martedì 20 aprile 2021

RECENSIONE | "La fattoria del Coup de Vague" di Georges Simenon

“La fattoria del Coup de Vague” è un bel romanzo di uno dei più grandi scrittori del Novecento, il belga Georges Simenon. Questa nuova pubblicazione per Adelphi, nella traduzione di Simona Mambrini,  è un’ulteriore testimonianza della  bravura di Simenon nel dipingere le anime inquiete che si muovono dietro la rispettabilità della gente semplice di provincia. Il libro è stato scritto a Beynac, in Dordogna, nel 1938, ed è apparso prima a puntate sul settimanale “Marianne” e poi in volume nel febbraio del 1939.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
La fattoria del Coup de Vague
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 142
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Ogni mattina, da tutte le case prospicienti la spiaggia denominata, quasi fosse un presagio, Le Coup de Vague (alla lettera: «il colpo d'onda»), avanzano, nella melma e nei banchi di sabbia lasciati dall'oceano che via via si ritira, i carretti dei mitilicoltori che vanno a raccogliere ostriche e cozze. Tra loro, Jean e sua zia Hortense, «coriacea, granitica, solida», quasi fosse «fatta anche lei di calcare». È Hortense, insieme alla sorella Émilie, con la sua «faccia da suora», a mandare avanti la casa e l'azienda. E dalle zie Jean si lascia passivamente coccolare e tiranneggiare: gli va bene così, ha una motocicletta nuova, le partite a biliardo con gli amici e tutte le donne che vuole, perché è un pezzo di marcantonio, con i capelli neri e gli occhi azzurri. Quando però la ragazza che frequenta da alcuni mesi gli annuncia di essere incinta, la monotona serenità della loro vita viene travolta da qualcosa che assomiglia proprio a un'ondata, improvvisa, violenta. A sistemare la faccenda ci pensa, naturalmente, zia Hortense: basta conoscere il medico giusto, e pagare. Ma qualcosa va storto, e Jean è costretto a sposarla, quella Marthe pallida, spenta e sempre più malata, di cui le zie si prendono cura con zelo occhiuto e soffocante... 


La fattoria del Coup de Vague era quasi altrettanto irreale: una casa rosa, di un rosa troppo intenso, con un filo di fumo che prolungava il comignolo al di sopra della spiaggia di ciottoli, dove di lì a poco i carretti avrebbero ripreso contatto con la terraferma.

Ogni giorno da tutte le case prospicenti la spiaggia denominata Le Coup de Vague, avanzano, nella melma e nei banchi di sabbia lasciati dall’oceano che via via si ritira, i carretti dei miticoltori che vanno a raccogliere cozze e ostriche. Tra loro, Jean e sua zia Hortense “coriacea, granitica, solida, sembrava fatta anche lei di calcare come le ostriche e le rocce”. È proprio Hortense, “una virago, robusta come un uomo, che comanda tutti a bacchetta”, a mandare avanti insieme alla sorella Emilie, la casa e l’azienda.

Come zia Hortense, anche zia Emilie era sempre vestita di nero e come lei non perdeva mai la calma e la dignità che le rendevano diverse dagli altri.

Jean ha sempre vissuto felicemente con le sue due zie, nel villaggio di Marsilly, non lontano da La Rochelle. Gli piace il suo lavoro, la sua moto e di tanto in tanto una partita a biliardo. È un bel ragazzo di ventotto anni, alto e robusto, con i capelli neri e gli occhi azzurri, e ha tutte le donne che vuole. La vita gli sembra semplice, senza mistero. Si lascia passivamente coccolare e tiranneggiare dalle due donne, ma un “coup de vague” (alla lettera: “il colpo d’onda”) sconvolgerà ogni cosa. Infatti l’apparente tranquillità delle sorelle Laclau rischia di andare in frantumi con l’arrivo della giovane Marthe, la sposa del loro amatissimo e viziato nipote Jean. Marthe è incinta e Jean la sposa senza amarla. Le zie gli dicono di non preoccuparsi e lui non si preoccupa. Il giorno del matrimonio tutto è forzato, artificiale. Da quel momento il ragazzo scoprirà che il villaggio non è così sereno come sembra e che le zie nascondono verità mai dette.

“Le zie avevano un certo modo di essere, di parlare, di vivere, di esprimersi per sottointesi, con continue reticenze e sospiri.”

Marthe e Jean vivranno a Coup de Vague. La giovane sposa ha una salute fragile e rimane costretta a letto per lunghi periodi. È pallida, spenta e sempre più malata. Di lei si occupano, con solerzia quasi soffocante, le zie ma la salute di Marthe peggiora. Jean si sente sempre più distante dalla moglie e l’atmosfera in casa diventa opprimente. Allora le zie organizzano per il nipote un viaggio di lavoro ad Algeri. Non chiedono il suo parere, lo mettono davanti al fatto compiuto come se la sua assenza fosse necessaria per risolvere una certa situazione che si trascina da mesi. Poteva lui opporsi al volere delle due donne? Certo che no! Così il ragazzo parte e la sua sposa rimane sola in casa con le due zie. Al suo ritorno Jean troverà drammatiche novità e verrà colto da un timido e fugace tentativo di assumersi le proprie responsabilità. Tutto durerà il tempo di un batter di ciglia. La vita continua, il lavoro non può aspettare, così le giornate organizzate dalle zie riprenderanno il loro inesorabile fluire scandite dalla ripetizione di azioni sempre uguali cancellando i ricordi. Jean si rifugia nel bozzolo cupo, ma anche rassicurante, dei legami familiari.

Povero Jean, pedina passiva in un gioco che non comprende! Le zie gli avevano detto che era figlio del loro fratello Lèon, morto in Gabon, e di una ragazza morta nel darlo alla luce. Tuttavia lui non si chiamava Laclau, come le zie, ma Jean e basta. Ciò non lo disturbava più di tanto. Eppure…

Jean si rendeva conto che il paese che conosceva, quel paese immobile in cui ciascuno era al proprio posto, una volta era popolato da una gioventù irrequieta, e che la facciata di solidità era stata raggiunta solo a furia di amorazzi e di matrimoni, ma sicuramente anche di litigi, crisi di disperazione e sfuriate!

Nel villaggio c’era un certo compiacimento nel vedere i giovani ripetere gli stessi errori dei loro genitori. Per Jean non esistevano ambizioni, desideri da realizzare, pensava di essere in una botte di ferro visto le floride attività di famiglia. Le zie onnipresenti venivano chiamate, in paese, le due megere che ottenevano sempre ciò che volevano. Eppure…

Tutti, nel villaggio, alludevano a fatti che lui non conosceva. Sussurravano al suo passaggio, lasciavano le frasi sospese a metà, parlavano con gli occhi e tenevano la bocca chiusa.

“La fattoria del Coup de Vague” appartiene alla serie dei  romanzi duri , quelli in cui non compare il commissario Maigret, personaggio letterario creato da Simenon. Con una scrittura apparentemente semplice, essenziale, studiata, con dialoghi brevi e con poche e calibrate parole, l’autore descrive la natura umana come un miscuglio inestricabile di bene e male. Nel romanzo non ci sono crimini specifici, nessuna morte violenta o sospetta, nessuna indagine poliziesca eppure si respira un’aria di azioni malvagie perpetuate dai vari personaggi. Infatti lo scrittore crea atmosfere molto dense in cui gli uomini si tolgono la maschera per mostrare il loro lato oscuro, smascherando fragilità e debolezze. Il passato, il presente, il futuro sono legati da un destino che non concede alcuna possibilità di cambiamento. Jean è spettatore della sua vita, non ne diventa mai protagonista. Se ha qualche anelito di ribellione, lo soffoca subito vivendo come sotto l’effetto di una perpetua anestesia.

“La fattoria del Coup de Vague” è un romanzo duro perché tratta temi spinosi che mettono a nudo un universo di ordinaria infelicità abitato da vecchi fantasmi e segnato da ferite mai rimarginate.

Lo scrittore apre i cassetti segreti del villaggio e mostra i suoi abitanti con le loro contraddizioni, con i drammi cha hanno radici nel passato e si riflettono sul presente. Simenon traccia anche qui, come nella maggior parte dei suoi lavori, una galleria di ritratti femminili che animano il romanzo. Le donne sono le vere protagoniste di questa vicenda narrata. Alcune sono sottomesse e accettano mariti violenti.  Altre ripercorrono la strada della docilità perché è l’unico esempio di vita matrimoniale che conoscono, decise a non decidere si lasciano trasportare dal destino. Poi ci sono le donne che non necessitano di un uomo per affrontare la vita. Sono donne indipendenti che decidono tutto per tutti e non si fermano mai a soppesare le conseguenze delle loro azioni. La cattiveria altrui scivola sui loro volti impassibili anche nei momenti più bui. Eppure…

2 commenti:

  1. Ho letto un romanzo soltanto di Simenon e c'era Maigret; volentieri leggerei qualcos'altro di suo che non sia necessariamente legato a quel personaggio; come sempre le tue recensioni stuzzicano il mio interesse!

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    1. Anch'io conoscevo Simenon solo per essere il creatore del commissario Maigret, poi ho iniziato a leggere altri suoi lavori scoprendo la sua ricchezza narrativa :)

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