giovedì 29 settembre 2022

RECENSIONE | "Le sorelle Lacroix" di Georges Simenon

“Le sorelle Lacroix” (Adelphi Edizioni, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella) è un romanzo di Georges Simenon terminato nel 1937 e pubblicato come preoriginale in cinque puntate su La revue de France, cui seguì, nel 1938, la prima edizione in libro per Gallimard. Il romanzo, ambientato a Bayeux nel Calvados, ha per protagonista le due sorelle Lacroix, Poldine e Mathilde.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Le sorelle Lacroix
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 171
Prezzo: € 18,00
Sinossi

«Ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio» scrive Simenon in epigrafe a questo romanzo. Nel caso della famiglia in questione lo scheletro è un segreto che lega da anni due sorelle. Un segreto che, rimosso e purulento, non può che trasudare odio. Tant’è: il collante che tiene uniti, nella solida dimora borghese di Bayeux, le figlie del notaio Lacroix, il marito di una di loro e i rispettivi figli è unicamente l’odio, un odio così spesso e pesante che sembra di poterlo toccare, un odio che si esprime attraverso sguardi, ammiccamenti, bisbigli – ed esplode non di rado in violente scenate. Ma l’odio suscita anche desideri di vendetta, e nella casa delle sorelle Lacroix ogni gesto ha il sapore della vendetta: un tentativo di avvelenamento non meno che un suicidio, perfino il lasciarsi morire di inedia di una giovane donna che a molti pare una specie di santa. Una volta penetrato in questa atmosfera intossicata da rancori e sospetti, il lettore vi rimarrà invischiato, e non potrà che andare avanti, tra fascinazione e orrore.



L’incipit è alquanto originale per un romanzo di Simenon: 

…piena di grazia, il Signore è con te… piena di grazia, il Signore è con te… 

E ancora: 

Santa e bella Madonnina… fa’ che la situazione a casa cambi… fa’ che zia Poldine e mamma la smettano di odiare papà e di odiarsi a vicenda… fa’ che papà e mio fratello Jacques riescano ad andare d’accordo… Santa, bella e dole Madonnina, fa’ che nella mia famiglia non ci sia più tutto questo odio.

A recitare questa litania in una chiesa è Geneviève, una giovane in odore di santità. Tuttavia il clima di religiosa pace e serenità si trasforma in un clima claustrofobico appena la ragazza torna a casa Lacroix. 

“Ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio” scrive Simenon in epigrafe a questo romanzo. Nel caso della famiglia in questione lo scheletro è un segreto che lega da anni le due sorelle. Un segreto purulento che genera odio. Odio che funge da collante per tenere uniti, nella solida dimora borghese di Bayeux, le figlie del notaio Lacroix, il marito di una di loro e i rispettivi figli. In casa c’è sempre un’atmosfera colma di tensione e odio che si esprime attraverso sguardi, bisbigli e violente scenate. Ma dall’odio nascono anche desideri di vendetta, e nella casa delle sorelle Lacroix ogni gesto ha il sapore della vendetta: un tentativo di avvelenamento non meno che un suicidio, perfino il lasciarsi morire di inedia di una giovane donna che a molti pare una specie di santa. Entrare in questa atmosfera intossicata da rancori e sospetti è facile, impossibile è uscirne. Il lettore dovrà procedere con la lettura, tra fascinazione e orrore rendendosi conto che non c’è scampo per la famiglia Lacroix. 

L’apparenza perbenista è per il mondo esterno, all’internò meschinità e giochi di potere a volontà. Le sorelle Lacroix, benestanti e infelici, vivono insieme in una cittadina della provincia francese, perbenista, gretta e pettegola. Mathilde ha sposato Emmanuel, un restauratore e pittore che sta sempre rinchiuso nel suo atelier, all’ultimo piano della villetta. Hanno due figli: Jacques, praticante notarile ha un temperamento vivace, non ce la fa più a vivere in casa e pensa di andar via; Geneviève, fragile e sensibile, si ammala, si affida alla Vergine Maria e prevede di morire il 25 maggio. Il marito di Poldine vive lontano dalla famiglia, hanno una figlia, Sophie, esuberante ed egoista, e zoppa per una caduta da una scala che, a sentir lei, non è stata casuale. Casa Lacroix è un groviglio di vipere che si muovono in un intreccio di sentimenti negativi come odio, rancore, invidia, gelosia, vendetta. Sopra a questo marciume, Geneviève eleva una preghiera alla Madonna affinchè cambi il tono tipico della casa. Tuttavia sono proprio le voci aspre, gli sguardi impietosi e sempre colmi di sottintesi, le abitudini e i riti quotidiani, a creare il fragile equilibrio su cui si regge la famiglia. Mathilde e Poldine sono prigioniere dell’odio che le unisce. Un evento inaspettato manderà in frantumi questa bolla sospesa e ognuno mostrerà la parte peggiore di sé. Le anime nere si muovono inquiete in casa Lacroix e rendono l’odio sempre più spesso, vischioso, pesante ma perfetto. 

Mathilde aveva sempre avuto bisogno di un’idea fissa, di un’ossessione. Come altri rimpiazzano un amore con un altro amore, lei rimpiazzava un odio con un altro odio.

“Le sorelle Lacroix” è un romanzo breve carico di tensione in cui trionfa l’odio. Narra un dramma famigliare con intrighi e vendette. La psicologia del comportamento umano è tratteggiata con abilità nei personaggi sgradevoli che si muovono in un’atmosfera intossicata da rancori e sospetti. L’odio è un membro della famiglia che vive in un microcosmo in cui tutti conducono una doppia vita dilaniati dalla mancanza di rispetto reciproco. Georges Simenon, già nelle prime pagine del romanzo, svela quali siano i segreti delle sorelle per poi lasciare che la tragedia annunciata si compia. Simenon narra una struggente vicenda umana, ogni pagina è un ritmico frammento di un’armonia che non esiste, deformata dal peso della realtà e dai pensieri che, nell’assordante silenzio, travolgono i fragili argini di sentimenti effimeri. Per le sorelle Lacroix l’odio è necessario per continuare a vivere, è la loro ninfa vitale. 

Le due Lacroix potevano continuare a vivere perché potevano sospettarsi e odiarsi a vicenda, sorridersi a mezza bocca, osservare, camminare in punta di piedi e aprire le porte senza far rumore, sbucando fuori quando il nemico meno se lo aspettava. 

“Le sorelle Lacroix” è un romanzo che scruta nella mente umana, si muove tra i pensieri dei protagonisti alla scoperta di verità che non sempre sono piacevoli e si concretizzano in un’irreparabile devastazione fisica e psicologica. Il romanzo mette in luce i meccanismi che stanno dietro a quello che di inquietante accade in una famiglia quando la porta sul mondo esterno si chiude. Tuttavia se quella porta rimane leggermente socchiusa, ecco che filtra una luce misteriosa e non è detto che sia una luce benevola.

lunedì 26 settembre 2022

RECENSIONE | "Magnificat" di Sonia Aggio

Per Fazi Editore è in libreria il romanzo d’esordio di Sonia Aggio, “Magnificat”. Il romanzo, inserito tra le opere segnalate dal Comitato di Lettura del Premio Calvino 2022, narra la storia di due giovani cugine, Nilde e Norma, che crescono insieme come sorelle dopo che i bombardamenti del 1944 sul fiume Po hanno ucciso le loro madri.


STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 8
Magnificat
Sonia Aggio

Editore: Fazi
Pagine: 202
Prezzo: € 17,00
Sinossi

È il 1951. In un piccolo casolare nella campagna del Polesine, dove i temporali ingoiano all’improvviso i cieli luminosi e il granturco cresce alto e impenetrabile, vivono Norma e Nilde, due cugine cresciute come se fossero sorelle dopo che un bombardamento durante la guerra ha ucciso le loro madri. Nilde è una ragazza riservata e timorosa di tutto e la sua ansia aumenta quando Norma inizia a comportarsi in maniera strana. Da quando è caduta dalla bicicletta mentre raccoglieva le ciliegie, sua cugina non sembra più la stessa: scompare senza motivo ogni volta che scoppia un temporale, è scontrosa, non le parla, impedendole persino di avvicinarsi. Nilde prova a seguirla nei campi, ascolta le voci che circolano in paese, ma non riesce a capire perché la sua Norma, il suo punto di riferimento nella vita, bella come la Madonna del Magnificat che le loro madri tanto veneravano, le stia facendo questo. Cosa spinge Norma ad allontanarsi da Nilde e a fuggire come una bestia selvatica al primo rombo di tuono? Cos’è successo quel pomeriggio lungo l’argine del fiume? Perché tra di loro quell’abisso improvviso di silenzi e bugie? 


Lei è Norma l’inflessibile, la regola, la legge: non può scappare. Porta indietro il braccio. Nel suo sangue si annida la sua condanna. È già stata qui, ha già lottato, e così sarà sempre. Lei è il cherubino del Magnificat, un gatto selvatico. Appartiene al fiume, non può tornare a casa.

È il 1951. In un piccolo casolare del Polesine vivono Norma e Nilde, due cugine cresciute come se fossero sorelle dopo aver perso le loro madri, uccise in guerra. Nilde è una ragazza dolce e riservata, la sua ansia aumenta quando Norma inizia a comportarsi in modo strano. Da quando è caduta dalla bicicletta mentre raccoglieva le ciliegie, sua cugina è cambiata. Ogni volta che scoppia un temporale, corre via e non dice dove va. È scontrosa, a tratti violenta.

Se i contadini stanno evacuando le vacche, vuol dire che hanno paura. Vuol dire che dovrebbe fare lo stesso – andarsene, sì, ma dove? E Norma? Si aggrappa alla sedia. Norma. Mangia una fetta di polenta con la testa che batte. Norma. Riaccende la stufa. Si rimette a letto. Non mi vuoi più bene?, dice tra sé e sé. La voce aspra di Norma le risponde: no.

Nilde prova a seguirla nei campi ma non riesce a capire perché Norma, bella come la Madonna del Magnificat che le loro madri veneravano, le stia facendo questo. Perché Norma fugge come una bestia selvatica al primo rombo di tuono? Cos’è successo quel pomeriggio lungo l’argine del fiume? Perché tante bugie e segreti? Il legame indissolubile che lega le due protagoniste verrà messo a dura prova da inquietanti apparizioni e inspiegabili fughe in una storia perturbante fatta di assenze e misteri. Sullo sfondo, una terra magnetica, insidiosa come il fiume che l’attraversa, quel Po che la rende fertile ma che talvolta la travolge per riprendersi tutto.

Il romanzo si apre con Norma che cade dalla bicicletta e quando torna a casa non è più la stessa. Nilde cerca di starle vicino ma la cugina l’allontana con aggressività. Mentre Nilde trova lavoro da sarta presso Gigliola, ed è circondata dalle attenzioni del figlio di lei, Domenico, Norma è sempre più assente, finché nell’alluvione le due cugine si separano per sempre. Nilde viene portata in salvo da Domenico, Norma rimane lì. Mentre la prima parte del racconto vede predominare la voce narrante di Nilde, nella seconda parte del romanzo è Norma a narrare del suo incontro con la misteriosa Signora del fiume. Scopriremo così leggende antiche, perse nel tempo, che narrano del sacrificio di giovani donne per placare la furia degli elementi naturali. La parte di mistero e folklore che fa parte del romanzo, nasce dalla fantasia dell’autrice e aggiunge un velo di inquietudine.

Il 14 novembre del 1951, dopo giorni ininterrotti di pioggia su tutto il Nord, il Po rompe gli argini in provincia di Rovigo e travolge la campagna del Polesine dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia. Morirono più di cento persone e circa 180.000 tra sfollati e senzatetto. La natura si mostra con le due facce che la caratterizzano: una benigna e l’altra maligna. Il fiume e le atmosfere cupe dell’alluvione rivestono il ruolo di protagonisti. Una  personificazione che coinvolge unendo realtà e fantasia a testimonianza della forza suprema della natura che non risparmia l’uomo. Lo spirito del Polesine è racchiuso  in un frammento di storia arricchito dalla fantasia dell’autrice che tra leggende e miti crea dei personaggi portatori di un racconto pieno di fascino con venature  insolite e misteriose. In quelle terre dove cadde Fetonte, alla foce dell’Eridano-Po, c’è una continua ricerca di infinito e bisogno di radici. La nebbia porta un senso di smarrimento, un senso di ricerca mentale che spinge a vedere dentro i noi, artefici passivi di un destino che abbraccia la morte.

L’acqua ha colmato ogni spazio, ha invaso le golene, ha coperto gli alberi, sembra ammucchiarsi, formare una cupola. Non romba e non schiuma più: è una massa terrosa, muta, larga come il mare. L’altra riva le appare lontanissima.

La brava e giovane Aggio narra con maestria una storia di dolore e disperazione, di tragedie e di morte, ma non tralascia d’inserire una nota di speranza e salvezza racchiusa nel piccolo quadro della Madonna del Magnificat, riproduzione di un dipinto a tempera su tavola di Sandro Botticelli.

Questo libro parla dell’amore e dell’affetto che lega le persone, parla di forti legami che subiscono dure prove. Da un passato, perso nel tempo, riemergono antiche maledizioni, patti di sangue e le due ragazze, diverse ma complementari, sono travolte da un vortice di incomprensioni e sospetti. Nel romanzo ricopre un ruolo importante il sogno. Attraverso il sogno si entra in una dimensione che può rappresentare la fuga dalle difficoltà e una vita vissuta in piena libertà ma anche il modo per indagare la psiche che rifinisce i personaggi. La personificazione del fiume Po e della natura in generale creano una cornice narrativa che dialoga con i personaggi e anche gli oggetti vengono, in un certo qual modo, trasformati in modo da creare immagini che evocano misteri messi in relazione con i limiti della vita umana. Un oggetto venerato, il quadro della Madonna del Magnificat, diventa un portale che unisce mondi diversi, lontani eppur vicini. Vecchie leggende si riflettono nelle acque del fiume e si fronteggiano con il forte legame affettivo che unisce le due ragazze.

Mistero e natura sono i due termini che definiscono l’universo di questo romanzo. Il mistero rende possibile l’esistenza della realtà e viceversa. Nilde e Norma si proteggono a vicenda, testimoni del mondo visibile e di quello invisibile, coinvolgendo nelle loro vite la terra e il cielo. Il mondo materiale appare come l’involucro delle antiche sapienze.  

Quando la leggenda diventa destino, il mistero dell’ultima estate di Norma si compie rendendo “Magnificat” decisamente affascinante.

lunedì 19 settembre 2022

RECENSIONE | "Il gioco del killer" di Owen Mullen

Buongiorno lettori, oggi vi parlerò di un thriller appassionante e ad alto impatto emotivo: “Il gioco del killer” di Owen Mullen (Newton Compton).

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
Il gioco del killer
Owen Mullen (traduzione di Valentina Nobili)

Editore: Newton Compton
Pagine: 320
Prezzo: € 3,90
Sinossi

Mentre si trova in spiaggia con i suoi genitori, la piccola Lily Hamilton, tredici mesi, scompare nel nulla. Tre giorni dopo, il padre, distrutto, si presenta nell'ufficio dell'investigatore privato Charlie Cameron. L'uomo è convinto di sapere chi abbia rapito sua figlia. E perché. Sebbene sia combattuto, Charlie decide di accettare il caso, pur sapendo che rischia di risvegliare ricordi dolorosi della sua infanzia. E quando la polizia rinviene dei cadaveri di bambini rimasti sepolti per anni, comincia a pensare che la scomparsa della piccola Lily non sia un caso isolato… Possibile che gli omicidi siano opera di un serial killer che è riuscito a rimanere nell'ombra per decenni? La piccola Lily Hamilton è scomparsa nel nulla… e se fosse troppo tardi per salvarla?



Rumore di passi dietro di lui, di corsa come i suoi; che schiaffeggiavano la sabbia, facevano scricchiolare i ciottoli, pestavano gli scogli. L’erba sotto i suoi piedi nudi significava che era quasi a casa. Quasi in salvo. Poi lo scricchiolio si trasformò in un passo pesante, che recuperava terreno. Corse più veloce. Sentiva un bruciore al petto. Le gambe pesanti si rifiutavano di proseguire; non ce la faceva più. Cadde, ansimante e terrorizzato. Il rumore di passi si arrestò. Si armò di coraggio e guardò dietro di sé. Non c’era nessuno.

Mentre si trova in spiaggia con i suoi genitori, la piccola Lily Hamilton, tredici mesi, scompare nel nulla. Tre giorni dopo, il padre, distrutto, si presenta nell’ufficio dell’investigatore privato Charlie Cameron. L’uomo è convinto di sapere chi abbia rapito sua figlia e perché. Sebbene sia combattuto, Charlie decide di accettare il caso, pur sapendo che rischia di risvegliare ricordi dolorosi della sua infanzia. E quando la polizia rinviene dei cadaveri di bambini rimasti sepolti per anni, comincia a pensare che la scomparsa della piccola Lily non sia un caso isolato. Possibile che gli omicidi siano opera di un serial killer che è riuscito a rimanere nell’ombra per decenni?

Ambientato nella Scozia centrale, il romanzo accoglie il lettore con un prologo intrigante che accende la miccia della suspense e ci catapulta direttamente nel passato di Charlie Cameron, investigatore privato di Glasgow, specializzato nel rintracciare persone scomparse. I suoi rapporti con la famiglia d’origine sono complessi e non facili. Nel suo passato c’è un’ombra nera, un evento drammatico, che lo perseguita.

“Il gioco del killer” è il primo volume di una serie che ha come protagonista seriale Charlie Cameron. La storia  ci accoglie con molti misteri che non verranno interamente svelati. Si percepisce subito l’atmosfera carica di sensi di colpa che si riflettono nei frammenti di una tragedia immane. I personaggi si presentano nella loro vita relazionale e mostrano i loro ruoli attraverso “i giochi” che non sono passatempi innocui e divertenti. Gli uomini, nei loro comportamenti, seguono schemi sottili e in gran parte inconsci che creano molti problemi nelle relazioni. Avrete sicuramente notato la presenza della parola “gioco” nel titolo, ma non c’è solo il killer che gioca con la polizia. Il riferimento a un determinato modo di relazionarsi assume un valore di ben più ampio respiro perché anche altri personaggi interpreteranno ruoli di seduzione, potere, vendetta e uso di altre persone per i propri scopi. Una bella tela di intrighi e multiple storie vi aspettano in questo noir scozzese che vi farà provare il brivido di un giro sulle montagne russe, spaventoso e imprevedibile.

Cameron è un uomo complicato, dentro di lui vivono luci e ombre. Proprio nelle ombre del suo passato il detective cerca le risposte per poter affrontare i demoni che si travestono da sensi di colpa e riflettono un’immagine che lui non può cancellare. Lascio a voi il piacere di scoprire di che cosa si tratta. Questo fardello pesante del suo passato, condiziona il modo di relazionarsi di Charlie con i suoi genitori e anche la sua vita sentimentale ne risente. Egli, infatti, sta cercando di costruire una relazione con una donna ma non è pronto a mantener fede alla promessa di non aver mai nessun segreto tra di loro. Anche nei rapporti tra i suoi amici e le loro mogli e fidanzate, si può tracciare un copione di relazioni non sempre edificante. Su tutto aleggia la presenza di un serial killer a cui piace giocare in modo davvero macabro.

“Il gioco del killer” è una storia di violenza che combina la grinta della narrativa poliziesca con la dualità dell’anima. Bene e Male si rincorrono attraverso tortuosi percorsi e la redenzione è un’utopia.

Owen Mullen non si limita a narrare un crimine. Usa l’arte della tensione a combustione lenta per far emergere implicazioni, moventi, alibi, retroscena sociali, psicologici e culturali. Fino a scoprire che spesso il confine che separa il bene dal male, la colpa dall’innocenza, è sottile e indistinto.

Anche l’ambientazione è un personaggio importante della storia. La cittadina di Glasgow interagisce con la storia e si mostra bellissima o terrificante a seconda di come la vivono i personaggi. È un luogo perfetto per incrementare l’aria di mistero e imminente tragedia che si respira nel romanzo. Una scomparsa, la piccola Lily sembra svanita nel nulla, segna una miriade di possibilità, di sensi di colpa, di domande sospese che forse non avranno mai una risposta. La tensione si alimenta, così, all’interno di ogni relazione, in situazioni non proprio cristalline e nelle scelte che occorre fare. L’incertezza regna sovrana tra bugie e depistaggi. Alcuni personaggi mostrano il loro lato oscuro e ne fanno un’arma letale. Il killer “gioca” con la polizia, un’informazione alla volta, piccoli corpi da ritrovare e da riconsegnare alle famiglie. Per lui la conoscenza diventa potere, è un gioco divertente quasi quanto uccidere i bambini. La vita diventa una roulette russa e a volte fa davvero schifo. Lo sa bene Charlie Cameron, ne ha viste tante, ed è difficile accettare la dura realtà.

Quindi se siete alla ricerca di nuove letture, questo libro vi farà buona compagnia perché è un thriller che scava nei bassifondi dell’anima fin dentro ai recessi più oscuri. E siamo solo all’inizio!

martedì 13 settembre 2022

RECENSIONE | "Due settimane in settembre" di R.C. Sherriff

Durante il lockdown lo scrittore giapponese Kazuo Ishiguro, Premio Nobel, per superare il momento difficile consigliava la lettura di “Due settimane in settembre” dello scrittore Robert Cedric Sherriff: “Il romanzo più confortante e pieno di vita che mi venga in mente. La meravigliosa dignità della vita di tutti i giorni è stata raramente catturata in modo più delicato”. Nella sua prima traduzione italiana, il romanzo arriva nelle nostre librerie grazie a Fazi Editore, collana Le strade, nella traduzione di Silvia Castoldi. Si tratta di un libro straordinario, dal fascino intramontabile, che celebra i piccoli piaceri della vita ordinaria. Siamo nel West Sussex: i componenti della famiglia Stevens assaporano ogni momento della vacanza balneare, consapevoli che le cose potrebbero non essere le stesse, il prossimo anno.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Due settimane in settembre
R.C. Sherriff

Editore: Fazi
Pagine: 352
Prezzo: € 18,50
Sinossi

Ecco a voi la famiglia Stevens, intenta a prepararsi per la consueta vacanza annuale sulla costa inglese. I coniugi Stevens hanno visitato Bognor Regis per la prima volta durante la luna di miele e, da allora, questo viaggio è tradizione: ogni anno, accompagnati dai tre figli, alloggiano nella stessa pensione e seguono lo stesso programma accuratamente affinato. La pensione Vistamare è sempre più dimessa, ma che felicità prenotare una cabina in spiaggia un po’ più grande del solito e riscoprire dei luoghi tanto cari! Il signor Stevens torna riposato dalle passeggiate solitarie in cui riflette sulla propria vita, non priva di delusioni e rimpianti; la signora Stevens fa tesoro di un’ora trascorsa seduta in silenzio con il suo bicchiere di porto; la ventenne Mary assaggia il romanticismo per la prima volta; il giovane Dick evade dal malessere in cui è sprofondato con l’ingresso nel mondo del lavoro; il piccolo Ernie ha l’occasione di coltivare la sua passione: i treni e le stazioni. Ognuno, in famiglia, si gode questo breve idillio assaporando la vacanza momento per momento, consapevole che le cose potrebbero non essere le stesse, il prossimo anno.


Ecco a voi la famiglia Stevens, intenta a prepararsi per la consueta vacanza annuale sulla costa inglese. I coniugi Stevens hanno visitato Bognor Regis per la prima volta durante la luna di miele e, da allora, questo viaggio è tradizione: ogni anno, accompagnati dai tre figli, alloggiano nella stessa pensione e seguono lo stesso programma. La pensione Vistamare è sempre più dimessa, ma che felicità prenotare una cabina in spiaggia un po’ più grande del solito e riscoprire dei luoghi tanto cari! Ognuno, in famiglia, si gode questo breve idillio assaporando la vacanza momento per momento, consapevole che le cose potrebbero cambiare. 

La trama semplice e l’assenza di fatti straordinari sono il punto di forza di questo romanzo che ha il fascino della normalità e della vita ordinaria di una famiglia che va in vacanza. Ogni personaggio si mette a nudo le proprie aspettative in una girandola di sentimenti che vanno dall’ansia alla tristezza, dalla gioia alla gelosia, dalla sorpresa alla delusione. Nei quindici giorni trascorsi al mare, non succede nulla è tutto tranquillo eppure mi sono sentita coinvolta nella loro quotidianità con un lieve amaro retrogusto che nasce dalla consapevolezza che questa potrebbe essere la loro ultima vacanza insieme. Il trascorrere del tempo non scandisce solo il susseguirsi delle stagioni ma segna anche i cambiamenti dei componenti della famiglia. 

Il signor Stevens è molto bravo nell’organizzare il lato pratico della vacanza. Al mare ama fare lunghe passeggiate solitarie in cui riflette sulla propria vita, non priva di delusioni e rimpianti. 

Sua è la compilazione dettagliata del Ruolino di marcia, una lista di compiti assegnati a ogni componente della famiglia. Tutto è pianificato secondo un rituale perpetuato negli anni.

La signora Stevens non ama il mare ma fa tesoro di un’ora trascorsa seduta in silenzio, con il suo bicchiere di porto, dopo aver trascorso la giornata al mare. 

Il mare aveva spaventato la signora Stevens, e lei non era mai riuscita a vincere quella paura. La spaventava soprattutto quando era calmissimo. Qualcosa dentro di lei rabbrividiva di fronte a quella grande superficie liscia, limacciosa, che si estendeva fino a un nulla che le faceva girare la testa.

Quelle due settimane di vacanza al mare la affliggevano e la infastidivano. Tuttavia era felice perché la vacanza procurava, a suo marito e ai loro figli, tanta gioia. 

La ventenne Mary lavora in una sartoria. In vacanza scoprirà l’amore. 

Il giovane Dick evade dal malessere in cui è sprofondato con l’ingresso nel mondo del lavoro, scoprirà nuove ambizioni. 

Dick si vergognava del suo lavoro, della sua vecchia scuola, e quel lavoro e quella scuola erano i successi ottenuti con orgoglio da suo padre nella vita. Era sleale: sapeva che era quello il nucleo fondamentale della sua infelicità.

Il piccolo Ernie ha l’occasione di coltivare la sua passione: i treni e le stazioni. Al mare trascorre ore spensierate giocando con il suo yacht. 

“Due settimane in settembre” narra di come anche l’ordinario può essere prezioso e significativo. Camminare al fianco della famiglia Stevens, ci permette di osservare i cambiamenti di ogni personaggio: crescere insieme vuol dire passare da una situazione di dipendenza dai genitori a una maggiore autonomia e indipendenza. I signori Stevens proveranno un senso di smarrimento quando Mary e Dick prospettano l’idea di vacanze separate. Il tempo trascorre inesorabilmente e tutto cambia anche se vorremmo cristallizzare i bei ricordi in un eterno presente. 

Però sapeva che il tempo scorre in maniera uniforme solo sulle lancette dell’orologio: per gli uomini può attardarsi e quasi fermarsi del tutto, accelerare precipitosamente, saltare baratri e poi rallentare di nuovo. Sapeva, con un po’ di tristezza, che alla fine il tempo recuperava sempre la distanza. 

Anche la vecchia pensione Vistamare è preda del trascorrere del tempo, ogni estate un piccolo dettaglio indica il suo declino. Le cassettiere malridotte, le tendine tirate per nascondere i buchi, le lenzuola pulite ma sempre più lise, i materassi bitorzoluti, i catini in precario equilibrio. Eppure nessuno sembrava far caso all’usura del tempo. Dopotutto che importanza potevano avere quei dettagli se tutti loro erano felici? 

La bellezza del romanzo risiede nella possibilità, data a ogni lettore, di vedere il proprio riflesso nei protagonisti. A tutti piacerebbe andare in vacanza, lasciare a casa i problemi per sentirsi liberi di fantasticare. 

Tutti gli uomini sono uguali in vacanza: tutti liberi di fare castelli in aria senza preoccuparsi delle spese, e senza possedere competenze da architetto. Sogni fatti di una materia così impalpabile devono essere coltivati con venerazione e tenuti lontani dalla luce violenta della settimana seguente.

“Due settimane in settembre” è, per me, lo specchio della vita. I genitori che nutrono speranze e ambizioni per i loro figli e i ragazzi che sognano il loro futuro. Nell’assenza di fatti straordinari e nell’apparente immobilità, c’è il fermento della vita. Nessuno sa cosa succederà domani e l’incertezza è la compagna dei nostri giorni, dei nostri progetti, dei nostri desideri. Il romanzo celebra i piccoli piaceri della vita ordinaria e con un umorismo sottile trasforma la quotidianità in una splendida avventura. L’avventura della vita.

venerdì 2 settembre 2022

RECENSIONE | "La schiava ribelle" di Eleonora Fasolino [Review Party]

“Briseide, amante di Achille e custode dei suoi segreti” è il sottotitolo de “La schiava ribelle” (Newton Compton) romanzo d’esordio di Eleonora Fasolino, giovane autrice di talento che rivisita un grande poema dell’antica civiltà occidentale: “L’Iliade” di Omero. In particolare leggeremo del legame che unisce Achille, Briseide e Patroclo. Un rapporto speciale, un amore che germoglia dalle macerie della guerra e mette in luce le fragilità umane. Tutti noi conosciamo la storia della leggendaria città di Troia messa a ferro e fuoco da Agamennone perché Paride, principe troiano, aveva rapito la bella Elena, sposa del re Menelao. La guerra fu lunga e difficile, in questo contesto si sviluppa la storia di Briseide, principessa di Lirnesso, resa vedova e schiava dai Mirmidoni, soldati comandati da Achille. Briseide, la schiava ribelle del titolo, vivrà un amore difficile su cui grava l’ombra della tragedia finale.


STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La schiava ribelle
Eleonora Fasolino

Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Troia è sotto assedio. Ogni giorno gli attacchi dei greci si abbattono implacabili contro le sue alte mura e nessuno sembra in grado di opporsi alla furia dei più valorosi tra loro, i micidiali guerrieri mirmidoni. Si dice che il loro re, il nobile Achille, sia il combattente più forte mai esistito. Il più veloce, il più impavido. E il più spietato. Quando viene privata della libertà e condotta al suo cospetto, Briseide sa di non essere più una principessa, ma una schiava. E, non aspettandosi clemenza, si aggrappa all’unica cosa che le resta: la sua dignità. Con il trascorrere delle giornate nell’accampamento di Achille, però, si accorge che la fama oscura che circonda il leggendario eroe non tiene conto dell’umanità che ogni tanto lascia trasparire, specialmente nei confronti dell’inseparabile Patroclo, il valoroso principe che lo affianca in ogni battaglia. E che il suo onore è pari alla sua abilità con la spada. Forse, nonostante il fato li abbia resi nemici, Achille e Briseide non sono poi così diversi. Forse uno spietato invasore e una principessa ridotta in schiavitù possono cambiare il corso della storia.



Cantami, o Diva, del Pelìde Achille 

L’ira funesta che infiniti addusse 

Lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco 

Generose travolse alme d’eroi 

E di cani e d’augelli orrido pasto 

Lor salme abbandonò (così di Giove 

L’alto consiglio s’adempia), da quando 

 Primamente disgiunse aspra contesa 

Il re de’ prodi Atride e il divo Achille.

La parte iniziale del proemio dell’Iliade, nella traduzione fatta dal poeta Vincenzo Monti, segna l’inizio di un’avventura affascinante e mai del tutto conclusa: la conquista e l’esplorazione dell’uomo delle regioni vaste e profonde del suo stesso animo. Là giacciono le vere ricchezze, i pericoli più insidiosi, le vittorie e le conquiste. Un viaggio interiore che non conosce fine. 

“La schiava ribelle” nasce dall’eco dell’Iliade, tra leggenda e realtà. Conquista e avventura si intrecciano e diventano testimoni delle vicende dell’antica Grecia. Briseide, Achille, Patroclo erano i loro nomi e questa è la loro storia. 

Non aveva ragione di temerlo, anche se tutti gli uomini lo temevano. Perciò lo veneravano come un dio, anche se dio non lo era stato mai. Non aveva ragione di adorarlo, anche se non sarebbe stata la sola a farlo. Perciò lo adoravano come si adora la morte, osservandola da lontano, tra la supplica e il tormento. Non aveva ragione di amarlo, ma lui le aveva offerto la più impensabile tra le ragioni: l’aveva resa schiava, e poi fatta regina. Sua. Parte di sé. Di loro. Nemici e poi amanti. Lei, Briseide, e lui Achille dal piede veloce. Lei lo aveva amato in guerra. E lui aveva combattuto amandola.

Troia è sotto assedio. Ogni giorno gli attacchi dei greci si abbattono implacabili contro le sue alte mura e nessuno sembra in grado di opporsi alla furia dei micidiali guerrieri mirmidoni. Si dice che il loro re, il nobile Achille, sia il combattente più forte mai esistito, il più coraggioso e il più spietato. Quando Briseide viene fatta prigioniera e condotta nella tende di Achille, la donna comprende di non essere più una principessa ma di essere diventata la schiava del più valente degli Achei. Con il trascorrere delle giornate nell’accampamento di Achille, si accorge che la fama oscura che circonda il leggendario eroe non tiene conto della sua umanità che ogni tanto lascia trasparire, specialmente verso Patroclo, il valoroso principe che lo affianca in ogni battaglia. Achille e Briseide, anche se il fato li ha resi nemici, non sono poi così diversi e il loro incontro potrebbe cambiare il corso della storia. 

Briseide, è il patronimico usato da Omero per Ippodamia di Lirnesso, moglie di re Minete, principessa troiana, figlia di Briseo sacerdote di Apollo, è diventata la schiava di Achille: splendido come tutto ciò che appartiene al divino, letale come la morte, temuto da tutti gli uomini. Il pelide sembra non nutrire sentimenti, tranne per la guerra e per l’amato Patroclo. Inizialmente non mostra alcuna attenzione per la schiava Briseide che non ha mai servito un uomo e non è esperta nelle arti dell’amore. Tuttavia, prigioniera e sola, la donna deve scendere al giusto compromesso per sopravvivere. Achille, nella sua spietatezza, mostra sprazzi d’umanità. Briseide svela il suo temperamento coraggioso e sulla tela del destino viene scritto un amore che vede coinvolti i due eroi, Achille e Patroclo, entrambi innamorati della schiava Briseide. 

Con uno stile moderno, curato, scorrevole, l’autrice fa uso della sua fantasia per raccontare ciò che è taciuto nel poema omerico. In chiave romantica viene narrata la storia di Achille, Briseide e Patroclo. In un retelling sensuale dell’Iliade, l’autrice coinvolge il lettore in una storia dove largo spazio viene dato all’approfondimento psicologico dei personaggi che cercano successo, protezione e amore. 

Achille è un semidio, essendo figlio del mortale Peleo, re dei Mirmidoni di Ftia e della nereide Teti. È irruento, impetuoso, aggressivo e sanguigno. Alla domanda degli dei se preferisse vivere a lungo, ma senza gloria, o avere una vita breve e famosa per le imprese che avrebbe compiuto, il giovane Achille scelse una vita per la gloria e il suo destino fu così segnato. 

Achille corteggia la morte con una serenata di spade e sembra bramarla per sé. 

Patroclo, figlio di Menezio re di Opunte, venne educato a Ftia con Achille. È un valoroso guerriero che mostra un carattere dolce pieno di disponibilità, comprensione e gentilezza. A unire Patroclo e Achille è un legame amoroso, gli amanti hanno dalla loro parte il consenso degli dei. I due eroi lasciano spazio, nella loro amicizia romantica, anche all’amore per le donne. Patroclo è devoto al Pelìde e cerca sempre di proteggerlo. 

Era Patroclo a fare di Achille un uomo, erano i Mirmidoni a fare di lui un re, ed era la guerra a fare del suo corpo un’ombra della fine.

Briseide, principessa di Lirnesso, sposa Minete, re di Cilicia. Durante la guerra di Troia, Minete viene ucciso e lei diventa la schiava di Achille. Quando Agamennone liberò la sua schiava Criseide, volle in cambio Briseide. Lo scambio provocò l’ira funesta di Achille, che decise di non combattere più contro i troiani, pregiudicando in tal modo le sorti della guerra per lo schieramento greco. Briseide, vivendo con Achille e Patroclo, scopre i suoi desideri di donna che, pur essendo stata sposata, non ha mai conosciuto. Ama, riamata, entrambi gli eroi e segna così il suo tragico destino di donne che sopravvivono alla guerra. 

Achille e Patroclo erano i suoi signori e coloro che avevano elargito a Briseide il dono del desiderio, oltre a quello della benevolenza.

“La schiava ribelle” è un romance mitologico che conduce il lettore in un mondo lontano. Tra eroi e capricciosi dèi, l’autrice propone una storia, narrata in chiave moderna, che ha il pregio di intrattenere e coinvolgere. La novità consiste nel dar voce a Briseide mettendo in luce il suo essere donna che le permette di scoprire una libertà di sentimenti ed emozioni mai provati prima. L’autrice, capitolo dopo capitolo, utilizza le parole, intrise di fantasia, per offrirci un modo diverso con cui guardare la storia di Briseide. Emozioni, tenacia, coraggio guidano il suo cuore e trasformano il dolore in una nuova forza: l’amore per Achille e Patroclo. Si creano forti legami e Briseide trova, seppur per breve tempo, la felicità. 

“La schiava ribelle” ha un fascino particolare: è accogliente e avventuroso. Ricostruisce in maniera appassionante un mondo perduto di eroi e déi, raccontando di grandiose battaglie e amori travolgenti, scelte dettate dalla disperazione e dal desiderio di vendetta. Briseide scuote chi legge con il suo coraggio, con il suo amore per coloro che hanno conquistato il suo cuore. 

Eleonora Fasolino ha affrontato un’ardua ricostruzione delle vicende omeriche. Ha intrecciato amori diversi, uno letale per Achille e l’altro rasserenante per Patroclo. Ha plasmato la bellezza della mitologia greca per offrire un calice di ambrosia anche a noi, poveri mortali che ringraziamo e attendiamo i suoi prossimi lavori.