giovedì 27 novembre 2025

RECENSIONE | "Il Grane Bob" di Georges Simenon

 "Il Grande Bob" (Adelphi, traduzione di Simona Mambrini) è un romanzo del 1954, un capolavoro di uno degli scrittori di lingua francese più amati di tutti i tempi, il belga Georges Simenon. 

Simenon scrisse questo romanzo quand'era in Connecticut nel 1954. É una storia che indaga i lati oscuri di un uomo che a tutti sembrava l'immagine della gioia di vivere.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il Grande Bob
Georges Simenon

Editore: Adelphi 
Pagine: 166
Prezzo: € 19,00
Sinossi

«Negli ultimi tempi aveva un modo particolare di guardarsi allo specchio dietro le bottiglie. Quando un uomo come lui comincia a scrutarsi negli specchi, mi creda, non è un buon segno». Una riflessione, questa del padrone del bistrot dove il suo amico Bob, morto da pochi giorni, andava a giocare a carte, che colpisce profondamente il dottor Charles Coindreau. Non appena ha saputo che quella di Bob non è stata una morte accidentale, come sulle prime si credeva, bensì un suicidio, ha deciso di condurre una sorta di indagine, e di interrogare chiunque l’abbia conosciuto, a cominciare dalla moglie e dall’ultima delle numerose amanti. Perché lui, come tutti, ma più di tutti gli altri, si arrovella sul motivo che ha indotto a togliersi la vita uno come Bob: sempre allegro, e allegramente sfaccendato, sempre pronto alla battuta, gran giocatore di belote e gran consumatore di «bianchini» a qualunque ora del giorno – non per caso lo avevano soprannominato il Grande Bob. Nella casa di Montmartre dove abitava insieme alla sua polposa, esuberante, forse un po’ volgare ma radiosa moglie Lulu, la porta era sempre aperta, e vi si potevano incontrare persone di ogni estrazione sociale, e «ognuno era libero di comportarsi o di parlare a suo piacimento, con la certezza di non scandalizzare nessuno». Così come nessuno si scandalizzava del fatto che Lulu accettasse i tradimenti di Bob: le bastava che lui fosse felice. Scavando nel passato dell’amico, immergendosi nei lati oscuri di un uomo che a tutti sembrava l’immagine stessa della gioia di vivere, e persino, a volte, sovrapponendosi a lui, Coindreau finirà per scoprire la verità sulla morte di Bob – ma soprattutto qualcosa su sé stesso.





Bob è morto 

Il Beau Dimanche è una popolare locanda sulla Senna, poco lontano da Parigi, molto frequentata soprattutto d'estate nei fine settimana. Qui viene praticata anche la pesca del luccio. 

Tra i frequentatori ci sono anche Bob e Lulu. 

Bob, nato a Poitier, è un uomo alto e forte, sempre con un bicchiere di vino bianco tra le mani, amante della vita e delle belle donne, sempre allegro e giocoso, allegramente sfaccendato passa da un mestiere all'altro senza angosce, non si prende mai troppo sul serio. 

Lulu, moglie di Bob, è piccola, di modestissima origine, ha il corpo sformato dai numerosi aborti, dirige una modisteria che le ha donato Bob. 

La sera prima tutto procedeva come al solito. È sabato, sono nella loro camera alla locanda, disfano i bagagli. Lui inizia a bere e a giocare a carte. All'alba, mezzo sbronzo, Bob esce per andare a pesca di lucci. Nella camera Lulu si sveglia e accanto a lei c'è il letto vuoto. Non si preoccupa, non è certo la prima volta che, aprendo gli occhi, non trova il marito accanto a sè. Qui inizia il dramma. 

La piccola barca di Bob è incagliata oltre la diga, lui ha una gomena girata due volte intorno alla caviglia. All'altro capo della corda c'è un peso. Dall'acqua spunta un braccio, quello di un morto, quello di Bob. Incidente o suicidio? Non ci sono testimoni. 

Il dottor Coindreau medico di base, amico della coppia, sposato, padre di due figli, resta sbalordito nell'apprendere la ferale notizia. 

Perché il grande Bob avrebbe dovuto suicidarsi? Lui era la gioia di vivere fatta persona, voleva far felice tutti, non aveva una preoccupazione al mondo, non mostrava mai ansia e non dava fastidio agli altri. La sua morte sconvolge tutti. 

Nella casa di Montmartre dove abitava con la moglie, la porta era sempre aperta, e vi si potevano incontrare persone di ogni estrazione sociale, e "ognuno era libero di comportarsi o di parlare a suo piacimento, con la certezza di non scandalizzare nessuno". 

Così come nessuno si scandalizzava del fatto che Lulu accettasse i tradimenti di Bob: le bastava che lui fosse felice. 

Ma chi è dunque il Grande Bob? Un uomo originale, uno scontento, un sognatore? 

Coindreau parla con Lulu, con la sorella e con il cognato di Bob. Fa scoperte inaspettate sull'amico. E anche su sé stesso. 

Come sempre Simenon mette in scena una doppia verità: quella sotto gli occhi di tutti e quella legata al passato di Bob. 

 Robert, Bob è un soprannome, era figlio di un importante giurista, rettore della facoltà di Giurisprudenza a Poitiers. Uomo integerrimo approva la decisione del figlio di volere continuare gli studi a Parigi. Le cose però non vanno come previsto. Robert non si presenta in facoltà per sostenere l'ultimo esame. Il padre lo trova, in una stanza, in compagnia di una ragazza. 

Robert ha deciso di non volersi più laureare, si ribella all'autorità paterna e vuol essere libero di scegliere. Il padre prende atto di questa decisione e senza dir nulla va via. 

Bob aveva sposato Lulu e aveva fatto di tutto per renderla felice. 

In fondo, se ciascuno di noi s'incaricasse di rendere felice una sola persona, il mondo intero sarebbe felice.

Ora che il Grande Bob è morto non c'è più nulla da scoprire. È chiaro, esplicitato fin dalle prime pagine, Bob si è suicidato. Ed è qui che si manifesta la vera magia di Simenon. Le indagini del dottor Coindreau scivolano in un'altra direzione e mettono sotto esame non la vita di Bob ma quella dello stesso dottore. 

Coindreau diventa il soggetto delle sue stesse indagini psicologiche. Sotto la lente dell'analisi pone se stesso, il suo matrimonio infelice, i suoi desideri, il vuoto. Un altro essere umano disperato che nasconde un'amara verità. 

Con grande talento Simenon narra i mali dell'esistenza umana. I suoi romanzi non sono rassicuranti e l'umanità mostra sempre il suo volto peggiore. I personaggi sono sempre alle prese con tormenti e sensi di colpa. Simenon racconta le paure, le ossessioni e le atmosfere del Secolo breve. Ogni uomo rappresenta un mistero che nessuno ha svelato. 

"Il Grande Bob" è un romanzo dalla costruzione serrata, dall'eleganza delle osservazioni psicologiche, dalla limpidezza del narrare. Tra le righe aleggia lo spettro di una domanda sempre valida in ogni tempo: "Che cosa sappiamo degli altri, in definitiva, quando neanche di noi stessi sappiamo granché?" 

La ricerca "dell'uomo nudo", senza maschere, continua.

lunedì 10 novembre 2025

RECENSIONE | "L'erede" di Camilla Sten

 "L'erede" (Fazi, Collana Darkside, traduzione di Renato Zatti) è un romanzo di Camilla Sten, figlia della scrittrice di gialli Viveca Sten. Nel nuovo romanzo, "L'erede", troverete verità inconfessabili sepolte nel tempo, una storia familiare disseminata di segreti e una casa che non li lascerà mai andare.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 6
L'erede
Camilla Sten

Editore: Fazi
Pagine: 360
Prezzo: € 19,50
Sinossi

Eleanor convive con la prosopagnosia, l’incapacità di riconoscere i volti delle persone. Un disturbo che causa stress, ansia acuta, e può farti dubitare di ciò che pensi di sapere. Una sera la ragazza si reca a casa della nonna Vivianne per la consueta cena domenicale. Ad accoglierla sull’uscio non trova però la nonna, ma una persona cui non riesce a dare un nome, che scappa via per le scale. Dentro casa, la nonna è distesa sul tappeto accanto a un paio di forbici con le lame spalancate. Nella stanza, odore di ferro e carne. La nonna, quella nonna che l’ha cresciuta come una madre, è stata uccisa. Passano i giorni, e l’orrore di essersi avvicinata così tanto a un assassino – e di non sapere se tornerà – inizia a prendere il sopravvento su Eleanor, ostacolando la sua percezione della realtà. Finché non arriva la telefonata di un avvocato: Vivianne le ha lasciato in eredità una tenuta imponente nascosta tra i boschi svedesi. È la casa in cui suo nonno è morto all’improvviso; un posto remoto, che da oltre cinquant’anni custodisce un passato oscuro. Eleanor, il mite fidanzato Sebastian, la sfrontata zia Veronika e l’avvocato vi si recano in cerca di risposte. Tuttavia, man mano che si avvicinano alla scoperta della verità, inizieranno a desiderare di non aver mai disturbato la quiete di quel luogo. Chi era davvero Vivianne? Quali segreti si è portata nella tomba?





Eleanor, una giovane donna che soffre di prosopagnosia, un deficit percettivo che non permette di riconoscere i volti delle persone, assiste all'omicidio di sua nonna: vede una persona che scappa via per le scale, ma non riesce a ricordare il suo viso. Dentro casa la nonna è distesa sul tappeto accanto a un paio di forbici con le lame spalancate. Passano i giorni e l'orrore di essersi avvicinata così tanto a un assassino, inizia a prendere il sopravvento. Eleanor (che solo la nonna chiamava Victoria) non sa se quell'uomo tornerà e la sua vita viene invasa da stress e ansia acuta. Un giorno arriva la telefonata di un avvocato: la nonna Vivianne le ha lasciato in eredità una tenuta imponente nascosta tra i boschi svedesi. Il suo nome è Solhoga, "sole alto". 

Una dimora signorile di due piani in ottime condizioni, imponente e intonacata di bianco, con file di finestre scure che ci fissano senza vederci. Dietro la casa scorgono altre costruzioni più piccole e un laghetto circondato da giunchi ghiacciati. 

È la casa in cui suo nonno è morto all'improvviso, un posto remoto che da oltre cinquant'anni custodisce un passato oscuro. Eleanor, il mite fidanzato Sebastian, la sfrontata zia Veronika e l'ambiguo avvocato vi si recano in cerca di risposte. Quindi l'azione si sposta nella grande casa isolata dove si incroceranno due linee narrative nel segno del mistero: il presente, con Eleanor che esplora la tenuta; e il passato, quando qualcosa di terribile è accaduto. Rivivremo gli eventi accaduti nella casa nel 1965 grazie al diario della cameriera Annushka che rivelerà la crudeltà di Vivianne, la padrona della casa. 

Camilla Sten è maestra nel creare personaggi sinistri e atmosfere inquietanti. I suoi romanzi offrono storie capaci di far sussultare i lettori a ogni pagina. Il buio e le tormente di vento e neve sono il contesto da brividi di questo thriller. Non mancano l'atmosfera cupa e minacciosa, i segreti di famiglia e i personaggi misteriosi. Mentre la neve si accumula al di fuori della casa, dentro aumenta la paura e sale la tensione. 

È stato intrigante scoprire le ombre che si muovono nel buio di Solhoga, percepire le vibrazioni spettrali e seguire gli strani eventi che iniziano a verificarsi nella villa. La tempesta di neve blocca tutti nella villa e prelude a una serie di colpi di scena che rende difficile smettere di leggere questo romanzo. 

L'autrice semina varie false piste per depistare i lettori e ciò ha reso la lettura piena di tensione. Non è una storia veloce ma ciò ha fatto crescere in me l'ansia di conoscere l'evolversi degli eventi. Orrore e mistero si mescolano creando una miscela esplosiva che vi farà dubitare di ogni vostra intuizione. In questo thriller il depistaggio regna sovrano: quando ho creduto di aver indovinato il colpevole ecco che sopraggiunge un nuovo flashback che mi ribalta le deduzioni precedenti. 

Seppur l'inizio sia abbastanza classico (un assassino, un mistero irrisolto del passato e una casa sperduta nei boschi), la storia è molto più complessa di come sembra e diventa sempre più interessante. 

I personaggi sono ben delineati e complessi. Li conosceremo attraverso il racconto del passato e il diario di Annushka avrà un ruolo importante per poter svelare la verità. I rapporti tra i protagonisti sono ricchi di sfaccettature e intrecci psicologici. 

Lo stile dell'autrice è diretto, mai noioso. Segue una linea temporale non troppo intricata e intreccia abilmente elementi di thriller, mistero e approfondimento sociale dando rilievo alle dinamiche sociali e psicologiche. 

"L'erede" è un giallo matrioska: l'omicidio iniziale è il pretesto per iniziare una serie di indagini personali e misteri paralleli. Solhoga è il filo che lega passato e presente, è la lunga ombra del passato che lancia un guanto di sfida con un crescendo di false piste, lettere e documenti che spariscono, testimoni che svaniscono. La verità metterà in chiaro che non ci sono vincitori e vinti. Il lettore si troverà davanti a un vaso di Pandora che è stato aperto portando alla luce circostanze e situazioni nascoste, dannose, dolorose. 

In questo romanzo l'attenzione si concentra sui segreti di famiglia, sull'eredità e sull'identità personale. La "prosopagnosia" di Eleanor è una metafora per le difficoltà nel riconoscere le verità nascoste nella propria genealogia e nelle persone care. Anche la fiducia è un tema importante del romanzo che evidenzia come le apparenze possano ingannare. 

In questo ingranaggio di morte Solhoga infrange la sua promessa di essere custode del passato. La sua promessa è infranta, spezzata, tradita. La verità che custodiva verrà alla luce e racconterà una storia senza giustizia.

mercoledì 22 ottobre 2025

RECENSIONE | "Lizzie" di Shirley Jackson

"Lizzie" (Adelphi) è un romanzo della regina del genere gotico, Shirley Jackson. Accolto con freddezza dalla critica del tempo, che lo definì incoerente e difficilmente leggibile, "Lizzie" (1954) è la storia di una donna tormentata da un disturbo di personalità. Oggi la critica lo ha rivalutato. Per me è stata una bella scoperta, un viaggio claustrofobico nella psiche frantumata della protagonista.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
Lizzie
Shirley Jackson

Editore: Adelphi
Pagine: 320
Prezzo: € 13,00
Sinossi

La protagonista, Elizabeth Richmond, ventitré anni, i tratti insieme eleganti e anonimi di una "vera gentildonna" della provincia americana, non sembra avere altri progetti che quello di aspettare "la propria dipartita stando il meno male possibile". Sotto un'ingannevole tranquillità, infatti, si agita in lei un disagio allarmante che si traduce in ricorrenti emicranie, vertigini e strane amnesie. Un disagio a lungo senza nome, finché un medico geniale e ostinato, il dottor Wright, dopo aver sottoposto la giovane a lunghe sedute ipnotiche, rivelerà la presenza di tre personalità sovrapposte e conflittuali: oltre alla stessa Elizabeth, l'amabile e socievole Beth e il suo negativo fotografico Betsy, "maschera crudele e deforme" che vorrebbe fagocitare e distruggere, con il suo "sorriso laido e grossolano" e i suoi modi sadici, insolenti e volgari, le altre due. È solo l'inizio di un inabissamento che assomiglierà, più a che un percorso clinico coronato da un successo terapeutico, a una discesa amorale e spietata nelle battaglie angosciose di un Io diviso, apparentemente impossibile da ricomporre: tanto che il dottor Wright sentirà scosse le fondamenta non solo della sua dottrina, ma della sua stessa visione del rapporto tra l'identità e la realtà.





Veniamo tutti misurati, buoni e cattivi, dal male che facciamo agli altri.

Elizabeth era una timida ventitreenne che trascorreva la sua vita svolgendo un noioso lavoro in un museo. Non aveva amici, né conoscenti e "nessun progetto che non fosse sopportare l'ineludibile intervallo antecedente la sua dipartita stando il meno male possibile." Nell'ufficio del museo dove lavorava, la consideravano spenta e amorfa, poco interessante. Rimasta orfana, viveva con la prepotente zia Morgen. Al compimento dei venticinque anni, Elizabeth avrebbe ereditato la grande fortuna lasciata dal padre. Nel frattempo la ragazza riceveva spesso minacciose lettere, in cui si faceva riferimento a una certa Lizzie, che conservava gelosamente in una scatola rossa. 

Sotto un'ingannevole tranquillità si agitava in lei un disagio allarmante che si traduceva in terribili emicranie e amnesie, vertigini e insonnia. La zia decise di portarla dal medico e poi da uno psichiatra, il dottor Wright, che, dopo aver sottoposto la giovane a lunghe sedute ipnotiche, rivelerà la presenza di più personalità sovrapposte e conflittuali. 

Lentamente e con la freddezza caratteristica di Shirley Jackson scopriamo, seduta dopo seduta, la sconcertante verità: nella protagonista, intrappolata nel suo corpo e nella sua mente, convivono più personalità distinte: 

Elizabeth è la personalità nervosa e afflitta da dolori lancinanti, modesta, chiusa e oppressa dall'imbarazzo, è la stupida ma in qualche modo resistente; 

poi esiste Beth, la personalità serena e socievole, tutta sorrisi, graziosa e sensibile; 

a volte, però, emerge Betsy, la personalità disinibita, sfrenata, insolente, dozzinale e perfida. 

Tuttavia tre non è il numero ultimo delle identità. C'è anche Bess, la personalità arrogante e avara, diabolica e senza ritegno, pronta a schiacciare chiunque le impedisca di prendere il controllo. 

Ogni nuova personalità si rivelava più sgradevole della precedente, tutte sono in conflitto tra loro e ognuna cerca di emergere a scapito delle altre. 

È stato sicuramente angosciante leggere "Lizzie" perché ci si ritrova faccia a faccia con i terrificanti effetti del disturbo di personalità. La protagonista non esiste più nel suo tutto che si frantuma in più identità. 

È importante ricordare che l'approccio alla malattia mentale nel romanzo si basa su un modello di psicanalisi agli esordi. La paziente è un mistero da svelare. Il suo psichiatra si comporta come un detective che indaga per scoprire il trauma sepolto che ha generato tanti problemi. 

Jackson, con ironia, dà la possibilità alle varie personalità di presentarsi e raccontare la situazione dal loro punto di vista, cercando di prendere il controllo della storia. Più voci narranti che catturano l'attenzione del lettore che comprende subito quanto le "voci" siano inaffidabili. 

Tra tutti i protagonisti la figura dello psichiatra ha un fascino particolare. 

Il dottor Wright era un uomo pomposo, falsamente umile e incline all'autocompiacimento. Spesso veniva deriso da Betsy, la personalità cattiva, che lo chiamava dottor Wrong (cioè "sbagliato", in un gioco di parole fra right, "giusto", e wrong, "sbagliato"). Lui era sempre sul punto di tirarsi indietro, di mollare l'incarico. 

L'idea di una personalità che combinasse la stupidità di Elizabeth con la fragilità di Beth, la cattiveria di Betsy con l'arroganza di Bess, mi faceva venir voglia di nascondermi sotto le coperte! Mi vedevo come un dottor Frankenstein che ha per le mani il materiale necessario per costruire un mostro. 

Anche la zia di Elizabeth è una figura che riserverà grandi sorprese. 

La zia Morgen era una donna che non nascondeva la propria eccentricità, così come non nascondeva il suo amore per l'alcol. Donna poco empatica, a modo suo voleva bene alla nipote e si preoccupava per la sua salute. 

Figure negative? Andando avanti con la lettura ho scoperto lati inaspettati di questi personaggi che, sopravvissuti a un travagliato passato, riveleranno sensibilità e profondità. 

"Lizzie" non è sicuramente tra i libri più belli di Shirley Jackson ma merita comunque di essere considerato perché affronta un tema sicuramente poco conosciuto all'epoca e perché nulla sarà esplicitamente risolto. Si naviga a vista con "Lizzie", la storia non svela ma insinua. L'autrice semina abilmente indizi che permettono ai lettori di ricomporre la vicenda caratterizzata anche da tradimenti, abbandoni, violenze, soldi e rivalità. L'autrice adotta vari stili per scrivere questo romanzo, tanti stili quante erano le personalità di Elizabeth. A volte il libro appare serio, a volte ironico, a volte frivolo, a volte noioso. Sicuramente il soggetto è originale ma la confusione di Elizabeth, tra follia e delirio, diventa anche la confusione del lettore. "Lizzie" è un'audace indagine psicologica, una discesa spietata nelle battaglie angosciose di un Io diviso, apparentemente impossibile da ricomporre. Il finale ambiguo annuncia la vittoria di una battaglia, non della guerra. Una volte scoperchiato il vaso di Pandora non si torna indietro, parola di Elizabeth, Beth, Betsy e Bes.