giovedì 10 settembre 2020

RECENSIONE | "Il grande me" di Anna Giurickovic Dato

Dopo il sorprendente romanzo d’esordio “La figlia femmina” (recensione), Anna Giurickovic Dato torna nelle librerie con “Il grande me”(Fazi Editore). Il romanzo parla direttamente al cuore dei lettori narrando la storia di una donna che si confronta con il dolore di una grande perdita. Nel raccontare la genesi del suo nuovo romanzo, la scrittrice ha detto:

«Ecco cosa contiene “Il grande me”: un’attesa e un commiato, un tentativo d’inversione, un restauro, un delirio, un’invenzione e un atto di fede. La sua genesi è il padre, o meglio, la domanda di padre, o meglio ancora, l’interrogativo rivolto a ciò che del padre resta».


STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Il grande me
Anna Giurickovic Dato

Editore: Fazi
Prezzo: € 18,00
Pagine: 220
Sinossi

Simone, davanti alla consapevolezza di una morte certa, viene raggiunto a Milano dai suoi tre figli, dopo molti anni di lontananza. È l'inizio di un periodo doloroso, ma per Carla si tratta anche dell'ultima occasione per recuperare del tempo con suo padre. Simone, angosciato dal pensiero di aver fallito e di non poter più cambiare il suo passato, ripercorre le tappe della propria eccentrica esistenza, vissuta con grande passione e voracità. Mentre la sua lucidità mentale vacilla sempre più, vuole usare il poco tempo che gli resta anche per rimediare a vecchi errori e confessa ai figli un segreto. In Carla e i suoi fratelli riaffiorano ricordi di anni lontani, i momenti dell'infanzia in cui la famiglia era ancora unita e quelli legati alla separazione dei genitori, nel tentativo di ricostruire una verità dai contorni sempre più incerti. I ragazzi non possono far altro che assecondare il padre, tra realtà e delirio, mentre la malattia si dilata richiedendo sempre più attenzioni e occupando la totalità delle loro giornate. Inizia così una ricerca - anche interiore - dai risvolti inaspettati, che porterà Carla e la sua famiglia a scontrarsi con un'ulteriore dura realtà, oltre a quella della vita e della morte. Sarà un confronto necessario, che Carla ha cercato e allo stesso tempo sfuggito per anni, ma che ora dovrà affrontare con tutta la forza di cui è capace.


Quanto sei solo papà… La televisione, il letto, la musica e qualche libro di storia antica, questa è stata la tua vita senza di noi? Se lo avessimo saputo che eri così solo… O lo sapevamo tutti?

Simone, malato terminale, viene raggiunto a Milano dai suoi tre figli, dopo molti anni di lontananza. È l’inizio di un periodo doloroso, ma per Carla è anche l’ultima occasione per recuperare del tempo con suo padre. Simone, nei momenti in cui la malattia gli concede una tregua, ripercorre il suo passato. Egli è angosciato dal pensiero di aver fallito e di non poter più cambiare le scelte che hanno caratterizzato la sua eccentrica esistenza. Nei pochi momenti di lucidità, Simone decide di porre rimedio a vecchi errori e confessa ai figli un segreto. Anche per Carla e i suoi fratelli è tempo di ricordi. Ripensano ai momenti dell’infanzia quando la loro famiglia era ancora unita, ripercorrono le tappe della dolorosa separazione dei genitori. Ora i ragazzi non possono che assecondare il padre che confonde realtà e delirio. Simone chiede la loro totale attenzione e i figli cercano di assecondarlo in tutti i modi. Inizia così una ricerca, anche interiore, che porterà Carla e la sua famiglia a scontrarsi con un’ulteriore dura realtà, oltre a quella della vita e della morte.

“Il grande me” è un romanzo duro, malinconico, implacabile che porta a riflettere sulla figura del padre. Racconta, con una sincerità disarmante, la storia di una famiglia stravolta dalla notizia di una fine imminente. È la storia di una figlia costretta a fare i conti con il dolore di una grande perdita.

Leggere questo romanzo non è stato facile perché tratta un tema forte, un avvenimento che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare.

La testa di mio padre, insieme al suo corpo, sta cambiando. Assisto, ogni giorno, a una mutazione rapida e disorganica dove il certo trasloca nell’incerto, un riarrangiamento cromosomico di tutto ciò che c’è in lui di immateriale risponde, come per ribellione, alla disgregazione della sua materia.

Ora che la fine ha preso il posto del futuro, nulla ha più senso e tutto precipita verso la morte. Il tempo non concede una seconda possibilità. La vita inesorabilmente scivola tra le braccia del sonno eterno e nulla si può fare per cambiare la dolorosa situazione. La morte però non è la fine di tutto se si può vivere nei figli. Per Simone questa possibilità esiste, “il grande me” esiste.

Mi sciacquo il viso, che di tempo per piangere ne avrò, ma quello che mi resta per rendergli lieve ogni suo giorno, è poco. Difficile rasserenarsi ora che tutta la tristezza raccolta mi sta premendo addosso, e quando si è molto triste, a volte, si ha voglia di essere ancora più tristi, di piangere a volto scoperto, di mostrare a tutti il proprio dolore.

Una delle esperienze più strazianti che si possa vivere è la perdita di un genitore. Noi figlie femmine abbiamo un rapporto speciale con i nostri papà. Cerchiamo le loro attenzioni, vogliamo stare in loro compagnia. Per i figli, il papà è un eroe, è il principe azzurro, è colui che ci protegge, è il modello di riferimento, il depositario di ogni verità, l’unico a conoscere il bene e il male della vita. I suoi abbracci, la sua approvazione, la sua attenzione sono elementi importanti per l’autostima di un figlio. Poi il tempo passa e le cose cambiano. Pian piano i figli si allontanano, non ascoltano più la voce dei genitori, si ribellano ai loro insegnamenti. La vita procede, implacabile e ci mostra i volti fragili di coloro che ci hanno dato la vita e noi non siamo mai pronti ad accettare la loro morte. Non importa quanti anni abbiamo, in noi rimane un gran vuoto. Si rimpiangono tutte le opportunità sprecate, la loro compagnia, le loro carezze, i loro baci. Nella vita si danno molte cose per scontato e si pensa, tenera certezza, che i nostri genitori siano immortali. La morte, per loro, non esiste! Nessuno, però, è riuscito a ingannare il tempo che scandisce il trascorrere degli anni. I figli crescono e i padri si mostrano con le loro fragilità, con le debolezze e limitazione che sono insite in ogni uomo.

Quando siamo piccoli, mamma e papà, ci prendono per mano, ci sorridono e noi siamo orgogliosi di avere dei genitori che ci vogliono bene. Quando un genitore si ammala tutto cambia. Nel romanzo “Il grande me”, i figli fanno quadrato intorno al loro papà. Si occupano di lui ed è straziante toccare con mano la sofferenza di chi è malato e non ha più nessuna speranza di guarigione. Da piccoli i figli avevano bisogno di lui ora è il papà ad avere paura, a cercare la loro protezione. È difficile gestire le proprie emozioni, si è spaventati, si vuol essere forti e si è deboli, si muore un po’ alla volta e non si riesce ad accettare la dura realtà. Il tempo segna l’attesa della fine.

“Il grande me” è un romanzo intenso dove le emozioni non si nascondono ma segnano la crudele attesa della fine. I pensieri sono liberi di concretizzarsi in comportamenti e ogni figlio affronta la malattia del padre a modo suo. C’è chi non si rassegna e vuol provare ogni cura nel tentativo di guadagnare qualche mese di vita. C’è chi è disposto ad assecondare ogni desiderio, per quanto folle, del malato. C’è chi si mostra forte e ha il cuore devastato dall’imminente addio.

Il romanzo entra nel labirinto degli ultimi mesi di vita quando la quotidianità diventa una gran confusione, un baratro in cui inevitabilmente cade il futuro. Tra le pagine del libro emerge il ritratto del padre, della sua vita, dei rapporti con la moglie e con i figli. I ricordi ci permettono di entrare nel mondo interiore dei personaggi, sentire sulla pelle la profonda malinconia prima della grande perdita.

“Il grande me” è l’ultima occasione che padre e figli hanno di parlarsi ma è anche un palcoscenico su cui sfilano le sfumature dei sentimenti, gli equilibri di una vita, la débâcle di convinzioni fino a poco prima incrollabili. La morte induce a fare i conti con se stessi, proietta il nostro sguardo oltre la vita e la sofferenza libera dubbi, incertezze, ansie e diventa l’alba della sopravvivenza, dell’accettazione della morte. Non è facile, la morte di un genitore ci priva della protezione di sentirsi “figli” e cambia il nostro modo di vedere la vita. La malattia è narrata in tutte le sue sfaccettature: i dottori che negano l’esistenza di possibili cure, il corpo che perde la sua forza, la mente che vola libera su territori sconosciuti. Gli abbracci, i sorrisi, le attenzioni diventano una corsa contro il tempo. La rabbia cede il posto alla rassegnazione ma per una vita che finisce, altre vanno avanti lo stesso ma ci saranno tante domande che rimarranno senza risposta.

Ricordate, quando leggerete “Il grande me”, che la vita è fatta anche di conflitti interiori. L’avvicinarsi della morte trasforma i conflitti in racconti attraverso sogni, ricordi e colpe.

Nel romanzo il padre prende coscienza del passato, dei propri fallimenti, rimorsi e rancori da cui nascerà la necessità di svelare il grande segreto.

“Il grande me” è un libro capace di emozionare e di far riflettere, è un modo per dire addio a una persona importante nella vita dei protagonisti. È facile sentirsi coinvolti nel percorso che vede il padre e i figli insieme per l’ultima volta. Si percepisce la necessità di mettere a nudo le proprie emozioni in un momento difficile della vita. L’immortalità dei genitori s’infrange contro la dura realtà e ci si sente impotenti contro la malattia. Vedere la paura negli occhi delle persone che amiamo è straziante.

Il terrore è quello di restare solo. Il terrore è l’ospedale, i medici che non possono salvarlo, la menzogna di una guarigione, la paura di crederci davvero, le terapie inutili a cui, in alcuni momenti, si attacca con una speranza priva di ragione, e da cui adesso fugge.

Aspettare. Lottare. Accettare.

Lo guardo, lo vedo arrivare: eccolo il mio morto che cammina. Mio padre, il mio vecchio amore, cosa farà adesso? Prenderà una tazza, ci verserà il caffè? Cosa fanno i morti fuori dalle chiese e dalle tombe?

“Il grande me” è una via crucis del dolore, dell’intimità emotiva, dello sconvolgimento e infine crea un nuovo equilibrio. Il fascino della storia è nella sua crudeltà reale, nelle lacrime trattenute, nel cuore che si frantuma, nel tempo che scorre tra le dita. È un addio, un commiato dalla persona amata che continuerà a vivere nei ricordi dei figli.

Papà, chi sono io? Io sono tua figlia, papà.

Come mi chiamo? Mi chiamo Carla e sono tua figlia, papà.

Mi chiamo Carla, sono tua figlia e vivrai per sempre nel mio cuore.

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