“L’albero della nostra vita” di Joyce Maynard, pubblicato da NN Editore nella traduzione di Silvia Castoldi, è un romanzo che affronta la storia di una famiglia dai primi giorni del matrimonio alla genitorialità, al divorzio e alle sue conseguenze, creando un focus su come vengono tramandati gli errori dei genitori attraverso le generazioni.
STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7 |
Prezzo: € 20,00
Toby era ancora un neonato – Alison aveva quattro anni, Ursula meno di tre – la prima volta in cui calarono in acqua gli omini di sughero. Da allora diventò la loro tradizione annuale. Era come diventare genitori, pensava Eleanor, guardando la piccola flotta di barchette oscillanti che si allontanava trasportata dalla corrente. Fabbricavi preziosi omini e donnine. Li sorvegliavi da vicino, animata da un unico scopo impossibile: tenerli fuori dai guai. Ma presto o tardi dovevi lasciare che gli omini di sughero salpassero senza di te, e a quel punto non ti restava altro che rimanere ferma a riva o correre lungo la sponda gridando parole di incoraggiamento, e pregare che ce la facessero.
Eleanor è una donna giovane e indipendente, fa l’illustratrice di libri per bambini e vive da sola in una bellissima casa di campagna nel New Hampshire. Quando conosce Cam, a fine anni Settanta, è subito amore e nascono tre bambini: Alison, Ursula e Toby. Cam è un bravo padre ma non sa trovarsi un lavoro e un giorno perde di vista il piccolo Toby, che ha un incidente dalle conseguenze irreparabili. Eleanor non riesce a perdonare il marito, e innalza un muro di rancori che diventa insuperabile quando scopre un tradimento. Così decide di andarsene, lasciando a Cam e ai figli la casa e la normalità in cui hanno sempre vissuto. Il suo silenzio avrà conseguenze sul rapporto con i ragazzi, che entrano in conflitto con lei e lentamente la abbandonano. Nei decenni che seguono, i cinque membri di questa famiglia fratturata, si allontaneranno ognuno impegnato ad affrontare le proprie sfide. Ma grazie alla sua tenacia, Eleanor saprà ricostruire se stessa e riavvicinare le persone che ama.
“Chi l’avrebbe mai detto?”. Eleanor entrò nella veranda. “I miei tre figli, riuniti nello stesso posto. Quando è stata l’ultima volta in cui è successo?”. Rimase ferma per un attimo a guardarli, tutti insieme. La sua famiglia. Era sempre stato il suo più grande desiderio, per tutta la vita, e si era avverato. Solo, non come lei lo immaginava.
Questo è il primo libro che leggo di Joyce Maynard e sicuramente non sarà l’ultimo. La rappresentazione della famiglia, nel bene e nel male, ha il fascino di una lettura che tocca il cuore. È un arazzo realizzato con momenti d’amore, di sogni e di speranza intrecciati con i fili dell’umano errare, di lotte sociali e dell’avvento della tecnologia. Per chi, come Eleanor, non ha mai conosciuto la felicità, la vita è come un mare infinito di pensieri, aspirazioni e delusioni. La protagonista è una persona intelligente, sensibile e introspettiva che non vuol ripetere gli errori dei suoi genitori. La sua è stata un’infanzia terribile fatta di solitudine e mancanza di affetto, rimasta orfana in giovane età verrà abusata sessualmente da adolescente. Metaforicamente parlando, Eleanor disegna il suo personale albero della vita. Le radici sono ciò che la tengono ancorata al passato ma rappresentano anche la linfa vitale della sua forza e dei suoi valori. Il tronco rappresenta la tenacia che la protagonista mette, anno dopo anno, nell’affrontare le insidie della vita. Questo tronco, in particolare, nasce dall’intreccio delle vite di Cam ed Eleanor, dal loro amore, dal loro matrimonio. Le foglie rappresentano il futuro e i frutti sono le nuove vite, tre splendidi bambini, che si affacciano al mondo e che dipendono in tutto e per tutto dall’albero. All’ombra di questo grande albero, chiamato nel romanzo il Vecchio Signor Frassino, Cam ed Eleanor formeranno la loro famiglia, un luogo colmo d’amore e di serenità, un’oasi felice dove la parola d’ordine è protezione. Passano gli anni e la loro è una vita apparentemente idilliaca fatta di partite di softball estive e grigliate del Labor Day, giornate di neve e pattinaggio sullo stagno. Eppure impercettibili crepe iniziano a minare il solido terreno famigliare. Cam aveva la capacità sorprendente di attraversare la vita, anche nei momenti più difficili. In lui c’era una calma grazie alla quale si scrollava di dosso i vecchi dolori e aspettava le nuove gioie. Eleanor non se l’era mai cavata bene nella vita normale. Subiva le ferite, l’ansia e il dolore che l’esistenza aveva in serbo per lei. Era sempre stata affamata d’affetto, era ossessionata dal voler realizzare i desideri dei figli prima che loro gli esprimessero.
Quanto valeva la sua casa? Tutto, se ci abitava una famiglia felice. Altrimenti, niente.
Nelle pagine di questo romanzo c’è un intreccio di sentimenti, le difficoltà del matrimonio e della maternità sono solo la punta di un iceberg che galleggia sulle acque mosse della vita. Non è una lettura facile, c’è angoscia e amarezza, tragedia e cambiamento. C’è la rappresentazione della famiglia nel bene e nel male, alcune verità vengono taciute con terribili conseguenze.
Fin dall’inizio mi sono schierata al fianco di Eleanor, ho percorso con lei un cammino che scandaglia le ombre dell’amore e delle relazioni, della genitorialità e della perdita. Ho percepito il suo dolore, la sua rassegnazione e la sua determinazione ad andare avanti. Con personaggi umanamente imperfetti e una profonda attenzione ai dettagli, Joyce Maynard realizza un romanzo in cui si possono cogliere i mille modi in cui si può amare.
“Come ti amo? Lasciamene contare i modi.” Elizabeth Barrett Browning, Sonetto 43
“L’albero della nostra vita” è un romanzo che non ammette le mezze misure, si ama o si odia. Io l’ho amato. Ho amato la storia di Eleanor, il suo incontro con Cam, il matrimonio, la nascita dei suoi figli, il suo lavoro. Ho provato commozione nell’ascoltare i primi scricchiolii di questo profondo amore a riprova che le cose brutte, prima o poi, arrivano e tutti, grandi e bambini, conosceranno il dolore.
È un romanzo collettivo di fughe, di dubbi e di cambiamenti mentre il tempo fugge via.
Mi dispiace. Ti amo. Grazie. Ti prego, perdonami.
Queste sono le prime parole che leggiamo all’inizio del libro. È un mantra Ho’ oponopono, frasi pronunciate in un ordine qualsiasi, per la riconciliazione e il perdono. Sono parole perfette per iniziare questa storia.
Il finale non è stato una sorpresa ma ha egregiamente completato una storia che porterò nel mio cuore, una storia emozionante sui legami tra i componenti di una famiglia, su cosa vuol dire casa, sulla forza dell’amore e sul devastante tradimento. Su tutto si erge il potere curativo del perdono, del conforto e della speranza.
Le storie con al centro i legami famigliari, sviscerati nella loro complessità e nelle loro contraddizioni, mi attirano sempre molto. Questo libro l'avevo notato, la tua recensione è un'ulteriore motivazione a tenerlo presente.
RispondiEliminaciao Aquila :)