venerdì 10 ottobre 2025

RECENSIONE | "La donna della porta accanto" di Freida McFadden

"La donna della porta accanto" (Newton Compton) è un thriller mozzafiato dell'americana Freida McFadden. Dopo anni di sacrifici, Mille riesce a comprare, con suo marito, la casa dei suoi sogni. Tuttavia i suoi nuovi vicini hanno qualcosa di strano e inquietante. Infatti anche un quartiere residenziale ha le sue zone d'ombra. La gentilezza e la riservatezza degli abitanti possono convivere con la malvagità, i segreti e le bugie che sarebbe meglio non svelare mai.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La donna della porta accanto
Freida McFadden

Editore: Newton Compton
Pagine: 352
Prezzo: € 12,90
Sinossi

Una volta pulivo gli appartamenti degli altri, ora non posso credere che questa casa sia davvero mia. L’incantevole cucina, il tranquillo vicolo sul quale si affaccia, il giardino dove i bambini possono giocare. Io e mio marito abbiamo risparmiato anni per dare ai nostri figli la vita che meritano. Anche se sono diffidente nei confronti della nostra nuova vicina, la signora Lowell, quando ci invita a cena è la nostra occasione per fare amicizia. La domestica ci apre la porta indossando un grembiule bianco, i capelli raccolti in una crocchia stretta. So esattamente cosa vuol dire essere nei suoi panni. Ma il suo sguardo freddo mi fa venire i brividi... La domestica dei Lowell non è l’unica stranezza: sono sicura di vedere una figura che ci osserva minacciosa dalla finestra. Mio marito, inoltre, comincia a uscire la sera sempre più tardi. Quando incontro una donna che abita dall’altra parte della strada, le sue parole mi gelano il sangue: «Fai attenzione ai tuoi vicini». Ho commesso un terribile errore trasferendomi qui con la mia famiglia? Pensavo di essermi lasciata alle spalle i segreti più oscuri. Ma questo quartiere tranquillo potrebbe rivelarsi il luogo più pericoloso di tutti...





Ho commesso un terribile errore trasferendomi qui con la mia famiglia? Pensavo di essermi lasciata alle spalle i segreti più oscuri. 

Millie, la protagonista, va a vivere con il marito e i due figli in una nuova casa in un quartiere tranquillo. La dirimpettaia l'accoglie con un enigmatico benvenuto: "Fai attenzione ai tuoi vicini". Da lì è un crescendo di stranezze inquietanti. 

"La donna della porta accanto" è il terzo libro della serie che vede protagonista la ex domestica Millie dal passato oscuro. Dopo "Una di famiglia" e "Nella casa dei segreti", ritroviamo Millie che si è trasferita dal Bronx in una bella villetta a Long Island. Il quartiere si presenta come un posto sicuro in cui le famiglie possono vivere in tranquillità. Millie è sposata con Enzo, un bell'uomo di origine italiana. Hanno due figli: Nico di nove anni e Ada di undici. 

Tutto sembra andare per il meglio. L'incantevole cucina, il tranquillo vicolo sul quale si affaccia, il giardino dove i bambini possono giocare, sono i punti di forza della nuova casa. Tuttavia all'orizzonte si addensano nuvole nere. Millie è da subito diffidente nei confronti della nuova vicina, Suzette Lowell, che, per fare amicizia, invita tutta la famiglia a cena. La domestica, che apre la porta, indossa un grembiule bianco, i capelli raccolti in una crocchia stretta. 

Millie sa esattamente cosa vuol dire essere nei suoi panni, ma il suo sguardo freddo le fa venire i brividi. Brividi che aumentano quando Millie è sicura di vedere una figura che li osserva minacciosa dalla casa di fronte. Anche Enzo inizia a comportarsi in modo strano: comincia a uscire la sera sempre più tardi, riceve più telefonate del solito e la sua gestione delle finanze non è poi così chiara. C'entra qualcosa la bella e ricca Suzette che inizia a flirtare sfacciatamente con Enzo anche in presenza di suo marito Jonathan? 

Forse Millie ha commesso un terribile errore trasferendosi nella nuova casa con la famiglia. Pensava di essersi lasciata alle spalle i segreti più oscuri, ma il quartiere tranquillo potrebbe rivelarsi il luogo in cui si cela l'incubo più nero. Millie sta per vivere il suo inferno in terra: Jonathan, il marito di Suzette, viene trovato morto nella sua casa con la gola squarciata. Chi l'ha ucciso? 

"La donna della porta accanto" è un romanzo che vede i segreti di famiglia tornare a galla. Il male è molto, molto vicino, e rischia di frantumare il rapporto tra Millie e il marito. 

Leggere questo romanzo, ricco di suspense, è come inoltrarsi in un labirinto di specchi in cui la realtà si trasforma continuamente. Ogni personaggio sembra avere una doppia personalità ed è impossibile distinguere la verità dal suo riflesso distorto. La narrazione è in prima persona, ciò ci permette di conoscere la protagonista condividendo con lei timori e dubbi, si crea un legame immediato e coinvolgente. Nel romanzo troviamo temi come la fiducia alla base dei rapporti tra uomo e donna, le maschere sociali che mostrano come si vuol apparire e nascondono il vero essere, la violenza domestica che spazza via il concetto di casa come luogo sicuro, il rapporto genitori-figli. Appare evidente, fin dai primi capitoli, quanto, per alcune persone, sia importante l'apparenza e come sia facile essere ingannati da ciò che crediamo di vedere. Un senso di inquietudine serpeggia per tutto il romanzo e regala una lettura scorrevole e un coinvolgimento nel cercare di scoprire chi è il colpevole. 

Infatti in un gioco di inganni in cui niente è come sembra, Millie sa che le resta un solo modo per proteggere la sua famiglia. Perché lei sa dove iniziano le bugie, ma non sa dove la porterà la verità.

martedì 30 settembre 2025

RECENSIONE | "Le lupe" di Boileau e Narcejac

"Le lupe" (Adelphi, 2024, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) è un romanzo del 1955 dei maestri del noir francese: Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Tra i loro lavori più noti ricordiamo "I diabolici" e "La donna che visse due volte", che hanno ispirato registi come Clouzot e Hitchcock.

"Le lupe" narra di un uomo di nome Gervais che, dopo aver rubato l'identità a un suo compagno di prigionia, seduce due sorelle contemporaneamente e pensa di riuscire a usarle per i propri scopi. Presto scoprirà che le due sorelle sono più astute di lui, e soprattutto più cattive. Dal romanzo "Le lupe" sono stati realizzati, in Francia, una versione cinematografica e un adattamento televisivo.


STILE: 9 | STORIA: 8 | COVER: 8
Le lupe
Pierre Boileau e Thomas Narcejac

Editore: Adelphi
Pagine: 179
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Lione, 1941. Fuori, la guerra, l’occupazione, il coprifuoco, il razionamento. Dentro, nell’immenso appartamento borghese, buio, deserto e polveroso, come «perduto al fondo del tempo», due donne temibili e un uomo che pensava di usarle per i propri scopi – e invece somiglia sempre più a un condannato a vita. E dire che, quando si era presentato in casa della «madrina di guerra» del suo compagno di prigionia Bernard (morto durante la loro evasione dallo Stalag), Gervais era convinto di avercela fatta: si era spacciato per l’amico, la donna e la di lei sorella minore lo avevano accolto (almeno in apparenza) con assoluta fiducia, e lui si era lasciato avvolgere in un tiepido bozzolo di carezzevoli premure, riuscendo a sedurle entrambe senza troppa fatica. O forse erano state loro a sedurlo... e quel tiepido bozzolo non era che una ragnatela inestricabile... Quando ne arriverà una terza, di donna, la sorella di Bernard, il gioco si farà durissimo. Se non altro perché la posta è un’eredità di venti milioni di franchi. A poco a poco, tra ambiguità, sottintesi e secondi fini (tutti deliziosamente malvagi), assisteremo a una vertiginosa partita di scacchi, in cui da ogni frase e da ogni sorriso sembra nascere una minaccia, e ogni mossa può essere mortale.





La porta si richiuse. Ero solo, con quelle tre donne che avevano in mano il mio destino e avrebbero potuto distruggermi in qualsiasi momento. A questo punto non c'era più nulla da fare. Ero in loro balìa.

Lione,1941. Durante la seconda guerra mondiale, due giovani soldati francesi riescono ad evadere da un imprecisato Stalag tedesco: Bernard Pradalié, ricco e rozzo commerciante, e Gervais Larauch, colto pianista.

Devono raggiungere a Lione la casa di una madrina di guerra di nome Hélène. Donna colta e raffinata, ha avviato con Bernard un rapporto epistolare. L'uomo ha di lei un'unica foto sbiadita che gli permette di volare con la fantasia immaginando un loro amore e quindi un possibile matrimonio. Nascosti in un vagone merci riescono a raggiungere la periferia di Lione. Proprio nei dintorni della stazione di smistamento, Bernard si accorge di aver perso il suo portafortuna, dono di uno zio. Così decide di ritornare indietro per cercarlo e viene investito da alcuni vagoni. Ormai prossimo alla morte, Bernard mette nelle mani di Gervais tutti i suoi documenti e gli suggerisce di raggiungere Hélène e di nascondersi nella sua casa. Dopo un iniziale tentennamento, Gervais si reca a casa della "madrina di guerra". Viene accolto da Hélène e Agnès, le due donne non sospettano nulla. Nell'immenso appartamento borghese, buio, deserto e polveroso, come "perduto al fondo del tempo", l'uomo ha una camera tutta per sé, un letto caldo, abiti, cibo a volontà, dolci e liquori. Tra di loro c'è cortesia, fiducia e premura. L'appartamento è un'isola felice mentre fuori infuria la guerra. Gervais si sente protetto, avvolto da carezzevoli premure, e riesce a sedurre entrambe le sorelle senza troppa fatica. O forse erano state loro a sedurlo?

Quando arriva una terza donna, la sorella del vero Bernard, il gioco si farà durissimo. Se non altro perché la posta è un'eredità di venti milioni di franchi.

Ben presto le cose cambiano, gli equilibri si ribaltano e il finto Bernard si ritroverà prigioniero in un microcosmo tutto al femminile dove pericolose rivalità e tabù vengono infranti in un'imprevista serie di eventi. La presenza dell'uomo sarà fonte d'eccitazione e di tensioni sempre meno controllabili.

"Le lupe" é una classica storia di suspense con cui, la coppia diabolica del noir francese, ipnotizza i lettori stregandoli con una miscela di ambiguità e false identità. Non c'è tregua per il protagonista. Prigioniero di donne astute e malvagie, Gervais, che finge di essere Bernard, rimane intrappolato nella sua stessa rete. Tutti i personaggi indossano una maschera, nessuno si fida di nessuno, ognuno cerca di sfruttare gli altri a proprio vantaggio mettendo in scena un gioco crudele di sottintesi e secondi fini, tutti incantevolmente malvagi. Le tre donne intrappolano "il maschio" che pensa di aver trovato il paradiso in terra e invece  precipita nell'inferno. A poco a poco, sedotto dal fascino ambiguo e perturbante delle due sorelle, il falso Bernard si ritroverà invischiato in una ragnatela intrisa di eros e morte. Lui vorrebbe rivelare la verità

Se fossi stato capace di parlare di me alle donne che mi hanno amato, forse avrei pensato meno a me stesso. Forse il mio cuore ora non sarebbe una grossa varice piena di sangue nero e velenoso. Parlare! Sì, ma quando?

"Le lupe" é un noir coinvolgente, raffinato. Stile e narrazione essenziali, ben distribuiti i momenti dell'intrigo e la tensione non ti dà un attimo di tregua. I personaggi sono poliedrici e il loro agire mette in luce l'enigma del Male di cui è intrisa la natura umana. Nessuno si salva.

Gervais è un bugiardo patologico, astuto e uomo di cultura, dal passato travagliato. Sempre sull'orlo della depressione è una preda ideale per "le lupe". Il suo vittimismo lo rende debole e codardo.

Ero un reietto, lo ero sempre stato, un'anima viva a metà, smarrita in questo limbo, in questo universo instabile di vento e acqua. Non avrei mai trovato un approdo.

Le tre donne sono manipolatrici, hanno i propri scopi, sorridono e nascondono le loro trame.

Hélén, la fidanzata, ha un carattere forte ed è una borghese altezzosa, fredda e decisa.

Agnès, sorella di Hélèn, è una giovane donna sensuale che fa credere a tutti di essere una medium. Diventa ben presto l'amante di Gervais.

Julia, la vera sorella di Bernard, è un'approfittatrice che, per interesse, non smaschera Gervais.    

Il protagonista perde progressivamente la percezione della realtà e precipita in una voragine di angoscia. Il senso d'impotenza lo paralizza, il rimorso inizia a tormentarlo. Sedotto dal fascino ambiguo delle due sorelle, Gervais si muove in un'atmosfera tesa che mescola realtà e incubo. Ne resta prigioniero, a tratti scorge una regia nascosta, ma non riesce a opporsi agli eventi, non sa che parte di preciso lui stesso reciti. Chi sono le vittime? Chi sono i cacciatori e chi le prede?

Riuscirà Gervais - Bernard, vigliacco e disonesto, a portare a buon fine la sua finzione? Le donne, le lupe, lo circondano. È un gioco al massacro, nessuno è ciò che sembra. Tutto è mistero.

"Le lupe" è un breve romanzo che ha catturato subito la mia attenzione perché ogni pagina è intrigante, non c'è spreco di parole e ogni cosa succede inesorabilmente con conseguenze spesso spiacevoli. Il meccanismo narrativo non concede tregua, tutti vanno incontro al proprio destino in un crescendo emozionante che mi ha guidato sino al finale freddo e crudele. Finale drammatico e inevitabile di cui si ha sentore fin dalle prime pagine. Non ci sono buoni sentimenti ma solo il desiderio di sopravvivere.

"Le lupe" è un altro piccolo gioiello di Boileau e Narcejac. Un libro da scoprire ricordando che "Non è in nostro potere amare o odiare, perché la volontà in noi è sconfitta dal fato." (Christopher Marlowe)

venerdì 26 settembre 2025

RECENSIONE | "Qui tutti mentono" di Shari Lapena

 "Qui tutti mentono" (Bollati Boringhieri) è un thriller mozzafiato di Shari Lapena, scrittrice, avvocato e insegnante canadese. La storia è la lucida dimostrazione di come la gente può essere vendicativa e manipolatrice. Soprattutto in una piccola comunità suburbana, dove tutti sembrano farsi i fatti degli altri.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Qui tutti mentono
Shari Lapena

Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 256
Prezzo: € 18,00
Sinossi

William Wooler, sposato con due figli, ha una relazione segreta. Il giorno in cui la sua amante tronca la loro storia, William torna a casa, trova la figlia Avery, 9 anni, inaspettatamente rientrata a casa da scuola troppo presto. William perde la pazienza nei confronti della bambina, le dà una sberla, poi esce. Qualche ora dopo la bambina scompare. La polizia indaga, concentrandosi sugli abitanti della strada dove abita Avery e da dove è sparita. Ma ricostruire quanto potrebbe essere accaduto è difficilissimo per i due detective incaricati dell’indagine: in quella strada tutti sembrano mentire. Presunti testimoni si fanno avanti con informazioni che forse sono vere o forse no. Il vicinato è sempre più in allarme. E dunque dov’è Avery? È stata rapita?





William la accompagna in silenzio alla macchina parcheggiata dietro il motel; non lasciano mai le auto davanti, dove qualcuno potrebbe riconoscerle. Nessuno saprà mai che sono stati lì. O almeno è quello che si dicono, quello che si sono detti ogni volta negli ultimi mesi, quando la loro storia si è accesa, bruciando intensamente. Adesso, però, si è spenta di colpo. È stata lei. William non se l'aspettava.

Benvenuti a Stanhope, un quartiere residenziale sicuro per le famiglie. William Wooler, sposato e padre di due figli, ha una relazione segreta. Il giorno in cui la sua amante tronca all'improvviso la loro storia, William devastato e arrabbiato torna a casa in anticipo e trova la sua problematica figlia Avery, nove anni, inaspettatamente rientrata a casa da scuola troppo presto. William perde la pazienza nei confronti della bambina, le dà una sberla, poi esce. Qualche ora dopo la piccola sparisce misteriosamente. La polizia indaga concentrandosi sui compagni di Avery, sugli abitanti della strada dove abita la bambina e da dove è sparita. Ogni testimone ha qualcosa da nascondere. Quindi ricostruire quanto potrebbe essere accaduto è difficilissimo. Le informazioni raccolte sono sempre sibilline, forse sono vere o forse no. Il vicinato è sempre in allarme. E dunque dov'è Avery? 

Lapena costruisce un thriller psicologico ad alta velocità. Tutto è simile a un campo minato perché ogni affermazione può essere un inganno, ogni certezza si nasconde in una tela di misteri. Ho letto il libro con molta curiosità per l'originalità della trama e per un intreccio, simile a una bomba a orologeria, che mi ha tenuta con il fiato sospeso fino al gran finale. Il ritmo veloce non ammette distrazioni, non c'è tempo da perdere: occorre ritrovare la piccola Avery. Non sarà facile perché tutti, nessuno escluso, mentono. Le bugie si accumulano, le manipolazioni nascoste rendono vivo il velo che copre la verità. Tanti i personaggi, tutti ben introdotti nel microcosmo del quartiere dove la gentilezza, i sorrisi e la riservatezza delle famiglie, apparentemente felici, convivono con la malvagità, i segreti e le bugie. Conosceremo genitori inquieti e figli difficili cresciuti in ambienti apparentemente confortevoli dove nulla manca. Luoghi ideali per una crescita sana, base ideale per essere proiettati verso un futuro di realizzazioni. Invece, raschiando la brillante superficie, si arriva a storie sommerse nelle ombre, storie di orrore e di perversione. Nessuno sembra innocente. Nessuno sembra colpevole. Nelle apparenze ognuno sceglie ciò che vuol essere e ciò che vuol mostrare agli altri, le maschere abbondano. Tuttavia qualcuno ha preso Avery. 

Chi è il mostro? Preparatevi a vedere il male che entra nelle case e toglie il respiro. 

"Qui tutti mentono" è un complesso puzzle che nasconde le sue tessere in una profonda voragine fatta da tradimenti, da ossessioni, da sensi di colpa, da manipolazioni. Tutti mentono perché hanno qualcosa da nascondere. 

Per intrigarvi ancora di più, vi presento i personaggi ambigui e sgradevoli. 

Lui è William, il bel dottore. Sicuramente non vincerebbe il premio dell'anno come marito fedele e padre esemplare. Ha un debole per le belle donne e si sottrae di buon grado alle responsabilità familiari. Ha un carattere irascibile. 

Lei è Erin, donna amorevole e tanto paziente. Madre affettuosa cerca di sopperire al mancato interesse del marito per i loro figli, Avery e Michael. Erin dedica molto tempo ad Avery, cresciuta nella bambagia perché gli esperti dicono che ha bisogno di pazienza e di sostegno. La donna si sente in colpa per non poter far lo stesso con l'adolescente Michael, il classico bravo ragazzo. 

L'altra, l'amante, abita nella strada di William ed Erin. Anche lei è sposata. É una donna molto bella ma infelice. Ha due figli. 

Lapena tesse un thriller familiare in cui il senso di colpa e la fragilità dei legami si fondono con i dubbi e i sospetti di essere parte di un evento orribile. Sappiate, però, che la verità porterà a una sola soluzione ancora più stupefacente di qualsiasi ipotesi. Le sorprese non finiscono mai e se vi piacciono le emozioni che regala una corsa sulle montagne russe, allora questo thriller è pane per i vostri denti. 

"Qui tutti mentono" è un romanzo inquietante di brave persone che commettono azioni spiacevoli. L'autrice descrive spietatamente i personaggi, svela i loro conflitti, sbircia dietro le porte socchiuse, creando una trama ingegnosa per una lettura sempre sul filo del rasoio. 

Cari lettori, segnatevi questo titolo e ricordate che, nel romanzo, tutto è il contrario di tutto e tutti sono, in qualche modo, colpevoli. Un'inesorabile discesa all'inferno nei segreti di una comunità. Prima di salutarvi vorrei dirvi che anch'io non ho detto proprio tutta la verità per non guastarvi il piacere della sorpresa. Buona lettura!

mercoledì 17 settembre 2025

RECENSIONE | "Il giudice e il suo boia" di Friedrich Durrenmatt

"Il giudice e il suo boia" (Adelphi) è il primo romanzo poliziesco dello scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt, che si è conquistato un ruolo importante nella letteratura del secondo Novecento europeo grazie alle sue trame investigative che intendono dimostrare come sia il caso a governare i destini umani. 
Un tenente svizzero viene assassinato. Le indagini sono affidate a un commissario veterano e a un novellino. Saranno ostacolati da alcuni politicanti svizzeri.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
Il giudice e il suo boia
Friedrich Durrenmatt

Editore: Adelphi
Pagine: 121
Prezzo: € 11,00
Sinossi

Esiste il delitto perfetto? Gastmann, "demonio in forma umana", ne è convinto, e per dimostrarlo al commissario Bärlach – e vincere la temeraria scommessa fatta in una bettola sul Bosforo – getta uno sconosciuto dal ponte di Galata. Ormai i due sono incatenati l'uno all'altro. Per oltre quarant'anni il commissario seguirà imperterrito le orme di Gastmann, nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che costui ha commesso per capriccio. Finché un giorno l'assassinio dell'ispettore Schmied della polizia di Berna – la città dove Bärlach è nato, e che lui chiama il suo "aureo sepolcro" – lo metterà nuovamente di fronte al suo nemico, e al sinistro viluppo di trame politiche e finanziarie di cui questi tira le fila. A Bärlach non resta molto da vivere: giusto il tempo di regolare i conti una volta per tutte. Ormai ha emesso il suo verdetto – ed è una condanna a morte.



Non ho saputo incastrarti per i delitti che hai commesso, ora ti incastro con quello che non hai commesso. 

Protagonista della vicenda è il commissario Barlach, ormai prossimo al pensionamento per seri motivi di salute. Col suo giovane assistente Tschanz deve risolvere un caso di omicidio. La vittima è un ispettore della polizia di Berna. L'uomo viene ritrovato senza vita nella sua auto, nei pressi di un piccolo paese, vicino a Bienne. 

Durante le indagini appare evidente una diversità di base nel portare avanti le indagini. 

Barlach era più riflessivo e pacato, Tschanz era per le maniere forti. Tutto precipitò quando Barlach trovò sulla sua strada l'acerrimo nemico Gastmann con il quale si scontrava da tutta la vita. 

Il primo incontro, tra i due, avvenne in una bettola nel sobborgo di Tophane, dove sostennero tesi opposte. 

Barlach sosteneva che "l'imperfezione umana è il motivo per cui la maggior parte dei delitti viene inevitabilmente alla luce: siamo incapaci di prevedere con sicurezza come agiranno gli altri, e nei nostri ragionamenti non riusciamo a integrare il caso, che in tutto mette lo zampino." 

Invece Gastmann affermava che "proprio il garbuglio dei rapporti umani ti permette di compiere delitti che non si possono scoprire. È questo il motivo per cui i crimini, nella loro stragrande maggioranza, non solo rimangono impuniti ma non destano nemmeno sospetto, quasi avvenissero in gran segreto." 

Il confronto porta a una scommessa: Gastmann avrebbe compiuto un delitto in presenza di Barlach, senza che lui fosse poi in grado di fornirne le prove. 

Tre giorni dopo Gastmann uccide un uomo, gettandolo giù da un ponte, sotto gli occhi di Barlach che non riuscirà a trovare le prove per farlo incriminare. Da quel momento i due uomini vivranno "incatenati" per sempre l'uno all'altro. Per oltre quarant'anni il commissario seguirà imperterrito le orme di Gastmann, nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che costui ha commesso per capriccio. 

Ora che i due uomini si erano nuovamente incrociati, Gastmann era tra gli indiziati per l'omicidio del poliziotto, era giunta l'ora della resa dei conti. Barlach aveva solo un anno, questa era la sua aspettativa di vita, per dare scacco matto alla belva Gastmann, per chiudere la partita. 

Il male è davanti a noi, inutile negarlo, ma sappiamo combatterlo e vincerlo con le forze della logica, della filosofia e della scienza? 

Barlach non accetta "le grandi acquisizioni della moderna criminologia", lui conosce già la soluzione nel groviglio umano. E inizia la sua ultima partita muovendo gli uomini come pedine ma ben presto il "fattore umano" prevale, menzogna e verità si mescolano. Il commissario, prima di morire, tesse con astuzia una rete che costringerà un carnefice a eseguire una sentenza di morte che egli stesso ha decretato. Si può ricorrere a comportamenti illegali, pensa Barlach, pur di colpire criminali che altrimenti sfuggirebbero alla Legge. Così il poliziotto diventa giudice e ha già scelto il boia per regolare i conti. 

Io ti ho giudicato, Gastmann, e ti ho condannato a morte. Tu non sopravvivrai a questa giornata. Il boia che ho scelto per te ti ucciderà, perché in nome di Dio questa cosa va fatta una buona volta. 

Tutto andrà come pianificato o il caso ci metterà lo zampino? 

"Il giudice e il suo boia" è un racconto poliziesco breve, conciso, ipnotico, ricco di tensione e ambiguità. La trama intricata e affascinante si avvale di un'atmosfera cupa e ricca di suspense. Il finale è assolutamente sorprendente. 

Questo romanzo è una delle opere che meglio esprime il pensiero dell'autore che intende dimostrare l'impossibilità della legge di arrivare alla verità. Nelle sue opere il concetto di giustizia é sempre presente al centro di una girandola di criminali, enigmi e detective. I personaggi si muovono nel labirinto dell'ingiustizia e del male. 

Per Durrenmatt tutte le nostre azioni sono dominate dal caso, un misterioso concatenarsi di eventi. Il caso, mescolate le lettere e otterrete "caos", porta il mondo a vivere nel caos. L'investigatore tradizionale rivela la sua incapacità a muoversi in una realtà complessa e incomprensibile. 

"Il giudice e il suo boia" è un noir raffinato, imprevedibile e movimentato, che introduce il Caso, parola chiave che racchiude la concezione del mondo di Durrenmatt. 

I suoi romanzi criminali, come "Il giudice e il suo boia", hanno un sottofondo filosofico e spesso sono intrisi di macabra satira. L'autore analizza con critica pungente e sarcastica i problemi della società e smaschera la meschinità che si cela dietro la facciata perbenista della società svizzera. 

Quando Durrenmatt scrisse "Il giudice e il suo boia" aveva appena trent'anni. Georges Simenon, che di noir se ne intendeva, lesse questo romanzo cupo, implacabile, e disse: "Non so che età abbia l'autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada." Ben detto!

venerdì 12 settembre 2025

RECENSIONE | "La donna nel pozzo" di Piergiorgio Pulixi

"La donna nel pozzo" (Feltrinelli) di Piergiorgio Pulixi è la storia di due scrittori che si ritrovano in Sardegna per indagare sulla morte di Cristina Mandas e su un misterioso delitto di trent'anni prima.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La donna nel pozzo
Piergiorgio Pulixi

Editore: Feltrinelli
Pagine: 304
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Un dettaglio. È sempre un dettaglio a fare la differenza. Capita a Cristina Mandas di dimenticare il compleanno del marito. Che vuoi che sia. Invece, la svista è il primo scricchiolio di una vita che sta per andare in frantumi. Perché a quarant’anni Cristina non è la maestra, la moglie, la madre, stimata e ben voluta dalla comunità di quel paesino sardo in cui si è trasferita tempo prima. Dietro la cortina di un’esistenza comune, custodisce un segreto che deve rimanere sepolto nelle profondità di un pozzo. E così è stato, almeno fino a un particolare colto di sfuggita, fino a quella dimenticanza. Qualcuno, però, si è accorto che Cristina non è più la stessa, che è sul punto di cedere. Qualcuno rimasto nell’ombra a spiarla per anni. Lorenzo Roccaforte è stato uno degli scrittori più amati d’Italia e ha anche vinto il Premio Strega. Ora che il successo è volato via a causa della sindrome da pagina bianca, si ritrova ad aver mancato lo status di “solito stronzo”, lui che puntava a rimanere un “venerato maestro”. Ermes Calvino ha un cognome di peso, nessuna parentela con il grande Italo e un abbonamento premium coi guai. Generoso, legatissimo alla madre e alla sorella, è anche uno sconosciuto scrittore di talento. Diversi come il giorno e la notte, Roccaforte e Calvino diventano gli involontari contraenti di un patto diabolico: Ermes scrive i romanzi che Lorenzo firma. Lo chiamano ghostwriting. L’ideatore del piano è Arturo Panzirolli, un ex galeotto che in carcere ha avuto l’idea del secolo: diventare editore! Sotto la regia di Panzirolli, un Roccaforte senza più speranze è ritornato sulla scena come autore di thriller e podcaster true crime. Scrittore e ghostwriter si ritroveranno in Sardegna a indagare sulla morte di Cristina Mandas e su un misterioso delitto di trent’anni prima, che sconvolse l’isola.





Si era dimenticata del suo compleanno. In diciotto anni di matrimonio non era mai successo. Quella consapevolezza l'aveva fulminata non appena era entrata in sala insegnanti. Aveva posato la tazzina di caffé e, dando una sbirciata all'agenda, si era sentita ghiacciare. Aveva ricontrollato per sicurezza, scorrendo all'indietro i giorni della settimana, salvo rendersi conto dell'imbarazzante concretezza di quella mancanza: Angelo, suo marito, aveva compiuto gli anni quarantotto ore prima, e lei se n'era del tutto dimenticata.

Tutti noi, inutile nasconderlo, subiamo il fascino del male ma non oltrepassiamo la soglia oscura. Sicuramente non conosciamo i pensieri che si agitano nella mente delle persone con cui condividiamo la nostra quotidianità. Se fossimo in grado di farlo, sarebbe un dono o una dannazione?

Piergiorgio Pulixi si è ispirato a fatti reali per scrivere questo thriller intenso che, una volta iniziato, non puoi più lasciare fino all'ultima pagina.

Nel 1898, a Carbonia, venne uccisa Gisella Orrù, una bella ragazza di sedici anni. Scomparve misteriosamente e venne ritrovata in un pozzo. L'autopsia rivelò che era stata violentata. Furono condannate due persone ma, forse, i veri colpevoli non erano quelli. Seguirono altri omicidi, che sembravano collegati. Tante domande rimasero senza risposte. Troppe verità nascoste, troppi silenzi. La paura ha tenuto le bocche cucite e dopo tanti anni nessuno si è fatto avanti per dire la verità.

Questo cold case è l'innesco per narrare una storia intrigante intrisa di amara ironia. A muovere le fila del racconta sarà un trio di nuovi protagonisti che daranno vita a una narrazione incalzante che alterna pagine oscure a denunce sociali, oscillando fra il noir e la commedia.

Un dettaglio. È sempre un dettaglio a fare la differenza. Capita a Cristina Mandas di dimenticare il compleanno del marito. La svista è il primo scricchiolio di una vita che sta per andare in frantumi. Perché a quarant'anni Cristina non è la maestra, la moglie, la madre, stimata e ben voluta dalla comunità del paesino sardo in cui si è trasferita tempo prima. La donna custodisce un segreto ed è sul punto di cedere. Qualcuno rimasto nell'ombra la spia ormai da anni.

Decise che doveva uscire dall'ombra e impedirglielo, perché la verità di cui Cristina era a conoscenza doveva rimanere sepolta nel fondo melmoso di quel vecchio pozzo.

Quando il corpo di Cristina Mandas viene ritrovato in fondo a un pozzo, il caso viene archiviato come suicidio. Mentre in Sardegna si consuma questa tragedia, a Roma facciamo la conoscenza con i tre protagonisti: Lorenzo, Ermes e Arturo.

Lorenzo Roccaforte è stato uno degli scrittori più amati d'Italia e ha anche vinto il Premio Strega. Tuttavia il successo è volato via a causa della sindrome da pagina bianca. Dietro la facciata di celebrità si cela un uomo disilluso e tormentato, che odia tutto e tutti.

Ermes Calvino, un talentuoso ghostwriter di romanzi noir, sembra avere un abbonamento premium coi guai. Generoso e legatissimo alla madre, che fa la donna delle pulizie, e alla sorella, che si droga e fa debiti con i mafiosi, il ragazzo vorrebbe diventare uno scrittore.

Diversi come il giorno e la notte, Roccaforte e Calvino diventano gli involontari contraenti di un patto diabolico. Ermes scrive i romanzi che Lorenzo firma. Roccaforte si gode il successo, l'editore si arricchisce e Calvino nulla stringe, né fama né soldi.

L'ideatore del piano, il terzo protagonista, è Arturo Panzirollo, un ex galeotto che in carcere ha avuto l'idea del secolo: diventare editore! A volte, purtroppo, i desideri si avverano e Arturo diventa un cinico editore truffaldino senza scrupoli. Sotto la sua regia, Roccaforte è ritornato sulla scena come autore di thriller e conduce il podcast "Trame e delitti". Il vero autore è però Ermes, sempre relegato all'ombra del grande scrittore. Proprio per cercare materiale per il loro programma, Calvino e Roccaforte si ritroveranno in Sardegna a indagare sulla morte di Cristina Mandas che richiama  alla mente un misterioso delitto di trent'anni prima che sconvolse l'isola.

Così mentre Roccaforte, cinico e opportunista, decide di trascorrere i giorni "d'indagine" in un resort di lusso, dove incontrerà una signora con la figlia disabile, sarà Ermes a svolgere il lavoro sporco indagando sull'omicidio della "donna nel pozzo".

Il romanzo mostra un cancro della nostra società, la violenza di genere. Viene anche mostrato un nuovo tipo di criminalità economica che si basa sull'applicazione delle regole del business: i criminali rilevano i debiti della droga o del gioco e li fanno fruttare con gli interessi, distruggendo intere famiglie.

La parte noir del romanzo ci porta a voler scoprire la verità su segreti che, anche a distanza di tempo, non possono proprio essere svelati. Ci sono verità che condannano all'inferno, seppellirle in fondo al cuore non serve a nulla. Il tempo non alleggerisce le coscienze e non si possono dimenticare le proprie colpe.

Il romanzo vede Calvino e Roccaforte frugare tra le pieghe dell'animo umano, mettere insieme deduzioni e riflessioni per rendere giustizia a chi ha subito un'ingiustizia. La loro caparbietà riuscirà a infrangere la bolla di silenzi e complicità che ha protetto i colpevoli?

"La donna nel pozzo" è una sapiente miscela di noir, thriller e commedia e spietata autoanalisi sul funzionamento della fabbrica del racconto crime. I personaggi sono accattivanti e caratterizzati dall'uso del dialetto romano che rende ancor più vivaci i battibecchi e le battute sarcastiche. L'ambientazione è ben caratterizzata sia nelle vicende che si svolgono a Roma, sia quando siamo in Sardegna con la bellezza incontaminata dei suoi territori.

Squadra che vince nun se cambia. Me dovete cerca' 'n artro delitto irrisolto. Vojo de novo scrive in fascetta 'na roba tipo "Ispirato dal terribile caso de 'sto cazzo". Oppure: "Roccaforte ce riporta sul luogo der delitto con la sua sapiente penna, prospettando nuove piste investigative". O ancora: " Il romanzo verità sul caso de, puntini puntini. O magari: "Dove la giustizia se ferma arriva er castigo della letteratura". Senti come sona bene? Me stai a capì', Calvi'? vojo 'n effetto stile er Mostro de Firenze.

L'autore mostra un indubbio talento narrativo e riesce a coinvolgere il lettore in questa storia che segna l'inizio di una nuova serie con una coppia di indagatori che cerca la verità tra le troppe mutevoli bugie. Una verità che giace in fondo al pozzo.

mercoledì 10 settembre 2025

RECENSIONE | "La preda" di Damon Galgut

"La preda" è uno dei primi romanzi di Damon Galgut, pubblicato originariamente nel 1995 e ora edito in Italia da Edizioni E/O nella traduzione di Tiziana Lo Porto, è una parabola suggestiva sul peccato e sulla colpa. La speranza, invece, sarà sacrificata sull'altare del pessimismo. Tutto ha inizio in un tratto di strada solitaria quando due sconosciuti si incontrano. Il primo è un fuggitivo, il secondo è un prete.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 8
La preda
Damon Galgut

Editore: E/O
Pagine: 160
Prezzo: € 17,00
Sinossi

In un tratto di strada solitario due sconosciuti si incontrano. Il primo è un fuggitivo e viaggia a piedi apparentemente senza una meta precisa, il secondo guida un furgone ed è un prete diretto verso la nuova parrocchia che gli è stata assegnata. Temendo di essere consegnato alla polizia, dopo un momento di strana e folgorante intimità, il fuggitivo uccide il prete, nasconde il cadavere in una cava, ne assume vesti e identità, raggiunge la nuova parrocchia e si ritrova a presenziare il funerale del prete ucciso. Il fortuito ritrovamento del cadavere nella cava metterà il capo della polizia sulle tracce dell’assassino. Ma il crimine commesso dal fuggitivo non è un caso isolato, così come la sua fuga, trasformando la caccia all’uomo in una caccia collettiva al crimine, dove a inseguire è la legge e a essere inseguito è chiunque sia fuorilegge.





Un uomo che inseguiva un altro uomo attraverso la terra bruna, non erano più persone, erano un principio in atto: legge e fuorilegge. Cacciatore e preda. 

Il protagonista è un uomo senza nome che, in un tratto di strada solitaria, commette un omicidio. La vittima è un prete in viaggio verso una città vicina dove si trova la sua nuova parrocchia. 

La bottiglia si ruppe a mezz'aria dove prima c'era la testa del prete e il vino esplose rosso, come sangue. O forse era sangue. Poi l'uomo si chinò e sollevò un sasso che era rimasto lì immobile fino a quel momento e lo lasciò cadere sul cranio dell'uomo sotto di lui e lo piantò dentro.

L'omicida, in fuga nel Sudafrica natio dello scrittore, nasconde il cadavere in una cava dismessa e ruba l'identità del prete. Si reca in città e si presenta alla missione. Il suo primo incarico ufficiale è presenziare il funerale dell'uomo che lui ha ucciso. Il fortuito ritrovamento del cadavere nella cava metterà il capo della polizia sulle tracce dell'assassino. Il poliziotto, sospettoso per natura, si interessa sempre più al lavoro del nuovo ministro: osserva, ascolta, gira lentamente intorno alla sua preda. Il falso prete fugge. La legge lo insegue. La caccia all'uomo si trasforma in una caccia collettiva al crimine. 

In appena 160 pagine, Galgut realizza la metafora della colpa e del rimorso. Come in un eterno duello, il Poliziotto e il Fuggiasco si fronteggiano, si inseguono . Le vicende si svolgono attorno a una cava: un buco, nella terra, buio e freddo che, dice Galgut, è il massimo che gli esseri umani possono aspettarsi dal futuro. Puro pessimismo o realtà? 

L'elemento naturale (la cava) e quello umano sono intimamente legati simboleggiando la precarietà della vita umana, del sepolto, del nascosto e della solitudine spettrale. 

Poi il sole tramonta e l'ombra nella cava si trasforma. L'ombra si addensa. A quel punto non è più ombra. É oscurità e l'oscurità nel buco non è diversa dall'oscurità sopra di essa. Potrebbe esserci acqua nella cava, o movimento, o niente. Potrebbe non esserci fondo. 

I personaggi, infatti, sono uomini tormentati senza alcuna speranza nel futuro. Il loro disagio esistenziale nasce da un oscuro passato che proietta la sua ombra anche sul presente in un quadro di sconfitta globale. La posta in gioco è la libertà. Ottenerla è una lotta impari. 

Leggendo questo romanzo ho ripensato a un lavoro di John Steinbeck, "Uomini e topi", che narra la storia di due braccianti itineranti desiderosi di possedere un pezzo di terra dove lavorare e vivere in pace. Ma il sogno si infrange su una realtà fatta di solitudine, pregiudizio, tormento e crudeltà. La libertà anche per loro, come per il Fuggiasco, è una chimera. 

"La preda" è un'indagine che scava nelle profondità dell'animo umano, è un viaggio tra le zone d'ombra dell'esistenza, è un percorso sempre alla periferia dell'identità. È l'esplorazione di un territorio intimo che sconfina nell'onirico. Si percepisce la lama affilata che incide non solo le carni di una persona ma incide il corpo della società del Sudafrica e proietta l'oscurità sui cambiamenti reali nel Sudafrica post apartheid. 

L'incipit ci proietta in un'azione già iniziata, non conosciamo il passato del fuggitivo e non possiamo far altro che seguirlo nel suo viaggio alla continua ricerca di un luogo dove potersi fermare. Sembra, però, condannato a una fuga perpetua: 

C'era dentro di lui la sensazione di eventi che si esaurivano, di molle che si srotolavano e di ruote che rallentavano e sapeva che nella sua fuga azzurra e spettrale di movimento e sonno si stava rapidamente avvicinando al limite estremo delle cose. 

Uccidere è rinascere con un'altra identità. Tuttavia il destino del nostro assassino è già segnato. Fuggire e nascondersi a nulla servono. Il sospetto è come una spada di Damocle sempre pronta a colpire. "La preda" è un breve romanzo che narra di uomini in perpetuo movimento. La prosa concisa, cupa e intrisa di pessimismo, ben si adatta al paesaggio sudafricano, spoglio e suggestivo. I capitoli brevi, alcuni solo frammenti, rendono bene il susseguirsi veloce degli avvenimenti. Non c'è tempo per approfondimenti psicologici, non c'è modo di conoscere il passato, si respira una violenza repressa pronta a esplodere. Galgut non offre nessun conforto a chi legge. Appare subito chiaro che vittime e carnefici non sono poi così diversi, si è perseguitati dai propri demoni interiori e si insegue una verità che ogni volta ci sfugge tra le mani. Il capitolo finale del romanzo ci congeda ricordandoci l'inevitabilità del destino e il contagio dell'oscurità. Siamo tutti prede. Siamo tutti cacciatori.

lunedì 1 settembre 2025

RECENSIONE | "I vedovi" di Boileau e Narcejac

Buongiorno lettori, oggi vi parlo de "I vedovi" (Adelphi) scritto a quattro mani da Boileau e Narcejac. È un noir ambientato in una Parigi di fine anni Sessanta, fitto di misteri intricati con al centro la gelosia ossessiva del protagonista.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
I vedovi
Boileau e Narcejac

Editore: Adelphi
Pagine: 172
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Quando si varca la soglia di una delle storie costruite, con abilità diabolica, da Boileau e Narcejac, si prova sempre una lieve inquietudine – che però, com’è ovvio, fa parte del piacere della lettura. Sappiamo, infatti, che verremo trascinati in un gioco perverso e saremo le consapevoli e appagate vittime di quei due temibili creatori di angosciosa suspense, capaci come pochi altri di tenerci inchiodati alla pagina così come di infliggere un tormento dopo l’altro ai loro protagonisti. Che sono sempre, a ben vedere, uomini – in genere irresoluti, inconsistenti, spesso infantili – che si ritrovano prigionieri di un ingranaggio infernale, al quale, per quanto si dibattano, non riescono a sfuggire. E che, soprattutto, a poco a poco smarriscono la capacità di percepire la differenza tra la realtà e le proprie farneticazioni. E quale sentimento umano si presta meglio a mettere in moto un delirio se non la gelosia? Sarà appunto la gelosia, una gelosia furibonda, autoalimentata, incontrollabile, a condurre all’omicidio il protagonista dei Vedovi – titolo che solo alla fine del romanzo svelerà il suo ambiguo significato. Ma attenzione: l’omicidio non è che l’inizio – il bello deve ancora venire.





Fa davvero così male dover ammettere che ci si è sempre sbagliati? 

Serge, voce nei drammi radiofonici e scrittore occasionale, è morbosamente geloso. Perseguita la moglie Mathilde, la fa seguire, perquisisce i suoi effetti personali, controlla il contachilometri della sua auto. Quando si rende conto del suo errore, è già troppo tardi: ha ucciso il presunto amante della moglie. Da marito fragile, "il nostro amore era un gigante mansueto", Serge si ritrova a essere un assassino ricercato dalla polizia. Nel frattempo un altro fatto si mette di traverso a complicare la vita a Serge. Il suo secondo libro dal titolo "Strani Amori", presentato anonimo a un concorso letterario, vince il prestigioso premio Messidor e sua moglie lo esorta a farsi conoscere. 

Le cose non sono mai come appaiono e al centro del narrare c'è una fissazione paranoica di cui non si comprende se sia fondata su una realtà effettiva o figlia di un puro idillio. Gli autori modificano a loro piacimento realtà e incubo, mescolandoli e confondendoli fra loro. Nel romanzo "I vedovi" la gelosia opprime il protagonista che vede tradimenti ovunque. Le sue sono fantasie dolorose alimentate dall'ambiente che la moglie frequenta. Modella di successo, Mathilde è sempre circondata da stilisti, fotografi, persone importanti che vivono una mondanità luccicante. 

Serge non è famoso, non è brillante, non è ricco. La gelosia diventa frustrazione, la frustrazione lo trasforma in un assassino, il delitto lo pone al centro di un complotto. Complotto reale o immaginario? L'uomo ne resta prigioniero. Tormentato da dubbi e divorato dalla gelosia, Serge non sa che parte di preciso lui stesso reciti. 

Pagina dopo pagina emerge il lato oscuro, l'ambiguità, la disperazione dei personaggi che attirano il lettore e non danno tregua per cui è impossibile chiudere il libro prima del gran finale. È interessante vedere come l'atto delittuoso diventa un pretesto per raccontare non solo la psicologia dei personaggi ma anche per mostrare una visione esistenziale negativa, angosciosa, amara. Tenendo ben stretto il filo d'Arianna è intrigante entrare in questo labirinto mentale dove il malessere esistenziale regna sovrano. Non ci sono regole e la diabolica storia evolve in un universo ossessivo e inquietante. I personaggi si ritrovano prigionieri di un ingranaggio infernale, al quale, per quanto si dibattano, non riescono a sfuggire. 

Quel tiepido bozzolo non era che una ragnatela inestricabile. 

È sempre coinvolgente vedere come, a poco a poco, smarriscono la capacità di percepire la differenza tra la realtà e le proprie farneticazioni. Per Serge l'amore è dubbio, diffidenza, sospetto e angoscia. Il suo è un amore tossico, cupo e possessivo. 

"I vedovi" è un romanzo attualissimo perché racconta l'incapacità dell'uomo di accettare, tra le altre cose, la libertà della donna. Serge è un uomo insicuro che vede possesso il suo potere e si autoconvince di essere stato ingannato, manipolato, umiliato da colei che dice di amarlo. Allora nella mente del protagonista si fa strada la necessità di punire la moglie che rappresenta, ai suoi occhi, uno specchio che riflette la sua immagine di uomo mediocre, incapace di realizzarsi, insoddisfatto. L'ego maschile si sente minacciato e la sua fragilità è messa a nudo. Quindi l'ossessione emerge dalla nebbia del vittimismo e l'inevitabile si compie. 

Gli autori raccontano un male che attraversa le varie epoche e giunge sino ai nostri giorni, sempre vitale e sempre presente, come una ferita che non riesce mai a guarire. Nel romanzo non c'è condanna, non c'è assoluzione, ma c'è l'opportunità per una riflessione doverosa. 

L'omicidio non è che l'inizio, infatti nel corso del romanzo gli eventi si complicano, il ritmo cresce, l'incubo incombe e Serge comprenderà che la vendetta ha mille volti. Il piacere di amare e di essere amati su basi paritarie sembra così lontano.

mercoledì 6 agosto 2025

RECENSIONE | "La morte di Auguste" di Georges Simenon

Continua il mio viaggio tra le opere di Georges Simenon, questa volta si tratta di un romanzo breve, "La morte di Auguste", scritto nel 1966.  Simenon, uno dei più prolifici ed eccezionali scrittori del Novecento, racconta i difetti e l'animo umano attraverso le dinamiche che si sviluppano fra tre fratelli alla morte del loro anziano padre.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
La morte di Auguste
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 155
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Arrivato cinquant’anni prima dalla nativa Alvernia senza un soldo in tasca, Auguste Mature, che muore, schiantato da un ictus, all’inizio di questo romanzo, è riuscito a trasformare il piccolo bistrot di rue de la Grande-Truanderie, dove andavano a bere un caffè corretto o a mangiare un boccone i lavoratori dei mercati generali – il «ventre di Parigi», come li chiamava Émile Zola –, in un ristorante che, pur conservando i vecchi tavoli di marmo e il classico bancone di stagno, è ora frequentato dal Tout-Paris. Gli è sempre stato accanto il figlio Antoine, il quale, prima ancora che la camera ardente sia stata allestita, deve fare i conti – alla lettera – con il fratello maggiore, un giudice istruttore aizzato da una moglie arcigna, e con quello minore, un cialtrone semialcolizzato che millanta fumosi progetti immobiliari e sopravvive spillando soldi al mite, generoso Antoine. Lo stesso Antoine contro cui ora si accanisce, sospettandolo di aver sottratto il testamento del padre e di volersi appropriare di un «malloppo» sicuramente nascosto da qualche parte. 



Come aveva potuto vivere tanti anni senza rendersene conto? Per lui, fino al giorno prima, i suoi fratelli, erano i suoi fratelli. Se non li vedeva spesso era perché ciascuno aveva preso una strada diversa. Soltanto lui era rimasto nella casa dov'era nato, e probabilmente per questo non aveva mai intuito i loro problemi. 

Un uomo, l'anziano ristoratore Auguste, muore all'improvviso mentre sta lavorando nel ristorante che aveva aperto a Parigi. Ci andavano ministri, delegazioni diplomatiche e persone famose. Aveva vinto anche due stelle Michelin. Il ristorante rendeva bene ma Auguste non aveva mai confidato a nessuno cosa ne facesse di tutti quei soldi. 

Arrivato cinquant'anni prima dalla nativa Alvernia senza un soldo in tasca, Auguste Mature, era riuscito a trasformare il piccolo bistrot di rue de la Grande-Truanderie, dove andavano a bere un caffè corretto o a mangiare un boccone i lavoratori dei mercati generali, in un ristorante frequentato dal Tout-Paris. Gli era sempre stato accanto il figlio Antoine che, prima ancora che la camera ardente sia stata allestita, deve fare i conti con una famiglia già sul piede di guerra per reclamare l'eredità. 

"Chi si occupa della successione?"

"Cosa vuoi dire?"

"A quanto pare c'è in gioco un milione, senza contare il ristorante... Noi siamo tre... Queste faccende non si trattano alla leggera... Di solito c'è un notaio che ha cura degli interessi di ciascuno e bada a che tutto si svolga nella debita forma"

"Non so se nostro padre aveva un notaio..."

"Lo trovi normale, tu, che non abbia fatto testamento?"

"Probabilmente pensava che i suoi figli si fidassero di me." 

"Ma pensa! Papà muore, e non c'è traccia del milione che ha guadagnato negli ultimi vent'anni. Il tuo, di milione, te lo sei messo al sicuro. Il suo è sparito come per incanto." 

Auguste aveva tre figli, diversissimi tra loro: Antoine, mite e fedele, lavorava con il padre ed era diventato socio anche se non c'era un documento per dimostrarlo; 

Ferdinand non amava il lavoro del padre, aveva studiato ed era diventato giudice, si era trasferito con la famiglia in un moderno appartamento che deve ancora terminare di pagare. Un po' di soldi sarebbero ben accetti; 

Bernard è la pecora nera della famiglia. Vive di espedienti e affari non proprio cristallini. È un sognatore fallito, semialcolizzato. Sopravvive spillando soldi al mite e generoso Antoine. Diffida di tutti e senza nemmeno onorare la salma del padre, inizia a chiedere: "Dove sono i soldi?". 

La moglie di Auguste, madre dei tre fratelli, non riconosce più nessuno, sembra "immateriale da tanto era diventata magra." 

Naturalmente anche le cognate non volevano rimanere in disparte e intervengono in questa interessante vicenda ereditiera esprimendo a mezza voce la loro esortazione verso i rispettivi mariti e compagni: "Spero che non ti lascerai mettere i piedi in testa. Ad ogni modo io sarò lì". 

Ognuno mostra il peggio di sé. Il denaro è una cartina al tornasole dei caratteri, migliori e peggiori, degli esseri umani. La tensione tra i personaggi è palpabile così come è evidente la loro normale mediocrità. I figli di Auguste hanno dentro un gran caos, sono individui aridi e manipolabili. 

Bernard e Ferdinand si accaniscono contro Antoine sospettandolo di aver fatto sparire il testamento del padre e di volersi appropriare del "malloppo" nascosto da qualche parte. 

Cosa succederà? Riuscirà la famiglia Mature a superare lo scoglio dell'eredità o entrerà nel limbo delle cose non dette, dei sospetti sussurrati, delle identità mai pienamente acquisite? 

Simenon, ancora una volta, mette in scena un dramma familiare scoperchiando il vaso di Pandora da cui fuoriescono risentimenti, attriti, segreti, invidie e menzogne. I legami familiari sono analizzati alla luce delle dinamiche di potere tra i personaggi. Sospetti, ipotesi senza alcun fondamento, realtà distorte e bramosia di una ricchezza che, pur a portata di mano, sembra evaporare. 

Così mentre Auguste riposa nel suo letto eterno, i suoi figli, tranne uno, sono pronti a scontrarsi senza alcuna pietà. 

Per Antoine, forse anche per altri, lui non era soltanto morto. Non esisteva più. Al suo posto non restava niente. Non lasciava niente dietro di sé. 

"La morte di Auguste" è un libro intenso e amaro, un libro che non teme la verità. I personaggi sono persone che si sentono sole nell'affrontare problemi e ansie. Con uno stile sobrio, con attenzione alle atmosfere, ai profumi, ai quartieri cittadini, ai gesti quotidiani e agli interni domestici, Simenon tratteggia le debolezze umane dando un'immagine non confortante dell'umanità. Bastano poche pagine all'autore per narrare, avendo come sfondo la presenza della morte, un conflitto familiare generato dall'avidità. La storia, siamo nel 1961, si svolge nell'arco temporale di pochi giorni, dal venerdì sera (quando muore Auguste) al martedì mattina (funerali dell'uomo). 

I libri di Simenon sono, per me, un tuffo dal trampolino nel mare oscuro dell'umanità. Si entra in contatto con un mondo che crediamo di conoscere. Nuotiamo tra le onde del vivere e del morire. Guardiamo gli uomini che non vivono ma sopravvivono. Si avanza in un percorso tortuoso, pericoloso e tormentato. L'incontro con la morte è inevitabile ma prima c'è la vita, lo scorrere del tempo che tutto deforma e a volte cancella. Se poi abbiamo ancora un po' d'energia, allora ci immergiamo per esplorare gli anfratti più reconditi dell'animo umano alla ricerca di possibili tracce lasciate dai personaggi che tanto ci somigliano. 

Dopo aver letto questo breve romanzo ho chiuso il libro con la consapevolezza che l'opera di Simenon è un piccolo gioiello per chi cerca nella letteratura anche il piacere della riflessione: 

C'era una volta una famiglia che, al cospetto del dio denaro, si trasformò in un nido di vipere. A noi decidere se è immaginazione o realtà.

venerdì 1 agosto 2025

RECENSIONE | "Quel confine sottile" di Silvia Napolitano

Bollati Boringhieri pubblica "Quel confine sottile" di Silvia Napolitano. Silvia Napolitano è sceneggiatrice per il cinema e la televisione (“I bastardi di Pizzofalcone”, “Mina settembre”). L'autrice ha fatto parte per vent'anni della giuria Premio Salinas e insegna Sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia. "Quel confine sottile" è un noir che segna l'esordio dell'autrice nella narrativa di genere poliziesco.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
Quel confine sottile
Silvia Napolitano

Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 368
Prezzo: € 18,00
Sinossi

Fabrizio Mieli, psicoanalista, ha in cura Zac, un ragazzino schizofrenico di quattordici anni, bello come un elfo e che ha per amici solo bambini morti. Un giorno Zac gli racconta di aver trovato nel fiume il cadavere senza testa di un'adolescente: un morto vero, questa volta, non uno dei suoi fantasmi. Il cadavere decapitato è di Juliette, tredici anni, francese. Nessun indizio, nessun testimone. Bruno Ligabue, commissario solitario e con un macigno nel cuore, inizia a indagare, e presto scopre che il proprietario di un bar frequentato da giovanissimi offre da bere, e forse altro, a ragazzine che non sanno dir di no. È una pista, la prima. Ma con Ligabue non è d'accordo Agostina Picariello, la PM che si occupa del caso, donna brusca e straordinariamente brutta. Il conflitto tra i due è immediato, istintivo: Agostina, infatti, è convinta che sia stato Zac, il ragazzino che l'ha trovata, a uccidere Juliette, mentre il commissario dissente profondamente. Due piste, due caratteri, due visioni del mondo opposte. Ma Ligabue e la Picariello sono assai più simili di quello che pensano: man mano che l'indagine va avanti emergono gli errori, le paure, le mancanze di entrambi. La scoperta dell'assassino sarà inaspettata, e passerà per vie misteriose e oscure. Ma insieme alla soluzione del caso ci saranno le rivelazioni dei personaggi, e le loro verità più profonde affioreranno come era affiorato il cadavere di Juliette dal fiume.



Zaccaria Bendicenti, detto Zac, un ragazzino schizofrenico di quattordici anni che ha per amici solo bambini morti, è il protagonista di questo romanzo corale. Un giorno Zac trova davvero un cadavere: è quello di una ragazzina decapitata vicino a un fiume. Una terribile scoperta che Zac racconta a Fabrizio Mieli, il suo psicoanalista. 

Lui, e solo lui, sapeva dove si era impigliato il corpo: era già coperto di detriti e alghe di fiume, e un paio di dita bianche e molli aggrappate a un lichene lo trattenevano. Il corpo era senza la testa: un vestito a pois azzurri faceva pensare a una donna molto giovane, forse a una ragazza. 

Il cadavere è quello di Juliette, tredici anni, francese scomparsa da un campeggio appena fuori Roma qualche giorno prima. 

Così era scomparsa, nel buio che iniziava a farsi penombra: quell'ora intermedia, di confine, in cui non si sa se quello che accade è reale o solo un'illusione. 

Nessun indizio, nessun testimone. 

Bruno Ligabue, commissario solitario e con un macigno nel cuore, inizia a indagare e scopre che il proprietario di un bar frequentato da giovanissimi offre da bere, e forse altro, a ragazzine vulnerabili. É una prima pista in un caso che si annuncia oscuro e complesso. 

"Quel confine sottile" è un noir corale immerso in atmosfere inquietanti. La trama principale si moltiplica in sottotrame che riguardano i personaggi e i loro dilemmi esistenziali, il senso di ambiguità e di angoscia che li pervade. Si crea un mondo spesso al di là del bene e del male dove i personaggi, cupi e tormentati, hanno con il resto del mondo un rapporto conflittuale perché hanno dentro l'oscurità e vedono l'oscurità nel mondo. Dietro il loro sguardo si cela l'abisso situato su quel confine sottile tra la vita e la morte. Presi singolarmente i vari personaggi sono persi, fragili ampolle di cristallo destinate a frantumarsi in mille pezzi. 

Quando c'è da espiare, la vita è più facile, nulla ti tocca, nulla ti piace, la navigazione è rassicurante e placida: è come essere in galera... ma le sbarre sono le tue, e la guardia che ti chiude in cella ha la tua faccia

Tante solitudini destinate a formare una strana famiglia. Unire i propri dolori, essere ognuno il sostegno dell'altro, superare i silenzi e le separazioni, diventa un'ancora di salvezza. Persone che prima non si conoscevano, coinvolte in un'indagine complessa e drammatica, finiscono per oltrepassare insieme il confine tra colpa e innocenza, tra verità e bugia, tra bene e male. In questa ragnatela affettiva si può comunicare moltissimo anche senza le parole. Basta uno sguardo, una carezza improvvisa, un abbraccio. 

Siamo parte di un'unica, gigantesca cellula umana che soffre. 

Romanzo corale in cui le vite dei personaggi si intrecciano come fili di un unico tessuto: 

Zac, il ragazzino schizofrenico, era felice di avere i suoi amici morti con cui stava benissimo, assai meglio di come stava con i suoi pochi amici vivi che erano noiosi e tristi. 

Fabrizio Mieli, il suo analista, è un uomo in crisi. Il suo matrimonio sta naufragando e lui si ritrova a lottare con i propri demoni interiori. 

Aurora, luminosa mamma di Zac, è una donna in cui convivono dolore e amore per la vita. 

Raimondo Buccini, medico legale scorbutico ma pronto all'amicizia. 

Bruno Ligabue, commissario di polizia, tormentato dal rimorso e dal dolore più profondo che si possono immaginare. La sua vita è tenuta in piedi grazie alla tenacia e alla passione per il lavoro. 

Brenda, donna dal carattere forte, che proverà a far uscire Ligabue dal suo isolamento. 

Agostina Picariello, la pm che segue il caso, combatte il suo buio personale con certezze granitiche e razionali. Convive con i fantasmi del passato rinchiusi in avvenimenti che non vuole ricordare. È brusca, priva di empatia e cinica. Il conflitto tra la pm e il commissario è immediato: Agostina è convinta che il colpevole sia Zac, Bruno non è d'accordo. 

Il confine è sottile, sottilissimo. Una carta velina. Sei da questa parte, e un attimo dopo sei dall'altra. Tutti abbiamo un confine sottilissimo, la linea di demarcazione che separa un attimo dall'altro. 

Ognuno di noi ha sperimentato sulla propria pelle "le mille morti che affollano le nostre vite; quegli attimi indelebili e fuggenti che ti fanno morire restando vivo." 

Subire una violenza, perdere una persona cara, cercare la propria identità, nascondersi dietro una maschera che non ci appartiene, sono confini segnati dalla sofferenza, dai sensi di colpa, dalla mancanza di coraggio. 

Intenerisce il cuore anche la presenza, nel romanzo, di Bulli, il cane psicotico a cui Bruno aprirà le porte della sua casa e del suo cuore. Bulli, dopo aver sofferto tanto, finalmente è un cane amato che ha una possibilità di felicità. 

"Quel confine sottile" è un romanzo con un profondo senso di umanità. Un'umanità sicuramente fragile e in difficoltà che la vita ha messo a dura prova. Man mano che la lettura procede si delinea all'orizzonte la soluzione del caso, ci saranno anche le rivelazioni dei personaggi e le loro verità più profonde affioreranno come era affiorato il cadavere di Juliette dal fiume. 

Tra i tanti personaggi il mio cuore è stato conquistato da Zac, il ragazzino che vive tra il mondo reale e quello dei suoi fantasmi. 

Zac assomigliava alla natura più incontaminata: era come un temporale, un grillo, un prato in piena fioritura, o una grande aquila che va dove le pare. La natura come armonia ed equilibrio, la natura che non si stupisce, che vive e muore e vive ancora, senza alcuna differenza. 

"Quel confine sottile" è un noir dal sapore amaro che sonda i confini invisibili che, per essere oltrepassati, reclamo un pagamento in lacrime e dolore. Oltrepassare quella linea di demarcazione vuol dire entrare in un luogo di possibilità e ospitalità, punto di incontro e rifugio, dell'ascolto reciproco. Il confine diventa una linea di contatto che non solo separa, ma anche unisce dando ai protagonisti la possibilità di condividere e vivere le emozioni con intensità adeguata. Rafforza il senso di appartenenza, si scopre di essere parte di qualcosa, di poter gestire i sensi di colpa, la rabbia, la frustrazione, il senso di oppressione. 

La lettura di questo romanzo alterna momenti di calma riflessione a lampi improvvisi di brutalità, rispecchiando la dualità di alcuni personaggi. Si respira sicuramente un'atmosfera malinconica frutto di uno scavo nelle emozioni e nei ricordi. 

É una storia che parla di scelte, di cambiamenti, di speranze. Se guardate con attenzione la cover, noterete i bastoncini del gioco Shanghai. 

Il gioco consiste nel far cadere i bastoncini su un tavolo, occorre poi sfilare un bastoncino alla volta senza urtare gli altri. Potremmo considerare questo gioco come metafora della vita. È possibile, nell'esistenza, non urtare coloro nei quali per sorte ci si imbatte? Le vite dei protagonisti sono in costante movimento alla ricerca di un po' di equilibrio. In un sistema condiviso di regole si può avere libertà di scelta, soddisfazione e felicità, senza recar danno agli altri. I bastoncini rappresentano anche i problemi che incontriamo. Affrontarli tutti in una volta è impossibile. Eliminare un bastoncino alla volta vuol dire risolvere un problema alla volta alleggerendo la matassa che ci immobilizza. Strategie di gioco che si fanno strategie di vita per rielaborare la libertà del movimento personale senza recar danno. Lo sanno bene tutti i protagonisti, basta un attimo per cambiare il corso degli eventi. Tuttavia vivere è ancora bello. Così nella strana famiglia che si formerà in nome di una reciproca e potente pietà, alla fine ognuno troverà il suo posto. Almeno per un po'.