martedì 2 agosto 2022

RECENSIONE | "Il Duca" di Matteo Melchiorre

“Il Duca” (Einaudi) di Matteo Melchiorre, è un romanzo epico, classico eppur nuovo che invita a riflettere sulla libertà individuale, sulla forza magnetica del passato, sulle leggi della natura e sulla furia del potere. Narra la storia dei Cimamonte, conti dal Quattrocento, ma da mezzo secolo per i montanari di Vallorgàna sono diventati i “duchi”. L’ultimo dei Cimamonte è, dunque, “il Duca”: un uomo che non possiede nulla se non quello che hanno posseduto i suoi avi, un uomo la cui storia è principalmente la storia di chi ha vissuto nella grande villa addossata alla Montagna che incombe sulla Val Fonda.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Il Duca
Matteo Melchiorre

Editore: Einaudi
Pagine: 464
Prezzo: € 21,00
Sinossi

Un paese di montagna, un'antica villa con troppe stanze, l'ultimo erede di un casato ormai estinto, lo scontro al calor bianco tra due uomini che non sembrano avere nulla in comune... Quanto siamo fedeli all'idea di noi stessi che abbiamo ricevuto in sorte? Matteo Melchiorre ha costruito una storia tesissima ed epica sulla furia del potere, le leggi della natura e la libertà individuale. Un romanzo che ci interroga a ogni riga sulla forza necessaria a prendere in mano il proprio destino: «il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo». L'ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano più a nessuno, sembra distante. L'ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca». Sospeso tra l'incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire.



Chiamandomi il Duca i paesani o sottointendevano che ero strambo al pari di mio nonno, benché di una stramberia per forza di cose assai diversa, o deridevano il declino del mio casato

L’ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano più a nessuno, sembra distante. L’ultimo dei Cimamonte è un giovane solitario che in paese chiamano scherzosamente “il Duca”. Sospeso tra l’incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova a vivere in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finchè un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna, per portagli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Il taglio fuori confine è un affronto.

Ti hanno fregato Duca. Su in Montagna, nei tuoi boschi. Ti hanno fregato.

 Il Duca, risvegliato dalla smania di possesso, sente ribollire in lui il sangue dei suoi avi. All’orizzonte appare il cattivo, il suo nome è Mario Fastréda.

Un paese di montagna, un’antica villa, l’ultimo erede di un casato estinto e lo scontro tra due uomini che non sembrano avere nulla in comune. Inizia così “Il Duca”, la storia di una casata che, con un ultimo guizzo di energia, annulla il suo lento annientamento. A Vallorgàna il Duca conduceva una vita solitaria, studiava le carte di famiglia convinto che la storia dei suoi avi sia l’artefice del suo presente. Egli si sentiva “frutto” dell’antico ordine e finiva per assomigliare a un fantasma. Le sue giornate scorrevano tra passeggiate in montagna, osservando i suoi boschi, e la gestione dei terreni. La quiete della sua esistenza va in frantumi grazie a Mario Fastréda, un allevatore tignoso e prepotente, temuto da tutti. Egli ha sconfinato di proposito nelle terre dei Cimamonte, ha tagliato numerosi alberi e ha dato inizia a una vera e propria guerra dei confini. Il paese, che aveva accolto bene il Duca perché non spadroneggiava, si divide. In molti si schierano con Mario, in pochi con il giovane Cimamonte. La discordia, l’odio, l’avidità confondono le carte, seminano inganni e mostrano la malvagità degli esseri umani.

Mai avrei creduto di incontrare la discordia proprio qui, a Vallorgàna, dove il peso del mondo si immaginerebbe che sia lieve, e il vivere essenziale e senza scorie, e le leggi umane, antichissime, sempre giuste e ottimamente operanti. Infida. Sleale. Subdola. Meschina. Così sarebbe stata la discordia destinata a imperversare, per mesi e mesi, nelle mie giornate, disseminandole di insensatezze, consumando il tempo, infettando e viziando ogni cosa.

Il duello tra il Duca e Fastréda si fa sempre più aspro. Il nobile non cede, anzi in lui avviene un cambiamento. Il Duca depone la sua remissività per manifestare l’istinto da padrone. “La morale intossicante delle carte degli avi” inizia a scorrere nelle sue vene, una irrequietezza nuova lo pervade, un astio, un’antipatia che hanno un unico nome, Mario Fastréda. Perché l’anziano allevatore odiasse tanto il Duca non è dato di sapere, un mistero che verrà svelato pian piano.

Nelle case, al di là delle porte, stanno racchiuse molte storie, delle quali si conoscono, se va bene, pochi brandelli appena; e diviene perciò impossibile capire pienamente il perché delle cose e delle persone. Secondo Nelso, a questo proposito, i paesani di una volta sapevano tacere, e nascondere i fatti propri.

In molti, primo tra tutti Nelso Tabiona, portatore di valori e furbizie contadine, mettono in guardia il Duca dai pericoli che corre mettendosi contro Fastréda, ma ormai il dado è tratto e la saggezza popolare non viene ascoltata. Il Duca rinasce a nuova vita, lui che trascorreva le sue giornate studiando, riordinando e conservando i tanti documenti storici della sua famiglia, ora alza la testa “dalle sudate carte”. Il passato è il suo mondo, i luoghi che hanno visto il dominio dei suoi avi sono le sue radici. Nella boiserie della villa  si custodiva il mondo dei suoi antenati: distese di terreni, torme di fittavoli, braccianti, servitori e fantesche. Il Duca è “ l’archeologo di se stesso”.

Cos’altro facevo, infatti  se non scavare senza sosta? La villa, le carte dell’archivio, i dipinti e gli altri oggetti dei miei avi, la Chronica Cimamontium, Vallorgàna, la Montagna.

In questo mondo antico ci conduce Matteo Melchiorre e il lettore si ritrova conquistato da una storia senza tempo. Il passato appare come un eterno presente in cui il Duca è il cavaliere senza macchia e Fastréda è l’eroe negativo, un antagonista che scopriremo pian piano. Un ruolo cardine è svolto dalla Natura: i boschi, considerati entità vive, gli eventi atmosferici che scandiscono la vita degli uomini, il ciclo delle stagioni. Su tutto incombe l’ombra minacciosa di eventi estremi. Una natura che si ribella al volere dell’uomo.

Il bosco è così. Dà l’illusione di essere fermo e invece si muove. Cammina, ma così lentamente e astutamente da lasciarci per lungo tempo inconsapevoli di quel suo immenso e incontrastato avanzare.

“Il Duca” è un microcosmo di racconti, di persone, di memorie che guardano a un passato segnato da una disuguaglianza incolmabile tra coloni e padroni. Una distanza intrisa di riverenze e disprezzo. Il diabolico Fastréda non teme di rimettere in moto il pendolo della discordia che oscilla tra lui e il Duca. Nel mezzo persone che indossano delle maschere per schierarsi da una parte o dall’altra. I personaggi hanno a disposizione una vasta gamma di maschere: l’Estraneità, l’Iroso, lo Stolto, l’Impassibile, il Consigliere, il Disperato. Fastréda manifesta il suo disprezzo verso coloro che si sono arricchiti senza far nulla, grazie ai privilegi dei loro avi, ma in lui l’odio è così profondo da far sospettare un motivo ancor più rilevante. Il Duca difende con orgoglio i suoi privilegi. La comunità di Vallorgàna assiste a questa disputa e a ogni mossa segue una contromossa. L’iniziale contrasto sui confini violati, si moltiplica all’insegna delle maldicenze di paese che affondano le lame nel retaggio del valore, dell’onore e del passato lustro. Andando avanti con la lettura scopriremo i piedi d’argilla della formazione individuale del Duca. Egli ha modellato la sua vita sulla vita dei suoi avi, non si è mai allontanato dal solco che la casata dei Cimamonte ha segnato. Il Duca, i suoi genitori sono deceuti a causa di un incidente, si è limitato a gestire l’ingente patrimonio ma non ha mai fatto nulla per realizzare se stesso. A distinguerlo dagli altri è il sangue nobile che scorre nelle sue vene. Basta questo per identificarlo?

Il sangue è in fondo una semplice metafora. Si dice sangue per dare un nome alle infinite e imprecisabili cose che scorrono dentro una persona: generazioni di storie, gomitoli di educazioni, alveari di convincimenti, ragnatele di relazioni, sterpaglie di consuetudini, antologie di disgrazie.

Maria, una fanciulla del paese, cerca di smuovere il Duca dalla sua apatia esistenziale, cerca di allontanarlo da quell’ossessione per il passato che lo condiziona in ogni momento.

Sei prigioniero di te stesso. Ti sei costruito una gabbia? Bene. Vuoi restarci dentro? Restaci.

E ancora:

Rumini sempre. Pensi. Ripensi. Pensi ancora. Ripensi di nuovo. Ma non vedi che notte, invece? Non la senti?

Il Duca appare come prigioniero del glorioso passato della sua famiglia. La Villa, Vallorgàna in particolare, è la sua prigione con tutta la sedimentazione storica di cose e genealogia. Proprio tra quelle carte il Duca ritroverà un manoscritto “La Chronica Cimamontium Anno 1495”. Raccontata dagli stessi avi la storia dei Cimamonte, dal secolo XV all’inizio del Settecento, assume le sfumature di un giallo storico.

“Il Duca” è un romanzo che narra l’anamnesi della trasformazione di una coscienza, ha in sé la forza per provocare, svegliare chi dorme e non dovrebbe dormire, per frantumare certezze e far confusione tra la nobiltà sedimentata nel tempo e il modo di pensare e di fare propri di chi è succube di un potere. Ogni trasformazione parte da una presa di coscienza, da un’assunzione di responsabilità per poter cambiare. “Il Duca” ci racconta che non siamo soli, che ci sono gli altri con le loro storie, le loro idee, i loro problemi. Per guardare al mondo di domani occorre far luce su come siamo stati nel passato.

 Il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo.

Conoscere il passato serve a cicatrizzare le ferite che il tempo ha inciso sulla nostra pelle. Tutto si tramanda anche quelle maschere che gli uomini indossano per mettere in scena le ricchezze e le povertà, i vizi e le virtù, le infelicità e le passioni.

Il romanzo di Matteo Melchiorre racchiude la forza evocativa delle parole e rivela l’amore dello scrittore per la storia medioevale. Leggendo mi è sembrato di camminare tra le strade di Vallorgàna, salire per i sentieri di montagna, studiare le carte con il Duca, condividere i suoi pensieri e guardare, attraverso i suoi occhi, a quel passato che ci regala un futuro migliore. Un futuro fatto di libertà.

2 commenti:

  1. Questo l'ho notato e voglio leggerlo, infatti è tra le letture che mi porto in vacanza!!

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  2. Ottima scelta! E' un romanzo classico ma nuovissimo con una vena filosofica che porta a riflettere sulla libertà delle scelte e sulla forza del passato.

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