venerdì 12 settembre 2025

RECENSIONE | "La donna nel pozzo" di Piergiorgio Pulixi

"La donna nel pozzo" (Feltrinelli) di Piergiorgio Pulixi è la storia di due scrittori che si ritrovano in Sardegna per indagare sulla morte di Cristina Mandas e su un misterioso delitto di trent'anni prima.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La donna nel pozzo
Piergiorgio Pulixi

Editore: Feltrinelli
Pagine: 304
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Un dettaglio. È sempre un dettaglio a fare la differenza. Capita a Cristina Mandas di dimenticare il compleanno del marito. Che vuoi che sia. Invece, la svista è il primo scricchiolio di una vita che sta per andare in frantumi. Perché a quarant’anni Cristina non è la maestra, la moglie, la madre, stimata e ben voluta dalla comunità di quel paesino sardo in cui si è trasferita tempo prima. Dietro la cortina di un’esistenza comune, custodisce un segreto che deve rimanere sepolto nelle profondità di un pozzo. E così è stato, almeno fino a un particolare colto di sfuggita, fino a quella dimenticanza. Qualcuno, però, si è accorto che Cristina non è più la stessa, che è sul punto di cedere. Qualcuno rimasto nell’ombra a spiarla per anni. Lorenzo Roccaforte è stato uno degli scrittori più amati d’Italia e ha anche vinto il Premio Strega. Ora che il successo è volato via a causa della sindrome da pagina bianca, si ritrova ad aver mancato lo status di “solito stronzo”, lui che puntava a rimanere un “venerato maestro”. Ermes Calvino ha un cognome di peso, nessuna parentela con il grande Italo e un abbonamento premium coi guai. Generoso, legatissimo alla madre e alla sorella, è anche uno sconosciuto scrittore di talento. Diversi come il giorno e la notte, Roccaforte e Calvino diventano gli involontari contraenti di un patto diabolico: Ermes scrive i romanzi che Lorenzo firma. Lo chiamano ghostwriting. L’ideatore del piano è Arturo Panzirolli, un ex galeotto che in carcere ha avuto l’idea del secolo: diventare editore! Sotto la regia di Panzirolli, un Roccaforte senza più speranze è ritornato sulla scena come autore di thriller e podcaster true crime. Scrittore e ghostwriter si ritroveranno in Sardegna a indagare sulla morte di Cristina Mandas e su un misterioso delitto di trent’anni prima, che sconvolse l’isola.





Si era dimenticata del suo compleanno. In diciotto anni di matrimonio non era mai successo. Quella consapevolezza l'aveva fulminata non appena era entrata in sala insegnanti. Aveva posato la tazzina di caffé e, dando una sbirciata all'agenda, si era sentita ghiacciare. Aveva ricontrollato per sicurezza, scorrendo all'indietro i giorni della settimana, salvo rendersi conto dell'imbarazzante concretezza di quella mancanza: Angelo, suo marito, aveva compiuto gli anni quarantotto ore prima, e lei se n'era del tutto dimenticata.

Tutti noi, inutile nasconderlo, subiamo il fascino del male ma non oltrepassiamo la soglia oscura. Sicuramente non conosciamo i pensieri che si agitano nella mente delle persone con cui condividiamo la nostra quotidianità. Se fossimo in grado di farlo, sarebbe un dono o una dannazione?

Piergiorgio Pulixi si è ispirato a fatti reali per scrivere questo thriller intenso che, una volta iniziato, non puoi più lasciare fino all'ultima pagina.

Nel 1898, a Carbonia, venne uccisa Gisella Orrù, una bella ragazza di sedici anni. Scomparve misteriosamente e venne ritrovata in un pozzo. L'autopsia rivelò che era stata violentata. Furono condannate due persone ma, forse, i veri colpevoli non erano quelli. Seguirono altri omicidi, che sembravano collegati. Tante domande rimasero senza risposte. Troppe verità nascoste, troppi silenzi. La paura ha tenuto le bocche cucite e dopo tanti anni nessuno si è fatto avanti per dire la verità.

Questo cold case è l'innesco per narrare una storia intrigante intrisa di amara ironia. A muovere le fila del racconta sarà un trio di nuovi protagonisti che daranno vita a una narrazione incalzante che alterna pagine oscure a denunce sociali, oscillando fra il noir e la commedia.

Un dettaglio. È sempre un dettaglio a fare la differenza. Capita a Cristina Mandas di dimenticare il compleanno del marito. La svista è il primo scricchiolio di una vita che sta per andare in frantumi. Perché a quarant'anni Cristina non è la maestra, la moglie, la madre, stimata e ben voluta dalla comunità del paesino sardo in cui si è trasferita tempo prima. La donna custodisce un segreto ed è sul punto di cedere. Qualcuno rimasto nell'ombra la spia ormai da anni.

Decise che doveva uscire dall'ombra e impedirglielo, perché la verità di cui Cristina era a conoscenza doveva rimanere sepolta nel fondo melmoso di quel vecchio pozzo.

Quando il corpo di Cristina Mandas viene ritrovato in fondo a un pozzo, il caso viene archiviato come suicidio. Mentre in Sardegna si consuma questa tragedia, a Roma facciamo la conoscenza con i tre protagonisti: Lorenzo, Ermes e Arturo.

Lorenzo Roccaforte è stato uno degli scrittori più amati d'Italia e ha anche vinto il Premio Strega. Tuttavia il successo è volato via a causa della sindrome da pagina bianca. Dietro la facciata di celebrità si cela un uomo disilluso e tormentato, che odia tutto e tutti.

Ermes Calvino, un talentuoso ghostwriter di romanzi noir, sembra avere un abbonamento premium coi guai. Generoso e legatissimo alla madre, che fa la donna delle pulizie, e alla sorella, che si droga e fa debiti con i mafiosi, il ragazzo vorrebbe diventare uno scrittore.

Diversi come il giorno e la notte, Roccaforte e Calvino diventano gli involontari contraenti di un patto diabolico. Ermes scrive i romanzi che Lorenzo firma. Roccaforte si gode il successo, l'editore si arricchisce e Calvino nulla stringe, né fama né soldi.

L'ideatore del piano, il terzo protagonista, è Arturo Panzirollo, un ex galeotto che in carcere ha avuto l'idea del secolo: diventare editore! A volte, purtroppo, i desideri si avverano e Arturo diventa un cinico editore truffaldino senza scrupoli. Sotto la sua regia, Roccaforte è ritornato sulla scena come autore di thriller e conduce il podcast "Trame e delitti". Il vero autore è però Ermes, sempre relegato all'ombra del grande scrittore. Proprio per cercare materiale per il loro programma, Calvino e Roccaforte si ritroveranno in Sardegna a indagare sulla morte di Cristina Mandas che richiama  alla mente un misterioso delitto di trent'anni prima che sconvolse l'isola.

Così mentre Roccaforte, cinico e opportunista, decide di trascorrere i giorni "d'indagine" in un resort di lusso, dove incontrerà una signora con la figlia disabile, sarà Ermes a svolgere il lavoro sporco indagando sull'omicidio della "donna nel pozzo".

Il romanzo mostra un cancro della nostra società, la violenza di genere. Viene anche mostrato un nuovo tipo di criminalità economica che si basa sull'applicazione delle regole del business: i criminali rilevano i debiti della droga o del gioco e li fanno fruttare con gli interessi, distruggendo intere famiglie.

La parte noir del romanzo ci porta a voler scoprire la verità su segreti che, anche a distanza di tempo, non possono proprio essere svelati. Ci sono verità che condannano all'inferno, seppellirle in fondo al cuore non serve a nulla. Il tempo non alleggerisce le coscienze e non si possono dimenticare le proprie colpe.

Il romanzo vede Calvino e Roccaforte frugare tra le pieghe dell'animo umano, mettere insieme deduzioni e riflessioni per rendere giustizia a chi ha subito un'ingiustizia. La loro caparbietà riuscirà a infrangere la bolla di silenzi e complicità che ha protetto i colpevoli?

"La donna nel pozzo" è una sapiente miscela di noir, thriller e commedia e spietata autoanalisi sul funzionamento della fabbrica del racconto crime. I personaggi sono accattivanti e caratterizzati dall'uso del dialetto romano che rende ancor più vivaci i battibecchi e le battute sarcastiche. L'ambientazione è ben caratterizzata sia nelle vicende che si svolgono a Roma, sia quando siamo in Sardegna con la bellezza incontaminata dei suoi territori.

Squadra che vince nun se cambia. Me dovete cerca' 'n artro delitto irrisolto. Vojo de novo scrive in fascetta 'na roba tipo "Ispirato dal terribile caso de 'sto cazzo". Oppure: "Roccaforte ce riporta sul luogo der delitto con la sua sapiente penna, prospettando nuove piste investigative". O ancora: " Il romanzo verità sul caso de, puntini puntini. O magari: "Dove la giustizia se ferma arriva er castigo della letteratura". Senti come sona bene? Me stai a capì', Calvi'? vojo 'n effetto stile er Mostro de Firenze.

L'autore mostra un indubbio talento narrativo e riesce a coinvolgere il lettore in questa storia che segna l'inizio di una nuova serie con una coppia di indagatori che cerca la verità tra le troppe mutevoli bugie. Una verità che giace in fondo al pozzo.

mercoledì 10 settembre 2025

RECENSIONE | "La preda" di Damon Galgut

"La preda" è uno dei primi romanzi di Damon Galgut, pubblicato originariamente nel 1995 e ora edito in Italia da Edizioni E/O nella traduzione di Tiziana Lo Porto, è una parabola suggestiva sul peccato e sulla colpa. La speranza, invece, sarà sacrificata sull'altare del pessimismo. Tutto ha inizio in un tratto di strada solitaria quando due sconosciuti si incontrano. Il primo è un fuggitivo, il secondo è un prete.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 8
La preda
Damon Galgut

Editore: E/O
Pagine: 160
Prezzo: € 17,00
Sinossi

In un tratto di strada solitario due sconosciuti si incontrano. Il primo è un fuggitivo e viaggia a piedi apparentemente senza una meta precisa, il secondo guida un furgone ed è un prete diretto verso la nuova parrocchia che gli è stata assegnata. Temendo di essere consegnato alla polizia, dopo un momento di strana e folgorante intimità, il fuggitivo uccide il prete, nasconde il cadavere in una cava, ne assume vesti e identità, raggiunge la nuova parrocchia e si ritrova a presenziare il funerale del prete ucciso. Il fortuito ritrovamento del cadavere nella cava metterà il capo della polizia sulle tracce dell’assassino. Ma il crimine commesso dal fuggitivo non è un caso isolato, così come la sua fuga, trasformando la caccia all’uomo in una caccia collettiva al crimine, dove a inseguire è la legge e a essere inseguito è chiunque sia fuorilegge.





Un uomo che inseguiva un altro uomo attraverso la terra bruna, non erano più persone, erano un principio in atto: legge e fuorilegge. Cacciatore e preda. 

Il protagonista è un uomo senza nome che, in un tratto di strada solitaria, commette un omicidio. La vittima è un prete in viaggio verso una città vicina dove si trova la sua nuova parrocchia. 

La bottiglia si ruppe a mezz'aria dove prima c'era la testa del prete e il vino esplose rosso, come sangue. O forse era sangue. Poi l'uomo si chinò e sollevò un sasso che era rimasto lì immobile fino a quel momento e lo lasciò cadere sul cranio dell'uomo sotto di lui e lo piantò dentro.

L'omicida, in fuga nel Sudafrica natio dello scrittore, nasconde il cadavere in una cava dismessa e ruba l'identità del prete. Si reca in città e si presenta alla missione. Il suo primo incarico ufficiale è presenziare il funerale dell'uomo che lui ha ucciso. Il fortuito ritrovamento del cadavere nella cava metterà il capo della polizia sulle tracce dell'assassino. Il poliziotto, sospettoso per natura, si interessa sempre più al lavoro del nuovo ministro: osserva, ascolta, gira lentamente intorno alla sua preda. Il falso prete fugge. La legge lo insegue. La caccia all'uomo si trasforma in una caccia collettiva al crimine. 

In appena 160 pagine, Galgut realizza la metafora della colpa e del rimorso. Come in un eterno duello, il Poliziotto e il Fuggiasco si fronteggiano, si inseguono . Le vicende si svolgono attorno a una cava: un buco, nella terra, buio e freddo che, dice Galgut, è il massimo che gli esseri umani possono aspettarsi dal futuro. Puro pessimismo o realtà? 

L'elemento naturale (la cava) e quello umano sono intimamente legati simboleggiando la precarietà della vita umana, del sepolto, del nascosto e della solitudine spettrale. 

Poi il sole tramonta e l'ombra nella cava si trasforma. L'ombra si addensa. A quel punto non è più ombra. É oscurità e l'oscurità nel buco non è diversa dall'oscurità sopra di essa. Potrebbe esserci acqua nella cava, o movimento, o niente. Potrebbe non esserci fondo. 

I personaggi, infatti, sono uomini tormentati senza alcuna speranza nel futuro. Il loro disagio esistenziale nasce da un oscuro passato che proietta la sua ombra anche sul presente in un quadro di sconfitta globale. La posta in gioco è la libertà. Ottenerla è una lotta impari. 

Leggendo questo romanzo ho ripensato a un lavoro di John Steinbeck, "Uomini e topi", che narra la storia di due braccianti itineranti desiderosi di possedere un pezzo di terra dove lavorare e vivere in pace. Ma il sogno si infrange su una realtà fatta di solitudine, pregiudizio, tormento e crudeltà. La libertà anche per loro, come per il Fuggiasco, è una chimera. 

"La preda" è un'indagine che scava nelle profondità dell'animo umano, è un viaggio tra le zone d'ombra dell'esistenza, è un percorso sempre alla periferia dell'identità. È l'esplorazione di un territorio intimo che sconfina nell'onirico. Si percepisce la lama affilata che incide non solo le carni di una persona ma incide il corpo della società del Sudafrica e proietta l'oscurità sui cambiamenti reali nel Sudafrica post apartheid. 

L'incipit ci proietta in un'azione già iniziata, non conosciamo il passato del fuggitivo e non possiamo far altro che seguirlo nel suo viaggio alla continua ricerca di un luogo dove potersi fermare. Sembra, però, condannato a una fuga perpetua: 

C'era dentro di lui la sensazione di eventi che si esaurivano, di molle che si srotolavano e di ruote che rallentavano e sapeva che nella sua fuga azzurra e spettrale di movimento e sonno si stava rapidamente avvicinando al limite estremo delle cose. 

Uccidere è rinascere con un'altra identità. Tuttavia il destino del nostro assassino è già segnato. Fuggire e nascondersi a nulla servono. Il sospetto è come una spada di Damocle sempre pronta a colpire. "La preda" è un breve romanzo che narra di uomini in perpetuo movimento. La prosa concisa, cupa e intrisa di pessimismo, ben si adatta al paesaggio sudafricano, spoglio e suggestivo. I capitoli brevi, alcuni solo frammenti, rendono bene il susseguirsi veloce degli avvenimenti. Non c'è tempo per approfondimenti psicologici, non c'è modo di conoscere il passato, si respira una violenza repressa pronta a esplodere. Galgut non offre nessun conforto a chi legge. Appare subito chiaro che vittime e carnefici non sono poi così diversi, si è perseguitati dai propri demoni interiori e si insegue una verità che ogni volta ci sfugge tra le mani. Il capitolo finale del romanzo ci congeda ricordandoci l'inevitabilità del destino e il contagio dell'oscurità. Siamo tutti prede. Siamo tutti cacciatori.

lunedì 1 settembre 2025

RECENSIONE | "I vedovi" di Boileau e Narcejac

Buongiorno lettori, oggi vi parlo de "I vedovi" (Adelphi) scritto a quattro mani da Boileau e Narcejac. È un noir ambientato in una Parigi di fine anni Sessanta, fitto di misteri intricati con al centro la gelosia ossessiva del protagonista.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
I vedovi
Boileau e Narcejac

Editore: Adelphi
Pagine: 172
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Quando si varca la soglia di una delle storie costruite, con abilità diabolica, da Boileau e Narcejac, si prova sempre una lieve inquietudine – che però, com’è ovvio, fa parte del piacere della lettura. Sappiamo, infatti, che verremo trascinati in un gioco perverso e saremo le consapevoli e appagate vittime di quei due temibili creatori di angosciosa suspense, capaci come pochi altri di tenerci inchiodati alla pagina così come di infliggere un tormento dopo l’altro ai loro protagonisti. Che sono sempre, a ben vedere, uomini – in genere irresoluti, inconsistenti, spesso infantili – che si ritrovano prigionieri di un ingranaggio infernale, al quale, per quanto si dibattano, non riescono a sfuggire. E che, soprattutto, a poco a poco smarriscono la capacità di percepire la differenza tra la realtà e le proprie farneticazioni. E quale sentimento umano si presta meglio a mettere in moto un delirio se non la gelosia? Sarà appunto la gelosia, una gelosia furibonda, autoalimentata, incontrollabile, a condurre all’omicidio il protagonista dei Vedovi – titolo che solo alla fine del romanzo svelerà il suo ambiguo significato. Ma attenzione: l’omicidio non è che l’inizio – il bello deve ancora venire.





Fa davvero così male dover ammettere che ci si è sempre sbagliati? 

Serge, voce nei drammi radiofonici e scrittore occasionale, è morbosamente geloso. Perseguita la moglie Mathilde, la fa seguire, perquisisce i suoi effetti personali, controlla il contachilometri della sua auto. Quando si rende conto del suo errore, è già troppo tardi: ha ucciso il presunto amante della moglie. Da marito fragile, "il nostro amore era un gigante mansueto", Serge si ritrova a essere un assassino ricercato dalla polizia. Nel frattempo un altro fatto si mette di traverso a complicare la vita a Serge. Il suo secondo libro dal titolo "Strani Amori", presentato anonimo a un concorso letterario, vince il prestigioso premio Messidor e sua moglie lo esorta a farsi conoscere. 

Le cose non sono mai come appaiono e al centro del narrare c'è una fissazione paranoica di cui non si comprende se sia fondata su una realtà effettiva o figlia di un puro idillio. Gli autori modificano a loro piacimento realtà e incubo, mescolandoli e confondendoli fra loro. Nel romanzo "I vedovi" la gelosia opprime il protagonista che vede tradimenti ovunque. Le sue sono fantasie dolorose alimentate dall'ambiente che la moglie frequenta. Modella di successo, Mathilde è sempre circondata da stilisti, fotografi, persone importanti che vivono una mondanità luccicante. 

Serge non è famoso, non è brillante, non è ricco. La gelosia diventa frustrazione, la frustrazione lo trasforma in un assassino, il delitto lo pone al centro di un complotto. Complotto reale o immaginario? L'uomo ne resta prigioniero. Tormentato da dubbi e divorato dalla gelosia, Serge non sa che parte di preciso lui stesso reciti. 

Pagina dopo pagina emerge il lato oscuro, l'ambiguità, la disperazione dei personaggi che attirano il lettore e non danno tregua per cui è impossibile chiudere il libro prima del gran finale. È interessante vedere come l'atto delittuoso diventa un pretesto per raccontare non solo la psicologia dei personaggi ma anche per mostrare una visione esistenziale negativa, angosciosa, amara. Tenendo ben stretto il filo d'Arianna è intrigante entrare in questo labirinto mentale dove il malessere esistenziale regna sovrano. Non ci sono regole e la diabolica storia evolve in un universo ossessivo e inquietante. I personaggi si ritrovano prigionieri di un ingranaggio infernale, al quale, per quanto si dibattano, non riescono a sfuggire. 

Quel tiepido bozzolo non era che una ragnatela inestricabile. 

È sempre coinvolgente vedere come, a poco a poco, smarriscono la capacità di percepire la differenza tra la realtà e le proprie farneticazioni. Per Serge l'amore è dubbio, diffidenza, sospetto e angoscia. Il suo è un amore tossico, cupo e possessivo. 

"I vedovi" è un romanzo attualissimo perché racconta l'incapacità dell'uomo di accettare, tra le altre cose, la libertà della donna. Serge è un uomo insicuro che vede possesso il suo potere e si autoconvince di essere stato ingannato, manipolato, umiliato da colei che dice di amarlo. Allora nella mente del protagonista si fa strada la necessità di punire la moglie che rappresenta, ai suoi occhi, uno specchio che riflette la sua immagine di uomo mediocre, incapace di realizzarsi, insoddisfatto. L'ego maschile si sente minacciato e la sua fragilità è messa a nudo. Quindi l'ossessione emerge dalla nebbia del vittimismo e l'inevitabile si compie. 

Gli autori raccontano un male che attraversa le varie epoche e giunge sino ai nostri giorni, sempre vitale e sempre presente, come una ferita che non riesce mai a guarire. Nel romanzo non c'è condanna, non c'è assoluzione, ma c'è l'opportunità per una riflessione doverosa. 

L'omicidio non è che l'inizio, infatti nel corso del romanzo gli eventi si complicano, il ritmo cresce, l'incubo incombe e Serge comprenderà che la vendetta ha mille volti. Il piacere di amare e di essere amati su basi paritarie sembra così lontano.

mercoledì 6 agosto 2025

RECENSIONE | "La morte di Auguste" di Georges Simenon

Continua il mio viaggio tra le opere di Georges Simenon, questa volta si tratta di un romanzo breve, "La morte di Auguste", scritto nel 1966.  Simenon, uno dei più prolifici ed eccezionali scrittori del Novecento, racconta i difetti e l'animo umano attraverso le dinamiche che si sviluppano fra tre fratelli alla morte del loro anziano padre.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
La morte di Auguste
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 155
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Arrivato cinquant’anni prima dalla nativa Alvernia senza un soldo in tasca, Auguste Mature, che muore, schiantato da un ictus, all’inizio di questo romanzo, è riuscito a trasformare il piccolo bistrot di rue de la Grande-Truanderie, dove andavano a bere un caffè corretto o a mangiare un boccone i lavoratori dei mercati generali – il «ventre di Parigi», come li chiamava Émile Zola –, in un ristorante che, pur conservando i vecchi tavoli di marmo e il classico bancone di stagno, è ora frequentato dal Tout-Paris. Gli è sempre stato accanto il figlio Antoine, il quale, prima ancora che la camera ardente sia stata allestita, deve fare i conti – alla lettera – con il fratello maggiore, un giudice istruttore aizzato da una moglie arcigna, e con quello minore, un cialtrone semialcolizzato che millanta fumosi progetti immobiliari e sopravvive spillando soldi al mite, generoso Antoine. Lo stesso Antoine contro cui ora si accanisce, sospettandolo di aver sottratto il testamento del padre e di volersi appropriare di un «malloppo» sicuramente nascosto da qualche parte. 



Come aveva potuto vivere tanti anni senza rendersene conto? Per lui, fino al giorno prima, i suoi fratelli, erano i suoi fratelli. Se non li vedeva spesso era perché ciascuno aveva preso una strada diversa. Soltanto lui era rimasto nella casa dov'era nato, e probabilmente per questo non aveva mai intuito i loro problemi. 

Un uomo, l'anziano ristoratore Auguste, muore all'improvviso mentre sta lavorando nel ristorante che aveva aperto a Parigi. Ci andavano ministri, delegazioni diplomatiche e persone famose. Aveva vinto anche due stelle Michelin. Il ristorante rendeva bene ma Auguste non aveva mai confidato a nessuno cosa ne facesse di tutti quei soldi. 

Arrivato cinquant'anni prima dalla nativa Alvernia senza un soldo in tasca, Auguste Mature, era riuscito a trasformare il piccolo bistrot di rue de la Grande-Truanderie, dove andavano a bere un caffè corretto o a mangiare un boccone i lavoratori dei mercati generali, in un ristorante frequentato dal Tout-Paris. Gli era sempre stato accanto il figlio Antoine che, prima ancora che la camera ardente sia stata allestita, deve fare i conti con una famiglia già sul piede di guerra per reclamare l'eredità. 

"Chi si occupa della successione?"

"Cosa vuoi dire?"

"A quanto pare c'è in gioco un milione, senza contare il ristorante... Noi siamo tre... Queste faccende non si trattano alla leggera... Di solito c'è un notaio che ha cura degli interessi di ciascuno e bada a che tutto si svolga nella debita forma"

"Non so se nostro padre aveva un notaio..."

"Lo trovi normale, tu, che non abbia fatto testamento?"

"Probabilmente pensava che i suoi figli si fidassero di me." 

"Ma pensa! Papà muore, e non c'è traccia del milione che ha guadagnato negli ultimi vent'anni. Il tuo, di milione, te lo sei messo al sicuro. Il suo è sparito come per incanto." 

Auguste aveva tre figli, diversissimi tra loro: Antoine, mite e fedele, lavorava con il padre ed era diventato socio anche se non c'era un documento per dimostrarlo; 

Ferdinand non amava il lavoro del padre, aveva studiato ed era diventato giudice, si era trasferito con la famiglia in un moderno appartamento che deve ancora terminare di pagare. Un po' di soldi sarebbero ben accetti; 

Bernard è la pecora nera della famiglia. Vive di espedienti e affari non proprio cristallini. È un sognatore fallito, semialcolizzato. Sopravvive spillando soldi al mite e generoso Antoine. Diffida di tutti e senza nemmeno onorare la salma del padre, inizia a chiedere: "Dove sono i soldi?". 

La moglie di Auguste, madre dei tre fratelli, non riconosce più nessuno, sembra "immateriale da tanto era diventata magra." 

Naturalmente anche le cognate non volevano rimanere in disparte e intervengono in questa interessante vicenda ereditiera esprimendo a mezza voce la loro esortazione verso i rispettivi mariti e compagni: "Spero che non ti lascerai mettere i piedi in testa. Ad ogni modo io sarò lì". 

Ognuno mostra il peggio di sé. Il denaro è una cartina al tornasole dei caratteri, migliori e peggiori, degli esseri umani. La tensione tra i personaggi è palpabile così come è evidente la loro normale mediocrità. I figli di Auguste hanno dentro un gran caos, sono individui aridi e manipolabili. 

Bernard e Ferdinand si accaniscono contro Antoine sospettandolo di aver fatto sparire il testamento del padre e di volersi appropriare del "malloppo" nascosto da qualche parte. 

Cosa succederà? Riuscirà la famiglia Mature a superare lo scoglio dell'eredità o entrerà nel limbo delle cose non dette, dei sospetti sussurrati, delle identità mai pienamente acquisite? 

Simenon, ancora una volta, mette in scena un dramma familiare scoperchiando il vaso di Pandora da cui fuoriescono risentimenti, attriti, segreti, invidie e menzogne. I legami familiari sono analizzati alla luce delle dinamiche di potere tra i personaggi. Sospetti, ipotesi senza alcun fondamento, realtà distorte e bramosia di una ricchezza che, pur a portata di mano, sembra evaporare. 

Così mentre Auguste riposa nel suo letto eterno, i suoi figli, tranne uno, sono pronti a scontrarsi senza alcuna pietà. 

Per Antoine, forse anche per altri, lui non era soltanto morto. Non esisteva più. Al suo posto non restava niente. Non lasciava niente dietro di sé. 

"La morte di Auguste" è un libro intenso e amaro, un libro che non teme la verità. I personaggi sono persone che si sentono sole nell'affrontare problemi e ansie. Con uno stile sobrio, con attenzione alle atmosfere, ai profumi, ai quartieri cittadini, ai gesti quotidiani e agli interni domestici, Simenon tratteggia le debolezze umane dando un'immagine non confortante dell'umanità. Bastano poche pagine all'autore per narrare, avendo come sfondo la presenza della morte, un conflitto familiare generato dall'avidità. La storia, siamo nel 1961, si svolge nell'arco temporale di pochi giorni, dal venerdì sera (quando muore Auguste) al martedì mattina (funerali dell'uomo). 

I libri di Simenon sono, per me, un tuffo dal trampolino nel mare oscuro dell'umanità. Si entra in contatto con un mondo che crediamo di conoscere. Nuotiamo tra le onde del vivere e del morire. Guardiamo gli uomini che non vivono ma sopravvivono. Si avanza in un percorso tortuoso, pericoloso e tormentato. L'incontro con la morte è inevitabile ma prima c'è la vita, lo scorrere del tempo che tutto deforma e a volte cancella. Se poi abbiamo ancora un po' d'energia, allora ci immergiamo per esplorare gli anfratti più reconditi dell'animo umano alla ricerca di possibili tracce lasciate dai personaggi che tanto ci somigliano. 

Dopo aver letto questo breve romanzo ho chiuso il libro con la consapevolezza che l'opera di Simenon è un piccolo gioiello per chi cerca nella letteratura anche il piacere della riflessione: 

C'era una volta una famiglia che, al cospetto del dio denaro, si trasformò in un nido di vipere. A noi decidere se è immaginazione o realtà.

venerdì 1 agosto 2025

RECENSIONE | "Quel confine sottile" di Silvia Napolitano

Bollati Boringhieri pubblica "Quel confine sottile" di Silvia Napolitano. Silvia Napolitano è sceneggiatrice per il cinema e la televisione (“I bastardi di Pizzofalcone”, “Mina settembre”). L'autrice ha fatto parte per vent'anni della giuria Premio Salinas e insegna Sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia. "Quel confine sottile" è un noir che segna l'esordio dell'autrice nella narrativa di genere poliziesco.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Quel confine sottile
Silvia Napolitano

Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 368
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Fabrizio Mieli, psicoanalista, ha in cura Zac, un ragazzino schizofrenico di quattordici anni, bello come un elfo e che ha per amici solo bambini morti. Un giorno Zac gli racconta di aver trovato nel fiume il cadavere senza testa di un'adolescente: un morto vero, questa volta, non uno dei suoi fantasmi. Il cadavere decapitato è di Juliette, tredici anni, francese. Nessun indizio, nessun testimone. Bruno Ligabue, commissario solitario e con un macigno nel cuore, inizia a indagare, e presto scopre che il proprietario di un bar frequentato da giovanissimi offre da bere, e forse altro, a ragazzine che non sanno dir di no. È una pista, la prima. Ma con Ligabue non è d'accordo Agostina Picariello, la PM che si occupa del caso, donna brusca e straordinariamente brutta. Il conflitto tra i due è immediato, istintivo: Agostina, infatti, è convinta che sia stato Zac, il ragazzino che l'ha trovata, a uccidere Juliette, mentre il commissario dissente profondamente. Due piste, due caratteri, due visioni del mondo opposte. Ma Ligabue e la Picariello sono assai più simili di quello che pensano: man mano che l'indagine va avanti emergono gli errori, le paure, le mancanze di entrambi. La scoperta dell'assassino sarà inaspettata, e passerà per vie misteriose e oscure. Ma insieme alla soluzione del caso ci saranno le rivelazioni dei personaggi, e le loro verità più profonde affioreranno come era affiorato il cadavere di Juliette dal fiume.



Zaccaria Bendicenti, detto Zac, un ragazzino schizofrenico di quattordici anni che ha per amici solo bambini morti, è il protagonista di questo romanzo corale. Un giorno Zac trova davvero un cadavere: è quello di una ragazzina decapitata vicino a un fiume. Una terribile scoperta che Zac racconta a Fabrizio Mieli, il suo psicoanalista. 

Lui, e solo lui, sapeva dove si era impigliato il corpo: era già coperto di detriti e alghe di fiume, e un paio di dita bianche e molli aggrappate a un lichene lo trattenevano. Il corpo era senza la testa: un vestito a pois azzurri faceva pensare a una donna molto giovane, forse a una ragazza. 

Il cadavere è quello di Juliette, tredici anni, francese scomparsa da un campeggio appena fuori Roma qualche giorno prima. 

Così era scomparsa, nel buio che iniziava a farsi penombra: quell'ora intermedia, di confine, in cui non si sa se quello che accade è reale o solo un'illusione. 

Nessun indizio, nessun testimone. 

Bruno Ligabue, commissario solitario e con un macigno nel cuore, inizia a indagare e scopre che il proprietario di un bar frequentato da giovanissimi offre da bere, e forse altro, a ragazzine vulnerabili. É una prima pista in un caso che si annuncia oscuro e complesso. 

"Quel confine sottile" è un noir corale immerso in atmosfere inquietanti. La trama principale si moltiplica in sottotrame che riguardano i personaggi e i loro dilemmi esistenziali, il senso di ambiguità e di angoscia che li pervade. Si crea un mondo spesso al di là del bene e del male dove i personaggi, cupi e tormentati, hanno con il resto del mondo un rapporto conflittuale perché hanno dentro l'oscurità e vedono l'oscurità nel mondo. Dietro il loro sguardo si cela l'abisso situato su quel confine sottile tra la vita e la morte. Presi singolarmente i vari personaggi sono persi, fragili ampolle di cristallo destinate a frantumarsi in mille pezzi. 

Quando c'è da espiare, la vita è più facile, nulla ti tocca, nulla ti piace, la navigazione è rassicurante e placida: è come essere in galera... ma le sbarre sono le tue, e la guardia che ti chiude in cella ha la tua faccia

Tante solitudini destinate a formare una strana famiglia. Unire i propri dolori, essere ognuno il sostegno dell'altro, superare i silenzi e le separazioni, diventa un'ancora di salvezza. Persone che prima non si conoscevano, coinvolte in un'indagine complessa e drammatica, finiscono per oltrepassare insieme il confine tra colpa e innocenza, tra verità e bugia, tra bene e male. In questa ragnatela affettiva si può comunicare moltissimo anche senza le parole. Basta uno sguardo, una carezza improvvisa, un abbraccio. 

Siamo parte di un'unica, gigantesca cellula umana che soffre. 

Romanzo corale in cui le vite dei personaggi si intrecciano come fili di un unico tessuto: 

Zac, il ragazzino schizofrenico, era felice di avere i suoi amici morti con cui stava benissimo, assai meglio di come stava con i suoi pochi amici vivi che erano noiosi e tristi. 

Fabrizio Mieli, il suo analista, è un uomo in crisi. Il suo matrimonio sta naufragando e lui si ritrova a lottare con i propri demoni interiori. 

Aurora, luminosa mamma di Zac, è una donna in cui convivono dolore e amore per la vita. 

Raimondo Buccini, medico legale scorbutico ma pronto all'amicizia. 

Bruno Ligabue, commissario di polizia, tormentato dal rimorso e dal dolore più profondo che si possono immaginare. La sua vita è tenuta in piedi grazie alla tenacia e alla passione per il lavoro. 

Brenda, donna dal carattere forte, che proverà a far uscire Ligabue dal suo isolamento. 

Agostina Picariello, la pm che segue il caso, combatte il suo buio personale con certezze granitiche e razionali. Convive con i fantasmi del passato rinchiusi in avvenimenti che non vuole ricordare. È brusca, priva di empatia e cinica. Il conflitto tra la pm e il commissario è immediato: Agostina è convinta che il colpevole sia Zac, Bruno non è d'accordo. 

Il confine è sottile, sottilissimo. Una carta velina. Sei da questa parte, e un attimo dopo sei dall'altra. Tutti abbiamo un confine sottilissimo, la linea di demarcazione che separa un attimo dall'altro. 

Ognuno di noi ha sperimentato sulla propria pelle "le mille morti che affollano le nostre vite; quegli attimi indelebili e fuggenti che ti fanno morire restando vivo." 

Subire una violenza, perdere una persona cara, cercare la propria identità, nascondersi dietro una maschera che non ci appartiene, sono confini segnati dalla sofferenza, dai sensi di colpa, dalla mancanza di coraggio. 

Intenerisce il cuore anche la presenza, nel romanzo, di Bulli, il cane psicotico a cui Bruno aprirà le porte della sua casa e del suo cuore. Bulli, dopo aver sofferto tanto, finalmente è un cane amato che ha una possibilità di felicità. 

"Quel confine sottile" è un romanzo con un profondo senso di umanità. Un'umanità sicuramente fragile e in difficoltà che la vita ha messo a dura prova. Man mano che la lettura procede si delinea all'orizzonte la soluzione del caso, ci saranno anche le rivelazioni dei personaggi e le loro verità più profonde affioreranno come era affiorato il cadavere di Juliette dal fiume. 

Tra i tanti personaggi il mio cuore è stato conquistato da Zac, il ragazzino che vive tra il mondo reale e quello dei suoi fantasmi. 

Zac assomigliava alla natura più incontaminata: era come un temporale, un grillo, un prato in piena fioritura, o una grande aquila che va dove le pare. La natura come armonia ed equilibrio, la natura che non si stupisce, che vive e muore e vive ancora, senza alcuna differenza. 

"Quel confine sottile" è un noir dal sapore amaro che sonda i confini invisibili che, per essere oltrepassati, reclamo un pagamento in lacrime e dolore. Oltrepassare quella linea di demarcazione vuol dire entrare in un luogo di possibilità e ospitalità, punto di incontro e rifugio, dell'ascolto reciproco. Il confine diventa una linea di contatto che non solo separa, ma anche unisce dando ai protagonisti la possibilità di condividere e vivere le emozioni con intensità adeguata. Rafforza il senso di appartenenza, si scopre di essere parte di qualcosa, di poter gestire i sensi di colpa, la rabbia, la frustrazione, il senso di oppressione. 

La lettura di questo romanzo alterna momenti di calma riflessione a lampi improvvisi di brutalità, rispecchiando la dualità di alcuni personaggi. Si respira sicuramente un'atmosfera malinconica frutto di uno scavo nelle emozioni e nei ricordi. 

É una storia che parla di scelte, di cambiamenti, di speranze. Se guardate con attenzione la cover, noterete i bastoncini del gioco Shanghai. 

Il gioco consiste nel far cadere i bastoncini su un tavolo, occorre poi sfilare un bastoncino alla volta senza urtare gli altri. Potremmo considerare questo gioco come metafora della vita. È possibile, nell'esistenza, non urtare coloro nei quali per sorte ci si imbatte? Le vite dei protagonisti sono in costante movimento alla ricerca di un po' di equilibrio. In un sistema condiviso di regole si può avere libertà di scelta, soddisfazione e felicità, senza recar danno agli altri. I bastoncini rappresentano anche i problemi che incontriamo. Affrontarli tutti in una volta è impossibile. Eliminare un bastoncino alla volta vuol dire risolvere un problema alla volta alleggerendo la matassa che ci immobilizza. Strategie di gioco che si fanno strategie di vita per rielaborare la libertà del movimento personale senza recar danno. Lo sanno bene tutti i protagonisti, basta un attimo per cambiare il corso degli eventi. Tuttavia vivere è ancora bello. Così nella strana famiglia che si formerà in nome di una reciproca e potente pietà, alla fine ognuno troverà il suo posto. Almeno per un po'.

martedì 29 luglio 2025

RECENSIONE | "La cameriera silenziosa" di Mary Watson

"La cameriera silenziosa" (Piemme, traduzione di Cristina Ingiardi) è il primo romanzo pubblicato in Italia della pluripremiata autrice sudafricana Mary Watson.

La cameriera silenziosa non è la polvere che vuole trovare... É il marcio. 

Esmie pulisce le case dei ricchi. Invisibile, osserva e annota. Ma ora è tornata per vendicarsi.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La cameriera silenziosa
Mary Watson

Editore: Piemme
Pagine: 416
Prezzo: € 19,90
Sinossi

Esmie è invisibile. È soltanto una donna delle pulizie dall'accento straniero di cui nessuno si interessa. Con la sua uniforme, leggings e piumino per spolverare, può esplorare le case dei ricchi senza essere notata. Un'estranea che si muove silenziosa ai margini delle vite privilegiate degli altri. Ma mentre attraversa l'esclusivo quartiere residenziale dei Woodlands, pulire è l'ultimo dei suoi pensieri. Calpestando in silenzio parquet lucidi e tappeti soffici come nuvole, Esmie raccoglie i resti di matrimoni distrutti, inganni nascosti e fallimenti. Custodisce quei frammenti, li tiene al sicuro. Per ora. Perché uno dei residenti le ha portato via la persona che amava di più. Non è lì per pulire. È lì per vendicarsi. E userà le armi che i suoi datori di lavoro le hanno affidato senza saperlo, insieme alle chiavi delle loro case: i loro stessi segreti...





Si muove tra le stanze della tua casa, discreta, invisibile, spietata, conosce tutti i tuoi segreti e li userà per distruggerti. Esmie è invisibile. È soltanto una donna delle pulizie dall'accento straniero di cui nessuno si interessa. 

Esmie è destinata a essere invisibile. Addetta alle pulizie in un esclusivo complesso residenziale irlandese, Esmie si confonde con l'ambiente, entrando e uscendo da cucine e cabine armadio, osservando la vita domestica perfetta dei suoi clienti. Queste famiglie privilegiate vedono solo una donna silenziosa con uno straccio in mano, che parla con un accento che non si preoccupano di identificare. Esmie sa bene che i suoi datori di lavoro non la vedono veramente. Per loro è una straniera che pulisce i loro pasticci. Esmie è venuta in questo quartiere per un solo scopo, uno solo. Vendetta. Armata di uno spolverino e di un piano astuto, Esmie potrebbe presto ritrovarsi invischiata con le stesse persone che era venuta a distruggere. Tra loro, infatti, si nasconde chi le ha portato via la persona che ama di più. 

"La cameriera silenziosa" è una storia cupa che scava nelle illusioni dorate di una società protetta, rivelando le scomode verità che si celano dietro le sue levigate facciate di privilegio. È un thriller a lenta combustione che prende fuoco nella parte finale, le informazioni sono date con grande parsimonia e i personaggi, ricchi e snob, non brillano per amabilità anzi sono decisamente antipatici. Non sono riuscita a legare con nessuno di loro, anche Esmie non è una narratrice del tutto affidabile. Tutto concorre a creare una trama che si sviluppa in una duplice linea temporale costellata da violenza domestica, matrimoni finiti, inganni silenziosi e fallimenti, senso di superiorità. 

È una lettura piacevole con una protagonista che si aggira ai margini del privilegio e usa i segreti dei padroni di casa come arma per ottenere la sua vendetta. Il noir domestico è un biglietto per un viaggio psicologico nella società dove si muovono persone non del tutto integrate e che svolgono un lavoro invisibile. Esmie ha un posto in prima fila per osservare la vita dei suoi padroni che, nel consegnarle le chiavi di casa le hanno affidato anche i loro lati più privati e nascosti. 

"La cameriera silenziosa" si propone come un apprezzabile gioco di scatole cinesi. I personaggi si muovono su un territorio moralmente scivoloso, dove fanno bella mostra di sé le dinamiche, le invidie e le relazioni che intercorrono tra loro. Il romanzo mostra un mondo opaco, all'apparenza tranquillo, spesso crudele, abitato da maschere e falsità. I piani narrativi sono apparentemente semplici. La storia, narrata dall'inaffidabile Esmie, si frantuma in tanti piccoli quadri che ci permettono di conoscere "i privilegiati" tenuti sotto osservazione dalla protagonista. 

Conosceremo Amber e suo marito Linc, Ceanna, che ha perso marito e figlio in un incidente stradale, Isabelle e il consorte Paul. Con loro respireremo un'aria pregna di avidità, di benessere materiale, di gelosie. Tutti si lasciano guardare e ammirare, ma celano la loro vera essenza. Scoperchiando l'immortale vaso di Pandora, vedremo in azione un accademico ossessionato da una poetessa defunta; un medico che esercita un controllo coercitivo sulla moglie; una moglie che ama intrattenersi con i giovani studenti del marito. 

"La cameriera silenziosa" è un arco teso alla ricerca della verità. Ho letto questo libro con piacere trovandomi al cospetto di una montagna di segreti. Ciò che mi ha maggiormente coinvolta è il quadro, che l'autrice dipinge, di una società ricca di anfratti oscuri. 

Dietro alle relazioni ufficiali, ai sorrisi smaglianti, al benessere economico, si nascondono silenzi, manipolazioni, verità che nessuno vuole ascoltare. Del romanzo si apprezza la tensione che nasce dalla "ricerca", tra i non detti e le menzogne, tra apparenza e verità. 

É una storia che si riflette in specchi deformanti, che apre finestre su microcosmi chiusi, che porta la luce in situazioni buie. Dubbi e inquietudini, rivelazioni e ossessioni, modellano "chiavi" per aprire stanze chiuse, casseforti, in cui sono custoditi segreti da strappare all'oblio. Ogni personaggio è intrappolato in un dolore, in una lacerazione che cerca di nascondere. La fiducia non abita nelle pagine appena lette, ogni rivelazione può essere un inganno. Il male non alza la voce, non dà spettacolo, è silenzioso e agisce nell'ombra, nascosto nella quotidianità. Le sue conseguenze, invece, possono essere molto evidenti e dolorose. 

"La cameriera silenziosa" è un'ombra silenziosa, ma sempre presente, che conosce ogni angolo della casa e ogni segreto dei suoi abitanti. Da leggere tra parole e silenzi.

sabato 26 luglio 2025

RECENSIONE | "Butterfly" di Martta Kaukonen

Tra i romanzi psicologici più letti del 2025 c'è senza dubbio "Butterfly" (Longanesi, traduzione di Delfina Sessa) il romanzo d'esordio della finlandese Martta Kaukonen, giornalista e critica cinematografica. 

Si tratta di una storia avvincente che vede protagonista due donne legate da una catena di abusi e dalle loro conseguenze: Ira, una paziente pericolosa, assassina seriale in cerca di un alibi; Clarissa, una psicologa affermata e nota in tutto il Paese. Entrambe, però, nascondono dei segreti e iniziano un crudele gioco fatale in cui niente è come appare.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
Butterfly
Martta Kaukonen

Editore: Longanesi
Pagine: 320
Prezzo: € 18,60
Sinossi

Ira ha un destino scritto nel nome. È nel fiore dei vent'anni, è brillante, ma le ossessioni la divorano, la consumano, mettono in pericolo lei e gli altri. Clarissa è una psicologa affermata, famosa in tutta la Finlandia, una star dei talk show dove compare in tailleur griffato e tacco dodici perché vuole rispondere a un cliché. È a lei che Ira si rivolge per chiedere aiuto. Anche se certo non l'aiuto che Clarissa immagina. Ira infatti ha soprattutto bisogno di un alibi. Perché è un'assassina seriale, una spietata killer di uomini. D'altra parte nemmeno Ira immagina cosa si nasconde dietro l'aspetto impeccabile di Clarissa, quali rischi stanno correndo la sua brillante carriera e la sua vita. Chi dunque deve decifrare l'altra? La folle serial killer che si dipinge come una farfalla o la professionista che sorride sulle copertine dei magazine? Le parole occultano, manipolano, ingannano o guariscono? Come in una vertiginosa psicoterapia a cui il lettore ha il privilegio di assistere, Ira e Clarissa prendono a turno la parola per spiegare il proprio punto di vista, crearsi la propria via d'uscita. Alla fine non ci sarà più nessuno a cui credere, e al tempo stesso tutto sembrerà terribilmente chiaro.





Perché dovrei raccontarvi tutti i particolari della gabbia? Voi non mi conoscete. Per voi io non sono altro che parole su carta. Potrei essere tanto il personaggio di un romanzo quanto una persona reale.

Ira, ventenne brillante ma consumata dalle sue ossessioni, si rivolge alla rinomata psicologa Clarissa. 

Ma la terapia si trasforma presto in un gioco letale. Ira non cerca aiuto ma un alibi per coprire i suoi crimini. Dietro il sorriso impeccabile e il successo di Clarissa si nascondono invece segreti altrettanto inquietanti. Chi manipola chi? La folle serial killer che si dipinge come una farfalla o la professionista che sorride sulle copertine dei magazine? 

Voci narranti lucide e inquiete, lacerate tra opposti sentimenti, raccontano ognuna la propria storia. Tuttavia le parole occultano, manipolano e ingannano. Tante bugie e una sola verità. 

La parola ti scava dentro. La parola ti seduce. La parola ti inganna. E non ti lascia scampo.

Ira, ha un destino scritto nel nome, vent'anni che pesano come un macigno, racconta di essere una serial killer. Nel suo passato c'é l'inferno lastricato anche da allucinazioni, dall'anoressia e dai tentativi di suicidio. É vittima della sindrome da dolore auto inflitto e ha deciso di chiamarsi Butterfly. In passato aveva chiesto aiuto e sostegno, ma nessuno l'aveva ascoltata. In terapia racconta il suo disagio e la violenza che prova verso gli uomini. Una diagnosi di infermità mentale potrebbe, in futuro, farle comodo. 

C'era troppo sangue nella stanza. No, non avevo scritto le parole delle canzoni dei Beatles sulle pareti con il sangue, come la Manson Family. Però sul tappeto c'era una macchia enorme. Non era a forma di cuore, era una di quelle macchie d'inchiostro in cui chi fa i test psicologici dice di vedere una farfalla perché non ha il coraggio di ammettere che sembra una vagina.

Clarissa è una donna affermata, empatica, specialista in materia di violenza e abusi sessuali. Tutti riconoscono in lei una figura di spicco nel suo campo in Finlandia. Star dei talk show. Impeccabile in tailleur griffati e tacchi a spillo, è sempre pronta a sfidare ogni cliché. 

Noi donne dobbiamo sempre dimostrare di essere competenti, mentre negli uomini la competenza si dà per scontata. Gli uomini hanno paura delle donne intelligenti. Fortunatamente avevo uno stratagemma per compensare, agli occhi degli uomini, il fatto che la mia intelligenza minasse la loro fragile autostima: mi rimpicciolivo come Mignolina indossando gli indumenti più sexy del mio guardaroba. Il mio modo di vestire li calmava.

Pekka, marito di Clarissa, vive all'ombra della moglie. É ossessionato dall'idea che la moglie possa avere un'amante. É determinato a difendere il suo matrimonio e autoassolve i suoi peccatucci. 

Arto, giornalista alcolizzato cinquantenne, ha la possibilità di un riscatto lavorativo: deve intervistare Clarissa per il principale giornale finlandese con cui saltuariamente collabora. L'intervista ha lo scopo di scoprire notizie piccanti sulla vita privata della psicologa. 

Come in una vertiginosa psicoterapia a cui il lettore ha il privilegio di assistere, Ira e Clarissa prendono a turno la parola per spiegare il proprio punto di vista, crearsi la propria via d'uscita. Alla fine non ci sarà più nessuno a cui credere, e al tempo stesso tutto sarà terribilmente chiaro. 

Una storia psicologicamente complessa che si articola in capitoli brevi che si alternano dando voce a ogni personaggio. All'inizio si procede un po' lentamente, rimbalzando tra i protagonisti nel vano tentativo di scegliere con chi schierarsi, chi incoraggiare e chi detestare. Tutto inutile, le carte si mescolano continuamente, le cose forse non sono come sembrano e ci si ritrova in trappola. Non fidarsi di loro è una saggia scelta, sono tutti narratori inaffidabili che scoprono le loro debolezze. 

"Butterfly" è un thriller psicologico atipico che esplora il lato oscuro della psicanalisi e della mente umana. Non ci sono omicidi e relative indagini, ma tutto è concentrato su qualcosa successo in passato e sulle sue conseguenze. Il bozzolo nero esplode per lo svelarsi di abusi e traumi, rabbia e vendetta, sogni infranti e sbornie frequenti. Ho cercato di trovare il bandolo della matassa nel tentativo di ridurre il tutto all'eterna lotta tra il male e il bene, ma ho trovato solo il male coniugato in mille modi. Il fascino del romanzo è tutto nel gioco perverso e pericoloso che intercorre tra i protagonisti. Tutti si muovono su un territorio minato da inganni e menzogne. L'ambiguità regna sovrana, si nutre di vite disperate che gridano il loro dolore per squarciare realtà taciute. Entrare nella mente di Ira, vuol dire venire a contatto con il perturbante mondo di una serial killer e su come percepisce la realtà. 

Uccidere era l'unica cosa che mi rimaneva. Senza uccidere mi restava solo il deserto. Ogni individuo ha un'identità. A me mancavano i pilastri per la costruzione dell'io. Ero un quadro bianco, una tela vuota. Avevo dovuto dipingere da sola la mia immagine. 

Un altro punto di forza del thriller è il rapporto tra psicologa e paziente. Clarissa e Ira si studiano a vicenda, si fronteggiano e si sfidano mettendo in atto dinamiche di potere, fiducia e vulnerabilità che sono alla base del rapporto terapeutico. 

"Butterfly" affronta tematiche forti e pone in primo piano il terribile problema della pedofilia, le conseguenze terribili degli abusi, la devastazione della psiche. È un incubo che si fa realtà. Un labirinto della mente da esplorare che rende inefficaci i test di Rorschach e di Beck sulla depressione. Nel segno di un dolore inascoltato e calpestato, Ira è un enigma vivente da decifrare. 

"Butterfly" è un gioco psicologico letale che coinvolge Ira e Clarissa, paziente e terapeuta. Inganni e tensioni, realtà e finzione si intrecciano per confondere noi lettori deliziati da tante ambiguità e pronti a seguire la più labile pista per scoprire la verità in una società spietata con i soggetti più vulnerabili. Chi è il vero mostro?

mercoledì 23 luglio 2025

RECENSIONE | "La casa dei cadaveri" di Jeneva Rose

 "La casa dei cadaveri" (Newton Compton Editori) di Jeneva Rose, è un thriller domestico che promette suspense, colpi di scena e un viaggio nei meandri più oscuri di un passato inquietante che riaffiora con conseguenze devastanti.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La casa dei cadaveri
Jeneva Rose

Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Prezzo: € 12,90
Sinossi

Alla morte della madre, Beth, Nicole e Michael sono costretti a rivedersi dopo tanto tempo per discutere dell’eredità. Beth, la più grande, non è mai riuscita ad accettare l’abbandono del padre, tanto da farne un’ossessione che ha distrutto il suo matrimonio e il rapporto con sua figlia. Nicole, la sorella di mezzo, a causa di una grave dipendenza dalle droghe è stata sempre tenuta a distanza dalla famiglia. Infine, Michael, il più giovane, si è trasferito lontano e non ha mai più messo piede nella piccola città del Wisconsin da quando il padre è fuggito. Mentre esaminano le cose dei genitori, i tre fratelli si imbattono in una raccolta di video amatoriali e decidono di rivivere quei ricordi felici. Tuttavia, l’operazione nostalgia viene interrotta quando uno dei nastri VHS mostra una notte del 1999 di cui nessuno di loro ha memoria. Sullo schermo, il padre appare coperto di sangue. Poi, il cadavere di una ragazzina e un patto tra i genitori per sbarazzarsene, prima che il video si interrompa bruscamente. Beth, Nicole e Michael devono ora decidere se lasciarsi il passato definitivamente alle spalle o scoprire l’oscuro segreto che la madre ha portato con sé nella tomba.





La videocamera cade a terra. L'immagine della ragazza è di traverso, adesso è inquadrata da un'altra angolazione. Gli occhi azzurri sono offuscati quasi fossero stati immersi nel latte, sembrano due diamanti Blu di Francia che fluttuano in fondo al mare, persi per sempre. Fissano l'obiettivo, ma è come se stessero guardando me per chiedere aiuto con ventitré anni di ritardo, come la luce di una stella esplosa da tempo che finalmente arriva fino a noi.

Alla morte della madre, Beth, Nicole e Michael sono costretti a rivedersi dopo tanto tempo per discutere dell'eredità. 

Beth, la maggiore, non ha mai superato l'abbandono del padre e questo evento è diventato la sua ossessione distruggendo il suo matrimonio e il rapporto con sua figlia. Beth è bloccata in un limbo, incapace di vivere. È rimasta a vivere con la madre, prendendosi cura di lei fino alla fine. 

Nicole, la sorella di mezzo, combatte contro una grave dipendenza dalle droghe. È stata sempre tenuta a distanza dalla famiglia. Il suo comportamento imprevedibile la rende inaffidabile e pericolosa. 

Infine Michael, il più giovane, si è costruito una vita lontano dalla famiglia e non è più tornato nella loro piccola città del Wisconsin da quando il padre è fuggito. È diventato un imprenditore tecnologico di successo e le sue sorelle sono invidiose di lui. 

Mentre esaminano le cose dei genitori, i tre fratelli trovano una raccolta di video amatoriali e decidono di rivivere quei ricordi felici. Scelgono una dei nastri VHS che reca una data: 15 giugno 1999. Pessima scelta. Sullo schermo appare il padre coperto di sangue accanto al cadavere di una ragazzina e un patto tra i genitori per sbarazzarsene. Il video si interrompe senza svelare altro e ora i tre fratelli devono decidere se far finta di nulla e dimenticare ciò che hanno visto o scavare nel passato per scoprire la verità. Un oscuro segreto aleggia sulla famiglia. 

"La casa dei cadaveri" è una pericolosa rete di misteri e bugie, è un gioco irresistibile di rivelazioni e ambiguità. L'atmosfera è sempre più cupa: tutto sembra tranquillo ma, dopo la visione della videocassetta, iniziano a succedere cose strane. L'autrice usa i rapporti familiari per portarci nel cuore del romanzo. Ognuno dei protagonisti ha qualcosa da nascondere che lo avvelena. C'è un equilibrio tra il non detto e ciò che viene esplicitato, tutto ciò crea dubbi nel lettori. Fin dall'inizio sarete indecisi con chi schierarvi. Il confine tra bene e male è sfumato, la storia non ci presenta comode dicotomie: tutti possono essere innocenti quanto colpevoli. 

Jeneva Rose ci presenta dei personaggi tutti diversi tra loro ma tutti ben caratterizzati. Ognuno con i suoi pregi e difetti, con la sua personalità. Tutti hanno un passato alle spalle, alcuni sono sconfitti dalla vita e hanno rinunciato a cercare la rinascita, altri sono vittoriosi ma hanno dentro un dolore, misto a rabbia, inafferrabile, un canto triste appena sussurrato. 

La vita è quella cosa che capita tra i battiti del nostro cuore. Se lui martella troppo velocemente, noi non abbiamo spazio per vivere. 

La narrazione è lineare, la scrittura semplice e i capitoli brevi consentono una lettura veloce. Nel romanzo si affrontano varie tematiche come il rapporto genitore-figli, la voglia di riscatto e l'accettazione delle conseguenze delle proprie azioni. Tra le righe emerge una grande verità: per proteggere le persone che amiamo si finisce per prendere decisioni sbagliate anche se lo si fa per una buona causa. Altri temi universali che fanno capolino sono la morte, il dolore, il rimpianto e il senso di colpa. Il romanzo parla di amore incondizionato, di compassione e di perdono. Grandi sfide che ci mettono a dura prova. A volte i mostri non si celano sotto i nostri letti, non occupano i nostri armadi ma sono accanto a noi. 

Questo è il primo romanzo che ho letto di Jeneva Rose e non sono rimasta delusa. Anche se ho compreso la verità abbastanza presto, ciò non ha influito sul piacere della lettura. Ero infatti ansiosa di scoprire tutti i dettagli, i "perché", i "non detto". 

Ho trovato intrigante il modo in cui i fratelli gestivano i rapporti tra di loro con tanti litigi, invidia e meschinità. Tutti si mostrano imperfetti e poco simpatici: Beth è infelice, Nicole cerca di uscire dalle paludi della tossicodipendenza e Michael ha una grande autostima di sé. 

A mano a mano che le pagine scorrevano, mi sentivo sempre più coinvolta in questo gioco d'investigazione. Questa è la storia di una famiglia, di amori all'eccesso, del male che cresce. Tutto ha inizio in una casa deliziosamente inquietante, la casa dei cadaveri dove è più grave svelare i crimini che commetterli. Tuttavia "Tre cose non possono essere nascoste a lungo: il Sole, la Luna e la Verità." (Buddha)