“Due vite” di Emanuele Trevi, nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 2021 per Neri Pozza, è un libro in cui l’autore ricorda le vite brevi, ma intense e preziose, degli scrittori Rocco Carbone e Pia Pera. Trevi racconta la loro amicizia, i loro caratteri e il loro rapporto con la scrittura e la letteratura. Di quel gruppo di giovani letterati, solo Trevi è rimasto a tratteggiare, con affetto, le vite dei suoi due amici scomparsi prematuramente: Carbone è morto in un incidente stradale nel 2008, Pia Pera per una malattia neurodegenerativa nel 2016. Per apprezzare questo libro, non occorre conoscere già i protagonisti.
Scrivere di una persona reale o scrivere di un personaggio immaginato alla fine dei conti è la stessa cosa: bisogna ottenere il massimo nell’immaginazione di chi legge utilizzando il poco che il linguaggio ci offre.
STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7 |
Emanuele Trevi
Era una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre di più con l’andare del tempo, al proprio nome. Fenomeno inspiegabile, ma non così raro. Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un’ostinazione, una rigidità del regno minerale. A patto di ricordare, con i vecchi alchimisti, che non esiste in natura nulla di più psichico delle pietre e dei metalli.
Certo, Pia era «sfrontata», come afferma Albinati. Ma era anche timida, sicuramente. Come è possibile che conteniamo in noi tante cose disarmoniche e spaiate, manco fossimo vecchi cassetti dove le cose si accumulano alla rinfusa, senza un criterio? La Pia che molti ricordano, anche grazie a certi suoi bellissimi libri, la Pia matura e poi malata, mise in atto dei tali processi di semplificazione e di pulizia interiore, che si sarebbe quasi tentati di dire che le difficoltà della vita rendano le persone migliori e più forti.
Rocco Carbone nasce a Reggio Calabria nel 1962, ma trascorre buona parte della sua infanzia in un paesino dell’Aspromonte, Cosoleto: un posto di gente dura e taciturna, incline a una rigorosa amarezza di vedute sulla vita e sulla morte. Emanuele Trevi lo conosce nell’inverno del 1983, quando è giunto a Roma per iscriversi a Lettere. Parlare della vita di Rocco, scrive Trevi, vuol dire parlare anche della sua infelicità, tratteggiarne la personalità bipolare e a tratti sadica, il carattere spigoloso.
L’infelicità. E i suoi gaddiani gomitoli di concause. Parlare della vita di Rocco significa necessariamente parlare della sua infelicità, e ammettere che faceva parte della schiera predestinata dei nati sotto Saturno.
Pia Pera cresce a Lucca in una famiglia colta, originale ed eccentrica. Studia Filosofia all’università di Torino e dopo un dottorato in storia russa alla University of London inizia a insegnare letteratura russa ma delusa dall’ambiente accademico, decide di occuparsi di un fondo abbandonato a San Lorenzo, dedicandosi alla cura del giardino. La Natura diventa una tela su cui scrivere, il giardino si contrappone alla malattia, le piante sembrano capire e condividere la sua sofferenza.
Ma Pia, nonostante tutte le apparenze, non era una “ragazza di città”. Era nata per piantare semi, zappare, concimare. E se ne era resa conto in tempo. Quello che consideravo un rischio esistenziale per lei, nell’erronea convinzione che sradicarsi da Milano fosse una frustrante e scomoda chimera, si rivelò nel tempo, dopo un necessario apprendistato pieno di fatiche ed errori, un colpo vincente.
Quando Trevi la incontra, Pia è una trentenne spavalda e maldestra, brillante anticonformista e generosa.
Pia, la «signorina inglese», una specie di Mary Poppins all’incontrario, per nulla pedagogica, dotata di pericolose riserve di incoerenza e suscettibilità stranamente amalgamate a una dolcezza del carattere che a volte erompeva in maniera commovente dai modi ironici e maliziosi.
Tratteggiando con affetto le vite dei due amici, Trevi prosegue una ricerca fondata sulla memoria e rende omaggio a due talentuosi scrittori delineando le loro differenti nature: incline a infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima sensibile propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa di lui, l’aspetto da incantevole signorina inglese di lei.
“Due vite” è la storia di tre amici. Trevi racconta la loro amicizia fatta di litigi e gesti indimenticabili, di vittorie e sconfitte, di dialoghi a notte fonda, di consigli e del dolore per la loro morte. Attraverso le pagine di questo libro, l’autore usa le parole per costruire un limbo, una zona in cui può, attraverso la memoria, sentire i suoi amici ancora accanto a sé. Il tempo, si sa, allontana i ricordi, ma Trevi riesce a mantenere vivida la memoria dei suoi amici. La scrittura è un modo per mantenere luminosi i ricordi, è un pensare intimo e confidenziale, un porto dove ripararsi dalle tempeste della vita. Narrando vari episodi, Trevi ci porta a riflessioni sulla vita, a quanto sia complicata e spesso impossibile da comprendere.
Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.
“Due vite” è un libro intenso e profondo, fatto di luci e
ombre, di voci e di silenzi, di presenze e di assenze, di vita e di morte. Le
emozioni scorrono velocie si rincorrono tra i ricordi che
diventano delle immagini, delle fotografie, da fissare nella mente e nel cuore
prima che svaniscano. La morte sicuramente annienta il nostro corpo, sembra sussurrare
Trevi, ma non può cancellare il ricordo di chi non c’è più. Ricordi intessuti
di sentimenti, ricordi da cui nasce la seconda vita di Rocco e Pia.
Inspiegabilmente, alla fotografia si associa l’idea dell’immortalità, ma è un modo di dire sbagliato, non c’è nulla che più della fotografia, in un modo o nell’altro sempre vincolata all’attimo e al presente, ci ricorda la nostra transitorietà e futilità.
Da pochi mesi ho compiuto l’età esatta in cui Pia si è ammalata, cominciando a perdere progressivamente, inesorabilmente, giorno dopo giorno, l’uso del corpo. Gli anni di Rocco, invece, ormai li ho superati abbondantemente. I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere.
Nessun commento:
Posta un commento