Nel romanzo “Tornare dal bosco” di Maddalena Vaglio Tanet, edito da Marsilio ed entrato nella cinquina dei finalisti al Premio Strega 2023, il personaggio principale è la natura che, a vario titolo, entra nella vita dei vari personaggi esercitando un potere profondo e catartico. Il bosco è un rifugio e un balsamo per l’anima, è uno spartiacque tra il mondo reale e la propria coscienza. Nella solitudine si ha l’opportunità di ascoltare la propria voce interiore per conoscere sé stessi e cercare il perdono.
“Tornare dal bosco”è un prodotto della fantasia dell’autrice anche se alcuni eventi narrati si ispirano a una storia vera, a racconti di famiglia, articoli di giornale, dicerie e mitologie. È la storia, delicata e dolorosa, di una maestra che è assente per giorni, svanita nel nulla. Dov’è stata? Perché è sparita? Questa è la storia di Silvia che si sente in colpa per il suicidio di una sua allieva e decide di allontanarsi da tutto e tutti. I due fatti sprofondano nei meandri della psiche umana. Un enigma che l’autrice colma con l’immaginazione dando voce a una fiaba in cui la magia trasforma le parole in lacrime e le lacrime in redenzione.
STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7 |
Pagine: 272
Invece di andare a scuola, la maestra entrò nel bosco. Stringeva in una mano il giornale che aveva appena comprato e nell’altra la borsa di cuoio con dentro i quaderni, i compiti corretti e le penne e le matite ben temperate. Pensò che probabilmente avrebbe camminato fino a collassare e anche quello le stava bene, solo sarebbe durato molto più a lungo. La vista scemava, non riconosceva più bene le forme. Le parve che fosse il bosco ad andarle addosso avviluppandola in una mischia di tronchi, spini e fogliame.
La storia narrata è ambientata a Bioglio, un paesino di montagna in provincia di Biella. Siamo nel 1970, una mattina la maestra Silvia legge sul giornale che Giovanna, una sua allieva di undici anni con il padre alcolizzato e una madre che non riesce a sostenere la figlia nei cambiamenti fisici e psicologici che sta vivendo, si era uccisa gettandosi nel torrente da una finestra di casa sua, dopo esser stata rimproverata dalla madre per le assenze a scuola.
Era troppo giovane per intravedere le conseguenze, per capire che non sarebbe più esistita, dopo il salto nel torrente, e non si sarebbe potuta issare a riva, non avrebbe camminato fino a casa e suonato il campanello sgocciolando sullo zerbino. Forse per questa incapacità si era gettata, perché non si rendeva conto di morire.
La maestra si sente in colpa per aver telefonato a casa di Giovanna per chiedere spiegazioni delle assenze della ragazzina. Saputo del gesto estremo, Silvia sente di aver fallito come insegnante e si rifugia nel bosco di Bioglio che l’accoglie offrendole un luogo dove elaborare il lutto, dar sfogo al proprio dolore che rasenterà la pazzia. Lei non è sposata, non ha figli, l’unico ruolo importante nella sua vita è quello della maestra, che rappresenta un tentativo di rivalsa dopo esser cresciuta in un collegio dove le suore l’hanno educata senza amore e comprensione. Ora tutto il paese organizza le ricerche “di una donna ferita, incosciente, muta. Vittima di amnesia o resa demente dal dolore”. Sarà tutto vano. La troverà, per puro caso, Martino, un bambino di città trasferitosi, per motivi di salute, in quella zona montana.
L’incontro tra Martino, dieci anni, e la maestra segna la svolta del romanzo. I ruoli si ribaltano: Silvia si è rifugiata in un capanno abbandonato nel cuore del bosco, non ha nulla con sé al di fuori di un dolore che annulla il suo essere. Si comporta come i bambini che davanti alle difficoltà si nascondono. Il senso di colpa non svanisce, i ricordi rivivono, dal silenzio emergono voci che l’accusano. Sarà Martino a prendersi cura di lei portandole acqua, coperte e cibo, riscaldandola con il suo affetto e promettendole di non rivelare a nessuno il suo nascondiglio. Anche Martino, come la maestra, conosce cosa vuol dire essere emarginati e presi in giro, conosce la solitudine per aver perso gli amici di città e non essersi mai adattato alla vita del paese dopo l’infanzia a Torino.
Silvia alita dentro la coppa gelata delle mani e pensa che nel bosco ogni mattino è un trionfo, essere avariati è uguale a essere vivi. Il danno ricevuto testimonia l’esistenza: i parassiti, la muffa, i graffi, le ulcere, i denti traballanti, i nodi di pelo infeltrito, le ali menomate, le scianca ture. Non c’è nulla di integro se non, talvolta, la gemma dura e chiusa, la spora.
I comportamenti umani diventano rami intrecciati, inestricabili tra pregiudizi e inquietudini. Si svelano così le vite di molti dei residenti del paese che, dietro le porte chiuse, celano i loro segreti. Ognuno ha una storia imperfetta da raccontare con famiglie difficili e complicate. Nel coro si distinguono anche voci malevoli che condannano la maestra e amplificano l’amaro retrogusto dei sensi di colpa, della vita che scorre, dei ricordi che sopravvivono e condannano.
La scrittura di Maddalena Vaglio Tanet è ricercata e le parole esprimono più significati richiamando immagini e suoni. I luoghi hanno vita propria e l’uso di flashback ci aiuta a comprendere la dinamica degli avvenimenti che influenzano i personaggi. Ci si può aspettare una storia misteriosa, un giallo accattivante, invece “Tornare dal bosco” è una storia di formazione e introspezione. I capitoli brevi assicurano una lettura agevole e mai noiosa. I tanti personaggi fanno da sfondo ai tre protagonisti principali: il bosco, la maestra e il tenace Martino. È un viaggio introspettivo in cui a volte fanno capolino allucinazioni visive e uditorie che riportano a galla traumi subiti e cristallizzati in un passato che si fa sempre presente. Il ritmo pacato ben si adatta alla riscoperta di una vita fatta di dolori e gioie, di vittorie e sconfitte, di affetti cari. L’autrice racconta una fiaba che diventa mezzo per guardare la realtà, per comprendere e comprendersi. Alla maestra non resta altra possibilità se non quella di accettare che anche lei, come Giovanna e Martino, è degna di essere amata. Il dolore non scomparirà nel nulla, la morte non svanirà all’alba di un nuovo giorno, ma la vita è così e la speranza non svanisce mai.
Avevo notato questo libro. Mi piacciono i romanzi di formazione, quelli in cui l'aspetto introspettivo è predominante. Lo aggiungo alla mia già luuuunga lista 🙂
RispondiEliminaCiao Aquila
Ciao Angela, questo romanzo è una miniera di temi su cui riflettere e i personaggi riservano molte sorprese nella loro evoluzione :)
EliminaIn lista sin da quando era stato proposto allo Strega. Dopo la tua recensione, sale più in cima. Che incanto.
RispondiEliminaLa tua sensibilità ti farà sicuramente apprezzare questo romanzo. Leggerò il tuo pensiero con vivo interesse. Un cordiale saluto :)
EliminaNon conoscevo questo libro e nemmeno l'autrice. Le storie di formazione e introspezione trattano spesso tematiche molto delicate che fanno riflettere
RispondiEliminaSì, hai perfettamente ragione. Questo romanzo porta a porsi delle domande e a riflettere rendendo la lettura ancora più ricca. Un caro saluto :)
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