giovedì 15 giugno 2023

RECENSIONE | "Dove non mi hai portata" di Maria Grazia Calandrone

Nella cinquina del Premio Strega 2023 “Dove non mi hai portata” (Einaudi), di Maria Grazia Calandrone, è un romanzo in cui l’autrice ricostruisce la storia dei genitori, tra il Molise rurale e una infedeltà coniugale che segnerà per sempre la vita dei protagonisti.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Dove non mi hai portata
Maria Grazia Calandrone

Editore: Einaudi
Pagine: 256
Prezzo: € 19,50
Sinossi

1965. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. 2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato. E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita. Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d'Italia e le vite interrotte delle donne. Ma è anche un'indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge. Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l'estate del 1965. Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall'inquietudine che prova chi è braccato. Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell'epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Piú di cinquant'anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, si mette in viaggio per ricostruire quello che è davvero successo ai suoi genitori. Come una detective, Maria Grazia Calandrone ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, enumera gli oggetti abbandonati dietro di loro, s'informa sul tempo che impiega un corpo per morire in acqua e sul funzionamento delle poste nel 1965, per capire quando e dove i suoi genitori abbiano spedito la lettera a «l'Unità» in cui spiegavano con poche parole il loro gesto. Dopo Splendi come vita, in cui l'autrice affrontava il difficile rapporto con la madre adottiva, Dove non mi hai portata esplora un nodo se possibile ancora piú intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell'epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un'Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive. Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga. Fino a pagare con la vita la sua scelta d'amore.



Qualche anno fa Maria Grazia Calandrone aveva pubblicato “Splendi come vita” (Ponte Alle Grazie) in cui raccontava il tormentato rapporto con la madre adottiva. Oggi l’autrice compie un viaggio a ritroso per riscoprire le sue radici. Nata da una relazione extraconiugale, a soli otto mesi, era stata lasciata su un prato a Villa Borghese a Roma. La madre Lucia e il suo compagno Giuseppe avevano deciso di non portarla nel loro ultimo viaggio. In una lettera avevano spiegato i motivi del loro gesto estremo consegnando la bambina “alla compassione di tutti” e sognando per lei un futuro migliore.

Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo, da una vita che forse hai immaginato per me. Adesso vengo a prenderti e ti porto via. Lucia, dammi la mano.

2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre è vissuta,  ha sofferto, lavorato e amato.

Il ronzare incessante delle mie domande reca dolore, pochi mantengono l’ostinato amore necessario a districare il bagliore della vita di Lucia dall’ingroviglio di vergogna, omertà e colpa che l’ha sepolta.

Il viaggio dell’autrice ci porta in Molise, nel paese di Palata, dove Lucia è nata. Figlia di contadini, Luigi Galante è burbero e severo mentre sua moglie Amelia è dolcezza e rassegnazione, Lucia affronta la durezza di una vita povera e difficile. È una contadina, quarta di cinque figli. I genitori possiedono una masseria nella quale lei si occupa del bestiame, dell’orto e aiuta la mamma nelle faccende domestiche. Palata è un paesino in provincia di Campobasso, durante la seconda guerra mondiale è fronte di guerra e bersaglio di bombardamenti. Lucia ha sette anni e aiuta i genitori contadini. Nell’autunno del 1946, a dieci anni e mezzo, Lucia inizia a frequentare la prima elementare ma è costretta a rinunciare agli studi perché era impensabile investire del denaro per far studiare una figlia femmina. Struggente il ricordo del primo amore per un ragazzo, Tonino, che i genitori rifiutano perché lo considerano troppo povero dandola in sposa a Luigi Greco detto Centolire, “lo scaccò, il buffone del paese, bietolone, umorale, e inetto spesso intontito dall’alcol”, che sogna l’America ma nulla fa per realizzare tale desiderio. Lucia è costretta a sposare Luigi che si rivelerà un marito freddo, violento, che la maltratterà per sette lunghi anni e il matrimonio non verrà mai consumato. Per la ragazza la vita è un veleno, la morte sarebbe una liberazione ben accolta. Poi compare Giuseppe un “simpatico forestiero” e Lucia si innamora di lui.

L’amore, la magnifica follia che ci fa giganteggiare sopra la nostra vita, che trasloca il nostro piccolo esistere dentro il corpo totale del mondo, è qui ancora ridotto a miseria, concubinaggio. E a rinfocolato rogo di pettegolezzo: «Se n’è andata con quello che le faceva i lavori in casa! » vociferava il paese. Scandalizzato, sovreccitato, invidioso.

L’uomo è trent’anni più grande di lei, è sposato, ha cinque figli, ma Lucia è decisa a fuggire da un marito violento. Non vuol perdere nuovamente l’amore che la vita le offre mostrando una volontà audace per l’epoca caratterizzata da una società profondamente patriarcale.

Il 30 marzo 1964 Luigi Greco, legittimo consorte di Lucia, presenta ai Carabinieri di Palata una querela, nella quale descrive l’increscioso frangente nel quale, suo malgrado, si è venuto a trovare. La legge è totalmente dalla sua parte.

I due fuggono prima a Ururi, poi a Milano. Per la legge dell’epoca la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Per lo Stato è colpevole, non esiste ancora il divorzio che entrerà in vigore solo nel dicembre del 1970. Tuttavia Lucia è felice perché ha accanto un uomo capace di sognare con lei il futuro.

Lucia è felice. Eccola. Tutta scapigliata, euforica, piena di energia. Senza pensiero e lieve come l’erba, sorride pure quando ha la nausea, sorride sempre, sorride più che mai nella sua vita. Una foglia nell’alito del vento estivo. Ecco un uomo capace di sognare insieme a lei il sogno semplice del futuro. Uno come Giuseppe fa crescere la voglia di andarsene lontano, dentro una vita quasi materiale, quasi vera.

A Milano, nell’ottobre del 1964, nasce la piccola Maria Grazia che, per la legge sociale, può essere riconosciuta solo da Lucia. Anche a Milano i problemi economici non si fanno attendere, gli operai che devono sfamare le famiglie sono tanti e il lavoro inizia a scarseggiare. Sono gli anni Cinquanta dell’immigrazione dal Sud, la grande distribuzione (Standa, Coin, Esselunga) sono in rapida espansione. Giuseppe perde il lavoro: era muratore, aveva 56 anni, era un uomo quasi anziano. I cantieri rimanevano aperti solo durante la bella stagione, in inverno il cemento gelava e non era possibile lavorare. Milano era la città del boom economico, che selezionava la sua forza lavoro e loro due non avevano le carte in regola per farcela. I soldi scarseggiano e la vita diventa un baratro senza fondo. Lucia e Giuseppe erano, per la legge del tempo, adulteri e quindi perseguibili per legge. Camminando un passo dietro a loro, percepiamo la loro disperazione e assistiamo al prender forma di un proposito tragico ma colmo d’amore.

Calandrone si fa detective e cerca le tracce dell’esistenza dei suoi genitori. Ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, parla con chi li conosceva, cerca certificati e fotografie, luoghi e persone, lettere e timbri. A rendere la ricerca ancor più suggestiva è l’inserimento di versi di poeti amati come Pasolini e Rilke. L’autrice è una figlia che restaura, passo dopo passo, il pellegrinaggio dei suoi genitori. Lo fa senza pregiudizi, dando voce a dubbi e supposizioni, mantenendo sempre l’attenzione sulle vicende private ma ponendole in un contesto più vasto della Storia italiana degli Anni Cinquanta e Sessanta. Toccheremo con mano la povertà di alcune zone del Molise, il boom economico di città come Milano e Torino, vivremo la  Roma magica di altera e sconsolata bellezza, vedremo il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole che limitavano la libertà personale. Un Paese che non ha saputo proteggere i suoi “figli”, che ha spinto una donna a fuggire per poi pagare con la vita la sua scelta d’amore. Lucia era vittima dei pregiudizi e convenzioni sbagliate.

Maria Grazia Calandrone ricostruisce, in questo romanzo autobiografico, ambienti e situazioni con la veridicità della realtà ma in modo poetico e coinvolgente. La tragedia che si consumerà si percepisce nel ritratto doloroso e partecipe di una storia vera, complessa, intima ed emozionante. Calandrone ricostruisce la vita dei genitori per custodirne la memoria e ci regala quell’attimo sublime che suggella l’incontro tra madre e figlia.

Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero. Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito. Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale. Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre. Rinascerai, Lucia, anche solo a parole. È tutto quello che posso.

“Dove non mi hai portata” è un romanzo che conquista e non lascia indifferenti. Ripercorriamo la storia di Lucia e la sua tragica fine che rappresenta il luogo dove non ha voluto portare sua figlia. Ma è anche il luogo in cui l’amore si fa speranza e la morte diventa un dono di vita. Dono che oggi Maria Grazia porta nel suo cuore:

 Ogni cosa che ho visto di te, te la restituisco amata.

Ora Lucia rivive nella memoria che è sopravvivenza oltre la morte.

2 commenti:

  1. Il candidato allo Strega che più mi attira. Mi ha incantato leggerti.

    RispondiElimina
  2. Ciao Mr Ink! Questo romanzo mi ha conquistata e mi piacerebbe vedere Maria Grazia Calandrone trionfare al Premio Strega:)

    RispondiElimina