martedì 24 giugno 2025

RECENSIONE | "La catastrofica visita allo zoo" di Joel Dicker

Autore di libri che sono bestseller in tutto il mondo, lo scrittore svizzero Joel Dicker propone un romanzo che può essere letto e condiviso da lettori di tutte le età. È un libro che può interessare i lettori giovani, che non annoverano la "lettura" tra le loro passioni, i lettori emotivi, che si identificano con i personaggi, i lettori che esplorano diversi generi e coloro che magari leggono un solo libro all'anno. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" (pubblicato da La nave di Teseo, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) Dicker ha deciso di affidare la narrazione alla piccola Joséphine, l'età non viene svelata ma si sa che frequenta la scuola elementare, che propone un nuovo modo di vedere il mondo. Vi sorprenderà scoprire che in questo romanzo non c'è nessun omicidio su cui indagare, nessuna atmosfera torbida, nessun intrigo e ambiguità. 

Joséphine, una tipa tosta dalla parlantina facile che impara le cose troppo velocemente e che da grande vorrebbe fare l'inventrice di parolacce, e i suoi amichetti sono decisi a risolvere quel mistero che ha stravolto la loro quotidianità dando inizio a una serie di catastrofi culminanti nella catastrofe più grande, come indicato dal titolo, rappresentata dalla visita allo zoo.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 6
La catastrofica visita allo zoo
Joel Dicker

Editore: La nave di Teseo
Pagine: 272
Prezzo: € 20,00
Sinossi

"Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto." Alla vigilia di Natale, una visita scolastica allo zoo si trasforma in una catastrofe. Cosa è successo esattamente? I genitori di Joséphine, una bambina che ha preso parte alla gita e che sembra sapere molte cose, sono decisi a scoprirlo. Diversi anni dopo, Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe, e nei fatidici giorni che l’hanno preceduta. Joséphine e i suoi compagni sapevano dal primo momento che non poteva essere stato un incidente, ma durante la loro indagine scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile...





Per anni, nella piccola città dove sono cresciuta, è rimasto impresso nella memoria degli abitanti il ricordo degli avvenimenti che ebbero luogo allo zoo locale un venerdì di dicembre, pochi giorni prima di Natale. E per tutti questi anni, nessuno ha saputo cosa fosse realmente accaduto. 

Joséphine, diventata adulta, decide di raccontare in un libro cosa è accaduto durante quella visita di classe allo zoo, quando era bambina, e nei fatidici giorni che l'hanno preceduta. 

Nulla avviene per caso. Un lunedì mattina di fine autunno, la scuola speciale "Picchi verdi" frequentata da Joséphine e da altri cinque bambini speciali come lei, viene dichiarata inagibile per allagamento. I rubinetti dei bagni sono rimasti aperti e l'acqua è ovunque. Ciò costringe i bambini e la loro maestra, la signorina Jennings, a trasferirsi nella scuola accanto, tra i bambini normali. 

Una catastrofe non avviene mai all'improvviso: è il risultato di una serie di piccole scosse che quasi non si notano ma che, a poco a poco, diventano un terremoto. 

La prima catastrofe, l'allagamento, ha un effetto domino sugli eventi. Prima di procedere con la narrazione conosciamo meglio i "piccoli birbanti": 

Joséphine, tutti dicono che capisce le cose troppo in fretta. Da grande vuol diventare un'inventrice di parolacce. 

Artie, l'ipocondriaco, che pensa sempre di avere malattie di tutti i tipi. Da grande vuol fare il medico per curarsi da solo. 

Thomas, il karateka, da grande vuol fare l'insegnante di karatè come il padre. 

Otto, il saputone, che ha dei genitori che vivono ognuno in una casa diversa. Adora ricevere in regalo enciclopedie e dizionari, ama spiegare le cose e conosce parole complicate. Da grande Otto vuol fare il conferenziere. 

Giovanni ha dei genitori molto ricchi e porta sempre la camicia. Da grande vuol lavorare nell'azienda di famiglia fondata dal nonno. 

Yoshi non parla mai. Ma mai mai. Yoshi è pieno di fissazioni, controlla sempre le cose dieci volte, e ogni tanto anche più di dieci. Da grande vuol fare lo scultore. 

I bambini vogliono scoprire chi ha causato l'allagamento della loro scuola, i tubi erano stati ostruiti con della plastilina, per questo chiedono aiuto alla nonna di Giovanni che ha la passione per i telefilm polizieschi. Parallelamente all'indagine, che vi porterà a sorridere molto spesso, i piccoli detective in erba devono affrontare la convivenza con i bambini normali. Ne vedremo delle belle! I bambini scoprono che una catastrofe non arriva mai da sola, le apparenze ingannano e le storie possono prendere una piega imprevedibile. 

I bambini protagonisti del romanzo sono speciali. Scrive Dicker: 

Volevo fare spazio anche alla stupidità degli adulti. Gli adulti hanno paura della differenza. Ma siamo tutti differenti: marito, moglie, anche un fratello gemello... Non dobbiamo cercare le persone che sono come noi ma trovare il modo di funzionare con qualcuno di diverso da noi. E quindi ho scelto questi protagonisti particolari, che chi leggerà il libro incontrerà, per parlare di differenza. E ho scelto il termine "speciale": è la parola giusta alla quale si può dare qualsiasi significato. Ma che cos'è la normalità? Anche questa è una bella domanda. 

Nasce così un romanzo dalle mille sfaccettature che fa sorridere ed emozionare usando un linguaggio che nasce dal modo in cui i bambini comunicano ponendo sempre tante domande una dietro l'altra. La storia, tenera e divertente, vede la trasformazione di un evento scolastico in un incubo. Scavare nella memoria collettiva si rivelerà più insidioso del previsto affrontando tanti temi (l'educazione, la diversità, la tolleranza, la censura, i legami familiari, i rapporti fra adulti e bambini) che ci portano a riflettere sulla democrazia e sull'inclusione. Due argomenti importanti che spesso gli adulti cercano di insegnare ai più piccoli, ma poi loro sono i primi a non metterli in atto nei rapporti con gli altri. Lo sguardo curioso e ingenuo dei bambini, privo di pregiudizi, spesso si scontra con le certezze di genitori e insegnanti. Gli adulti non amano mettersi in discussione, hanno certezze granitiche basate sulle loro convinzioni. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e delle proprie idee, sono queste le basi del vivere civile. Trasportando la storia narrata nella realtà attuale, appare evidente come piccoli eventi concatenati possono portare a conseguenze drammatiche. 

Dicker, nel romanzo, parla del concetto di democrazia e scrive che vuol dire "essere se stessi in mezzo agli altri". Dobbiamo quindi essere consapevoli della nostra identità e ciò non è facile. La società deve aprirsi al rispetto e alla tolleranza, ognuno ha il diritto di essere come vuole e deve esser rispettato. Naturalmente vivendo in una società ci sono delle regole da osservare e occorre comprendere quali sono i limiti entro i quali si sviluppa la libertà. 

Nella postfazione Dicker riflette sull'azione negativa dei social network che allontanano dal piacere della lettura. Si è persa la voglia di socializzare, di guardarsi intorno e informarsi. Stiamo sempre con gli occhi fissi sul telefonino. Molte librerie dove ero stato invitato al mio esordio, dice l'autore, non esistono più. Quelle rimaste sono costrette, per sopravvivere, a vendere anche articoli che non hanno nulla a che fare con la letteratura. Tuttavia la cosa più importante è che leggere su carta permette all'uomo di sviluppare strumenti sociali come l'empatia, la comprensione dell'altro, la capacità di affrontare le sfide del nostro tempo. Leggere vuol dire allenare il nostro cervello a prendere decisioni autonome, a formulare propri convincimenti e a non accettare passivamente i ragionamenti altrui. Sviluppare uno spirito critico è importante anche per comprendere e rafforzare i principi su cui si basa la democrazia. Ciò non vuol dire condannare i telefonini o la lettura su schermo. Vuol dire non abbandoniamo il cartaceo, portiamo un libro con noi per occupare in modo proficuo il tempo di un'attesa, di un viaggio, di una pausa pranzo. Il nostro povero mondo è sull'orlo di un orribile precipizio, la lettura può aiutarci a non perderci per sempre. 

Con "La catastrofica visita allo zoo" l'obiettivo di Dicker è "di scrivere un libro che potesse essere letto e condiviso da tutti i lettori, chiunque essi siano e ovunque si trovino, dai sette ai centoventi anni." Obiettivo raggiunto con buoni risultati.

lunedì 16 giugno 2025

RECENSIONE | "L'isola della felicità" di Davide Ferrario

"L'isola della felicità" (Feltrinelli, 2025) di Davide Ferrario, sceneggiatore, critico e regista di film e documentari, è un romanzo nato da una storia vera. Racconta la parabola di un paradiso trasformato dalla ricchezza.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 7
L'isola della felicità
Davide Ferrario

Editore: Feltrinelli
Pagine: 176
Prezzo: € 17,00
Sinossi

In un’isola sperduta nell’Oceano Pacifico la popolazione, che ha sempre vissuto con frugalità di pesca e agricoltura, si ritrova ricchissima grazie allo sfruttamento di un deposito di guano, da cui si ricavano fertilizzanti di pregio. Dall’oggi al domani l’isola diventa uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Cinquant’anni dopo, l’isola è in miseria e l’unica graduatoria a cui è in testa è quella della popolazione più obesa del pianeta. È uno degli isolani – testimone straniato dell’incredibile storia vera di Nauru, la repubblica più piccola del mondo – a prendere la parola e a raccontarci la traiettoria di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un’esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell’isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. "L’isola della felicità" è una satira apertamente ispirata al Jonathan Swift dei Viaggi di Gulliver, che inanella con strepitosa ironia un travolgente crescendo di avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l’amara coscienza del nostro tempo.



Dato che sul Continente chiamavano il guano "oro bianco", be', allora noi dell'isola eravamo seduti sopra una miniera di quell'oro. È così, purtroppo, che siamo diventati ricchi. 

C'era una volta una piccola e sperduta isola nell'Oceano Pacifico. Era abitata da uomini semplici dediti alla pesca e all'agricoltura. Uomini felici che vivevano a stretto contatto con la natura che scandiva il tempo e l'alternarsi delle stagioni anche se il caldo regnava sovrano per tutto l'anno e c'era tanta umidità. Si andava a pesca nell'Oceano e nella laguna, si coltivava il necessario, c'erano capre, maiali e galline. La popolazione faceva il minimo indispensabile e si accontentava di quel che c'era. 

Un giorno arrivarono Quelli del Continente che scoprirono sull'isola un enorme deposito di guano, formatosi dalle deiezioni degli uccelli, da cui si ricavavano fertilizzanti di pregio. Iniziarono a comportarsi da padroni e arrivò anche un missionario che non cambiò più di tanto la vita degli indigeni: 

Bastava adeguarsi alla recita: andare in chiesa una volta alla settimana nel giorno che lui definiva "del Signore", ascoltarlo, fare di sì con la testa, cantare le canzoni stampate in un certo suo libro, tornarsene a casa e dimenticarsene fino alla domenica successiva. Tenendo conseguentemente lontani, beninteso, i soldati. È così, diceva la nonna, che siamo diventati cattolici.

Dopo il missionario sbarcò sull'isola anche la scienza nei panni di un ingegnere che venne chiamato dagli indigeni Lui-con-gli-occhiali. Il guano giaceva in abbondanza sotto la foresta e lo sfruttamento di quella risorsa preziosa portò a un periodo di prosperità economica e rese ricchissima la popolazione che smise di lavorare e iniziò a spendere il denaro in beni non necessari. L'oziosità spinse gli abitanti a cambiare drasticamente il proprio regime alimentare, abbandonando la sana dieta di pesce, verdura e frutta, a favore di alimenti molto calorici ma poco nutritivi (divenne piatto nazionale la coda di tacchino impanata e fritta). Una notevole varietà di merci venivano importati ed esposti nell'emporio creando l'illusione di aver bisogno di tante cose di cui non si era mai sentita la necessità. Così anche il consumismo fece la sua comparsa sull'isola. La popolazione iniziava a desiderare di possedere vestiti, inutili sull'isola visto il caldo soffocante; tutti volevano le automobili, anche se sull'isola c'era una sola strada che tracciava la circonferenza dell'isola. 

Il progresso avanzava e arrivarono la scuola e l'ospedale, fece la sua comparsa anche il denaro. Sull'isola anche il tempo veniva imprigionato in anni e date; i nomi tradizionali vennero sostituiti da quelli all'occidentale; comparve la televisione, i voli aerei, la polizia e il turismo che non ottenne molto successo. 

L'idea dell'isola equatoriale aveva evocato nei turisti immagini di spiagge bianche e immacolate, lagune azzurre, foreste misteriose. Niente di tutto questo era sopravvissuto: l'isola era una miniera a cielo aperto, con il suo cuore sventrato dagli scavi e calcinato dal sole; nella laguna non guizzava più un solo pesce e sulla costa troneggiava l'impianto di carico dei fosfati, la cui polvere puzzolente impestava l'aria.

L'isola veniva definita, da sarcastici servizi televisivi, uno dei posti più brutti del pianeta, e i suoi abitanti non proprio attraenti. 

L'isola non era più sconosciuta e diventò uno dei paesi con il reddito pro capite più alto al mondo. Lui-che-parla-bene fu eletto primo Presidente. 

L'euforia, costruita sulla merda di uccello, aveva cancellato la memoria del passato. 

Avevamo tutti vissuto in un sogno in cui, mentre l'isola intorno cambiava, noi continuavamo a credere di essere in un altro posto, quello che conoscevamo prima. Come era stato possibile?

La teoria della rana bollita spiegava ogni cosa! 

Coccolati dalla ricchezza e bolliti da quello che vedevamo alla TV, eravamo un popolo di adulti che credevano di essere rimasti bambini nel mondo della loro infanzia. E il risveglio era stato brutale.

Tuttavia tutte le cose belle finiscono e il guano, che bello non era ma dava ricchezza, era ormai esaurito. Ecco che tutto precipitava. L'isola era stata sfruttata, spogliata delle sue ricchezze naturali, sfregiata da anni di scavi. Iniziava la discesa, progressiva ma costante, verso la miseria. 

Cosa fare per sopravvivere? Trasformare l'isola in un paradiso fiscale? Costruire un carcere da mettere a disposizione dei Paesi continentali? 

Cinquant'anni dopo l'isola è in miseria e l'unica graduatoria in cui primeggia è quella della popolazione più obesa del pianeta. Anche il mare, inquinato per il modo in cui i fosfati venivano caricati sulle navi, aveva fame e stava per divorare ogni cosa. 

La voce narrante appartiene a un isolano, Lui-col-sorriso-stanco, testimone dell'incredibile storia vera di Nauru, la repubblica indipendente più piccola del mondo, che racconta la trasformazione di un paradiso in Terra a cui basta solo mezzo secolo per conoscere glorie e nefandezze del genere umano. 

Attingendo a eventi reali, Davide Ferrario costruisce un'esilarante metafora del mondo contemporaneo. Quando il guano si esaurisce, ogni Presidente che si succede al governo dell'isola cerca nuovi espedienti per accumulare ricchezza, imbarcandosi in imprese sempre più surreali e fallimentari: ma drammaticamente vere. 

"L'isola della felicità" è un romanzo molto interessante, ironico e lucido, che pone al centro della vicenda lo scempio provocato dall'uomo in natura e le conseguenze dannose di una ricchezza facile. Importante è anche il concetto di felicità usato come metafora per descrivere un'esperienza positiva ma dalle conseguenze catastrofiche. 

Davide Ferrario usa l'isola di Nauru per raccontare una metafora sulla vita contemporanea con avventure tragicomiche che tengono il lettore in equilibrio costante tra la risata e l'amara coscienza del nostro tempo. L'autore ci porta a riflettere sul capitalismo, sulla gestione delle risorse naturali e sul benessere dei cittadini. Il romanzo narra la parabola autodistruttiva che investe tutto il mondo, svela amare verità che sono spunti di riflessione sul prezzo del progresso. 

Da lettrice posso dirvi che "L'isola della Felicità" è una lettura che coinvolge e si stenta a credere che siano tutti fatti riguardanti la realissima isola di Nauru in Micronesia. Non c'è lieto fine, l'ottimismo non abita le pagine di questo romanzo che intrattiene con humour e una buona dose di pessimismo. Se volgiamo lo sguardo intorno a noi non vediamo sicuramente una sconfinata prateria di felicità ma il deserto dell'avidità dell'essere umano che avanza. Riflettiamoci!

martedì 10 giugno 2025

RECENSIONE | "La morte di Belle" di Georges Simenon

"La morte di Belle" di Georges Simenon (pubblicato, come le altre opere dello scrittore belga, da Adelphi con la traduzione di Laura Frausin Guarino) è la storia di un omicidio e delle dinamiche che portano il protagonista, principale sospettato, a isolarsi e a precipitare in un baratro dove l'aspetta il Male e il destino inesorabile. 

"La morte di Belle" fa parte dei romans durs scritti da Simenon. Nel 2024 il romanzo è stato adattato per il grande schermo con il film "Il caso Belle Steiner".


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La morte di Belle
Georges Simenon

Editore: Adelphi
Pagine: 176
Prezzo: € 18,00
Sinossi

In un cottage di una tranquilla città americana, una ragazza diciottenne, Belle Sherman, viene uccisa. Quella sera, casualmente, il professor Spencer Ashby, che ospitava la giovane, figlia di un'amica della moglie, era rimasto solo in casa con lei. Questa circostanza fa di Ashby il principale indiziato del delitto e a poco a poco la scuola in cui insegna, la piccola comunità puritana, "i giusti", cominciano a guardarlo con sospetto, a trovarlo "diverso", a isolarlo. E' quanto basta per far risorgere in lui antichi turbamenti, fantasie sessuali, un disordine interiore che, dopo anni di vita senza scosse, credeva sopito, represso. Il coroner incalza con i suoi interrogatori e il precario equilibrio del professore si sfalda...





Può capitare che un uomo, in casa propria, vada su e giù, faccia i gesti abituali, i gesti di tutti i giorni, con l'espressione distesa di chi è solo, e poi, alzando gli occhi all'improvviso, si accorga che le tende non sono state tirate e che qualcuno, da fuori, lo sta osservando. Per Spencer Ashby fu un po' così.

L'intreccio ci porta in un lindo cottage di una tranquilla cittadina americana. Qui abitano il professor Spencer Ashby e sua moglie Christine. I due vivono una vita tranquilla, fatta di abitudini e piccole certezze quotidiane. Tutto cambia quando la coppia decide di ospitare l'avvenente Belle, una ragazza diciottenne figlia di un'amica di Christine. 

Quando la ragazza viene trovata strangolata nella sua camera da letto, i sospetti cadono su Ashby: in casa, quella sera, c'era solo lui e non ci sono tracce di altre persone. Tuttavia mancano indizi chiari, prove che lo inchiodino, ma per Ashby ha inizio un vero e proprio incubo, un'odissea giudiziaria, sociale ed esistenziale lunga settimane. A poco a poco la scuola in cui insegna, la piccola comunità puritana, "i giusti", cominciano a guardarlo con sospetto, a trovarlo "diverso". A isolarlo. Tutti gli voltano le spalle, è come se la comunità l'avesse già condannato. 

La comunità era forte, ma lo spirito del male si aggirava, instancabile, assumendo tutte le forme possibili nell'intento di appagare il suo odio per il giusto.

Lui appare freddo, schivo, ama chiudersi nel suo studio e nel suo laboratorio di falegnameria, dove lavora al tornio, piuttosto che partecipare alla vita sociale della cittadina. L'indagine non sembra scagionarlo e l'uomo si ritrova intrappolato in un meccanismo diabolico. Anche la moglie inizia ad avere dei dubbi sulla sua innocenza. 

Dopo l'omicidio riaffiorano in lui antichi turbamenti, fantasie sessuali, un disordine interiore che pensava di aver represso e invece dormivano nascosti in qualche anfratto della sua mente. Il precario equilibrio del professore inizia a vacillare e un'altra realtà verrà fuori. Tutti, intorno a lui, si sentono forti e senza macchia, sentono di essere la Legge, la Giustizia. Ashby, invece, si sente sempre più debole e solo. 

"La morte di Belle" esplora i temi della colpa, del sospetto e della pressione sociale. È un giallo intrigante, elegante ed enigmatico, specchio dell'ambiguità del male, delle abitudini che sono in realtà perversioni, del chiacchiericcio della provincia che nasconde, dietro la maschera del perbenismo, il vero volto del risentimento. Il dubbio è come un veleno che, lentamente ma inesorabilmente, riesce a insinuarsi anche nelle relazioni più solide. 

"La morte di Belle" è la trasformazione di un crimine in un'analisi psicologica dell'essere umano e delle dinamiche sociali. Il delitto e l'indagine diventano tasselli per un'osservazione acuta e incisiva delle figure umane e dell'ambiente in cui si muovono. L'ossessione è tra i temi principali: ossessione di essere giudicati, di essere guardati dal di fuori, di essere costretti dagli altri a essere qualcosa, anche un assassino. Quando si è condannati dal pregiudizio è difficile mostrare la propria innocenza. La società si difende mettendo al bando il diverso: il protagonista, sospettato di essere "il peccatore" viene isolato, gli amici non lo salutano più, riceve telefonate anonime e sulla facciata della sua casa viene tracciata, con del catrame, una grande M (Murderer). 

Essere sospettati non vuol dire essere colpevoli. Il mondo spietato emette subito il verdetto: colpevole. 

Tutto ciò porta alla luce il lato nascosto di Ashby, gli argini sono travolti e il "male" inonda ogni cosa e per lui non ci sarà salvezza. 

Io non mi stanco mai di leggere i romanzi di Simenon. I suoi personaggi mostrano sempre una profonda complessità psicologica. Simenon innesta le sue storie sulla quotidianità, tutto è realistico e il lettore ha la possibilità di riflettere e interpretare gli eventi. Non ci sono verità scalfite su pietra. L'autore riesce a catturare subito l'attenzione del lettore. Osserva e racconta gli uomini con i suoi personaggi insoddisfatti che scoprono il loro malessere radicato nella quotidianità delle loro vite. In molti sopravvivono nell'insoddisfazione, assediati dai dubbi, dal senso di vuoto e dalle emozioni che li tormentano. Spesso le emozioni dei personaggi sono le stesse che anche noi lettori, in circostanze particolari, abbiamo provato. Non sono però emozioni di felicità, sono baratri in cui si cade continuamente. Cambiare è impossibile, il fallimento è una certezza. Non si può evadere dalle prigioni che costruiamo intorno a noi. 

I romanzi di Simenon non danno una visione confortante dell'umanità. Egli è sempre alla ricerca "dell'uomo nudo", l'uomo privato delle infrastrutture sociali e culturali, con le sue paure e i suoi desideri nascosti che diventano incontrollabili e mettono a rischio la tranquilla esistenza banale a lungo costruita. Nei suoi romanzi duri cadono le maschere e l'autore esplora le menti dei personaggi, i loro conflitti interiori e le loro fragilità. 

Il suo stile è essenziale, caratterizzato da atmosfere dense. Le descrizioni di luoghi e persone sono racchiuse in poche righe. Tutto è realtà, nuda realtà. Narrazione, riflessioni e dialoghi si alternano in modo bilanciato. 

Nei romanzi di Simenon ritrovo la profondità di una lettura psicologica. Il protagonista libera la sua parte più repressa e con essa libera anche una violenza che non riesce a frenare. Si ha così una lettura sociale che pone attenzione all'ambiente sociale soffocante e convenzionale, una lettura che rimanda a un trauma primario che ha segnato il protagonista e che, privandolo della veste sociale, lo mette a nudo sottraendolo alla finzione di vivere.

mercoledì 4 giugno 2025

RECENSIONE | "La famiglia" di Jo Nesbo

"La famiglia" (Einaudi, 2025) segna il ritorno dei diabolici fratelli Carl e Roy Opgard, già protagonisti de "Il fratello"(Einaudi, 2020) di cui vi ho parlato la scorsa settimana (recensione). La straordinaria saga porta la firma di Jo Nesbo, incontrastato maestro del crime scandinavo con oltre 40 milioni di copie vendute nel mondo.


STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7
La famiglia
Jo Nesbo

Editore: Einaudi
Pagine: 440
Prezzo: € 21,00
Sinossi

Due fratelli pronti a combattere in difesa di ciò che hanno conquistato. Pronti, se occorre, anche a uccidere. Di nuovo. Senza dubbio, i fratelli Opgard hanno avuto successo nella vita. O, perlomeno, ne hanno avuto quanto è possibile in un paesino come Os: un migliaio di anime aggrappate a una montagna, apparentemente dimenticate da Dio e dagli uomini. Carl dirige un lussuoso hotel con spa, mentre Roy ha in mente un progetto ambizioso: un parco dei divertimenti con un ottovolante tra i più alti e paurosi del mondo. E si potrebbe ottenere ancora di più, per esempio ingrandendo l’hotel. Se non fosse che l’Ente nazionale per le strade ha deciso di far scavare una galleria in quella montagna, spostando la statale e ostacolando così il turismo a Os. Nel frattempo un agente rurale vuole indagare sul baratro noto come curva delle Capre e sulle carcasse delle automobili che ci sono finite dentro, spesso grazie a una spinta dei fratelli… Ancora una volta, dunque, Carl e Roy devono cancellare le proprie tracce e sporcarsi le mani, probabilmente di sangue. Ancora una volta, devono essere disposti a tutto, pur di salvare i loro interessi. Un grandioso, esplosivo romanzo sulla lealtà, i legami familiari, la passione e la lotta contro i poteri forti.





Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? 

I fratelli Roy e Carl Opgard sembrano avere tutto sotto controllo. La loro vita scorre tra affari e ambizioni nel piccolo paese di Os. Ma il passato torna a bussare alla porta. Un poliziotto indaga su vecchie morti sospette e i due uomini devono difendere ciò che hanno conquistato. Pronti, se occorre, anche a uccidere. Di nuovo. 

Sette omicidi. Avevo sette omicidi sulla coscienza. Avevo sperato che il conteggio si fermasse lì.

Roy e Carl hanno avuto successo nella vita anche se tutto è da rapportare a un paesino come Os: un migliaio di anime aggrappate a una montagna, apparentemente dimenticate da Dio e dagli uomini. 

Nel primo capitolo della saga Opgard, avevamo lasciato Carl e Roy alle prese con l'ambizioso progetto di realizzare a Os un hotel- spa d'alta quota. Ora li ritroviamo in gran forma: Carl dirige il lussuoso hotel, mentre Roy ha in mente di costruire un parco divertimenti con un ottovolante tra i più alti e paurosi del mondo. 

Si oppongono ai loro desideri l'Ente nazionale per le strade, che ha deciso di spostare la statale ostacolando così il turismo a Os, e un agente rurale che vuole ancora indagare sul baratro noto come curva delle Capre e sulle carcasse delle automobili che ci sono finite dentro spesso grazie a una spinta dei fratelli. 

Ancora una volta i fratelli diabolici devono salvaguardare i propri interessi e difendersi da una comunità da sempre ostile. Roy e Carl si contendono il trono di Os, un regno di miserabili. 

Perseveriamo dove gli altri si arrendono, finché non otteniamo quello che vogliamo.

La famiglia è ancora la loro ancora di salvezza ma è da sempre la loro maledizione. I ruoli sono ben definiti: Carl è il seduttore, Roy è il protettore del fratello. 

Chi sarà il Re di Os? 

In questo secondo capitolo il personaggio di Roy emerge con tutta la sua forza, si prepara a travolgere tutto e tutti. Una volta innescata la valanga, nessuno può fermarla. 

Alla fine, non si riusciva più ad andare avanti. Ma cosa si poteva fare, oltre a giocare finché non usciva la scritta "game over", la musica si interrompeva e le luci si spegnevano? 

"La famiglia" è un thriller teso e oscuro, dove Jo Nesbo mescola abilmente mistero e psicologia portando il lettore nelle zone più oscure dell'animo umano. 

Finale spietato, amaro, in linea perfetta con la crudeltà del romanzo sulla lealtà, i legami familiari, la passione e la lotta contro i poteri forti. Come sopravvivere se l'umanità svanisce e la morale si dissolve? I legami con il passato non si possono sciogliere nell'acido, i cattivi pensieri non affogano nelle fredde acque dei fiumi, i problemi non finiscono per magia giù in una scarpata. 

L'infanzia ha segnato il destino dei due fratelli, le azioni di ieri oggi presentano il conto. Quella maledetta scarpata riecheggia di voci mai sopite, di corpi straziati, di prove immortali. Da quella profondità sale il buio dell'anima che tutto travolge. 

Nell'universo Opgard non ci si annoia di sicuro. I sentimenti "buoni" sono stati messi dietro a una porta chiusa e la chiave è stata gettata via. Di lì non si muovono, non coccolano i protagonisti, non sono il pane quotidiano con cui saziarsi. Al contrario le passioni violente, l'odio, la colpa, diventano il parco giochi dei due fratelli. Il cuore pulsante della storia è la famiglia, la bussola narrativa ne fa il suo nord e la pone sull'altare del sacrificio. Si, miei cari amici, un sacrificio ci sarà. Del sangue verrà versato ma i morti non avranno pace. 

"La famiglia" è un romanzo ricco di tensione, dolore e violenza. Esplora le emozioni umane più oscure e A gran voce i protagonisti affermano che la famiglia viene prima di ogni cosa. "Prima del bene e del male". Ci si protegge a vicenda, si condivide ogni cosa, anche se il seme della rivalità non tarderà a germogliare. Tuttavia la società si basa sulla morale che tende ad adattarsi. La famiglia è un fertile terreno per i conflitti, le debolezze, le devianze e i drammi. 

Scriveva Tolstoj: "Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo."

La famiglia Opgard è un dramma infinito, parola di Jo Nesbo!