà viene quasi del tutto inglobata dalla finzione. Il vero volto delle cose si mostra raramente e subito nuovamente mascherato, protetto dall'oblio.

Al lettore non resta che lasciarsi inghiottire dal "male incontrollato" che si cela sotto una placida superficie. Gli impulsi più oscuri sono dentro gli esseri umani e fanno di tutto per emergere. Sono le crepe sulla nostra rispettabilità che si manifestano senza alcun preavviso. Spezzano gli equilibri, alterano l'armonia, abbattono le mura del perbenismo. Il momento in cui "le crepe" appaiono è il focus del romanzo. Tutto gira attorno all'attesa, tutto è preparazione in funzione di quel momento. A ben vedere la risoluzione dei misteri non è importante e i finali non sono quasi mai del tutto risolutivi.

"La strada oltre il muro" non fa eccezione e con un triplo salto mortale ci mostra come gli uomini, senza alcuna distinzione di ruolo sociale, non sempre riescono a fermarsi prima dell'inizio della fine.

martedì 24 giugno 2025

RECENSIONE | "La catastrofica visita allo zoo" di Joel Dicker

Autore di libri che sono bestseller in tutto il mondo, lo scrittore svizzero Joel Dicker propone un romanzo che può essere letto e condiviso da lettori di tutte le età. È un libro che può interessare i lettori giovani, che non annoverano la "lettura" tra le loro passioni, i lettori emotivi, che si identificano con i personaggi, i lettori che esplorano diversi generi e coloro che magari leggono un solo libro all'anno. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" (pubblicato da La nave di Teseo, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) Dicker ha deciso di affidare la narrazione alla piccola Joséphine, l'età non viene svelata ma si sa che frequenta la scuola elementare, che propone un nuovo modo di vedere il mondo. Vi sorprenderà scoprire che in questo romanzo non c'è nessun omicidio su cui indagare, nessuna atmosfera torbida, nessun intrigo e ambiguità. 

Joséphine, una tipa tosta dalla parlantina facile che impara le cose troppo velocemente e che da grande vorrebbe fare l'inventrice di parolacce, e i suoi amichetti sono decisi a risolvere quel mistero che ha stravolto la loro quotidianità dando inizio a una serie di catastrofi culminanti nella catastrofe più grande, come indicato dal titolo, rappresentata dalla visita allo zoo.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 6
La catastrofica visita allo zoo
Joel Dicker

Editore: La nave di Teseo
Pagine: 272
Prezzo: € 20,00
Sinossi

"Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto." Alla vigilia di Natale, una visita scolastica allo zoo si trasforma in una catastrofe. Cosa è successo esattamente? I genitori di Joséphine, una bambina che ha preso parte alla gita e che sembra sapere molte cose, sono decisi a scoprirlo. Diversi anni dopo, Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe, e nei fatidici giorni che l’hanno preceduta. Joséphine e i suoi compagni sapevano dal primo momento che non poteva essere stato un incidente, ma durante la loro indagine scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile...





Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto. 

Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe allo zoo, quando era bambina, e nei fatidici giorni che l'hanno preceduta. 

Nulla avviene per caso. Un lunedì mattina di fine autunno, la scuola speciale "Picchi verdi" frequentata da Joséphine e da altri cinque bambini speciali come lei, viene dichiarata inagibile per allagamento. I rubinetti dei bagni sono rimasti aperti e l'acqua è ovunque. Ciò costringe i bambini e la loro maestra, la signorina Jennings, a trasferirsi nella scuola accanto, tra i bambini normali. 

Una catastrofe non avviene mai all'improvviso: è il risultato di una serie di piccole scosse che quasi non si notano ma che, a poco a poco, diventano un terremoto. 

La prima catastrofe, l'allagamento, ha un effetto domino sugli eventi. Prima di procedere con la narrazione conosciamo meglio i "piccoli birbanti": 

Joséphine, tutti dicono che capisce le cose troppo in fretta. Da grande vuol diventare un'inventrice di parolacce. 

Artie, l'ipocondriaco, che pensa sempre di avere malattie di tutti i tipi. Da grande vuol fare il medico per curarsi da solo. 

Thomas, il karateka, da grande vuol fare l'insegnante di karatè come il padre. 

Otto, il saputone, che ha dei genitori che vivono ognuno in una casa diversa. Adora ricevere in regalo enciclopedie e dizionari, ama spiegare le cose e conosce parole complicate. Da grande Otto vuol fare il conferenziere. 

Giovanni ha dei genitori molto ricchi e porta sempre la camicia. Da grande vuol lavorare nell'azienda di famiglia fondata dal nonno. 

Yoshi non parla mai. Ma mai mai. Yoshi è pieno di fissazioni, controlla sempre le cose dieci volte, e ogni tanto anche più di dieci. Da grande vuol fare lo scultore. 

I bambini vogliono scoprire chi ha causato l'allagamento della loro scuola, i tubi erano stati ostruiti con della plastilina, per questo chiedono aiuto alla nonna di Giovanni che ha la passione per i telefilm polizieschi. Parallelamente all'indagine, che vi porterà a sorridere molto spesso, i piccoli detective in erba devono affrontare la convivenza con i bambini normali. Ne vedremo delle belle! I bambini scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile. 

I bambini protagonisti del romanzo sono speciali. Scrive Dicker: 

Volevo fare spazio anche alla stupidità degli adulti. Gli adulti hanno paura della differenza. Ma siamo tutti differenti: marito, moglie, anche un fratello gemello... Non dobbiamo cercare le persone che sono come noi ma trovare il modo di funzionare con qualcuno di diverso da noi. E quindi ho scelto questi protagonisti particolari, che chi leggerà il libro incontrerà, per parlare di differenza. E ho scelto il termine "speciale": è la parola giusta alla quale si può dare qualsiasi significato. Ma che cos'è la normalità? Anche questa è una bella domanda. 

Nasce così un romanzo dalle mille sfaccettature che fa sorridere ed emozionare usando un linguaggio che nasce dal modo in cui i bambini comunicano ponendo sempre tante domande una dietro l'altra. La storia, tenera e divertente, vede la trasformazione di un evento scolastico in un incubo. Scavare nella memoria collettiva si rivelerà più insidioso del previsto affrontando tanti temi (l'educazione, la diversità, la tolleranza, la censura, i legami familiari, i rapporti fra adulti e bambini) che ci portano a riflettere sulla democrazia e sull'inclusione. Due argomenti importanti che spesso gli adulti cercano di insegnare ai più piccoli, ma poi loro sono i primi a non metterli in atto nei rapporti con gli altri. Lo sguardo curioso e ingenuo dei bambini, privo di pregiudizi, spesso si scontra con le certezze di genitori e insegnanti. Gli adulti non amano mettersi in discussione, hanno certezze granitiche basate sulle loro convinzioni. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e delle proprie idee, sono queste le basi del vivere civile. Trasportando la storia narrata nella realtà attuale, appare evidente come piccoli eventi concatenati possono portare a conseguenze drammatiche. 

Dicker, nel romanzo, parla del concetto di democrazia e scrive che vuol dire "essere se stessi in mezzo agli altri". Dobbiamo quindi essere consapevoli della nostra identità e ciò non è facile. La società deve aprirsi al rispetto e alla tolleranza, ognuno ha il diritto di essere come vuole e deve esser rispettato. Naturalmente vivendo in una società ci sono delle regole da osservare e occorre comprendere quali sono i limiti entro i quali si sviluppa la libertà. 

Nella postfazione Dicker riflette sull'azione negativa dei social network che allontanano dal piacere della lettura. Si è persa la voglia di socializzare, di guardarsi intorno e informarsi. Stiamo sempre con gli occhi fissi sul telefonino. Molte librerie dove ero stato invitato al mio esordio, dice l'autore, non esistono più. Quelle rimaste sono costrette, per sopravvivere, a vendere anche articoli che non hanno nulla a che fare con la letteratura. Tuttavia la cosa più importante è che leggere su carta permette all'uomo di sviluppare strumenti sociali come l'empatia, la comprensione dell'altro, la capacità di affrontare le sfide del nostro tempo. Leggere vuol dire allenare il nostro cervello a prendere decisioni autonome, a formulare propri convincimenti e a non accettare passivamente i ragionamenti altrui. Sviluppare uno spirito critico è importante anche per comprendere e rafforzare i principi su cui si basa la democrazia. Ciò non vuol dire condannare i telefonini o la lettura su schermo. Vuol dire non abbandoniamo il cartaceo, portiamo un libro con noi per occupare in modo proficuo il tempo di un'attesa, di un viaggio, di una pausa pranzo. Il nostro povero mondo è sull'orlo di un orribile precipizio, la lettura può aiutarci a non perderci per sempre. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" l'obiettivo di Dicker è "di scrivere un libro che potesse essere letto e condiviso da tutti i lettori, chiunque essi siano e ovunque si trovino, dai sette ai centoventi anni." Obiettivo raggiunto con buoni risultati.

lunedì 16 giugno 2025

RECENSIONE | "L'isola della felicità" di Davide Ferrario

"L'isola della felicità" (Feltrinelli, 2025) di Davide Ferrario, sceneggiatore, critico e regista di film e documentari, è un romanzo nato da una storia vera. Racconta la parabola di un paradiso trasformato dalla ricchezza.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
L'isola della felicità
Davide Ferrario

Editore: Feltrinelli
Pagine: 176
Prezzo: € 17,00
Sinossi

In un’isola sperduta nell’Oceano Pacifico la popolazione, che ha sempre vissuto con frugalità di pesca e agricoltura, si ritrova ricchissima grazie allo sfruttamento di un deposito di guano, da cui si ricavano fertilizzanti di pregio. Dall’oggi al domani l’isola diventa uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Cinquant’anni dopo, l’isola è in miseria e l’unica graduatoria a cui è in testa è quella della popolazione più obesa del pianeta. È uno degli isolani – testimone straniato dell’incredibile storia vera di Nauru, la repubblica più piccola del mondo – a prendere la parola e a raccontarci la traiettoria di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un’esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell’isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. "L’isola della felicità" è una satira apertamente ispirata al Jonathan Swift dei Viaggi di Gulliver, che inanella con strepitosa ironia un travolgente crescendo di avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l’amara coscienza del nostro tempo.



Dato che sul Continente chiamavano il guano "oro bianco", be', allora noi dell'isola eravamo seduti sopra una miniera di quell'oro. È così, purtroppo, che siamo diventati ricchi. 

C'era una volta una piccola e sperduta isola nell'Oceano Pacifico. Era abitata da uomini semplici dediti alla pesca e all'agricoltura. Uomini felici che vivevano a stretto contatto con la natura che scandiva il tempo e l'alternarsi delle stagioni anche se il caldo regnava sovrano per tutto l'anno e c'era tanta umidità. Si andava a pesca nell'Oceano e nella laguna, si coltivava il necessario, c'erano capre, maiali e galline. La popolazione faceva il minimo indispensabile e si accontentava di quel che c'era. 

Un giorno arrivarono Quelli del Continente che scoprirono sull'isola un enorme deposito di guano, formatosi dalle deiezioni degli uccelli, da cui si ricavavano fertilizzanti di pregio. Iniziarono a comportarsi da padroni e arrivò anche un missionario che non cambiò più di tanto la vita degli indigeni: 

Bastava adeguarsi alla recita: andare in chiesa una volta alla settimana nel giorno che lui definiva "del Signore", ascoltarlo, fare di sì con la testa, cantare le canzoni stampate in un certo suo libro, tornarsene a casa e dimenticarsene fino alla domenica successiva. Tenendo conseguentemente lontani, beninteso, i soldati. È così, diceva la nonna, che siamo diventati cattolici.

Dopo il missionario sbarcò sull'isola anche la scienza nei panni di un ingegnere che venne chiamato dagli indigeni Lui-con-gli-occhiali. Il guano giaceva in abbondanza sotto la foresta e lo sfruttamento di quella risorsa preziosa portò a un periodo di prosperità economica e rese ricchissima la popolazione che smise di lavorare e iniziò a spendere il denaro in beni non necessari. L'oziosità spinse gli abitanti a cambiare drasticamente il proprio regime alimentare, abbandonando la sana dieta di pesce, verdura e frutta, a favore di alimenti molto calorici ma poco nutritivi (divenne piatto nazionale la coda di tacchino impanata e fritta). Una notevole varietà di merci venivano importati ed esposti nell'emporio creando l'illusione di aver bisogno di tante cose di cui non si era mai sentita la necessità. Così anche il consumismo fece la sua comparsa sull'isola. La popolazione iniziava a desiderare di possedere vestiti, inutili sull'isola visto il caldo soffocante; tutti volevano le automobili, anche se sull'isola c'era una sola strada che tracciava la circonferenza dell'isola. 

Il progresso avanzava e arrivarono la scuola e l'ospedale, fece la sua comparsa anche il denaro. Sull'isola anche il tempo veniva imprigionato in anni e date; i nomi tradizionali vennero sostituiti da quelli all'occidentale; comparve la televisione, i voli aerei, la polizia e il turismo che non ottenne molto successo. 

L'idea dell'isola equatoriale aveva evocato nei turisti immagini di spiagge bianche e immacolate, lagune azzurre, foreste misteriose. Niente di tutto questo era sopravvissuto: l'isola era una miniera a cielo aperto, con il suo cuore sventrato dagli scavi e calcinato dal sole; nella laguna non guizzava più un solo pesce e sulla costa troneggiava l'impianto di carico dei fosfati, la cui polvere puzzolente impestava l'aria.

L'isola veniva definita, da sarcastici servizi televisivi, uno dei posti più brutti del pianeta, e i suoi abitanti non proprio attraenti. 

L'isola non era più sconosciuta e diventò uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Lui-che-parla-bene fu eletto primo Presidente. 

L'euforia, costruita sulla merda di uccello, aveva cancellato la memoria del passato. 

Avevamo tutti vissuto in un sogno in cui, mentre l'isola intorno cambiava, noi continuavamo a credere di essere in un altro posto, quello che conoscevamo prima. Come era stato possibile?

La teoria della rana bollita spiegava ogni cosa! 

Coccolati dalla ricchezza e bolliti da quello che vedevamo alla TV, eravamo un popolo di adulti che credevano di essere rimasti bambini nel mondo della loro infanzia. E il risveglio era stato brutale.

Tuttavia tutte le cose belle finiscono e il guano, che bello non era ma dava ricchezza, era ormai esaurito. Ecco che tutto precipitava. L'isola era stata sfruttata, spogliata delle sue ricchezze naturali, sfregiata da anni di scavi. Iniziava la discesa, progressiva ma costante, verso la miseria. 

Cosa fare per sopravvivere? Trasformare l'isola in un paradiso fiscale? Costruire un carcere da mettere a disposizione dei Paesi continentali? 

Cinquant'anni dopo l'isola è in miseria e l'unica graduatoria in cui primeggia è quella della popolazione più obesa del pianeta. Anche il mare, inquinato per il modo in cui i fosfati venivano caricati sulle navi, aveva fame e stava per divorare ogni cosa. 

La voce narrante appartiene a un isolano, Lui-col-sorriso-stanco, testimone dell'incredibile storia vera di Nauru, la repubblica indipendente più piccola del mondo, che racconta la trasformazione di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. 

Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un'esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell'isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. 

"L'isola della felicità" è un romanzo molto interessante, ironico e lucido, che pone al centro della vicenda lo scempio provocato dall'uomo in natura e le conseguenze dannose di una ricchezza facile. Importante è anche il concetto di felicità usato come metafora per descrivere un'esperienza positiva ma dalle conseguenze catastrofiche. 

Davide Ferrario usa l'isola di Nauru per raccontare una metafora sulla vita contemporanea con avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l'amara coscienza del nostro tempo. L'autore ci porta a riflettere sul capitalismo, sulla gestione delle risorse naturali e sul benessere dei cittadini. Il romanzo narra la parabola autodistruttiva che investe tutto il mondo, svela amare verità che sono spunti di riflessione sul prezzo del progresso. 

Da lettrice posso dirvi che "L'isola della Felicità" è una lettura che coinvolge e si stenta a credere che siano tutti fatti riguardanti la realissima isola di Nauru in Micronesia. Non c'è lieto fine, l'ottimismo non abita le pagine di questo romanzo che intrattiene con humour e una buona dose di pessimismo. Se volgiamo lo sguardo intorno a noi non vediamo sicuramente una sconfinata prateria di felicità ma il deserto dell'avidità dell'essere umano che avanza. Riflettiamoci!

martedì 10 giugno 2025

RECENSIONE | "La morte di Belle" di Georges Simenon

"La morte di Belle" di Georges Simenon (pubblicato, come le altre opere dello scrittore belga, da Adelphi con la traduzione di Laura Frausin Guarino) è la storia di un omicidio e delle dinamiche che portano il protagonista, principale sospettato, a isolarsi e a precipitare in un baratro dove l'aspetta il Male e il destino inesorabile. 

"La morte di Belle" fa parte dei romans durs scritti da Simenon. Nel 2024 il romanzo è stato adattato per il grande schermo con il film "Il caso Belle Steiner".


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La morte di Belle
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 176
Prezzo: € 18,00
Sinossi

In un cottage di una tranquilla città americana, una ragazza diciottenne, Belle Sherman, viene uccisa. Quella sera, casualmente, il professor Spencer Ashby, che ospitava la giovane, figlia di un'amica della moglie, era rimasto solo in casa con lei. Questa circostanza fa di Ashby il principale indiziato del delitto e a poco a poco la scuola in cui insegna, la piccola comunità puritana, "i giusti", cominciano a guardarlo con sospetto, a trovarlo "diverso", a isolarlo. E' quanto basta per far risorgere in lui antichi turbamenti, fantasie sessuali, un disordine interiore che, dopo anni di vita senza scosse, credeva sopito, represso. Il coroner incalza con i suoi interrogatori e il precario equilibrio del professore si sfalda...





Può capitare che un uomo, in casa propria, vada su e giù, faccia i gesti abituali, i gesti di tutti i giorni, con l'espressione distesa di chi è solo, e poi, alzando gli occhi all'improvviso, si accorga che le tende non sono state tirate e che qualcuno, da fuori, lo sta osservando. Per Spencer Ashby fu un po' così.

L'intreccio ci porta in un lindo cottage di una tranquilla cittadina americana. Qui abitano il professor Spencer Ashby e sua moglie Christine. I due vivono una vita tranquilla, fatta di abitudini e piccole certezze quotidiane. Tutto cambia quando la coppia decide di ospitare l'avvenente Belle, una ragazza diciottenne figlia di un'amica di Christine. 

Quando la ragazza viene trovata strangolata nella sua camera da letto, i sospetti cadono su Ashby: in casa, quella sera, c'era solo lui e non ci sono tracce di altre persone. Tuttavia mancano indizi chiari, prove che lo inchiodino, ma per Ashby ha inizio un vero e proprio incubo, un'odissea giudiziaria, sociale ed esistenziale lunga settimane. A poco a poco la scuola in cui insegna, la piccola comunità puritana, "i giusti", cominciano a guardarlo con sospetto, a trovarlo "diverso". A isolarlo. Tutti gli voltano le spalle, è come se la comunità l'avesse già condannato. 

La comunità era forte, ma lo spirito del male si aggirava, instancabile, assumendo tutte le forme possibili nell'intento di appagare il suo odio per il giusto.

Lui appare freddo, schivo, ama chiudersi nel suo studio e nel suo laboratorio di falegnameria, dove lavora al tornio, piuttosto che partecipare alla vita sociale della cittadina. L'indagine non sembra scagionarlo e l'uomo si ritrova intrappolato in un meccanismo diabolico. Anche la moglie inizia ad avere dei dubbi sulla sua innocenza. 

Dopo l'omicidio riaffiorano in lui antichi turbamenti, fantasie sessuali, un disordine interiore che pensava di aver represso e invece dormivano nascosti in qualche anfratto della sua mente. Il precario equilibrio del professore inizia a vacillare e un'altra realtà verrà fuori. Tutti, intorno a lui, si sentono forti e senza macchia, sentono di essere la Legge, la Giustizia. Ashby, invece, si sente sempre più debole e solo. 

"La morte di Belle" esplora i temi della colpa, del sospetto e della pressione sociale. È un giallo intrigante, elegante ed enigmatico, specchio dell'ambiguità del male, delle abitudini che sono in realtà perversioni, del chiacchiericcio della provincia che nasconde, dietro la maschera del perbenismo, il vero volto del risentimento. Il dubbio è come un veleno che, lentamente ma inesorabilmente, riesce a insinuarsi anche nelle relazioni più solide. 

"La morte di Belle" è la trasformazione di un crimine in un'analisi psicologica dell'essere umano e delle dinamiche sociali. Il delitto e l'indagine diventano tasselli per un'osservazione acuta e incisiva delle figure umane e dell'ambiente in cui si muovono. L'ossessione è tra i temi principali: ossessione di essere giudicati, di essere guardati dal di fuori, di essere costretti dagli altri a essere qualcosa, anche un assassino. Quando si è condannati dal pregiudizio è difficile mostrare la propria innocenza. La società si difende mettendo al bando il diverso: il protagonista, sospettato di essere "il peccatore" viene isolato, gli amici non lo salutano più, riceve telefonate anonime e sulla facciata della sua casa viene tracciata, con del catrame, una grande M (Murderer). 

Essere sospettati non vuol dire essere colpevoli. Il mondo spietato emette subito il verdetto: colpevole. 

Tutto ciò porta alla luce il lato nascosto di Ashby, gli argini sono travolti e il "male" inonda ogni cosa e per lui non ci sarà salvezza. 

Io non mi stanco mai di leggere i romanzi di Simenon. I suoi personaggi mostrano sempre una profonda complessità psicologica. Simenon innesta le sue storie sulla quotidianità, tutto è realistico e il lettore ha la possibilità di riflettere e interpretare gli eventi. Non ci sono verità scalfite su pietra. L'autore riesce a catturare subito l'attenzione del lettore. Osserva e racconta gli uomini con i suoi personaggi insoddisfatti che scoprono il loro malessere radicato nella quotidianità delle loro vite. In molti sopravvivono nell'insoddisfazione, assediati dai dubbi, dal senso di vuoto e dalle emozioni che li tormentano. Spesso le emozioni dei personaggi sono le stesse che anche noi lettori, in circostanze particolari, abbiamo provato. Non sono però emozioni di felicità, sono baratri in cui si cade continuamente. Cambiare è impossibile, il fallimento è una certezza. Non si può evadere dalle prigioni che costruiamo intorno a noi. 

I romanzi di Simenon non danno una visione confortante dell'umanità. Egli è sempre alla ricerca "dell'uomo nudo", l'uomo privato delle infrastrutture sociali e culturali, con le sue paure e i suoi desideri nascosti che diventano incontrollabili e mettono a rischio la tranquilla esistenza banale a lungo costruita. Nei suoi romanzi duri cadono le maschere e l'autore esplora le menti dei personaggi, i loro conflitti interiori e le loro fragilità. 

Il suo stile è essenziale, caratterizzato da atmosfere dense. Le descrizioni di luoghi e persone sono racchiuse in poche righe. Tutto è realtà, nuda realtà. Narrazione, riflessioni e dialoghi si alternano in modo bilanciato. 

Nei romanzi di Simenon ritrovo la profondità di una lettura psicologica. Il protagonista libera la sua parte più repressa e con essa libera anche una violenza che non riesce a frenare. Si ha così una lettura sociale che pone attenzione all'ambiente sociale soffocante e convenzionale, una lettura che rimanda a un trauma primario che ha segnato il protagonista e che, privandolo della veste sociale, lo mette a nudo sottraendolo alla finzione di vivere.

mercoledì 4 giugno 2025

RECENSIONE | "La famiglia" di Jo Nesbo

"La famiglia" (Einaudi, 2025) segna il ritorno dei diabolici fratelli Carl e Roy Opgard, già protagonisti de "Il fratello"(Einaudi, 2020) di cui vi ho parlato la scorsa settimana (recensione). La straordinaria saga porta la firma di Jo Nesbo, incontrastato maestro del crime scandinavo con oltre 40 milioni di copie vendute nel mondo.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La famiglia
Jo Nesbo

Editore: Einaudi
Pagine: 440
Prezzo: € 21,00
Sinossi

Due fratelli pronti a combattere in difesa di ciò che hanno conquistato. Pronti, se occorre, anche a uccidere. Di nuovo. Senza dubbio, i fratelli Opgard hanno avuto successo nella vita. O, perlomeno, ne hanno avuto quanto è possibile in un paesino come Os: un migliaio di anime aggrappate a una montagna, apparentemente dimenticate da Dio e dagli uomini. Carl dirige un lussuoso hotel con spa, mentre Roy ha in mente un progetto ambizioso: un parco dei divertimenti con un ottovolante tra i più alti e paurosi del mondo. E si potrebbe ottenere ancora di più, per esempio ingrandendo l’hotel. Se non fosse che l’Ente nazionale per le strade ha deciso di far scavare una galleria in quella montagna, spostando la statale e ostacolando così il turismo a Os. Nel frattempo un agente rurale vuole indagare sul baratro noto come curva delle Capre e sulle carcasse delle automobili che ci sono finite dentro, spesso grazie a una spinta dei fratelli… Ancora una volta, dunque, Carl e Roy devono cancellare le proprie tracce e sporcarsi le mani, probabilmente di sangue. Ancora una volta, devono essere disposti a tutto, pur di salvare i loro interessi. Un grandioso, esplosivo romanzo sulla lealtà, i legami familiari, la passione e la lotta contro i poteri forti.





Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? 

I fratelli Roy e Carl Opgard sembrano avere tutto sotto controllo. La loro vita scorre tra affari e ambizioni nel piccolo paese di Os. Ma il passato torna a bussare alla porta. Un poliziotto indaga su vecchie morti sospette e i due uomini devono difendere ciò che hanno conquistato. Pronti, se occorre, anche a uccidere. Di nuovo. 

Sette omicidi. Avevo sette omicidi sulla coscienza. Avevo sperato che il conteggio si fermasse lì.

Roy e Carl hanno avuto successo nella vita anche se tutto è da rapportare a un paesino come Os: un migliaio di anime aggrappate a una montagna, apparentemente dimenticate da Dio e dagli uomini. 

Nel primo capitolo della saga Opgard, avevamo lasciato Carl e Roy alle prese con l'ambizioso progetto di realizzare a Os un hotel- spa d'alta quota. Ora li ritroviamo in gran forma: Carl dirige il lussuoso hotel, mentre Roy ha in mente di costruire un parco divertimenti con un ottovolante tra i più alti e paurosi del mondo. 

Si oppongono ai loro desideri l'Ente nazionale per le strade, che ha deciso di spostare la statale ostacolando così il turismo a Os, e un agente rurale che vuole ancora indagare sul baratro noto come curva delle Capre e sulle carcasse delle automobili che ci sono finite dentro spesso grazie a una spinta dei fratelli. 

Ancora una volta i fratelli diabolici devono salvaguardare i propri interessi e difendersi da una comunità da sempre ostile. Roy e Carl si contendono il trono di Os, un regno di miserabili. 

Perseveriamo dove gli altri si arrendono, finché non otteniamo quello che vogliamo.

La famiglia è ancora la loro ancora di salvezza ma è da sempre la loro maledizione. I ruoli sono ben definiti: Carl è il seduttore, Roy è il protettore del fratello. 

Chi sarà il Re di Os? 

In questo secondo capitolo il personaggio di Roy emerge con tutta la sua forza, si prepara a travolgere tutto e tutti. Una volta innescata la valanga, nessuno può fermarla. 

Alla fine, non si riusciva più ad andare avanti. Ma cosa si poteva fare, oltre a giocare finché non usciva la scritta "game over", la musica si interrompeva e le luci si spegnevano? 

"La famiglia" è un thriller teso e oscuro, dove Jo Nesbo mescola abilmente mistero e psicologia portando il lettore nelle zone più oscure dell'animo umano. 

Finale spietato, amaro, in linea perfetta con la crudeltà del romanzo sulla lealtà, i legami familiari, la passione e la lotta contro i poteri forti. Come sopravvivere se l'umanità svanisce e la morale si dissolve? I legami con il passato non si possono sciogliere nell'acido, i cattivi pensieri non affogano nelle fredde acque dei fiumi, i problemi non finiscono per magia giù in una scarpata. 

L'infanzia ha segnato il destino dei due fratelli, le azioni di ieri oggi presentano il conto. Quella maledetta scarpata riecheggia di voci mai sopite, di corpi straziati, di prove immortali. Da quella profondità sale il buio dell'anima che tutto travolge. 

Nell'universo Opgard non ci si annoia di sicuro. I sentimenti "buoni" sono stati messi dietro a una porta chiusa e la chiave è stata gettata via. Di lì non si muovono, non coccolano i protagonisti, non sono il pane quotidiano con cui saziarsi. Al contrario le passioni violente, l'odio, la colpa, diventano il parco giochi dei due fratelli. Il cuore pulsante della storia è la famiglia, la bussola narrativa ne fa il suo nord e la pone sull'altare del sacrificio. Si, miei cari amici, un sacrificio ci sarà. Del sangue verrà versato ma i morti non avranno pace. 

"La famiglia" è un romanzo ricco di tensione, dolore e violenza. Esplora le emozioni umane più oscure e A gran voce i protagonisti affermano che la famiglia viene prima di ogni cosa. "Prima del bene e del male". Ci si protegge a vicenda, si condivide ogni cosa, anche se il seme della rivalità non tarderà a germogliare. Tuttavia la società si basa sulla morale che tende ad adattarsi. La famiglia è un fertile terreno per i conflitti, le debolezze, le devianze e i drammi. 

Scriveva Tolstoj: "Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo."

La famiglia Opgard è un dramma infinito, parola di Jo Nesbo!

lunedì 26 maggio 2025

RECENSIONE | "Il fratello" di Jo Nesbo

"Il fratello" (Einaudi) è un thriller scritto da Jo Nesbo, il maestro del crime scandinavo. Si tratta di una storia di famiglia per nulla rassicurante: due fratelli, un piccolo villaggio norvegese, una vita di oscuri segreti. Per Stephen King, "Il fratello", è animato da "una tensione fortissima ed è davvero originale. Un libro speciale da tutti i punti di vista."


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il fratello
Jo Nesbo

Editore: Einaudi
Pagine: 648
Prezzo: € 22,00
Sinossi

«Siamo una famiglia. E dobbiamo restare uniti perché non abbiamo nessun altro. Amici, fidanzate, vicini, compaesani, lo Stato. Non sono che un’illusione e non valgono un cazzo il giorno in cui ti ritrovi veramente nel bisogno. Allora saremo noi contro loro, Roy. Noi contro tutti quanti gli altri». Sono anni che Roy gestisce una stazione di servizio in un paesino tra le montagne, su al Nord, facendo una vita tranquilla e ritirata. Carl, il fratello minore, se ne è andato da tempo in Minnesota dove è diventato imprenditore e da allora di lui non è arrivato che l’eco del suo successo. Ma ora che Carl è inaspettatamente tornato con il grandioso progetto di costruire un hotel e trasformare il paese in una località turistica, Roy si trova di nuovo a doverlo difendere dall’ostilità e dai sospetti degli altri. Come quando erano ragazzi, Roy cerca di proteggere Carl, ma suo malgrado si ritrova risucchiato in un passato che sperava sepolto per sempre.





Siamo una famiglia. E dobbiamo restare uniti perché non abbiamo nessun altro. Amici, fidanzate, vicini, compaesani, lo Stato. Non sono che un'illusione e non valgono un cazzo il giorno in cui ti ritrovi veramente nel bisogno. Allora saremo noi contro tutti, Roy. Noi contro tutti quanti gli altri. 

"Noi contro tutti" è il mantra dei fratelli Roy e Carl Opgard rimasti orfani di entrambi i genitori morti sulla strada di casa, precipitando con la macchina nello strapiombo all'altezza della curva delle Capre. 

Roy vive da solo e gestisce una stazione di servizio in un paesino tra le montagne, su al Nord della Norvegia, facendo una vita tranquilla e ritirata. È un uomo taciturno, burbero, che ama il suo lavoro da meccanico. 

Carl era mio fratello. Ed era proprio questo il problema. O i problemi. Più precisamente: uno dei problemi era che lo amavo. L'altro, che aveva ereditato gli stessi geni che avevo ereditato io.

Carl, l'adorato fratello minore, se n'era andato da tempo in Minnesota dove era diventato imprenditore e da allora di lui non era arrivato che l'eco del suo successo. Al paese tutti lo ricordavano come un ragazzo bello e brillante, cinico e ambizioso. 

Ma ora che Carl, insieme alla carismatica moglie, è inaspettatamente tornato con il grandioso progetto di costruire un hotel-spa d'alta quota e trasformare il paese in una località turistica, Roy si trova di nuovo a doverlo difendere dall'ostilità, dai rancori, dai sospetti e dall'invidia degli altri. Come quando erano ragazzi, Roy cerca di proteggere Carl, ma suo malgrado si ritrova risucchiato in un passato che sperava sepolto per sempre. Cosa sia successo lo scoprirete strada facendo. Tanti i ricordi, le mezze verità, i pettegolezzi che provocano dolore e rabbia. 

Noi amanti del thriller lo sappiamo bene, il passato non è mai dove credi di averlo lasciato. I fantasmi sono sempre pronti a riaffiorare portando con sé le menzogne, i segreti, i tradimenti celati dietro la rassicurante facciata della vita familiare. La famiglia è al di sopra di tutto e tutti, ma è anche un laccio di seta che uccide. 

Perché non c'è posto dove l'approvazione sia importante come a casa, il luogo dove ti senti incompreso in tutto e per tutto. 

Una malvagità interiore. La ragione per cui il dolore di farsi del male è minore della gioia di poter trascinare a fondo con sé altre persone.

A dispetto di una prima parte più lenta e tranquilla, la malvagità ruba la scena nella seconda parte del romanzo per non lasciarla più. Emerge il profondo legame morboso che lega i due fratelli resi ancor più "uniti" da scelte morali sbagliate. Si affonda insieme o si rischia e si vince insieme. 

"Il fratello" è il primo capitolo di una saga centrata sui fratelli diabolici Roy e Carl Opgard, affaristi senza scrupoli che esplora la psiche umana e le debolezze di una società chiusa e isolata. Il tutto è contornato da un numero sempre crescente di cadaveri. Il lettore verrà trasportato lungo tornanti pericolosi, dove i freni spesso non funzionano, e avrà sempre la percezione della tragedia imminente. 

Il libro è un concentrato di suspense e noir norvegese, una storia cupa ma deliziosa. È ipnotico il contrasto tra il quieto narrare e gli orrori che si verificano. Roy, la voce narrante, è un maestro delle strategie di sopravvivenza che si muove nell'intricata rete di legami che tutti i personaggi hanno tra loro. Il suo amore per il fratello minore diventa una sfida continua e i loro rapporti.

Ho letto con vero piacere le 600 pagine del libro apprezzando sempre più la letteratura nordica. Bellissima l'ambientazione gelida e affascinante che contribuisce a creare un'atmosfera cupa, sperduta e isolata come la pompa di benzina in mezzo alla neve della copertina. 

Mi sono lasciata trasportare da un viaggio vertiginoso tra le montagne, dai dialoghi rapidi, dalla sorprendente rivelazione della vera natura del rapporto tra i fratelli. A chi credere? Al burbero Roy o all'affascinante Carl? Essi emanano un'energia macabra eppur vitale che affonda le radici nell'adolescenza perduta. 

Tu e io, Roy, siamo soli al mondo. Tutti gli altri che crediamo di amare o che ci amano sono miraggi nel deserto. Tu e io, invece siamo una cosa sola. Siamo fratelli. Due fratelli in un deserto. Se crepa uno, crepa anche l'altro. Sì, e la morte non ci separa. Ci unisce. 

A un certo punto mi sono ritrovata a fare il tifo per "il buono", non vi dirò chi sia ma è facile scoprirlo, ma che, a ben pensarci, buono non è. Buono e cattivo, giusto e sbagliato, morale e immorale, diventano bluff all'interno di questa storia che vede i legami di sangue trasformarsi in veleno. Eppure sfuggire a quei legami è impossibile. La famiglia è una salvezza ma anche una maledizione. Insieme per uccidere. Insieme per nascondere le loro colpe. Insieme per arricchirsi. Sempre vicini, coinvolti, intrecciati nell'agonia della scelta e della colpa. 

La famiglia è l'unico principio. E giusto e sbagliato dipendono da quella, tutto il resto è secondario.

Nesbo propone con "Il fratello" una storia che nasce da forti legami che si riveleranno talmente opprimenti da superare ogni scrupolo morale. La storia risulta a tratti un po' inverosimile, non ci sono indagini per gli incidenti che si verificano tutti nello stesso luogo, con le stesse modalità e con la medesima regia occulta. Interessante vedere come l'autore nel romanzo ci propone il volto nascosto della Norvegia che tutti consideriamo un modello di efficienza ed emancipazione. Gli uomini, nel privato, covano rabbia e insoddisfazione. Le zone più oscure vengono illuminate e il romanzo diventa una lettura inarrestabile. L'autore offre una prospettiva diversa sulla criminalità che non segue i binari già tracciati. Il seme del male germoglia nel cuore della famiglia, le colpe crescono anno dopo anno e i sensi di colpa sono direttamente proporzionali agli eventi. 

A noi lettori l'arduo e intrigante compito di ascoltare ciò che ogni personaggio ha da dire. Inizialmente mi sono chiesta a chi facesse riferimento "il fratello" del titolo. Al maggiore o al minore? Inizia così l'analisi psicologica dei personaggi e l'autore è geniale nell'introdurre spesso nuove svolte narrative rese ancor più gradevoli da un black humor che induce il lettore a ragionare su temi difficili. Potere, protezione, controllo, violenza e morte, sono i pilastri dell'esistenza dei due fratelli che vogliono essere ricordati nella loro piccola comunità. 

Pian piano si ha la ricostruzione di un itinerario narrativo che svela eventi del passato e le loro conseguenze nel presente. Nel corso di questa gestazione narrativa incontreremo strati sovrapposti di odio e di amore. I fratelli sono inaffidabili, in precario equilibrio tra desideri e coscienza. Coscienza che ben presto verrà messa a tacere. Tornare indietro, per cambiare il corso degli eventi, non si può e si deve andare avanti portando nel cuore una forza devastatrice, un tornado di sentimenti. Le menzogne, le ipocrisie, gli egoismi, le vessazioni subite, sono voci capaci di forgiare destini, sirene adagiate su scogli di cattiveria, bellezza e inganno insieme. Scriveva Sue Townsend:

I miei segreti oscuri sono potenzialmente letali. Sacche di infelicità congelate nel passato che continuano a crescere. 

Poiché al male non c'è mai fine, l'epilogo de "Il fratello" ci proietta verso il secondo capitolo della saga Opcard. Il libro è già in libreria con il titolo "La famiglia" (Einaudi). Quindi arrivederci a Os e attenti alla Curva delle Capre!

martedì 20 maggio 2025

RECENSIONE | "I sette corvi" di Matteo Strukul

"I sette corvi" (Newton Compton) è un horror italiano firmato Matteo Strukul, vincitore del Premio Bancarella con "I Medici. Una dinastia al potere" (Newton Compton).

"I sette corvi" è un romanzo che porta Matteo Strukul fuori dalla sua comfort zone. Non troverete, infatti, il racconto di epoche e dinastie lontane nel tempo ma una storia ambientata negli anni '90 che gioca con atmosfere gotiche che l'autore definisce "il lato oscuro del romanticismo". Per scrivere questo libro Strukul ha vissuto a contatto con la natura presso i boschi e le montagne bellunesi. Si è documentato studiando a fondo le caratteristiche e i comportamenti dei corvi imperiali, che danno il titolo al libro. Ha immaginato antiche leggende.

Perché uno stormo assale gli uomini penetrando con il becco le orbite? Perché i cieli si fanno scuri di bestie improvvisamente ostili? La natura e gli uomini sono in guerra?


STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7
I sette corvi
Matteo Strukul

Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Gennaio 1995. A Rauch, minuscolo paese della Val Ghiaccia, gola sperduta in una delle più remote lande delle Alpi Venete, quasi al confine con il Friuli, viene ritrovato il cadavere della giovane insegnante Nicla Rossi. Il volto, escoriato, è stato privato degli occhi, come se qualcuno glieli avesse strappati. La polizia di Belluno incarica l’ispettrice Zoe Tormen e il medico legale Alvise Stella di recarsi sul luogo, poiché le dinamiche dell’omicidio fanno pensare a un potenziale serial killer. I due non potrebbero essere più diversi: Zoe ha trent’anni, è figlia della montagna e sembra uscita dalla copertina di un disco di musica grunge; Alvise, invece, è un uomo di città, ama i completi, la musica classica e gli scacchi. Anche se i loro mondi sembrano destinati a collidere, dovranno unire le forze, perché nella morte di Nicla niente è come sembra. A Rauch si annida un male profondo che neanche la neve è riuscita a spazzare via; un male che affonda le sue radici nella sete di giustizia e in un’antica leggenda. Il passato è diventato presente e forse non è un caso che proprio Zoe sia giunta a Rauch...





La paura ha forgiato questo luogo e vive in esso: nel legno, strappato al bosco impervio, nei coppi dei tetti, tempestati dalle tormente di neve, nelle vie frustate dal vento, nelle pietre che abbiamo trascinato sulle schiene, nel cibo rubato alle fauci dei lupi. La paura è ovunque ed è la nostra benedizione.

Gennaio 1995. La Val Ghiaccia è sconvolta da un terribile omicidio che ha messo in allerta tutti gli abitanti. A Rauch, un piccolo paese tra le più remote lande delle Alpi Venete, è stato ritrovato il corpo senza vita dell'insegnante Nicla Rossi. L'assassino ha infierito sul suo volto perché oltre a essere pieno di escoriazioni, è stato privato degli occhi. La polizia di Belluno pensa sia opera di un serial killer, opinione condivisa anche dall'ispettrice Zoe Tormen e dal medico legale Alvise Stella. I due non potrebbero essere più diversi: 

Zoe ha trent'anni, è figlia della montagna e sembra uscita dalla copertina di un disco di musica grunge; 

Alvise, invece, è un uomo di città, ama i completi, la musica classica e gli scacchi. 

Zoe e Alvise si troveranno a dover collaborare e soprattutto a superare le loro differenze, perché nella morte di Nicla niente è come sembra. 

Conosceremo anche i giovanissimi e inquieti Marco e Lu, la mamma di Marco, Anna, disillusa dall'amore, e la misteriosa Rauna che gestisce l'unica locanda del posto, "I sette corvi". 

Tutti saranno coinvolti in una scia di terribili delitti. 

I capitoli in cui si articola il romanzo sono uniti da un filo di tensione e angoscia. Si percepisce l'inquietudine dell'attesa, dello sviluppo degli eventi di fronte alla fragilità umana e dell'essere prigionieri dei ruoli sociali. Le atmosfere gotiche tratteggiano la vita nelle sue molteplici sfumature di luci e ombre, contraddizioni e incertezze, ricordi e paure infantili. Il tutto è immerso in luoghi di montagna dove la natura sfugge al controllo dell'uomo e la quotidianità si trasforma in un incubo alimentato da elementi soprannaturali, da visioni distorte della mente umana, da qualcosa che sfugge al nostro controllo. 

Mentre leggevo "I sette corvi" ho trovato tanti riferimenti a opere letterarie, a film e brani musicali. Lo stesso Strukul, nella nota conclusiva, parla di questi riferimenti intesi come un omaggio, a tratti esplicito, ad alcuni autori maestri del genere horror. Mi è tornato alla mente il film "Gli uccelli", diretto da Alfred Hitchcock, tratto dal romanzo "The Birds" di Daphne du Maurier. Si percepisce l'eco dei racconti di Edgar Allan Poe e di Stephen King. L'inquietudine della storia mi ha fatto pensare anche alla serie "Blackwater" di Michael McDowell. 

Nel piccolo paese di montagna di Rauch si cela un male profondo che trae origine da un'antica leggenda locale che si è trasformata in una maledizione che ha il sentore della vendetta. Sulle grandi ali dei Corvi imperiali trovano posto temi come la perdita, il trauma, il lutto, l'ingiustizia, la vergogna e il rancore. La montagna li accoglie e li protegge nel silenzio del paesaggio invernale, dove il tempo pare essersi fermato. Silenzio interrotto dal frullo delle ali dei corvi che si alzano a volo richiamati da passioni lontane nel tempo. 

Il corvo gracchiò. 

E il suono riempì lo spazio attorno. C'era qualcosa di primordiale in quel verso, qualcosa che pareva raccontare una storia antica come quella dell'uomo e forse anche di più.

A scandire i tempi del romanzo è la musica, infatti il volume si chiude con una Playlist di 19 brani musicali che idealmente accompagnano la trama del romanzo. Zoe, forse non è un caso che proprio lei sia giunta a Rauch, ama la musica grunge degli anni 90 (Nirvana e i The Black Crowes). Perciò si veste con camicie a quadri e jeans, parka e scarponi. Anche Marco Donadon è stregato dalla musica dark dei The Cure o da Siouxsie and the Banshees. Il ragazzo è un adolescente che vive una conflittualità quotidiana con i suoi genitori. 

A ben vedere il romanzo si articola in più sottotrame. C'è un'indagine della polizia, c'è il fascino legato ad un'antica leggenda, c'è il coinvolgimento di alcuni ragazzini adolescenti sorpresi da una tempesta di neve. Uno di loro porterà a casa un pullo caduto dal nido e ciò avrà una serie di conseguenze. 

"I sette corvi" è una fiaba nera e gotica, è un volo oscuro che rapisce il lettore e lo circonda di paure e desideri. Tutti vorremmo spiccare il volo ma le nostre "ali" sono appesantite dalle difficoltà della vita: dai rapporti familiari sempre complicati, dai sentimenti che hanno il brutto vizio di essere mutevoli, dalle scelte di vita che ci pongono spesso davanti a un bivio, dalle rinunce e dalla solitudine. 

Matteo Strukul sa perfettamente come catturare l'attenzione dei lettori con questo romanzo dell'inquietudine. È abile nell'intrecciare leggenda e realtà costruendo atmosfere cariche di tensione. La sua scrittura incisiva ci porta in un mondo sospeso dove il passato reclama un tributo di sangue. Il candore della neve è violato dal rosso del sangue, la bellezza della montagna è deturpata dalla violenza, gli incubi sepolti riemergono in tutta la loro forza distruttrice. Il tutto è reso in modo vivido e invita il lettore a un viaggio emozionante per la mente e per il cuore. 

"I sette corvi" è sicuramente un romanzo difficile da identificare in un solo genere. Matteo Strukul è promosso a pieni voti: il suo primo horror è una lettura godibile e inquietante. Le parole si fanno immagini, realtà e incubo si confondono, il passato e il presente si affrontano seminando delitti e misteri nella valle alpina dove "la paura è ovunque ed è una benedizione".