giovedì 27 agosto 2020

RECENSIONE| "Va tutto bene, signor Field" di Katharine Kilalea

“Va tutto bene, signor Field” è il sorprendente romanzo d’esordio, edito dalla Fazi, della giovane sudafricana Katharine Kilalea. L’autrice conquista conducendo il lettore in un mondo metafisico. Con una narrazione misteriosa, si ha l’impressione di osservare dei quadri in movimento, la lettura è emotivamente profonda e scava nel vuoto interiore dell’uomo. 


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Va tutto bene, signor Field
Katharine Kilalea

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Pagine: 220
Sinossi

Quando un bambino nasce in un paesino di provincia dove di bellezza non c’è neanche l’ombra, è figlio di una ragazzina affetta da ritardo mentale e fin da piccolissimo viene messo in piedi su una cassa a spillare birra al bancone di una locanda, il fatto che da adolescente frequenti il liceo è piuttosto sorprendente; se poi diventa un professore universitario e decide di lasciarsi tutto alle spalle, l’evento è più unico che raro, e in paese c’è chi lo vive come un tradimento. Nel momento in cui, alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo fugge da una vita accademica insoddisfacente e da un’ambigua convivenza a tre in un appartamento in cui non si diventa mai adulti per tornare a casa e prendersi cura dei nonni – Sönke, l’oste arroccato nella sua locanda semiabbandonata, ed Ella, che la vecchiaia ha reso capricciosa e imprevedibile –, due realtà apparentemente inconciliabili si scontrano, dando vita a una crepa profonda dalla quale tutto torna a galla. Il ritorno a Brinkebüll diventa così un’occasione per riscoprirsi e reinventarsi: ci sono conti da saldare, ruoli da invertire e tante tappe da rivisitare prima di muovere il primo passo verso il cambiamento.


Il primo sentimento che provavo al risveglio non era tristezza. Il secondo, invece, era tristezza, unita al desiderio di essere di nuovo stanco, perché ero stanco di essere triste. Talvolta mi sentivo così triste che immaginavo di sdraiarmi sui binari del treno e addormentarmi lì, se solo avessi avuto l’energia di arrivarci.
Il signor Field, pianista e concertista alla deriva, durante il ritorno in treno da una performance a Londra, viene coinvolto in un incidente ferroviario. Purtroppo riporta la frattura delle ossa della mano sinistra e con i soldi del risarcimento per il danno subito,acquista una casa che ha visto sul giornale. La casa, costruita dall’architetto Jan Kallenbach, è una replica di Villa Savoye di Le Corbusier ed è situata sulla costa fuori Città del Capo. Quando Field e sua moglie, Mim, si trasferiscono nella nuova abitazione, scoprono che la casa ha un effetto inquietante sui suoi abitanti. Field è un uomo triste e rassegnato, che vive in uno stato di sonnolenza perenne e di distacco dalla realtà. Qualche tempo dopo Mim decide di lasciare il marito e senza dir nulla si allontana dalla villa. Field inizia a riflettere e fa un bilancio di ciò che non va bene nella sua vita. Inizia a fare qualcosa. Incomincia a ricomporre i pezzi della propria identità grazie a un dialogo silenzioso e fittizio con Hannah Kallenbach, la vedova dell’architetto. Per lei, Field, sviluppa una vera e propria mania. La segue, si apposta ogni sera sotto la sua finestra, la spia nella sua vita privata e nelle conversazioni con un uomo misterioso. Field ormai è stanco di essere triste e capisce di dover riprendere a vivere. Non importa se ciò accadrà nella realtà o nel suo mondo onirico. 

“Va tutto bene, signor Field” è un romanzo narrato in prima persona, la trama è un’evoluzione di micro-eventi. Non succede mai nulla ma la lettura coinvolge ugualmente. La realtà diventa soggettiva con una narrazione che rappresenta la mente e i pensieri che il protagonista ha. Il signor Field racconta, a se stesso e al lettore, la progressiva disgregazione della propria identità. C’è un malessere esistenziale, il tempo scorre attraverso il fluire delle stagioni eppure è tutto fermo come in un fotogramma che racconta il lato oscuro della vita cristallizzato in un disperato presente. Field è al centro di una storia di ossessione, solitudine e rassegnazione. Fin dalle prime pagine vi sembrerà di entrare nella mente del pianista. Una mente alla deriva che diventa voce e si muove nel flusso di coscienza. Il protagonista tronca il suo rapporto con la realtà e inizia a vivere in un sogno dove ogni cosa pian piano si disintegra. In una nuova casa che avrebbe dovuto renderlo felice, Field è insoddisfatto e senza energia. L’architettura della casa, le sue strette finestre che lasciano intravedere solo un frammento di mare, i suoi spazi che danno al protagonista la sensazione di essere sempre più isolato dal mondo, hanno un effetto travolgente su Field. È un innesco affinchè le cose accadano ma non ha un effetto calmante sul protagonista, non lo rende meno infelice. Il protagonista, irascibile e bizzarro, fa di tutto per evitare la solitudine. La sua voce interiore dialoga con lui, con cupa ironia, formula fantasie oziose ma è come procedere al buio, è come trovarsi all’interno del proprio corpo. 

“Va tutto bene, signor Field” è un romanzo strano, enigmatico ma seducente e spiazzante che mette in luce il desiderio d’amore. 

Inizialmente c’era lei, c’era Mim. Field trascorre ore a scrivere dei pensieri sul mare e quando la moglie lo lascia, tutto precipita. La casa viene trascurata e quella necessità di non essere soli viene soddisfatta dalla vedova Kallenbach che diventa una voce nella sua testa, una fantasia, un’ossessione. Noi non sapremo perché Mim ha lasciato il protagonista, loro non hanno figli e queste assenze fanno parte della storia. La solitudine è la fedele compagna di Field, a casa non c’è nessuno che l’aspetta. Tutto è confuso, la vita diventa una percezione lontana persa nel labirinto della mente. 
 Sapevo dov’ero, ma nello stesso tempo avevo solo un vago senso di dov’ero.
Desiderare di essere amati è un’intima necessità. 
A nessuno importa niente delle difficoltà e dei dolori degli altri. Le difficoltà e i dolori altrui sono noiosi.
Nel romanzo, scritto bene con piglio poetico e onirico, convivono l’ordine esteriore e il disordine interiore. Ciò che doveva unire, divide. La musica è un viaggio nei sentimenti che unisce pianista e pubblico. Qui accade il contrario, l’interpretazione del pianista allontana il pubblico. La casa che dovrebbe essere l’emblema dell’unione familiare, divide il signor Field da sua moglie. 
I muri non dovrebbero essere forti e robusti ma soffici e avvolgenti.
Solo, nella sua casa, il signor Field guarda in se stesso e ascolta la voce della vedova che diventa l’oscuro sottofondo di giornate monotone rese meno tristi dall’affetto di un cagnolino, nuovo inquilino della Villa. Nel protagonista si fa largo il dubbio di esistere e la trascrizione delle sue riflessioni è un modo per tenersi compagnia. Field appare in perenne attesa, ma cosa sta aspettando? Nell’attesa ecco Field fare lunghi giri in macchina finendo sempre davanti alla casa di Hannah a osservare lei e i suoi vicini. Così lui ha la sensazione di conoscere quelle persone. Tutto però si ferma al gradino della sensazione, nulla accade per fare un passo in avanti, tutto diventa una routine che assorbe l’energia del protagonista. Field è infelicità, una bolla d’infelicità staccatasi dal tutto cosmico. Come rompere quella bolla? Per cosa val la pena lottare, investire il proprio tempo e i propri sentimenti? Forse occorre attendere il ritorno di Mim, attendere le effusioni e la compagnia di un cane, attendere che l’ossessione diventi realtà? La sua vita sembra un’attesa infinita in cui non si concretizza mai nulla. È vivere un presente perenne, nessun passato e nessun futuro, un infinito ripetersi delle stesse azioni. Field aspetta qualcosa che possa cambiare la sua vita e nell’attesa si sente solo e malinconico. Aspira a un cambiamento anche se non fa nulla e si rifugia nel suo mondo onirico azzerando ogni forma di interazione interpersonale tra lui e la realtà. 

“Va tutto bene, signor Field” è uno specchio narrativo che riflette le inconsistenze e le assurdità della vita. Field non lotta per cambiare il suo futuro. Racchiude il suo non esistere tra le pareti della mente dove parla tra sé e sé mentre la sua identità si sgretola. Tutto si confonde in quella tragica e buffa condizione di vita. Solitudine, infermità, immobilità sono le sbarre della prigione in cui si è chiuso Field. Sbarre rese solide dalla passività del protagonista che non si oppone al suo destino. Destino che lo annienta in una spirale e lo trascina sempre più giù verso il nulla.

4 commenti:

  1. mi sembra un libro particolare per quest'atmosfera da sogno... o forse da incubo per questo protagonista che non sa vivere e si lascia trascinare da ciò che gli succede senza reagire...
    Fazi pubblica bei libri, devo dare più spazio a questa c.e.

    un saluto Aquila!!

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    1. Hai ragione, l'atmosfera frantuma il sogno e libera una profonda depressione in cui annega il futuro del protagonista :)

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