giovedì 28 aprile 2022

RECENSIONE | "Per sempre, altrove" di Barbara Cagni

“Per sempre, altrove” è il nuovo romanzo di Barbara Cagni, per Fazi Editore nella collana Le strade. È una storia struggente che parla di una vicenda individuale e collettiva, frammenti di eventi che coinvolgono fin dalle prime righe come uno tsunami emotivo, una confidenza intima tra voce narrante e lettore, un racconto umano e sociale che riflette sull’emigrazione intesa in senso lato, da un paese, da se stessi, dagli altri, e sui danni provocati dal senso di sradicamento e dalla solitudine che partire spesso comporta.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Per sempre, altrove
Barbara Cagni

Editore: Fazi
Pagine: 200
Prezzo: € 17,00
Sinossi

A volte, l’unica scelta possibile è quella di partire. Un libro sull’emigrazione intesa in senso lato, da un paese, da se stessi, dagli altri, e sui danni provocati dal senso di sradicamento e dalla solitudine che la scelta di partire spesso comporta. È una domenica d’autunno del 1955 quando una telefonata raggiunge la famiglia della piccola narratrice della storia per avvisare che Berta, la sorella maggiore a cui è più legata e che è da poco emigrata in Svizzera, ha iniziato a dare segni di squilibrio. Il padre parte immediatamente per riportare la figlia a casa, nel piccolo paese di montagna dove il tempo trascorre lento come il Piave giù a valle e dove la comunità affronta la vita con la stessa naturalezza degli alberi del bosco, anche se con radici assai più fragili: sono sempre di più, infatti, i giovani costretti a emigrare per trovare lavoro, così come aveva fatto anche Berta, spinta da una sofferenza profonda e tutta personale. La protagonista del libro, così, ripercorre la dolorosa vicenda della sorella ma anche tutto il prezioso mosaico di vite del paese in cui ha trascorso l’infanzia, tra gli abbracci della migliore amica Clarissa, le chiacchiere delle comari, i discorsi impegnati del padre, i balli in piazza d’estate e gli addii, purtroppo sempre più numerosi, di coloro che provano a cercare fortuna altrove.


Il nostro paese era in Veneto, più precisamente in provincia di Belluno, più precisamente in Cadore, più precisamente nel Comelico.

È una domenica d’autunno del 1955 quando una telefonata raggiunge la famiglia della piccola narratrice della storia per avvisare che Berta, la sorella maggiore a cui è più legata e che da poco è emigrata in Svizzera, come operaia presso il Lanificio Schoeller, ha iniziato a dare segni di squilibrio. Il padre parte subito per riportare la figlia a casa, nel piccolo paese di montagna dove il tempo trascorre lento come il Piave giù a valle e dove la comunità è costretta a fare i conti con l’emigrazione: i giovani vanno via per trovare lavoro, così come aveva fatto Berta, spinta da una sofferenza profonda e tutta personale. La giovanissima voce narrante ripercorre, così, la dolorosa vicenda della sorella e ci mostra una fotografia in cui è racchiusa la vita del paese in cui ha trascorso l’infanzia, tra gli abbracci della migliore amica Clarissa, le chiacchiere delle comari, i discorsi impegnati del padre, i balli in piazza d’estate e gli addii di coloro che provano a cercare fortuna altrove

 “Per sempre, altrove” è una storia di migrazioni, solitudini e comunità, uomini e donne chiamati ad affrontare la realtà del vivere quotidiano.

Barbara Cagni, autrice talentuosa, affronta temi importanti e lo fa con semplicità e dolcezza, ma con una intensa forza narrativa. Dietro le parole si percepisce un mondo fatto di emozioni e sentimenti, di desideri e fragili speranze, di partenze e di distacchi. Dare un taglio netto alle proprie radici non è cosa facile e indolore, la nostalgia corrode l’anima ma non sempre è possibile tornare indietro. Viene spontaneo, leggendo “Per sempre, altrove”, riflettere sul ruolo delle donne, sul loro coraggio e solidarietà, sul loro lavoro e sull’amore, trovando conferma, ma questo si sa, di quanto siano importanti le donne in ogni comunità. Sono il cuore pulsante della vita del paese, vita dura e difficile. Su in montagna, nel paese in cui è ambientato il romanzo, le donne avevano un’energia che gli uomini avevano perso. Erano vite difficili quelle delle donne di allora. Si spaccavano la schiena da mattina a sera, avevano la responsabilità dei figli, si occupavano delle bestie nelle stalle, coltivavano l’orto e pulivano il pollaio.                                                     

Così, per noi femmine era naturale pensare che la nostra esistenza fosse a disposizione di tutti quelli a cui servisse: il padre, il marito, i figli. Era scontato che avremmo dovuto lavorare tutta la vita senza domandarci se ci facesse piacere farlo.

Tuttavia le donne riuscivano a ritagliarsi dei momenti in cui non erano madri e mogli, non ricoprivano alcun ruolo scelto per loro da una società patriarcale. In determinate occasioni si incontravano a casa della protagonista e davano vita a una complicità in quanto donne senza alcun archetipo a marchiarle. Le donne tessevano una rete di sostegno per chi aveva dei problemi. Gli uomini, invece, non si rendevano neanche conto di tutta la fatica fatta dalle loro mogli ogni giorno e pretendevano sempre di più perché per loro era legittimo pretendere.

Le donne spesso attendevano, ed era un’attesa struggente colma di promesse e sogni, il ritorno degli uomini costretti ad emigrare. Alcune volte però, come nel caso della protagonista, l’attesa diventava vana e il tempo che passava trafiggeva cuore e mente. Allora per sfuggire alla crudele realtà, ci si creava un mondo dove rifugiarsi, un altrove da cui il dolore era bandito, un luogo in cui la mente rendeva reali i sogni, perde il contatto con la realtà e si viveva tra false percezioni e falsi convincimenti. A indurre tutto ciò, Berta è un classico esempio, concorrono una combinazione di fattori genetici e ambientali come le avversità sociali dovute all’immigrazione, la fine di una relazione sentimentale, l’isolamento sociale. La migrazione diventa, quindi, un fattore di rischio per l’insorgenza di psicosi perché rappresenta una fase caratterizzata da molteplici avversità e spesso anche da esperienze di tipo traumatico. Si lascia un contesto familiare e sociale noto in cui si è vissuto per anni,  per approdare in un ambiente completamente nuovo che pone molte sfide: diversità linguistiche, religiose, diversi usi e costumi, la necessità di ricostruire una rete di relazioni sociali attraverso un processo di integrazione. Tutto ciò crea stress e le difficoltà favoriscono disturbi latenti che aumentano il rischio di psicosi. Illuminante a tal proposito l’esergo del romanzo:

“Al centro immigrazione ebbi la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America.”   Bartolomeo Vanzetti.

Berta, nel suo emigrare in Svizzera, aveva trovato un ambiente ostile. Gli italiani non erano ben visti e fuori da un locale aveva visto la scritta: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani.” Lontana dal nucleo famigliare, Berta si era rifugiata in un mondo a parte, prigioniera della malattia mentale che non l’avrebbe mai più abbandonata.

L’emigrazione fisica e l’emigrazione mentale diventano due strade parallele: ci si può allontanare con il corpo e se si vuole si può far ritorno, ma si può anche emigrare lontano con la mente in un posto accessibile solo a noi e da cui non c’è ritorno.

“Per sempre, altrove” è un romanzo narrato in prima persona, la voce narrante racconta in modo semplice la comunità e gli eventi personali dei protagonisti. Con una scrittura fluida, l’autrice, dipinge una realtà a sé, lenta e ordinata dove sopravvivono le tradizioni. Accanto alla descrizione di un mondo esteriore, c’è anche l’incursione nel mondo interiore dei protagonisti segnato a volte da momenti felici, a volte da vicende tragiche. Mondo esteriore e mondo interiore procedono fianco a fianco, si osservano a vicenda, si raccontano sogni e desideri, speranze e disperazione. Si danno la mano, si sostengono ma quando arriva la tempesta della vita allora si allontanano e un limbo accoglie chi è fragile, chi ha il seme della psicosi in sé. Un altrove accoglie queste menti, dà voce alle loro fantasie e nutre la loro disperazione.

Berta era rimasta in balia di quegli enormi sentimenti che l’avevano travolta come il vento fa con le piccole margherite, su nei prati per andare alla malga.

A volte, però, partire è l’unica scelta possibile. Si va per costruire un futuro migliore. Alcune  volte si vince, altre volte si giunge in un altrove che rassomiglia al destino, un labirinto che si moltiplica in cui perdersi per guardare il mondo dalla propria prigione.

giovedì 21 aprile 2022

RECENSIONE | "L'uccello blu di Erzerum" di Ian Manook

Ian Manook, autore della trilogia di Yeruldelgger, torna in libreria con “L’uccello blu di Erzerum” (Fazi Editore) per raccontare la storia della sua famiglia scampata al genocidio armeno in un’appassionante saga carica di umanità. Muovendo dal racconto della nonna, Manook tratteggia la tragica odissea di due sorelle in fuga per sottrarsi alla diaspora armena. Attorno a loro si snoda una galleria di personaggi desiderosi di sfuggire alla follia degli uomini.


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
L'uccello blu di Erzerum
Ian Manook

Editore: Fazi
Pagine: 520
Prezzo: € 20,00
Sinossi

1915, non lontano da Erzerum, nell’Armenia turca: Araxie ha dieci anni quando, sotto ai suoi occhi, tre predoni curdi uccidono la madre e feriscono la sorellina Haïganouch, che perde la vista. Salvate dai miliziani armeni, le due piccole vengono ospitate dai loro parenti, ma per breve tempo: comincia infatti la deportazione degli armeni che, a Erzerum come altrove, sono costretti a rinunciare ai loro beni e ad abbandonare la loro terra. Deportate nel deserto di Deir ez-Zor e condannate a una morte atroce, le bambine riescono a salvarsi grazie a una vecchia insegnante che le prende sotto la sua ala. Quando poi un medico le compra come schiave per la figlia, le priva della libertà ma permette loro di sfuggire a una fine ineluttabile. Ma la Storia le getta ancora una volta nel caos: separate e spinte verso due capi del mondo opposti, Araxie e Haïganouch sopravvivranno alle guerre e ai tradimenti di un secolo crudele? Troveranno finalmente la pace?


Ma sulla collina un cavallo s’impenna e Gaianée riconosce il fez di un tchété. I tre predoni già scendono al galoppo lungo il pendio, con la sciabola sguainata. La madre urla alle figlie, Araxie e Haiganouch, di nascondersi in mezzo al grano e afferra una forca.

1915, non lontano da Erzerum, nell’Armenia turca: Araxie ha dieci anni quando, sotto ai suoi occhi, tre predoni curdi uccidono la madre e feriscono la sorellina Haiganouch, che perde la vista. Salvate dai miliziani armeni, le due piccole vengono ospitate dai loro parenti, ma ben presto inizia la deportazione degli armeni che, a Erzerum come altrove, sono costretti a rinunciare ai loro beni e ad abbandonare la loro terra. Deportate nel deserto di Deir ez-Zor e condannate a una morte atroce, le bambine riescono a salvarsi grazie a una vecchia insegnante che le prende sotto la sua protezione. Grazie a lei, sopravvivono alla fame, alla sete, all’abuso e alla stanchezza. Verrano comprate da un medico come schiave per la figlia Assina, verranno private della libertà ma ciò le permetterà di sottrarsi a una fine ineluttabile. Quando Assina  andrà in sposa a un ricco proprietario di Aleppo, i loro nomi verranno cambiati e un uccellino blu sarà tatuato tra il pollice e l’indice per contrassegnare la loro appartenenza alla casa. Ma la Storia le getta ancora una volta nel caos: separate e spinte verso due capi opposti del mondo, Araxie e Haiganouch sopravvivranno alle guerre e ai tradimenti di un secolo crudele? Troveranno finalmente la pace?

“L’uccello blu di Erzerum” è la storia terribile di due sorelline sopravvissute al genocidio armeno, ed è in libreria da oggi, 21 aprile, in occasione della Giornata della memoria armena che si celebra il 24 aprile.

Il romanzo si apre immediatamente con una scena di violenza che mi ha catapultata nell’epurazione programmata degli armeni. Hanno così inizio eventi drammatici e spaventosi che vengono narrati nei primi capitoli del romanzo. L’autore mostra la realtà in tutta la sua crudeltà, tuttavia ha deciso di accogliere la richiesta del suo editore “di cancellare le due scene di massacro più violente.”

Araxie era la nonna dell’autore di origini armene e lei raccontava, a suo nipote Manook, la storia della sua famiglia e in questo libro della memoria possiamo scoprire una delle tante pagine oscure della Storia. L’orrore vissuto da un intero popolo cristiano massacrato dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, ma continuarono anche per gran parte degli anni Venti, fu il primo genocidio del XX secolo. Vi furono 1,5 milioni di morti, molti erano bambini e donne, gli ottomani volevano cancellare la comunità armena come soggetto storico, culturale e politico, perché la consideravano un corpo estraneo alla popolazione a maggioranza musulmana. Tutto venne pianificato con lucida follia per ripulire il sacro suolo turco: inizialmente i maschi adulti vennero arruolati e poi passati per le armi, poi fu la volta di massacri e violenze indiscriminate sulla popolazione civile, infine fu organizzata la marcia della morte verso il deserto dove non c’era possibilità di sopravvivere. I corpi, molti ancora vivi, furono gettati in caverne e bruciati, altri annegati nel fiume Eufrate, per intere settimane il fiume ne trascinò i cadaveri che si accumulavano sui banchi di sabbia e diventavano pasto per cani e avvoltoi. Molti armeni fuggirono creando una diaspora in Grecia, in Libano, in Francia e anche in Italia.

Il mondo, però, stava a guardare e il primo genocidio dell’età moderna entrò nell’oblio. Per dar voce alle atroci sofferenze degli armeni, nasce “L’uccello blu di Erzerum”. Per ricordare le esecuzioni di massa, i campi di sterminio in cui gli armeni furono lasciati morire di fame, gli stupri di gruppo delle donne armene, i corpi seviziati dei bambini, le fossi comuni. Gli Armeni chiamano il massacro subito in Anatolia, Mendz Yegern – il Grande Male – e ricordano il 24 aprile (data di inizio delle deportazioni) come la Giornata Della Memoria Del Genocidio. Hitler stesso, il romanzo di Manook ne porta testimonianza, dichiarò di essersi ispirato a quelle tecniche di sterminio per compiere l’Olocausto dei 6 milioni di ebrei durante la Seconda guerra mondiale.

Dalle pagine del libro si alzano le voci delle vittime, la cui memoria è fondamentale e preziosa anche perché il genocidio armeno è riconosciuto ufficialmente solo da pochi Paesi tra cui l’Italia. La Turchia nega, non vuol ammettere le proprie responsabilità.

Con una scrittura intrisa di lacrime e sangue, Manook ci permette un viaggio nella memoria di un popolo, alla scoperta di un massacro cancellato, negato, dato in pasto all’oblio. Manook, come discendente di coloro che sono sopravvissuti, ha iniziato un doloroso e faticoso lavoro di scavo nella memoria della sua famiglia per portare alla luce la memoria della tragedia. Rinascere dal dolore, anche attraverso la scrittura, è possibile per scalfire il silenzio, un intero secolo di silenzio, su una delle pagine nascoste della Storia. La censura della memoria non ti dà il permesso di ricordare e bene fa Manook a raccontare questa tragica storia attraverso le vicende della sua famiglia. Il tutto è filtrato attraverso una struttura romanzesca sostenuta da solide basi storiche.

“L’uccello blu di Erzerum” è un libro coraggioso, una tempesta emotiva, un romanzo da leggere per conoscere, per capire, per emozionarsi, per camminare al fianco di personaggi reali, in carne ed ossa. È la vita romanzata della nonna di Manook e si ispira a ciò che lei raccontava quando lui era bambino, e alle risposte che riceveva quando era più grande. A questi ricordi si aggiungono le testimonianze di altri armeni e lo scrittore dà nuova vita a queste memorie per mantenerne vivo il ricordo.

Manook esprime, nel romanzo, sentimenti universali e lo fa tramite i destini individuali dei suoi personaggi che sono sopravvissuti alla disumanità di guerre e massacri. Per mantenere una memoria viva, le prime 60 pagine mettono i brividi, l’orrore del genocidio e della deportazione intrappola il lettore in un’atmosfera sospesa e sconosciuta, di perturbante atrocità e crudeltà, diventa difficile dominare le emozioni che da tale lettura scaturiscono. “L’uccello blu di Erzerum” è una saga famigliare struggente, una galassia articolata di  storie, una riflessione amara, una lacrima silenziosa, ma anche il seme della speranza per non dimenticare, per non ripetere gli stessi errori.

martedì 12 aprile 2022

RECENSIONE | "Quattro stagioni per vivere" di Mauro Corona

Con “Quattro stagioni per vivere” (edito da Mondadori), Mauro Corona torna in libreria e ci porta per l’ennesima volta in montagna, a respirare l’odore e il mistero dei boschi. Ci porta a conoscere persone semplici e grandi allo stesso tempo come Osvaldo che parte a caccia di camosci per soddisfare un desiderio della mamma gravemente malata. Lo scrittore di Erto narra una storia di cambiamento, di redenzione, di un uomo che si rende conto di aver perso tempo a essere vendicativo: la fuga disperata diventa una rinascita, un ritorno alla natura per capire chi è realmente.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 8
Quattro stagioni per vivere
Mauro Corona

Editore: Mondadori
Pagine: 288
Prezzo: € 19,50
Sinossi

Per sostentare la madre malata, Osvaldo ha bisogno di carne, e parte a caccia di camosci. Si prepara a passare parecchio tempo nel freddo del bosco, quando si imbatte in quello che sembra un enorme colpo di fortuna. Un camoscio appena ucciso, e sepolto nella neve dai cacciatori, che verranno a riprenderselo. Osvaldo cede alla tentazione, e prende il camoscio. Non ci vorrà molto perché i legittimi proprietari, i gemelli Legnole, due brutte persone, di corpo e di anima, e per di più stupide, vengano a sapere chi ha rubato il loro camoscio. E decidono che il colpevole dovrà pagare con la morte. Inizia così per Osvaldo un anno di vita in mezzo ai boschi e alle montagne, tra agguati, pedinamenti, rischi mortali, in fuga dalla ottusa follia dei gemelli, fino al sorprendente finale.


Un piccolo paese di montagna, un camoscio rubato per fame, una fuga solitaria lunga un anno.

Fu per lei, per la mia mamma, che rubai il camoscio ai fratelli Legnole. Era malata, stava per morire. Io non sapevo che stava per morire. Lo seppi quando morì. Pensavo se la cavasse, era sempre stata forte. Un giorno sospirò che desiderava una scodella di brodo. <<Accoppo il gallo>> dissi prontamente. <<Camoscio, brodo di camoscio>> sospirò.

Per esaudire il desiderio della madre morente, un brodo di camoscio, Osvaldo ha bisogno di carne e parte a caccia di camosci. Si prepara a passare molto tempo nel bosco, quando vede un camoscio appena ucciso e sepolto nella neve dai cacciatori, che verranno a riprenderselo. Osvaldo cede alla tentazione e prende il camoscio. Non ci vorrà molto perché i due legittimi proprietari, i gemelli Legnole, due brutte persone, di corpo e di anima, e per di più stupide, vengano a sapere chi ha rubato il loro camoscio. E decidono che il colpevole dovrà pagare con la propria vita l’oltraggio che hanno subito. Inizia così per Osvaldo un anno di vita in mezzo ai boschi e alle montagne, tra agguati, pedinamenti, rischi mortali, in fuga dalla ottusa follia dei gemelli, fino al sorprendente finale.

Quel silenzio totale, ibernato di gelo e solitudine, non mi impressionava più come all’inizio della fuga. Ormai facevo parte della natura e lei di me. Ero diventato, o stavo per diventare, gufo, camoscio, martora, cervo, vento, neve.

“Quattro stagioni per vivere” è un romanzo travolgente, una tavolozza di colori, un susseguirsi di suoni e di scoperte. È lo scorrere delle stagioni, è la lotta per sopravvivere, è inseguimento e trappole, è un mosaico di paesaggi e colori: il bianco della neve, il rosso dell’autunno, il verde della primavera, il giallo dell’estate. Osvaldo con il suo fidato setter Papo, anche se in fuga, anche se braccato, anche se affamato, sarà felice in mezzo ai suoi boschi. Per lui le uniche leggi e autorità riconosciute sono quelle della natura, che è in egual misura madre e matrigna. Lassù, in montagna, per arrivare alla fine dell’inverno Osvaldo dovrà ascoltare la natura e cogliere i suoi insegnamenti. Accendere il fuoco con le mani, cacciare solo per nutrirsi, riconoscere le erbe che guariscono. Nelle difficoltà, si sa, si apprezza di più ogni piccola cosa.

Mi ero reso conto che mi mancava l’aria aperta, i boschi scheletrici, l’inverno, le notti interminabili al tepore del fuoco dentro una spelonca. E l’inquietante silenzio della montagna, solo ogni tanto rotto da grida di animali disperati o dai rantoli tribolati di uccelli notturni. Mi mancava tutto questo. E, seppur duole confessarlo, dovevo ai Legnole, alla loro ottusa ferocia, alla brutale ignoranza la scoperta di una vita nuova.

“Quattro stagioni per vivere” è un romanzo, splendida la cover realizzata da Matteo Corona figlio di Mauro, che emoziona, a tratti spaventa, insegna e porta a riflettere sul rapporto tra uomo e natura, sui  reali desideri degli uomini che spesso si scontrano con i fallimenti, le solitudini, le tristezze.

Mauro Corona ci prende per mano e ci guida tra i misteri della montagna: libertà, silenzio, memoria, fatica, amicizia, dolore e morte. La storia principale, sembra l’inizio di una favola, non vi recherà mai noia anzi prenderà sempre più vigore alimentata da narrazioni secondarie che vi faranno conoscere il mondo del protagonista, i suoi amici e le sue esperienze. I gemelli Legnole daranno vita a una crudele caccia all’uomo, sono il lato oscuro di una vita senza pietà a cui si contrappone la luce dell’amicizia tra un uomo e il suo fedele cane. Papo, il terranova di Osvaldo, ha un ruolo importante: aiuta il suo padrone a sopravvivere sulle montagne, fiuta da lontano i due gemelli che escogitano sempre nuove mosse per vendicarsi, fa da guida a Osvaldo verso una nuova vita. Le caverne di Bosconero diventano la loro dimora, condividono un affetto reciproco, momenti di rabbia e di paura, condividono il cibo e la dura quotidianità. Osvaldo stacca i ghiaccioli delle cascate congelate per bere acqua pura, accende il fuoco per sfuggire al freddo e aspettare il disgelo in primavera.

“Quattro stagioni per vivere” è un inno alla natura selvaggia, una storia ancestrale che ha il potere di spogliare l’uomo da tutti gli insegnamenti che lo hanno condizionato, per liberare il vero se stesso. Con magia antica le parole si trasformano in poesia, il tempo fluisce, ora lieve, ora burrascoso, con luci e ombre che disegnano un mondo selvaggio ma inebriante. Un mondo in cui è palpabile la fatica dell’avventurarsi in montagna, il piacere dell’essere a contatto con la natura, la sfida con se stessi, l’incertezza delle situazioni, la solitudine che ti fa considerare amici proprio quegli animali che prima cacciavi. È come procedere lungo un percorso che parte da un piccolo paese e sale su per le montagne per poi ritornare al punto di partenza. È come un cerchio della vita che ti accoglie, testa i tuoi limiti, ti fa comprendere ciò che realmente è importante e libera dalle sovrastrutture che la società impone. Osvaldo, e noi con lui, riflette sull’eterna beffa del destino:

È solo quando perdiamo le persone, o rischiamo di perderle, che ci accorgiamo di quanto erano importanti per noi.

Se pensate che un uomo e un cane non possano reggere un’intera storia, vi dico subito che siete in errore. Mauro Corona narra, infatti, una fuga tra le montagne che, vi assicuro, non annoia ma crea una partecipazione empatica coinvolgente. Si percepisce la voglia, direi quasi la necessità, dell’autore di narrare una storia con uno stile personale. Vivrete avventure che vi porteranno a sfidare le vette, sarete a contatto con la maestosità della natura e la cattiveria degli uomini. Corona narra di sconfitte, vendette, fragilità e pace interiore, lealtà e sogno. Un vortice incantevole vi catturerà tra le melodie dei boschi e la poesia elle parole narrandovi di un mondo diverso, semplice e affascinante, dove cercare noi stessi e sconfiggere le nostre paure. Bene, se siete pronti è ora di partire per questa nuova, indimenticabile, avventura.

giovedì 7 aprile 2022

RECENSIONE | "La moglie del serial killer" di Alice Hunter [Review Party]

“La moglie del serial killer” è un thriller psicologico di Alice Hunter pubblicato da Newton Compton Editori. Ogni matrimonio nasconde dei segreti che nel caso di Tom e Beth, i protagonisti del thriller, vi condurranno in una selva intricata.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 6
La moglie del serial killer
Alice Hunter

Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo: € 9,90
Sinossi

Beth e Tom Hardcastle sono la coppia perfetta. Tutto il quartiere li invidia: il loro matrimonio sembra una perpetua luna di miele, la casa che possiedono è splendida e hanno una figlia adorabile. Niente sembra essere in grado di incrinare la felicità della loro famiglia, fino al giorno in cui suona il campanello e, quando Beth va ad aprire, si trova davanti la polizia. Tom è stranamente in ritardo dal lavoro e sua moglie teme il peggio. Ma, nonostante gli attimi di panico, Beth è lontana dall'immaginare la verità... Perché il peggio va oltre ogni immaginazione. Gli agenti sostengono che suo marito sia un assassino. Un mostro che prova un sadico quanto ripugnante piacere nell'uccidere. Troppo sconvolta da quella rivelazione, Beth non comprende subito quello che i poliziotti vogliono da lei. Una sola, semplice risposta: è davvero possibile che la moglie di un serial killer non sospettasse nulla?






Dicono di lui sia un mostro. Dicono che lei lo sapesse.

Beth e Tom Hardcastle sono la coppia perfetta, l’invidia del quartiere: il loro matrimonio sembra una luna di miele perenne, la casa che possiedono è perfetta e hanno una figlia adorabile. Sembra che nulla possa incrinare la felicità della loro famiglia. Una sera però, mentre Beth attende il rientro del marito dal lavoro, la polizia bussa alla sua porta. Tom è stranamente in ritardo e lei viene colta dal panico temendo il peggio. Ben presto scoprirà che il peggio va oltre ogni immaginazione. Perché gli agenti sostengono che suo marito sia un assassino. Un mostro che prova un sadico quanto ripugnante piacere nell’uccidere. Sconvolta da quella rivelazione, Beth non comprende subito ciò che i poliziotti vogliono da lei. Una sola, semplice domanda: è davvero possibile che la moglie di un serial killer non sospettasse nulla?

Mani lisce e immacolate le stringono la gola. Sempre più forte, finché non riesce più a respirare. Il suo peso comincia a schiacciarla; le sue gambe a cavalcioni le premono con forza contro i fianchi. L’aria che ha nei polmoni non trova via d’uscita e rimane intrappolata, bruciando dentro al suo corpo indebolito.

In bilico tra normalità e follia, questo thriller offre alla nostra immaginazione una storia con personaggi davvero inquietanti. Rappresentano i mostri in agguato che si nascondono dietro l’apparenza di una vita perfetta. Già nel titolo si scopre l’identità del serial killer e quindi viene spontaneo chiedersi  che cosa ci racconteranno le pagine di questo thriller. Ci racconteranno un mondo di malvagità e i meccanismi psicologici da cui nasce. Conoscere cosa passa per la mente di un serial killer, incuriosisce e terrorizza. Così come è interessante scoprire come reagiscono le persone che si relazionano con lui. Dalla parte del killer ci si pongono varie domande. Cosa spinge una persona a uccidere? Cosa determina il destino delle vittime?

Un soddisfacente senso di sollievo – di calma – mi pervase mentre la sua vita svaniva tra le mie dita. Una calma che non provavo da molto tempo. Dopo, rimasi seduto a lungo, fissando il suo corpo senza vita. Era bellissimo.

Le vicende che leggeremo ci parleranno di una miriade di sentimenti come la gelosia, l’ossessione, il rancore e la passione. È come se un’ombra nera camminasse al fianco dei protagonisti indicando loro una strada di violenze e crimini. In questa storia di passioni morbose, qual è il ruolo di Beth, la moglie del serial killer? Sapeva o non sapeva? È possibile vivere con un serial killer e non sospettare nulla? Tom è all’apparenza un marito e un padre perfetto? Può un serial killer essere un mostro con le sue vittime e una persona affettuosa in famiglia?

Ci nascondiamo tutti dietro a delle maschere per la maggior parte del tempo. Nessuno sa cosa succede davvero; com’è veramente la vita di una persona una volta che la porta è chiusa.

Beth, dopo un iniziale smarrimento, avrà un comportamento anomalo, non difenderà a spada tratta l’uomo che ama, non si schiererà al suo fianco. In nome di una figlia da proteggere, la donna si mostra decisa a difendere il ruolo che si è conquistata nella piccola comunità dove vivono. I pettegolezzi, la morbosa curiosità sono per lei un terreno minato da cui scappare.

Il thriller ben scritto, con capitoli brevi in cui si alternano le voci dei protagonisti e delle vittime, presenta qualche aspetto che funziona in maniera un po’ forzata, ma l’intera storia appassiona con i suoi colpi di scena e un finale davvero imprevedibile.

“La moglie del serial killer” vi condurrà in un girone infernale, tortuoso e deliziosamente inquietante, con personaggi complessi e relazioni complicate. È la dimostrazione di come la nostra vita possa  cambiare in un attimo e pone, tra le tante, una domanda: “Come facciamo a sapere chi è veramente la persona   che amiamo?”

Tom e Beth non sono personaggi simpatici. Tom è il serial killer del titolo, in lui c’è un demone che a tratti si risveglia.

Lui vuole vederla ancora. Sa bene che non dovrebbe più permetterlo. Ogni volta, giura che è l’ultima. Ma non può fare a meno di trovarlo intrigante. È come una droga: uno sballo deve essere seguito da un altro; nonostante tutte le ombre, nonostante le faccia davvero paura a volte, lei ha bisogno di lui quanto lui ne ha di lei.

Beth, invece, tiene molto alla sua immagine di moglie e madre perfetta, non si ferma più di tanto a riflettere sulle proprie responsabilità. Si sentirà messa sotto processo dalla comunità e nella sua mente risuonerà l’eco dell’accusa: “Lei lo sapeva di sicuro”.

“La moglie del serial Killer” è un’inaspettata fusione tra un thriller psicologico e un poliziesco, soprattutto è un originale romanzo di intrattenimento in cui si nascondono menti malvagie, bisbigli, sguardi di riprovazione, il rumore sommesso eppure inesorabile dei pettegolezzi. Vi lascio con una riflessione del grande Stephen King:

I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono.

martedì 5 aprile 2022

BLOGTOUR | "Brava ragazza, cattiva ragazza" di Michael Robotham | I 5 motivi per leggere il romanzo

Con “Brava ragazza, cattiva ragazza” (per la collana Darkside di Fazi Editore), Michael Robotham, autore di fama internazionale, torna nelle librerie italiane con il primo capitolo di una nuova, travolgente serie con cui si conferma un maestro indiscusso del thriller psicologico.

Di motivi per leggerlo ce ne sono molti. Eccone cinque.




Brava ragazza, cattiva ragazza
(Serie di Cyrus ed Evie #1)
Michael Robotham

Editore: Fazi
Pagine: 400
Prezzo: € 18,00
Sinossi
Una ragazza viene trovata, nascosta in una stanza segreta, all’indomani di un terribile delitto avvenuto a pochi metri da lei. Sporca e affamata, si rifiuta di dire il suo nome, la sua età, da dove viene. Forse ha dodici anni, forse quindici. Sei anni dopo, ancora non identificata, vive in un orfanotrofio con un nuovo nome, Evie Cormac. Quando avvia una causa in tribunale per rivendicare la sua indipendenza perché adulta, lo psicologo forense Cyrus Haven deve determinare se Evie è pronta per essere libera. Ma lei è diversa da chiunque abbia mai incontrato: affascinante e pericolosa in egual misura; Evie capisce subito quando qualcuno sta mentendo. E nessuno intorno a lei dice la verità. Nel frattempo, Cyrus viene chiamato a indagare sullo scioccante omicidio di una campionessa di pattinaggio artistico del liceo, Jodie Sheehan. Bella e popolare, Jodie è ritratta da tutti come la ragazza della porta accanto, ma mentre Cyrus indaga, emerge una vita segreta. Cyrus è intrappolato tra i due casi: una ragazza che ha bisogno di essere salvata e un’altra che ha bisogno di giustizia. Che prezzo pagherà per la verità?



I 5 motivi per leggere il romanzo

1. Perché la trama è una rete intricata da cui nasce un thriller appassionante, crudele, sorprendente, che ha come punto di forza i due protagonisti così diversi tra loro eppure in grado di creare un’intesa che va oltre la ragione trasformando le difficoltà in opportunità, per crescere ed evolvere insieme: Cyrus, tormentato psicologo criminale, e Evie, la ragazza enigma.

Londra. Da bambina, la misteriosa Evie Cormac, chiamata dai giornalisti “Faccia d’angelo”, è stata protagonista di un truce fatto di cronaca: la polizia l’ha trovata nascosta in una stanza segreta dove, proprio sotto i suoi occhi, si è consumato un terribile delitto. Per settimane ha convissuto con il cadavere di un uomo atrocemente torturato ed è sopravvissuta rubando del cibo durante le sue brevi uscite notturne, cibo che ha condiviso con i due cani presenti nel giardino di casa. Per giorni si è nascosta dagli “uomini senza volto”. Dal giorno del ritrovamento sono trascorsi 6 anni, durante i quali si è sempre rifiutata di svelare la propria identità: non si sa quale sia il suo vero nome, la sua età, da dove provenga. Oggi vive a Langford Hall, una struttura protetta per minori di Nottingham e rivendica l’indipendenza. Lo psicologo forense Cyrus Haven è chiamato a determinare se Evie sia pronta per vivere in autonomia al di fuori dell’istituto. Ma questa ragazza è diversa da tutte quelle che ha incontrato. È affascinante, pericolosa, fragile e astuta. Ha un dono, forse una maledizione: è “una maga della verità”, riesce a capire quando qualcuno sta mentendo. Nel frattempo, Cyrus viene chiamato a indagare sull’omicidio di una campionessa di pattinaggio sul ghiaccio, la quindicenne Jodie Sheehan. Bella e popolare, Jodie è definita “la ragazza d’oro del pattinaggio britannico”, ma durante le indagini  emerge un’inquietante vita segreta. Cyrus è intrappolato tra i due casi: una ragazza che ha bisogno di essere salvata e un’altra che ha bisogno di giustizia. Quale sarà il prezzo da pagare per la verità?

Come psicologo criminale ho incontrato assassini, psicopatici e sociopatici, ma mi rifiuto di descrivere le persone come buone o cattive. Il male nasce dall’assenza del bene, non è qualcosa di premeditato, scritto nel DNA, o determinato da genitori di merda, insegnanti negligenti o amicizie crudeli. Il male non è una condizione, è una prerogativa e, a volte, questa prerogativa definisce la persona.                                                                      

2. Perché lo stile narrativo è scorrevole, cattura l’attenzione e l’alternanza di capitoli dal punto di vista dell’uno e poi dell’altra protagonista riesce a farci comprendere qualcosa di più su ognuno di loro. L’epilogo porta alla soluzione del caso preso in esame in questo primo romanzo della serie, ma lascia molti misteri irrisolti che sicuramente verranno chiariti in seguito. Per il momento possiamo riflettere su quali siano gli elementi che fanno giudicare una persona buona o cattiva, lo si diventa o si nasce? Chi è la ragazza cattiva? Chi è la ragazza brava? Fin dal titolo la curiosità è tanta, si cerca di capire e si è coinvolti subito in un gioco di specchi, in una realtà che assume contorni ingannevoli e in cui si proiettano le ombre di storie (sia Cyrus che Evie sono dei “sopravvissuti a incubi reali”)  mai dimenticate e sepolte. La ricerca della verità si complica a ogni pagina in un susseguirsi di eventi, simili a scatole cinesi, che saranno il trampolino di lancio per voli pindarici fra sentimenti, emozioni e il buio di anime perse.

Il personale della residenza protetta per minori mi chiama “ la figlia del demonio”. Gli insulti non mi danno fastidio, perché con me stessa sono più severa di qualsiasi membro del personale. Nessuno riesce a odiare come me. Odio il mio corpo. Odio i miei pensieri. Sono brutta, stupida e sporca. Merce avariata. Nessuno mi vorrà mai. Il bullo sbraita. Il bullo ride. Il bullo vince.

3. Perché “Brava ragazza, cattiva ragazza” è l’inizio di una nuova serie che ha come protagonista uno psicologo forense e una ragazza misteriosa. Cyrus vive nella vecchia casa di famiglia, non ha un cellulare ma un cercapersone, è un uomo solitario ossessionato dal proprio passato.  La storia è narrata da più voci e permette di seguire due punti di vista durante l’intero romanzo e il fatto che l’autore abbia scelto di usare “Faccia d’angelo” come titolo dei capitoli che danno voce a Evie, mi fa pensare a quanto siamo lontani dal sapere la verità su questa ragazza. Scoprire il suo passato sarà sicuramente un passo in avanti nella sua conoscenza ma lei non è ancora pronta a rivelarlo. Io penso che la ragazza ricordi cosa sia successo ma non vuol condividere tale conoscenza con nessuno per proteggere se stessa e anche le persone a cui vuol bene. Sia Cyrus, suo fratello ha ucciso i genitori e le sorelle gemelle mentre lui era agli allenamenti di football, che Evie sono alle prese con traumi infantili e ciò ha sicuramente condizionato la loro vita. Allargando lo sguardo verso altri personaggi, noterete come, in alcuni casi, si ha la tendenza a proiettare le nostre aspettative sulle persone che amiamo, creando gravi problemi. Alcuni vorrebbero cambiare la propria realtà, vorrebbero dimenticare sofferenze e tristezza, ma non sempre è possibile. così come non è sempre possibile dire la verità e le bugie, a volte, servono a proteggere altre persone. Personaggi complicati, quindi, distrutti nell’animo e che vorrebbero chiedere aiuto ma non sanno come fare. Evie e Cyrus sono uniti dai traumi del passato e insieme potrebbero, il condizionale è d’obbligo, iniziare a guarire.

So cosa vuole Cyrus. Dettagli. Fatti. Vuole calarsi nella stessa fogna da cui sono fuggita. Vuole raggiungermi nel fango e ricondurmi fuori. Vuole sapere cosa mi è passato nella testa durante quelle ore, quei giorni e quelle settimane. Cosa ho sentito. Perché sono rimasta nascosta. Come sono riuscita a restare viva.

4. Perché questo romanzo mostra la realtà come un sistema complesso nel quale esistono tante verità perchè ogni personaggio ha strati di personalità che tiene nascosti al mondo. Le loro relazioni sono raramente semplici e non è detto che siano anche giuste. Non esiste quasi mai una verità che vale per tutti. Ognuno ha la sua verità, indossa la sua maschera, si muove tra mille sfumature e definisce la verità grazie alla contrapposizione con la bugia e la menzogna. Intrecciano il vero e il falso creando una mappatura delle relazioni che mette in evidenza come le persone mentono quando credono di poter trarre qualche vantaggio e si appellano alla verità quando vogliono che si abbia in loro maggior fiducia.

5. Perché “Brava ragazza, cattiva ragazza” è un thriller psicologico con una trama ricca di suspense e intrighi, il cui focus si concentra sui personaggi analizzandone il vissuto interiore. Siamo alla scoperta della misteriosa identità di Evie, cercheremo di entrare nei suoi pensieri per carpire indizi ma non sarà facile. La realtà cambia continuamente, regala forti emozioni avendo come sfondo la violenza e la paura. Nell’inconscio dei protagonisti si nascondono mostri crudeli. Si entra in empatia con loro e ci si lascia coinvolgere e sconvolgere dalle esperienze che hanno caratterizzato il loro passato, sui conflitti morali.

Chi è Evie, la ragazza senza passato? Riuscirà Cyrus a entrare nelle tenebre per salvarla? Chiedo a gran voce di poter leggere il seguito, mi aspetto un’altra oscura e contorta storia. Fazi , pensaci tu!