martedì 24 settembre 2019

RECENSIONE | "Il gioco del silenzio" di Rob Keller

L’autunno  è sempre una stagione ricca di sorprese. In libreria, ad esempio, a farci compagnia ci sono tantissime uscite per chi, come me, ha sempre voglia di avere un libro tra le mani. Se siete pronti ad affrontare un thriller pieno di brividi, allora lasciate che “Il gioco del silenzio” di Rob Keller, DeA Planeta , entri nelle vostre case. È la storia di una famiglia maledetta. È la storia di una villa piena di segreti. È la storia in cui vige una sola regola: se parli muori.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 9
Il gioco del silenzio
Rob Keller

Editore: DeA Planeta
Pagine: 336
Prezzo: € 16,00
Sinossi
Cristina era una criminologa, forse la migliore, ma ha lasciato la professione per occuparsi a tempo pieno di suo figlio Leone, che soffre di un disturbo di iperattività. Ma questa è solo la versione ufficiale, che ha creato per ingannare persino se stessa. La verità è che l’ultimo caso della sua carriera l’ha letteralmente distrutta, costringendola a cambiare vita e a rifugiarsi in una routine scandita da rigorose abitudini. Poi, un giorno, il telefono squilla. Uno zio a lei molto caro si è suicidato, nel paese sul lago di Como dove è cresciuta e dal quale è fuggita molti anni prima. Troppi incubi, troppi fantasmi, per Cristina, in quelle acque scure e profonde. Tornare sul lago significa ritrovare suo padre, con il quale ha un rapporto tormentato, e soprattutto rimettere piede nella Villa degli Orologi, la spaventosa tenuta dalla quale i Radlach controllano non solo gli affari di tutta la zona, ma anche le vite di chi vi abita. La donna resiste con ogni forza alla tentazione di indagare sulla morte dello zio, perché intuisce che la verità si annida nel groviglio di segreti che lega la storia della sua famiglia a quella dei Radlach. Ma quando Leone troverà in soffitta un orologio da taschino con una misteriosa dedica, diventerà impossibile non aprire il cassetto doloroso dei ricordi. 


La sua passione per i misteri e il crimine era nata proprio tra quelle mura, tra un pendolo antico e un orologio da taschino. Immaginava bambine intrappolate negli ingranaggi degli orologi o rinchiuse in stanze nascoste, che lei doveva salvare a ogni costo, infilandosi nei passaggi segreti che risuonavano di bisbigli e fruscii.
Cristina, nota criminologa, decide di lasciare la professione per dedicarsi a tempo pieno a suo figlio Leone che soffre di un disturbo di iperattività. In seguito al suicidio di uno zio a lei molto caro, Cristina torna nel paese sul lago di Como dove è cresciuta e dal quale è fuggita molti anni prima. Tornare sul lago significa ritrovare suo padre, con il quale ha un rapporto tormentato, e soprattutto rimettere piede nella Villa degli Orologi, la spaventosa tenuta in cui abita la famiglia Radlach. Sulle rive del lago, in quelle acque scure e profonde, Cristina rivivrà l’incubo di un passato mai sopito e verrà fagocitata da un groviglio di segreti che lega la sua famiglia a quella dei Radlach.

“Il gioco del silenzio” è un thriller psicologico dalle atmosfere sinistre e inquietanti, che mostra come il DNA del Male possa duplicarsi ovunque. Leggere questo romanzo è come salire una lunghissima scala a pioli attorcigliata su sé stessa e composta da due montanti e da tanti gradini. Tuttavia qui non troverete le famose quattro basi azotate (adenina, guanina, citosina e timina) ma quattro vizi capitali: superbia, ira, invidia e lussuria.

Io mi sono sentita subito coinvolta dalle vicende narrate e ho conosciuto personaggi duri e manipolatori, creatori di un mondo torbido e agghiacciante: la Villa degli Orologi.
Alcune case non sono solo ripari; diventano tane oscure, risucchiano, ti fanno sentire in colpa se solo te ne allontani e fanno percepire il mondo esterno come qualcosa di estraneo e diabolico.
Dalla villa i Radlach controllano non solo gli affari di tutta la zona, ma anche le vite di chi vi abita. Nelle grandi stanze dell’antica dimora trovano accoglienza orologi di tutte le fogge, preziosi dispensatori di fascino che danno concretezza al tempo. Gli orologi scandiscono il tempo che nessuno può fermare come nessuno può fermare il meccanismo perfetto del destino. Il fluire del tempo è quasi tangibile, le ore tracciano i passi del passato aprendo le porte al futuro. Gli orologi sono muti testimoni di misteri mai svelati, ossessioni che si tramandano, segreti folli e insanguinati. Scorre il tempo ma nella villa la vita appare cristallizzata, ferma, come una grande ragnatela che intrappola i suoi abitanti. L’orologio dei Sospiri, l’orologio dell’Amore, il Pendolo dei segreti sembrano quasi vivi amorevolmente accuditi dal papà di Cristina, il mastro orologiaio della Villa. Toccherà proprio alla criminologa porre fine alla maledizione della ricca famiglia Radlach, squarciare quel velo di presunti suicidi e sparizioni che tingono di rosso le acque del lago. La protagonista dovrà compiere delle scelte. È facile voltare le spalle alle difficoltà, lasciare che tutto resti com'è pietrificato nell’oblio del tempo. Sarà più complicato, ma necessario, decidere di lottare affrontando un mare di sofferenza. Non sarà facile per Cristina affrontare i Radlach che hanno la tendenza a farsi del male e a farne agli altri. Il tempo scorre ma i nostri errori sono pietre miliari della nostra esistenza e possono diventare prigioni che ci bloccano, come un vecchio orologio senza carica. Tuttavia così come gli orologi possono incepparsi così anche gli uomini possono incontrare ostacoli sul loro cammino. L’importante è non fermarsi, l’importante è superare l’ostacolo, l’importante è vivere.

“Il gioco del silenzio” è un viaggio pericoloso nel passato alla scoperta di segreti e crimini inconfessabili. Vivrete un’altalena di emozioni e desideri persi nel labirinto del tempo. Senza rendervene conto vi troverete in bilico sull’orlo dell’abisso e non vi fermerete spinti dalla necessità di svelare storie terrificanti che si confondono con le leggende del passato. Infatti avremo anche l’occasione di riscoprire antiche leggende perché il lago di Como, circondato da boschi e montagne che a volte possono dargli un’atmosfera sinistra, ha il suo mostro, il Lariosauro che ne abita i fondali, e il suo fantasma, la bella Ghita. È stato bello conoscere queste antiche storie, regali preziosi ma dal fascino nero.

Vita e Morte danzano senza un domani, prigionieri dell’eternità, i loro sguardi intrecciati non osano staccarsi, le loro bocche tacciono. Chi parla per primo, ha perso. Il loro segreto è affidato a un gioco.  Al gioco del silenzio.

giovedì 19 settembre 2019

RECENSIONE | "Il quadro segreto di Leonardo" Fabio Delizzos

Oggi, 19 settembre 2019, esce in libreria il thriller storico “Il quadro segreto di Leonardo” di Fabio Delizzos, pubblicato dalla Newton Compton. Dopo aver letto alcuni grandi successi dell’autore, ho iniziato la lettura del suo ultimo lavoro con la certezza di avere tra le mani una storia affascinante e misteriosa. Infatti questo romanzo è come una macchina del tempo che mi ha catapultata attraverso i secoli fino a giungere al Rinascimento che mi ha accolta con le sue luci e ombre destando il mio interesse per gli eventi narrati e per i protagonisti magistralmente descritti dall’autore. Essere, seppur con la fantasia, al fianco del grande Leonardo da Vinci è stata una grande emozione ed è coinvolgente vedere come fin dalle prime pagine fanno capolino il coraggio e il mistero che segneranno un susseguirsi di eventi travolgenti.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il quadro segreto di Leonardo
Fabio Delizzos

Editore: Newton Compton
Pagine: 336
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Roma, 1516. Nella vita di Leonardo da Vinci c’è una donna, affascinante e misteriosa. Una donna con un dono speciale che, insieme alla sua bellezza, suscita le brame di uomini potenti. Leonardo fa di tutto per proteggerla e spera di riuscire presto a portarla con sé in Francia. Una notte, nei pressi di Castel Sant’Angelo, è testimone involontario di un omicidio. Sulle prime sembrerebbe un caso di ordinaria criminalità, ma qualcosa di oscuro si sta invece muovendo nell’ombra: un antico segreto è stato violato e un oggetto molto prezioso è stato rubato da un monastero. Leonardo è chiamato dal cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena a indagare sull’accaduto, per rintracciare gli artefici del furto: ma più scava in quel mistero, più si convince che c’è un collegamento tra i furti e l’omicidio cui ha assistito. Eventi terribili stanno per abbattersi su Roma e la donna che ama potrebbe essere in serio pericolo. Ha così inizio, per Leonardo, una corsa contro il tempo tra tetre sale anatomiche, meandri di antichi monasteri e misteri biblici. Riuscirà a scongiurare la minaccia che incombe sulla Città Eterna e sulla donna che ama?


Quale mistero nasconde il ritratto più enigmatico di Leonardo da Vinci?
Roma, 1516. Il cuore di Leonardo da Vinci batte per una donna affascinante e misteriosa. Una donna con un dono speciale che suscita le brame di uomini potenti. Leonardo fa di tutto per proteggerla e vorrebbe portarla con sé in Francia. Le cose si complicano quando Leonardo è testimone involontario, nei pressi di Castel Sant’Angelo, di un omicidio che ha la parvenza di un caso di ordinaria criminalità. Così non è. Un antico segreto è stato violato e un oggetto molto prezioso è stato rubato da un monastero. Per far luce sull’accaduto, il cardinal Bernardo Dovizi chiama Leonardo che inizia a sospettare un collegamento tra il furto e l’omicidio a cui ha assistito. Eventi terribili stanno per travolgere la Città Eterna e per Leonardo inizia una corsa contro il tempo tra tetre sale anatomiche, meandri di antichi monasteri e misteri biblici. Riuscirà a salvare Roma e la donna che ama?

Fabio Delizzos ci fa incontrare il più grande genio rinascimentale di tutti i tempi, affidandogli il ruolo di investigatore, con un thriller ambientato nella Città Eterna. Intorno a Leonardo da Vinci sono nate tante leggende e storie fantastiche. Egli amava l’impossibile, le sfide erano il suo pane quotidiano quindi figuratevi la sua curiosità nel trovarsi di fronte a un omicidio e a un’antichissima e misteriosa ampolla luminosa contenente uno strano olio custodito in segreto all’interno di un monastero. Leonardo affronta gli eventi con mente aperta, non si sottomette ai potenti e si mostra nelle sue mille sfaccettature: pittore e scultore, inventore e scienziato. Anche nella finzione letteraria Leonardo paleserà il suo ingegno alle prese con le fragilità umane ma soprattutto condividerà con noi l’attimo irripetibile della creazione di alcune sue opere immortali.

Alchimia, morti sospette e donne bellissime si rincorrono con fascino nero tra le pagine di questo romanzo che unisce la Storia con la fantasia dell’autore, fornendo una nuova chiave di lettura del quadro più famoso dell’artista, a 500 anni dalla sua morte. Leonardo affronterà eventi inspiegabili e mentre tutti guarderanno con sospetto alla magia, lui sosterrà con granitica fermezza che la magia non esiste perchè la scienza è l’unica risposta. Ciò che non si riesce a spiegare è solo una scoperta che non è ancora avvenuta. Allucinazioni e visioni guideranno Leonardo tra oscuri intrighi di corte, congiure e altre bassezze umane.

Delizzos si conferma ottimo autore di romanzi storici, abile narratore e miscelatore di fatti reali e immaginari che prendono vita nei suoi libri grazie a una scrittura intensa e a un ritmo che concilia momenti di quiete a rocambolesche avventure. Sicuramente non vi annoierete leggendo questo romanzo intrigante e affascinante che mi è piaciuto anche per lo stile asciutto e coinvolgente. La storia si legge con molta curiosità perché lo scrittore riesce a stuzzicare il lettore nascondendo storie nelle storie. Leonardo da Vinci si troverà, infatti, coinvolto in una ricerca avventurosa, tra indizi e inganni, magie e ostacoli, nemici e insospettabili alleati. Per portare a termine la sua missione dovrà scoprire cosa si cela dietro al mistero  della “Rugiada di Luce”.

“Il quadro segreto di Leonardo” è un romanzo in cui pericolo e morte sono sempre in agguato e fanno da seconda pelle a personaggi che si completano a vicenda come i tasselli di un puzzle. Se ancora non avete letto i romanzi di Fabio Delizzos, questa è l’occasione giusta per iniziare. Una gran bella lettura vi aspetta!

martedì 17 settembre 2019

RECENSIONE | "Madrigale senza suono" di Andrea Tarabbia

“Madrigale senza suono” di Andrea Tarabbia, edito da Bollati Boringhieri, vince il Premio Campiello 2019 con 73 voti sui 277 arrivati dalla Giuria Popolare di Lettori Anonimi. Il romanzo propone la figura del Principe Carlo Gesualdo da Venosa, assassino e raffinato compositore di madrigali, vissuto tra il Cinquecento e il Seicento, riscoperto da Stravinskij. Al suo secondo Campiello, la prima volta lo scrittore era stato in cinquina nel 2016 con “Il giardino delle mosche” (recensione), Tarabbia ha affascinato la Giuria Popolare con un romanzo che si articola su più piani di lettura dipingendo con le parole il ritratto del Principe Carlo Gesualdo da Venosa, cittadino del Regno di Napoli. Da questa cronaca emergono temi importanti come la solitudine, la nascita del processo creativo, l’infelicità che strazia il cuore, la presenza della Morte.

Con fascino e maestria, lo scrittore ci propone un viaggio attraverso i secoli con la potenza misteriosa della musica che s’intreccia con il più efferato dei delitti, in un gioco di specchi potente e sottilissimo alla scoperta del Male.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
Madrigale senza suono
Andrea Tarabbia

Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 373
Prezzo: € 16,50
Sinossi
Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico.

Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito?

Per vendicare l’onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D’Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto.

Questa storia − è ciò che il lettore scopre sbalordito − ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio.

 

Io penso che la musica sia la sposa delle parole, e che ogni parola sia una scatola dove tutto il dolore e la gioia e la vita sono contenuti. Con i suoni noi possiamo far esplodere questa scatola, donarle più dolore, più gioia e più vita di quanto ne abbia già. Questo fa la musica: fa esplodere i suoni.
Carlo Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, è il centro attorno a cui ruota questo romanzo gotico e sensuale. Il principe è un uomo tormentato che vive prigioniero della sua solitudine. Ha compiuto un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Molto probabilmente furono le interessate delazioni che imponevano l’obbligo di vendicare col sangue l’offesa fatta al suo nome che spinsero il principe a uccidere sua moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa.
Ella ti tradisce. Ne va del gran cognome. Tutto il casato è in pericolo quando una moglie tradisce un marito. Soltanto una cosa, in questi casi, salva l’onore e il casato.
Il sangue lava ogni cosa, uccidere in nome del blasone è un atto estremo di giustizia e da questa giustizia intrisa di violenza e di dolore scaturisce il suo genio artistico. Quindi nasce spontanea una domanda: “Come può il male dar vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito?”

Tra le pagine del libro si cela un abbraccio indissolubile tra arte e sangue, tra dolore e solitudine, tra tormento e pazzia. Delitto e genio si rincorrono in un gioco macabro ed esaltante. La storia del principe è narrata attraverso una cronaca scritta, molto probabilmente, da un servo deforme ma fedele di nome Gioacchino, la cui identità è però circondata dal mistero. Tale cronaca verrà riscoperta, nel 1960, dal grande compositore Igor Stravinskij che acquisterà il manoscritto nella bottega di un antiquario a Napoli. Sarà proprio Stravinskij a creare un parallelismo tra Gesualdo e il Novecento, tra due modi diversi di vedere il mondo che convergono però in una stessa visione dell’arte. Per il principe il processo creativo nasce dalla violenza della vita, per Stravinskij prende forma da una riflessiva ricerca. Per tutto il romanzo le voci dei due compositori si rincorrono, si passano il testimone in una staffetta di scoperta a cui partecipano vari personaggi. Si compone così un madrigale senza musica ma a più voci modellato dalle parole che danno tragicità. Tragicità che ritroviamo nell’esistenza di Carlo, appassionato di caccia e musicista raffinato.

Il tormentato racconto della vita di Gesualdo ipnotizza e trasmette disperazione, malinconia, sofferenza che diventano ombra e intrigo.
Le minacce non vengono da lontano, da nemici esterni, ma da un demone che abbiamo o che possiede che ci sta accanto, e che ci frolla l’anima per insediarvisi, e masticarla.
Molti segreti si celano nelle stanze e nei sotterranei del castello dove vive segregata una creatura nata nella morte e vissuta nelle tenebre. Gioacchino è la coscienza di Gesualdo, forse è Gesualdo stesso che si muove nel buio della sua mente per giustificare ciò che di terribile ha fatto proclamandosi vittima di altre malefiche menti. Il suo genio è figlio della notte in cui uccise barbaramente la prima amatissima moglie e il suo amante. Da qui nascono leggende sul principe Gesualdo, marito tradito autorizzato dalla legge a vendicarsi o  uomo prigioniero della sensualità di Maria reso folle dal vedere quella passionalità rivolta a qualcun altro? Comunque siano andate le cose, il principe non viene punito dalla legge e si ritira nel suo castello, dove inizia a comporre per sottrarsi alle tenebre della disperazione e per trovare una ragione di vita. La sua musica è cupa, prende gli elementi della tradizione e li trasforma in qualcosa di nuovo. Sul pentagramma egli scrive il suo dolore e crea bellezza. Intorno a lui una girandola di personaggi alcuni reali altri frutto di fantasia. Cardinali e poeti come Torquato Tasso, si mescolano con streghe, bestie diaboliche, fanciulle licenziose. È affascinante vedere come la verità storica sconfini nella leggenda.
Tutto ciò che ha avuto intorno è morto. È morta la prima moglie, e per mano sua, e lui l’amava; la seconda è impazzita quindi è come se fosse morta; è morto il primo figlio; è morto il secondo; sono morti i parenti di cui si fidava.
Il romanzo di Tarabbia si sofferma anche sul rapporto tra Gesualdo e i suoi due figli. Alfonsino ed Emanuele muoiono entrambi e il principe non riesce a superare questi lutti. Si chiude nel suo studio fino a morire d’inedia. Molti, quindi, gli eventi tragici che hanno segnato la vita di Carlo. La sua musica, figlia di anni cupi, diventa quasi una richiesta di perdono, un pentimento. Il male che lui ha compiuto prende corpo, cresce, si nutre del dolore e poi si libera in un mondo intriso di credenze magiche e superstizioni. La stregoneria s’insinua pian piano nel romanzo donando un fascino gotico alla narrazione con pozioni magiche e malinconie che non hanno una cura. La morte domina la vita di Gesualdo e lo sfregia nell’anima dove è ancorato il suo dolore. È la sua punizione per il male che ha fatto.

 “Madrigale senza suono” è una storia maledetta che parla di musica, di morte e di follia ma anche di creazione e di bellezza. Lo fa tramite un diario, dei commenti, delle lettere e ci sono molte voci proprio come nei madrigali. Sono voci inquietanti, ammalianti e suadenti. Egli, però, fallisce su tutta la linea: uccide una moglie che ama e non riesce a creare la musica che avrebbe voluto. Ciò lo fa scivolare nella follia. Come può  attraverso la musica raccontare l’infinito del creato? Le note sono limitate, l’infinito non lo è.
Così ha provato a essere la musica mia, Gioacchino: armonica e dissonante, e cupa, e festevole, e malinconica, e sacra. Ma tutti questi svolazzi, amico mio, oggi non mi sembrano che ornamenti, ghirlande appese in un giorno di festa e poi dimenticate. È una musica colpevole, Gioacchino: pensa ad altri mondi, ma sa soltanto ornare questo.
Il principe Carlo Gesualdo da Venosa morì l’8 settembre 1613, nel suo castello, a soli 47 anni. La sua vita tormentata, segnata da sofferenze, trovò pace fra le braccia della morte.  Mi piace pensare che con la morte il suo cuore si sia aperto alla speranza. La sua sofferenza, la sua visione del mondo e dell’amore, la sua musica, il suo pentimento si fonderanno in un unico nucleo e finalmente nel buio della sua vita comparirà la luce dell’infinito. Nessuno muore mai completamente, c’è sempre qualcosa che rimane. La musica che ha creato, Principe Gesualdo, sarà la sua eternità.

giovedì 12 settembre 2019

RECENSIONE | "Rosamund" di Rebecca West

Dopo “La famiglia Aubrey” e “Nel cuore della notte”, oggi Fazi pubblica “Rosamund”, terzo e ultimo capitolo dell’acclamata trilogia di Rebecca West. Abbiamo lasciato la famiglia Aubrey sconvolta dall’arrivo della guerra, costretta ad affrontare momenti drammatici e lutti strazianti. La vita però non si ferma e le giovani sorelle, Mary e Rose intraprendono la loro carriera da pianiste, mentre Clelia si è sposata abbracciando il ruolo di moglie convenzionale. La cugina Rosamund, affascinante più che mai, lavora come infermiera. Ora prepariamoci ad affrontare il volume conclusivo in cui l’universo delle Aubrey verrà attraversato da grandi misteri: gli uomini e l’amore.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
Rosamund
Rebecca West (traduzione di F. Frigerio)

     Trilogia degli Aubrey    
#1 La famiglia Aubrey (recensione)
#2 Nel cuore della notte (recensione)
#3 Rosamund

Editore: Fazi
Pagine: 422
Prezzo: € 20,00
Sinossi
Mentre lo scintillio degli anni Venti cede il posto alla Grande Depressione, Mary e Rose sono ormai due pianiste famose. Girano l’America soggiornando negli alberghi più esclusivi e vengono accolte come star alle feste d’élite, dove lo champagne scorre a fiumi e gli invitati sono ricchi, affascinanti e privilegiati. Di pari passo al lusso e al successo, si trovano però ad affrontare una società crudele e la volgarità di chi si finge amante della musica senza realmente comprenderla. Ma soprattutto le due gemelle non riescono a colmare il divario tra presente e passato e a intessere nuove relazioni; prostrate dal dolore per la scomparsa della cara madre e dell’adorato fratello, subiranno anche l’allontanamento dell’unica persona che sarebbe in grado di dare valore alle loro esistenze: l’affascinante cugina Rosamund, che ha inspiegabilmente sposato un uomo avido e volgare, la quale abbandona il suo lavoro per viaggiare all’estero con lui.
In questo faticoso percorso di maturazione emotiva e artistica, le due donne si aggrapperanno sempre di più l’una all’altra e troveranno rifugio e ristoro nell’affettuosa e pacata umanità degli avventori del Dog and Duck – il pub sul Tamigi –, che ai loro occhi paiono trasformarsi quasi in figure mitologiche. Eppure, mentre il loro senso di inadeguatezza nei confronti della realtà continua a crescere, e Mary si ritira sempre di più a vita privata, c’è una sorpresa che attende Rose: la più deliziosa delle scoperte, l’amore, con tutta la potenza di una sensualità ancora da esplorare.




Ma noi siamo bambine per natura, non sappiamo come si fa a vivere da sole. Mamma, Rosamund e Richard Quin erano genitori per natura. Ora se ne sono andati. Non importa quanti di noi siano rimasti indietro, siamo comunque tutti come bambini abbandonati.
Dopo gli orrori della Prima Guerra Mondiale, l’Europa vive una nuova rinascita e anche per Mary e Rose, ormai famose pianiste, è tempo di raccogliere i frutti dei loro studi e di tante fatiche. A portare nella loro vita un momento di gran stupore sarà l’amatissima cugina Rosamund che sposerà all’improvviso un grottesco uomo d’affari di dubbia moralità. Rose e Mary ripensano spesso alla loro famiglia e si rendono conto, a malincuore, che il magico mondo dell’infanzia è ormai lontano. È tempo di affrontare la maturità e per Rose arrivano le complicate tensioni dell’età adulta e la sorpresa di un grande amore.

Leggere “Rosamund” significa, per me, continuare l’affascinante viaggio narrativo al fianco della famiglia Aubrey. Significa partecipare, con Mary e Rose, alle feste d’élite, dove lo champagne scorre a fiumi e gli invitati sono ricchi e affascinanti. Tuttavia non è tutto oro quello che luccica. Nel mondo dorato del lusso e del successo ci sono anche persone crudeli che nascondono la loro volgarità fingendosi amanti della musica senza comprenderla realmente. Intorno a Mary e Rose c’è un solco che le divide dal presente e le proietta nel passato. I legami famigliari sopravvivono alle tragedie e le gemelle si sentono profondamente legate ai loro parenti tanto da non riuscire a provare interesse per nuove relazioni. A rendere ancora più frustrante il loro senso di solitudine è il matrimonio dell’affascinante Rosamund che lascia il suo lavoro per viaggiare all’estero con il marito. Seguire le gemelle in questo faticoso percorso di maturazione emotiva e artistica, è un arricchimento interiore. Coinvolgenti le pagine dedicate all’affettuosa e serena umanità degli avventori del Dog and Duck - il pub sul Tamigi -  che accoglie le ragazze per proteggerle dal loro senso di inadeguatezza nei confronti del mondo. La vita però è sempre ricca di sorprese e mentre Mary si ritira a vita privata, Rose scoprirà l’amore.

Musica, famiglia, solitudine sono i grandi temi che l’autrice sviluppa con grande armonia e senso di pace.
All’orizzonte, arbusti e salici bordavano un isolotto, e lo sfondo d’immagini tutt’intorno formava un miscuglio di verdi delicati, e l’acqua che faceva da specchio era di un grigio gentile. Era bello che nel mondo ci fosse un po’ di tenerezza, anche se solo nei colori.
“Rosamund” è un romanzo pubblicato postumo nel 1988, ricostruito dagli appunti autografi e ciò ha indubbiamente influito sulla narrazione perdendo un po’ della magia creata nei volumi precedenti. Alcune descrizioni non sono riuscite a catturare la mia attenzione mentre alcuni capitoli mi sono piaciuti tantissimo. Ho apprezzato, ad esempio, la narrazione dell’incontro tra le sorelle Aubrey e Nestor Ganymedios, il marito di Rosamund.

Rebecca West, definita dal Time nel 1947 “indiscutibilmente la scrittrice numero uno al mondo”, è un’autrice britannica, di origini scozzesi e irlandesi, oggi poco conosciuta tra noi lettori. Leggendo la trilogia degli Aubrey, mi sono resa conto che non esiste un vero unico protagonista, ma tanti personaggi che si muovono in armonia. Proprio come le acque di un fiume scorrono placide, così la prosa della West è fluente con le parole che scorrono mansuete. Non c’è fretta nei suoi romanzi. Anzi con calma e grande perizia, l’autrice sceglie le parole per descrivere luoghi, eventi o figure non in primo piano. L’autrice parte dalle piccole cose per raccontare la vita, le difficoltà, i misteri, gli orrori e la bellezza. Nei suoi romanzi ho ritrovato una grande sensibilità che fa da sostegno alle inquietudini dell’epoca. Infatti lo scintillio degli anni Venti sta per cedere il posto alla Grande Depressione. Ed è proprio alle soglie del  crollo del ’29 che il romanzo termina. Molto probabilmente l’autrice pensava a un quarto volume che non vedrà mai la luce.

La trilogia degli Aubrey è profondamente autobiografica. Il padre di Rebecca era un giornalista e la madre una pianista lasciata dal marito. Rose, la voce narrante, è la stessa Rebecca che narra un mondo di emozioni che fanno sorridere e piangere. Nella vita di Mary e Rose, com’è normale che sia, non mancano lutti, sacrifici, illusioni, dubbi e paure ma tutto è raccolto in poche righe mentre un pieno di emozioni segna il loro cuore e dilata le conseguenze nel tempo. A far da padrone, lo ripeto, sono le piccole cose, i momenti che scorrono nel tempo in attesa della vita. Poi, superata l’adolescenza, si deve vivere appieno la vita e chiudere quella porta dei ricordi che permetteva di entrare nel salotto di casa Aubrey per sorseggiare un tè e ridere, sognare e guardare alla vita schermata dall’amore dei propri famigliari. Però questa è una gran triste verità perché io, in quel salotto con la famiglia Aubrey al completo, ci stavo bene.

lunedì 9 settembre 2019

RECENSIONE | "Per chi è la notte" di Aldo Simeone

Tra le ultime novità in casa Fazi, vorrei segnalarvi “Per chi è la notte”, esordio letterario di Aldo Simeone, in libreria dal 5 settembre.

È un romanzo duro e dolce, affascinante e suggestivo che racconta il dramma della guerra visto attraverso gli occhi candidi e coraggiosi dei bambini. La guerra non ha mai avuto pietà per nessuno, il dolore e la violenza albergano nei cuori di pietra che usano la forza e le armi invece del dialogo e del buon senso. Ed è durante l’occupazione nazista, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, in un piccolo paesino sui monti della Garfagnana che questa storia ha inizio. Conosceremo uomini e donne alle prese con la dura realtà, ma sarà un bambino a conquistare il nostro cuore. A sue spese imparerà che crescere vuol dire fare delle scelte, abbandonare i sogni e guardare in faccia la realtà rendendosi conto che le leggende popolari e la fantasia non sono più un filtro per lenire i risvolti dolorosi dell’esistenza.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Per chi è la notte
Aldo Simeone

Editore: Fazi
Pagine: 280
Prezzo: € 16,00
Sinossi
Mentre la seconda guerra mondiale si avvia verso la fase più cruenta, tra i monti della Garfagnana c'è un paese che sembra rimasto escluso dalla Storia e in cui la vita è scandita da antiche leggende. Per gli abitanti di Bosconero è più forte il divieto di entrare nel bosco del timore della guerra e delle terribili notizie che arrivano dal fronte. In paese si racconta che tra gli alberi si nascondano inquietanti creature: gli streghi, spiriti che, dopo il tramonto, si aggirano con un cero in mano, il loro indice che arde e non si consuma, in un'infinita processione. Chi sono? Qual è la risposta alla loro oscura domanda: «Per chi è la notte?». Francesco, di undici anni, vive con la madre, malinconica e distaccata, e con la nonna che nutre le sue fantasie con i racconti popolari. Il ragazzino non ha amici e vive isolato perché, secondo le dicerie paesane, è figlio di un disertore. Ma quel marchio infame non è la sua unica vergogna. Ancora più inconfessabile è il richiamo del bosco, nonostante la paura di ciò che in esso si annida. All'arrivo dei nazisti, e dopo l'apparizione di strane luci nel fitto degli alberi, sarà Tommaso, un ragazzino dagli occhi verdi e dai capelli rossi, giunto misteriosamente da solo in fuga dalla città, a convincere Francesco a violare quell'estremo confine, oltre il quale bisogna scegliere da che parte stare. 






Non esiste perdita che non lasci una traccia: anche l’assenza è qualcosa, una cavità dentro cui il tempo si adagia creando l’impronta di un fossile, un calco come i gessi di Pompei.
Mentre sulla Terra imperversava la seconda guerra mondiale, tra i monti della Garfagnana c’era un paese che sembrava vivere in una bolla creata da antiche leggende. Infatti  dopo il crepuscolo tutte le finestre di Bosconero si chiudevano per non vedere. Il bosco si accendeva di luci e lunghe processioni si muovevano tra gli alberi, erano gli streghi. Se incontravano un uomo, dopo il calar del sole, gli chiedevano: “Per chi è la notte?” Non rispondere nel modo giusto voleva dire non far più ritorno a casa e nessuno conosceva la risposta. Solo i custodi potevano entrare nel bosco di notte.

A Bosconero vive Francesco, Pacifico è il suo secondo nome, un ragazzino di 11 anni. Divide una semplice abitazione con la madre, donna malinconica e distaccata, e con la nonna la cui saggezza popolare vive nelle storie che lei racconta. Il ragazzino non ha amici perché nel paese lo indicano come figlio di un disertore. In lui, come tutte le cose proibite, il bosco esercita un fascino irresistibile. Un giorno a Francesco si avvicina Secondo, di provata fede fascista, il cui padre è in prigione.
 Che colpa c’abbiamo noi se siamo figli di babbi sbagliati?
Bosconero, però, come altri paesi di Garfagnana dimenticati da Dio, era diventato un luogo strategico con l’arrivo dei tedeschi e nel fitto degli alberi, le strane luci aumentarono. Intanto Francesco conosce Tommaso, un ragazzino dagli occhi verdi e dai capelli rossi. Era fuggito da solo dalla città e ora, molto probabilmente, aveva trovato rifugio nella canonica di Don Dante, il parroco del paese che, si mormorava, desse rifugio agli ebrei. Francesco e Tommaso diventano amici e insieme violeranno l’estremo confine del bosco segnando l’inizio della necessità di dover fare delle scelte. Un giuramento di sangue sancisce la loro amicizia.
Se uno sta male, l’altro lo sente; se uno è in pericolo, l’altro lo sa. E non si libera, finché non salva l’amico.
Insieme comprenderanno che nelle paure bisogna guardarci dentro, che in ogni paura c’è la speranza, che la paura si combatte con il coraggio e la determinazione per non lasciarsi travolgere dalle ombre generate dal mondo degli adulti e dagli orrori della guerra.

“Per chi è la notte” è un romanzo d’esordio travolgente e dal fascino innegabile che coinvolge generando un’attesa fatta di segreti e ricordi. È un libro in cui dolcezza e durezza si combinano in una lieve danza malinconica. È un libro sulla perdita delle persone care, sul dolore che uccide giorno dopo giorno, sulle parole non dette, sulle carezze mai ricevute e sulla disperata necessità di amare ed essere amati. Tra le righe del romanzo si nasconde la tragedia della guerra. Leggerlo vuol dire provare intensi sentimenti che ti portano indietro nel tempo dove le inquietudini segnano i volti. Ognuno ha un dolore a cui sopravvivere. Ma la notte non è mai totalmente buia, tra gli affanni filtra una flebile luce capace di far germogliare il seme dell’amicizia. La giovane piantina dovrà farsi strada tra esitazioni, desideri, vendette e solidarietà. Dovrà munirsi di un gran coraggio per sfidare il cuore nero delle truppe naziste e guardare a un futuro migliore in cui il mondo è di tutti e di nessuno.

Con penna sensibile e malinconica, Aldo Simeone ci conduce sui sentieri della Storia non per narrare le grandi gesta degli uomini ma per affrontare un viaggio doveroso a cui nessuno può sottrarsi. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta non è qualcosa che accade per magia, è una scelta. Oltrepassare la linea d’ombra vuol dire trovare la propria identità e affrontare la vita tenendo a mente l’irrequietezza di quegli anni confusi prima dell’età adulta. Un romanzo può aiutare in questo difficile passaggio? Sì, “Per chi è la notte” può.

mercoledì 4 settembre 2019

BLOGTOUR | “Il manoscritto” di Franck Thilliez | I 5 motivi per leggere il romanzo

“Il manoscritto” è un romanzo di Franck Thilliez, pluripremiato maestro del giallo francese, pubblicato da Fazi Editore nella collana Darkside. È una storia dura e implacabile che percorre, senza esitazioni, le vie del male e le vie della speranza. Lo troverete in libreria da domani, 5 settembre. 




Il manoscritto
Franck Thilliez

Editore: Fazi
Pagine: 480
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Caleb Traskman, famoso scrittore di thriller, si suicida lasciando incompiuto il suo ultimo manoscritto, che racconta la storia di Léane, a sua volta scrittrice di successo. Sposata con Jullian, ha visto il suo matrimonio naufragare dopo il misterioso assassinio della figlia Sarah, il cui corpo non è mai stato trovato, nonostante un serial killer abbia rivendicato l'omicidio. Sono ormai trascorsi anni, ma Jullian, che ha continuato a indagare, è convinto che sua figlia sia in realtà ancora viva. Gli indizi raccolti dall'uomo sembrano assumere un senso quando, al confine con la Svizzera, due poliziotti ritrovano nel bagagliaio di un'auto il cadavere di una giovane donna dal volto strappato e senza mani. Ma Jullian viene aggredito e perde la memoria: tocca a Léane prendere in carico l'indagine del marito e cercare di rimettere insieme i tasselli di un enigma che, indizio dopo indizio, si rivela sempre più complesso. E tocca al figlio di Caleb Traskman scrivere il finale della storia...



I 5 motivi per leggere il romanzo


Caleb Traskman, famoso scrittore di thriller, si suicida lasciando incompiuto il suo ultimo manoscritto, che racconta la storia di Léane, a sua volta scrittrice di successo. Sposata con Jullian, ha visto il suo matrimonio naufragare dopo il misterioso assassinio della figlia Sarah, il cui corpo non è mai stato ritrovato, anche se un serial Killer ne ha rivendicato l’omicidio. Jullian continua a indagare convinto che sua figlia sia ancora in vita. Gli indizi raccolti dall’uomo sembrano assumere un senso quando, al confine con la Svizzere, due poliziotti ritrovano nel bagagliaio di un’auto il cadavere di una giovane donna dal volto strappato e senza mani. Quando Jullian viene aggredito perdendo la memoria, toccherà a Léane cercare di mettere insieme i tasselli di un enigma sempre più complesso. E toccherà al figlio di Caleb Traskman scrivere il finale della storia.

La Fazi ha organizzato un interessante blogtour per promuovere il romanzo e la mia tappa vi elencherà 5 motivi per leggere “Il manoscritto”. Leggete “Il manoscritto” perché…

1. È un romanzo freddo come la neve e duro come l’acciaio
La cosa interessante non è tanto ciò che succede ma perché succede e quali sono le conseguenze. È interessante scoprire cosa accade alle persone dopo aver subito eventi drammatici e la curiosità  viene stuzzicata continuamente con indizi mostrati e poi nascosti. Molteplici le chiavi di lettura che rendono il romanzo fonte di coinvolgimento e arrovellamento. Cercherete di scoprire da soli chi si nutre di questo incubo ma troverete solo buio e fantasmi che si nascondono nelle pieghe del tempo. Non aspettatevi incubi alla Sthepen King ma scelte che diventano dannazioni, che diventano morte, che diventano maledizioni. È un gioco mortale che mescola più storie e nasconde la verità sotto una coltre di violenza e di doppie identità. Non troverete un po’ di calore umano per riscaldar gli eventi, i cuori sono diventati di pietra anzi di acciaio.

2. È un esercizio di funambolismo tra verità, istinti primordiali e follia.
L’ultima fatica letteraria di Franck Thilliez è un thriller corposo composto da quasi 500 pagine. Chi legge i thriller sa bene come sia complesso confezionare una trama intrigante e ben congegnata che tenga incollato il lettore fino all’ultima pagina senza mai far calare il suo interesse. La lettura è fluida e scorre come un fiume in piena con cascate che tolgono il respiro fino a giungere al finale che vi riserverà un altissimo tasso di suspense. L’adrenalina vi terrà compagnia per tutta la lettura e potrete godere dell’intreccio tra passato e presente dando ascolto a più punti di vista poiché il narratore assume il volto di vari personaggi che vi aiuteranno a ricomporre un puzzle macchiato di sangue. Tra sospetti e dubbi arriverete a dubitare di tutti e non sarete da soli. Anche alcuni protagonisti arriveranno a diffidare del loro operato, dei loro ricordi. La memoria diventa fallace e ben presto vi renderete conto che nulla è come sembra. In un continuo gioco di specchi non saprete di chi fidarvi. Voi vi ritroverete a dover camminare su una fune tesa al di sopra di tutto questo orrore ma non abbiate paura, passo dopo passo, pagina dopo pagina, avanzerete sul filo della storia.

3. È una lunga, instancabile ricerca della verità.
Con una scrittura coinvolgente e mai banale, lo scrittore sommerge la verità sotto strati di false piste e sorprese continue. Munitevi di pazienza, aguzzate la vostra attenzione e aiutandovi con qualche volo pindarico dell’immaginazione arriverete al reperto tanto atteso. Qual è la verità? Chi è capace di tanta inaudita violenza? Nessun personaggio è totalmente buono e tantomeno è totalmente cattivo. Ognuno ha la sua verità e vi toccherà scavare nella loro psicologia ed entrare nella mente contorta, imprevedibile e vendicativa di personaggi agghiaccianti e feroci. Mi direte: “Anche un malvagio può avere buone ragioni per diventar quel che è!”A tutti verrà data la possibilità di parlare e solo alla fine scoprirete il confine tra menzogna e verità. A voi ascoltare e decidere.

4. È un romanzo matrioska
Una storia che appare subito complicata ma che nasconde un gioco d’incastri pronti a conquistarvi. Tutto è connesso, all’apparenza leggerete di storie che sembrano lontane anni luce tra di loro e invece finiranno per allacciarsi in una girandola di eventi, ricordi e spietati omicidi. Immaginate, ora, di avere tra le vostre mani il libro. È la grande matrioska. Apritelo e iniziate a leggere, troverete la seconda matrioska che vi narrerà la storia di un rapimento. Vi racconterà di ragazze che scompaiono quando il buio ha fame. Svitate le due metà e troverete la matrioska che rappresenta un padre che non si rassegna davanti alla presunta morte della figlia. Disperazione, sconforto, rabbia, depressione e vendetta coabitano in lui. Andate avanti, aprite l’ennesima matrioska e conoscerete Vic Altran, un ispettore che soffre di ipermnesia. Egli ha un’eccezionale capacità di memorizzare ogni cosa, ogni particolare. Il suo punto debole è il non rispetto per le procedure e la burocrazia. Nell’ultima matrioska troverete forse la verità ma dovrete stare molto attenti perché si nasconde dietro alla perversione, alla predazione, alla manipolazione e alla sottomissione.

5. È un romanzo ricco di fascino perverso
“Il manoscritto” vi propone un romanzo che gioca con i temi del doppio e della memoria, incastrando in ogni svelamento un nuovo mistero. Nel disorientante e labirintico gioco di specchi si nascondono personaggi pericolosi pronti a oltrepassare il confine dei desideri illeciti. Scoprirete abissi di male assoluto in cui l’animo umano si frantuma e si libera del bene, lasciando il male libero d’agire. Le maschere sociali cadono e favoriscono il crearsi di atmosfere inquietanti in cui aleggiano disordine e capovolgimenti e smarrimento e angoscia. La storia evolverà verso il ripristino dell’ordine. Il male deve essere eliminato e il dualismo ridotto in frantumi per favorire la sua scomparsa. Il fascino perverso esercitato dal Male sull’uomo ha qui libero sfogo. Il mostro genera carisma.

Il bel romanzo mozzafiato di Franck Thilliez ci  condurrà nelle tenebre della mente regalandoci brividi freddi per evadere dal caldo di questa lunga estate.