giovedì 28 aprile 2022

RECENSIONE | "Per sempre, altrove" di Barbara Cagni

“Per sempre, altrove” è il nuovo romanzo di Barbara Cagni, per Fazi Editore nella collana Le strade. È una storia struggente che parla di una vicenda individuale e collettiva, frammenti di eventi che coinvolgono fin dalle prime righe come uno tsunami emotivo, una confidenza intima tra voce narrante e lettore, un racconto umano e sociale che riflette sull’emigrazione intesa in senso lato, da un paese, da se stessi, dagli altri, e sui danni provocati dal senso di sradicamento e dalla solitudine che partire spesso comporta.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Per sempre, altrove
Barbara Cagni

Editore: Fazi
Pagine: 200
Prezzo: € 17,00
Sinossi

A volte, l’unica scelta possibile è quella di partire. Un libro sull’emigrazione intesa in senso lato, da un paese, da se stessi, dagli altri, e sui danni provocati dal senso di sradicamento e dalla solitudine che la scelta di partire spesso comporta. È una domenica d’autunno del 1955 quando una telefonata raggiunge la famiglia della piccola narratrice della storia per avvisare che Berta, la sorella maggiore a cui è più legata e che è da poco emigrata in Svizzera, ha iniziato a dare segni di squilibrio. Il padre parte immediatamente per riportare la figlia a casa, nel piccolo paese di montagna dove il tempo trascorre lento come il Piave giù a valle e dove la comunità affronta la vita con la stessa naturalezza degli alberi del bosco, anche se con radici assai più fragili: sono sempre di più, infatti, i giovani costretti a emigrare per trovare lavoro, così come aveva fatto anche Berta, spinta da una sofferenza profonda e tutta personale. La protagonista del libro, così, ripercorre la dolorosa vicenda della sorella ma anche tutto il prezioso mosaico di vite del paese in cui ha trascorso l’infanzia, tra gli abbracci della migliore amica Clarissa, le chiacchiere delle comari, i discorsi impegnati del padre, i balli in piazza d’estate e gli addii, purtroppo sempre più numerosi, di coloro che provano a cercare fortuna altrove.


Il nostro paese era in Veneto, più precisamente in provincia di Belluno, più precisamente in Cadore, più precisamente nel Comelico.

È una domenica d’autunno del 1955 quando una telefonata raggiunge la famiglia della piccola narratrice della storia per avvisare che Berta, la sorella maggiore a cui è più legata e che da poco è emigrata in Svizzera, come operaia presso il Lanificio Schoeller, ha iniziato a dare segni di squilibrio. Il padre parte subito per riportare la figlia a casa, nel piccolo paese di montagna dove il tempo trascorre lento come il Piave giù a valle e dove la comunità è costretta a fare i conti con l’emigrazione: i giovani vanno via per trovare lavoro, così come aveva fatto Berta, spinta da una sofferenza profonda e tutta personale. La giovanissima voce narrante ripercorre, così, la dolorosa vicenda della sorella e ci mostra una fotografia in cui è racchiusa la vita del paese in cui ha trascorso l’infanzia, tra gli abbracci della migliore amica Clarissa, le chiacchiere delle comari, i discorsi impegnati del padre, i balli in piazza d’estate e gli addii di coloro che provano a cercare fortuna altrove

 “Per sempre, altrove” è una storia di migrazioni, solitudini e comunità, uomini e donne chiamati ad affrontare la realtà del vivere quotidiano.

Barbara Cagni, autrice talentuosa, affronta temi importanti e lo fa con semplicità e dolcezza, ma con una intensa forza narrativa. Dietro le parole si percepisce un mondo fatto di emozioni e sentimenti, di desideri e fragili speranze, di partenze e di distacchi. Dare un taglio netto alle proprie radici non è cosa facile e indolore, la nostalgia corrode l’anima ma non sempre è possibile tornare indietro. Viene spontaneo, leggendo “Per sempre, altrove”, riflettere sul ruolo delle donne, sul loro coraggio e solidarietà, sul loro lavoro e sull’amore, trovando conferma, ma questo si sa, di quanto siano importanti le donne in ogni comunità. Sono il cuore pulsante della vita del paese, vita dura e difficile. Su in montagna, nel paese in cui è ambientato il romanzo, le donne avevano un’energia che gli uomini avevano perso. Erano vite difficili quelle delle donne di allora. Si spaccavano la schiena da mattina a sera, avevano la responsabilità dei figli, si occupavano delle bestie nelle stalle, coltivavano l’orto e pulivano il pollaio.                                                     

Così, per noi femmine era naturale pensare che la nostra esistenza fosse a disposizione di tutti quelli a cui servisse: il padre, il marito, i figli. Era scontato che avremmo dovuto lavorare tutta la vita senza domandarci se ci facesse piacere farlo.

Tuttavia le donne riuscivano a ritagliarsi dei momenti in cui non erano madri e mogli, non ricoprivano alcun ruolo scelto per loro da una società patriarcale. In determinate occasioni si incontravano a casa della protagonista e davano vita a una complicità in quanto donne senza alcun archetipo a marchiarle. Le donne tessevano una rete di sostegno per chi aveva dei problemi. Gli uomini, invece, non si rendevano neanche conto di tutta la fatica fatta dalle loro mogli ogni giorno e pretendevano sempre di più perché per loro era legittimo pretendere.

Le donne spesso attendevano, ed era un’attesa struggente colma di promesse e sogni, il ritorno degli uomini costretti ad emigrare. Alcune volte però, come nel caso della protagonista, l’attesa diventava vana e il tempo che passava trafiggeva cuore e mente. Allora per sfuggire alla crudele realtà, ci si creava un mondo dove rifugiarsi, un altrove da cui il dolore era bandito, un luogo in cui la mente rendeva reali i sogni, perde il contatto con la realtà e si viveva tra false percezioni e falsi convincimenti. A indurre tutto ciò, Berta è un classico esempio, concorrono una combinazione di fattori genetici e ambientali come le avversità sociali dovute all’immigrazione, la fine di una relazione sentimentale, l’isolamento sociale. La migrazione diventa, quindi, un fattore di rischio per l’insorgenza di psicosi perché rappresenta una fase caratterizzata da molteplici avversità e spesso anche da esperienze di tipo traumatico. Si lascia un contesto familiare e sociale noto in cui si è vissuto per anni,  per approdare in un ambiente completamente nuovo che pone molte sfide: diversità linguistiche, religiose, diversi usi e costumi, la necessità di ricostruire una rete di relazioni sociali attraverso un processo di integrazione. Tutto ciò crea stress e le difficoltà favoriscono disturbi latenti che aumentano il rischio di psicosi. Illuminante a tal proposito l’esergo del romanzo:

“Al centro immigrazione ebbi la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America.”   Bartolomeo Vanzetti.

Berta, nel suo emigrare in Svizzera, aveva trovato un ambiente ostile. Gli italiani non erano ben visti e fuori da un locale aveva visto la scritta: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani.” Lontana dal nucleo famigliare, Berta si era rifugiata in un mondo a parte, prigioniera della malattia mentale che non l’avrebbe mai più abbandonata.

L’emigrazione fisica e l’emigrazione mentale diventano due strade parallele: ci si può allontanare con il corpo e se si vuole si può far ritorno, ma si può anche emigrare lontano con la mente in un posto accessibile solo a noi e da cui non c’è ritorno.

“Per sempre, altrove” è un romanzo narrato in prima persona, la voce narrante racconta in modo semplice la comunità e gli eventi personali dei protagonisti. Con una scrittura fluida, l’autrice, dipinge una realtà a sé, lenta e ordinata dove sopravvivono le tradizioni. Accanto alla descrizione di un mondo esteriore, c’è anche l’incursione nel mondo interiore dei protagonisti segnato a volte da momenti felici, a volte da vicende tragiche. Mondo esteriore e mondo interiore procedono fianco a fianco, si osservano a vicenda, si raccontano sogni e desideri, speranze e disperazione. Si danno la mano, si sostengono ma quando arriva la tempesta della vita allora si allontanano e un limbo accoglie chi è fragile, chi ha il seme della psicosi in sé. Un altrove accoglie queste menti, dà voce alle loro fantasie e nutre la loro disperazione.

Berta era rimasta in balia di quegli enormi sentimenti che l’avevano travolta come il vento fa con le piccole margherite, su nei prati per andare alla malga.

A volte, però, partire è l’unica scelta possibile. Si va per costruire un futuro migliore. Alcune  volte si vince, altre volte si giunge in un altrove che rassomiglia al destino, un labirinto che si moltiplica in cui perdersi per guardare il mondo dalla propria prigione.

1 commento:

  1. Avevo notato il libro, ma ammetto di non essermi soffermata a leggere la trama; questa storia di donne, famiglie, migrazioni..., la terrò presente. Credo che anche lo stile dell'autrice, che mi pare dia molto spazio al mondo interiore dei personaggi, potrebbe catturarmi.
    Ciao Aquila :)

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