giovedì 30 marzo 2017

RECENSIONE | “Una ragazza bugiarda” di Ali Land

Cari lettori, oggi, 30 marzo, la Newton Compton pubblica un thriller che ho avuto il piacere di leggere in anteprima. La lettura, inquietante e scioccante, mi ha conquistata subito perché la scrittrice ha voluto sottolineare non solo l’aspetto criminale degli eventi ma anche la psicologia della protagonista. Il romanzo “Una ragazza bugiarda” di  Ali Land, strappato agli altri editori italiani in un’asta infuocata, alla sua uscita ha raccolto consensi entusiastici fino a diventare un vero caso editoriale.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7

Una ragazza bugiarda
Ali Land

Editore: Newton Compton
Pagine: 352
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Denunciare la propria madre a soli quindici anni può essere straziante. Dopo quella decisione, la vita di Annie è completamente cambiata. Ora ha un nuovo nome, Milly, e vive insieme alla sua nuova famiglia: Mike, la moglie Saskia e la figlia, Phoebe. Adattarsi ai loro ritmi e alle loro abitudini è molto più complicato di quanto avesse pensato. E il pensiero del processo che si avvicina, nel quale sarà chiamata come testimone, non le dà tregua. Mike, che inizialmente aveva richiesto l’affidamento di Milly sperando di poterla aiutare, è sopraffatto dai suoi impegni di psicoterapeuta. Saskia riesce a malapena a gestire la figlia naturale, e non è in grado di occuparsi anche di quella adottiva. Phoebe ha reagito malissimo all’arrivo di Milly: è sempre di malumore, vorrebbe che se ne andasse e, per rivalsa, comincia a maltrattarla, spalleggiata dalle amiche. Milly si sente isolata e in cerca di sostegno. Avrebbe assoluto bisogno di qualcuno che le desse ascolto: ci sono segreti che riguardano i crimini di sua madre, di cui sa molto di più di quanto non abbia confessato. Eppure nessuno sembra disposto a farlo…

Otto gradini. Altri quattro. La porta sulla destra.

Il parco giochi. È così che lo chiamava.

Dove si facevano giochi malvagi e il vincitore era sempre lo stesso.

Quando non era il mio turno, lei mi faceva guardare.

Un buco nella parete.

E poi mi chiedeva: che cosa hai visto, Annie?

Che cosa hai visto?
La madre di Annie è una serial Killer. Annie è costretta a guardare ciò che succede “nel parco giochi” dove pianti e sangue si mescolano fino alla morte. Come far finire questo incubo? Esiste un’unica possibilità, una sfida inimmaginabile: Annie, a quindici anni, denuncia la propria madre. È la fine di un incubo? No.

Dopo la denuncia la vita di Annie cambia completamente. Ora ha un nuovo nome, Milly, e una nuova famiglia: Mike, la moglie Saskia e la figlia Phoebe. Milly deve adattarsi a nuovi ritmi e abitudini di vita mentre si prepara a testimoniare, in tribunale, contro sua madre.

Il nuovo nido mostra quasi subito i suoi limiti segnati dai conflitti e dalle incomprensioni tra i suoi componenti. Mike, psicoterapeute, è sopraffatto dal suo lavoro. Saskia è in perenne contrasto con la figlia naturale. Phoebe considera Milly un’intrusa colpevole di ricevere, al posto suo, le attenzioni dei due genitori. Milly vede infrangersi la sua speranza di essere adottata da Mike, si sente sola e deve subire i maltrattamenti di Phoebe che fa di tutto per renderle la vita impossibile. Tutto si complica quando inizia il processo, la tensione sale, gli eventi precipitano. Milly vorrebbe rivelare molte più cose sui crimini della madre, vorrebbe qualcuno disposto ad ascoltarla. Eppure nessuno sembra disposto a farlo.

“Good Me Bad Me” è il titolo originario, illuminante per il lettore, di questo thriller psicologico dall’inizio crudele e dallo svolgimento agghiacciante. Io di thriller ne ho letti in gran quantità eppure, questa volta, ho provato un brivido sulla pelle segno di un coinvolgimento totale e profondo. Non c’è un attimo di respiro in questa storia in cui “il detto e il non detto” creano un gioco di allusioni, brevi rivelazioni, dubbi, atroci sospetti.

Fin dalla prima pagina è palese il conflitto interiore di Annie, ama la madre ma non può permetterle di uccidere ancora. Si può provare attrazione e repulsione per la stessa persona?

Bravissima l’autrice a seminare il seme del sospetto nella mente del lettore. Alcuni indizi, abilmente collocati, mi hanno fatto supporre una verità ancor più complessa e orribile. Ho scoperto l’utilità dei segreti gestiti con prudenza, ho visto la stanza degli orrori amorevolmente chiamata, dai carnefici, il “parco giochi”, sono inorridita al pensiero della violenza mischiata a tenerezza. Catene invisibile legano Annie a sua madre.
La mela non cade mai lontano dall’albero.
Annie accusa la madre di orribili delitti, racconta tutto. Quasi tutto.

Ma ogni cosa è andata realmente come raccontato dalla ragazzina?

Lei è spaventata, denunciare la madre non è stato facile. Sente la necessità di ricominciare. Annie si trasforma in Milly, la casa degli orrori si trasforma in una villetta accogliente, il suo desiderio d’amore si trasforma in necessità di amare e di essere amata. Milly, ora, ha un’opportunità. Deve fare del suo meglio per essere una buona persona. Promettere è già un passo avanti anche se il suo cuore le sussurra strane parole.

“Una ragazza bugiarda” è una storia oscura scritta molto bene senza tentennamenti. Le ombre grigie, in cui la verità si perde, rendono inquietante la lettura e mostrano una vigorosa presenza del Male. L’autrice con lucidità e precisione, affonda il bisturi nei mali della società. Bullismo, droghe, violenza familiare, contrasti tra genitori e figli, rendono il romanzo attuale e mostrano la fragilità degli uomini. A volte ci lasciamo distrarre e perdiamo di vista le cose importanti della vita. Crediamo a ciò in cui vogliamo credere, abbiamo una spiegazione per tutto e non ci accorgiamo di essere manipolati. Mentire è una dote innata per alcune persone. Essere buoni? Una possibilità subordinata ad altre scelte. Negare? Una necessità. Confessare? Solo ciò che conviene. L’importante è non farsi prendere, mai!

Leggete questo thriller lasciandovi affascinare da Milly, ma non abbassate mai la guardia in sua presenza.  Soprattutto non promettetele nulla se non siete più che sicuri di mantenere fede alle vostre promesse. 

lunedì 27 marzo 2017

RECENSIONE | "Mindhunter" di John Douglas e Mark Olshaker

Buon inizio settimana, carissimi lettori. Oggi vorrei proporvi la lettura di una biografia che arriva a toccare le corde più intime dell’anima umana. Si tratta di “Mindhunter” di John Douglas con Mark Olshaker, prefazione di Donato Carrisi, edito Longanesi.

Mindhunter
John Douglas e Mark Olshaker (traduzione di M.B. Piccioli)

Editore: Longanesi
Pagine: 380
Prezzo: € 18,60
Sinossi
C'è un solo modo per riuscire a dare la caccia ai serial killer in attività: comprendere come pensano, capirne i ragionamenti per quanto contorti, perversi e letali possano essere, e anticiparne così le mosse. Ma c'è un solo modo per entrare nella mente di un serial killer: parlare con i suoi «colleghi» e predecessori. Questa è stata l'intuizione di John Douglas, l'uomo che ha inventato il Criminal Profiling dell'FBI e che, per farlo, ha dovuto confrontarsi con le più atroci menti criminali del suo tempo. Per anni, John Douglas ha interrogato in carcere gli assassini e gli stupratori seriali, indagandone le ossessioni e le perversioni, fronteggiando in prima persona l'orrore e l'orgoglio di questi mostri, per poter dare la caccia ad altri mostri. Infinite conversazioni con uomini come Charles Man-son. il più famigerato serial killer della storia. Con John Wayne Gacy, l'uomo che, vestito da clown, uccideva senza pietà. Con James Earl Ray, sicario di Martin Luther King... Questa è la storia vera e agghiacciante di un uomo che non ha avuto paura di affrontare il Male nella sua peggior incarnazione contemporanea, pagando anche un alto prezzo personale. Ed è per questo che la vita e la carriera di John Douglas sono la «bibbia» non ufficiale di tutti gli scrittori e gli sceneggiatori che hanno riscritto il concetto di «crime fiction» così come oggi lo conosciamo e amiamo.

Non c’erano altre spiegazioni possibili, dato che ero nudo e legato. Una lama mi lacerava le membra causandomi un dolore intollerabile. Non c’era orifizio del mio corpo che non fosse stato violato. In gola mi era stato infilato qualcosa che mi soffocava, causandomi conati di vomito. Oggetti appuntiti mi erano stati infilati nel pene e nel retto e avevo la sensazione che mi stessero squartando. Ero fradicio di sudore. Poi finalmente capii cosa mi stava accadendo: mi torturavano a morte tutti gli assassini, gli stupratori e i molestatori di bambini che avevo mandato in carcere. Adesso ero io la vittima e non avevo modo di reagire.
Lettura difficile che ha messo a dura prova le mie emozioni perché una cosa è leggere thriller sapendo che sono frutto della fantasia umana e un’altra è leggere le atrocità di cui gli uomini sono realmente capaci. Ma, come potete immaginare, non amo sottrarmi alle sfide e questo libro è stato un banco di prova. Per me che sono una fan di “Criminal Minds”, leggere “Mindhunter” è stato come assistere ad un’avvincente, spesso agghiacciante, caccia al killer.

Per catturare un serial killer bisogna entrare nella sua mente, capire i suoi pensieri, sezionare i suoi ragionamenti perversi e letali. Bisogna anticiparne le mosse. Per far ciò è necessario parlare con altri killer già in prigione. Da questa convinzione è iniziato il lavoro di John Douglas, l’uomo che ha inventato il Criminal Profiling dell’FBI. Per anni Douglas ha interrogato in carcere assassini stupratori seriali, ha studiato le loro ossessioni e perversioni, guardando negli occhi il Male per cercare di fermare altri mostri. Nel libro troverete riferimenti a uomini come Charles Mason, il più famigerato serial killer della storia, a John Wayne Gacy, l’uomo che, travestito da clown, uccideva senza pietà.

John Douglas narra la sua vita dedicata allo studio e alla cattura dei serial killer. Davanti a un crimine orrendo nasce spontanea la domanda: “Che genere di persona può aver commesso una simile azione?”

Il lavoro di analisi si propone di dare una risposta a questo quesito sottolineando la necessità di dover entrare nella mente del soggetto ignoto per poter comprendere il suo modus operandi.
Per capire l’artista, dovete studiarne l’opera.
L’analisi si basa su tre interrogativi diversi. Cosa è successo? Perché è successo proprio in quel modo? Chi può aver commesso questo specifico reato?

Per giungere a un possibile profilo del killer bisogna analizzare la scena del crimine andando oltre le apparenze ed entrando nel buio della violenza senza perdersi nei suoi oscuri meandri. John Douglas racconta, nel libro, le sue esperienze narrando alcune indagini condotte in prima persona. Non vi saranno risparmiati i dettagli più aberranti dei crimini. Scoprirete come i killer amino manipolare e dominare le loro vittime sentendosi padroni delle loro vite. Godono nel scegliere il modo in cui uccidere e metterlo in pratica è come dar vita alle loro oscure fantasie.

È una lotta continua, per un killer preso tanti rimangono liberi. Il Male potrà mai essere sconfitto?
Il drago non vince sempre e noi facciamo tutto il possibile perché le sue vittorie siano sempre meno frequenti. Ma il male che rappresenta, e che io ho affrontato nel corso di tutta la mia carriera, non se ne andrà.
Affrontare il Male richiede impegno, dedizione, un coinvolgimento totale, non si riesce a “staccare dal lavoro”. Le atrocità viste annullano ogni cosa, si è felici solo quando si riesce a catturare un mostro pur sapendo che si è vinta una battaglia e non la guerra. La vita lavorativa dei profiler mina, quindi, anche la loro vita privata ripercuotendosi sulla loro salute. Stress, problemi famigliari e coniugali, il lavoro vissuto come una missione, la forza per affrontare le atrocità, rendono tutto difficile. Si arriva al punto da sottovalutare ogni piccolo incidente domestico, ogni disavventura, perché nulla può paragonarsi a ciò che hanno patito le vittime.

Ho letto questa biografia con molto interesse apprezzando l’intreccio tra vita personale dell’autore e la cronistoria di avvenimenti delittuosi. Non conoscevo la genesi del lavoro di analisi pur sospettando l’alto prezzo emozionale pagato dai profiler. Casi, strategie processuali, testimonianze arricchiscono questo libro. La prefazione di Carrisi, breve ed efficace, ci aiuta ad affrontare una lettura non facile che consiglio a coloro che amano la criminologia e non temono di guardare il male negli occhi. 
Vi saluto ricordandovi ciò che ha scritto Amy Tan:
Vedrai cosa sia il potere quando avrai la paura di qualcuno nelle tue mani e gliela mostrerai.

Curiosità: La storia di Douglas arriverà ad Ottobre anche su Netflix con una serie televisiva di dieci episodi prodotta da David Fincher e Charlize Theron. Ecco il trailer:

venerdì 24 marzo 2017

RECENSIONE | “Il libro degli specchi” di E.O. Chirovici

Carissimi lettori, il mio amore imperituro per i thriller mi ha messo a confronto con un romanzo dalla verità camaleontica. Può accadere che un omicidio rimanga senza un colpevole, le indagini si perdano nel buio investigativo e il tempo seppellisca ogni prova. Ma cosa ne pensate di un omicidio che riflette molte verità filtrate da una memoria che gioca con i ricordi intrecciandoli con menzogne e soggettive interpretazioni? Se vi piacciono i casi complessi in cui più voci danno vita a un’intricata storia non potete perdervi “Il libro degli specchi” di E.O. Chirovici, edito Longanesi.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7

Il libro degli specchi
E. O. Chirovici (traduzione di L. Bernardi)

Editore: Longanesi
Pagine: 330
Prezzo: € 16,40
Sinossi
Peter Katz ha alle spalle una lunga carriera in una delle agenzie letterarie più importanti di New York, e ormai quasi nulla può sorprenderlo. Ma il manoscritto che quasi per caso inizia a leggere lo colpisce fin dalle prime righe. Non è solo la scrittura magnetica, non è solo il coinvolgimento dell'autore a fargli capire subito che non si tratta di un romanzo come gli altri: chi scrive, un certo Richard Flynn, afferma di conoscere la verità su un famoso omicidio avvenuto quasi trent'anni prima, e di essere pronto a rivelarla nel suo romanzo. La vigilia di Natale del 1987, in circostanze mai del tutto chiarite venne ucciso Joseph Wieder, un carismatico professore di psicologia all'università di Princeton. Accademico stimato ma anche molto discusso, Wieder esercitava un notevole fascino sulle studentesse come Laura Baines, la ragazza di cui Richard Flynn era innamorato. Ma in questa sorta di sbilanciato e torbido triangolo, a un certo punto, qualcosa andò storto. Il manoscritto di Flynn è semplicemente eccezionale, ma purtroppo è incompleto: manca il finale. Determinato a non lasciarsi sfuggire l'occasione, l'agente letterario riesce a rintracciare l'autore, scoprendo però che è in fin di vita e che il resto del manoscritto è introvabile. Inizia così un viaggio alla ricerca del finale perduto e della verità che porta con sé. Un viaggio che diventa un'indagine sulla psiche e sul modo in cui la nostra memoria riscrive il passato, in un incerto, a volte ingannevole, gioco di specchi...

L’insieme dei nostri ricordi era soltanto la pellicola di un film che un buon regista avrebbe saputo rimontare a piacere, una sorta di gelatina plasmabile in qualsiasi forma.
“Il libro degli specchi” è un thriller che da voce a più personaggi, ognuno espone il proprio punto di vista e insieme danno vita alle tre parti che compongono il romanzo.

Prima Parte. Peter Katz
I ricordi sono come i proiettili. Certi ti sfiorano ronzando e riescono solo a spaventarti. Altri si infilano nella carne per distruggerti. (Richard Kadrey, Kill The Dead)
Peter Katz, agente letterario, riceve un manoscritto in cui l’autore afferma di conoscere la verità su un famoso omicidio, rimasto irrisolto, di quasi trent’anni prima. Il manoscritto si rivela incompleto, mancano gli ultimi capitoli in cui è svelato il nome del colpevole. Katz vuole incontrare l’autore del misterioso manoscritto che ha risvegliato la sua curiosità.

Seconda parte. John Keller
Da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri. (Julian Barnes, Il Senso Di Una Fine)
Katz rintraccia l’autore del manoscritto ma arriva tardi, l’uomo è morto senza rivelare dove ha nascosto le pagine conclusive del suo lavoro. Cosa fare? Katz incarica Keller, cronista, di trovare il resto del manoscritto, se esiste. Altrimenti dovrà ricostruire, in maniera plausibile, il delitto irrisolto. Le ricerche di John si rivelano difficili: troppa gente racconta storie in contraddizione tra loro. Mezze verità? Menzogne? Ricordi difettosi?

Terza parte. Roy Freeman
Ma ancora v’à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna. (Marco Polo, Il Milione)
Toccherà a Roy Freeman, ex poliziotto, districare questa complicata matassa in cui nulla è ciò che sembra come in un crudele gioco di specchi.
Avevano tutti avuto torto, scorgendo soltanto le proprie ossessioni mentre cercavano di guardare la realtà attraverso finestre che si erano infine rivelate per ciò che erano sempre state, ovvero non finestre ma specchi.
“Il libro degli specchi” è un thriller a continuo rilascio di indizi mediati dalla memoria dei protagonisti. È una staffetta investigativa in cui i personaggi, coinvolti nell’indagine, si passano il testimone l’un l’altro. Ogni rivelazione ha il potere di uno specchio deformante: è, allo stesso tempo, vera e falsa. Tutti sembrano aver ragione,  tutti sembrano aver torto. La realtà è vista attraverso il filtro delle proprie ossessioni. La mente ha la capacità di trasformare la realtà oggettiva in una realtà tutta nostra.

Il pregio di questo romanzo è la capacità di catturare l’attenzione del lettore mescolando continuamente le carte in tavola. Io mi sono lasciata coinvolgere dalla storia incuriosita non tanto dalla ricerca del colpevole quanto dal fascinoso mondo dei ricordi falsati. Il fatto criminale è passato in secondo piano rispetto alla ricerca del “perché”. Il tema della memoria che altera i fatti è stato spesso protagonista di numerosi libri. Io ho apprezzato l’intreccio del romanzo, la presenza di più voci, l’assenza di certezze, le mezze verità. Il finale rivela il colpevole ma soprattutto rivela i retroscena del crimine, ogni “perché” ottiene una risposta ma, come scriveva Oscar Wilde, ricordate che “La gente è quasi sempre altra gente.”

mercoledì 22 marzo 2017

RECENSIONE | “La creuza degli ulivi - Le donne di Bacci Pagano” di Bruno Morchio

Buongiorno, miei cari lettori. Oggi vorrei raccontarvi del mio secondo appuntamento con Bacci Pagano, l’investigatore genovese nato dalla feconda penna di Bruno Morchio. Ho conosciuto Bacci un po’ di tempo fa leggendo “Fragili verità” (recensione) e mi aveva colpito il suo essere tutt’ altro che eroe, in perenne lotta con i propri tormenti interiori per dare giustizia a chi non può più parlare. Con vivo interesse ho letto “La crêuza degli ulivi - Le donne di Bacci Pagano” di Bruno Morchio, edito Garzanti.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 7

La crêuza degli ulivi
Bruno Morchio

Editore: Garzanti
Pagine: 320
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Agosto 2001. A poche settimane dal G8 di Genova, l’investigatore privato Bacci Pagano si ritrova solo in una città desolata e ferita. La sua fidanzata, Mara, è in vacanza nelle isole greche con un altro uomo, e la morsa della gelosia si somma al torrido squallore delle giornate estive. Per alleviarla, Bacci cerca la compagnia di Valeria, che sembra lieta di rivederlo. Ma, nonostante l’immobilità della stagione, un nuovo caso bussa alla porta del detective dei carruggi: una procace signora lo incarica di cercare le prove del tradimento del marito, il famoso cardiochirurgo Eugenio Amidei. Qualche giorno dopo, una giovane donna viene trovata morta nella sua casa fuori città, in una via isolata che sale ripida fra gli ulivi. Il caso vuole che la vittima sia proprio l’amante del dottor Amidei. Suo malgrado, Bacci Pagano si ritrova così implicato in un’indagine per omicidio. I sospetti della polizia si concentrano subito sul medico. Ma l’intuito infallibile dell’investigatore dice che la verità è ben diversa. Perché la vittima era amica di Mara, e dalla rete di amici e familiari emergono segreti che non possono più essere taciuti. Ancora una volta, Bacci saprà domare i propri tormenti interiori per dare giustizia a chi non può più parlare.

Era un’altra notte di passione. Una di quelle notti che a Genova vengono subito dopo Ferragosto, schiacciate da una calura viscida e spugnosa di umidità. Quando ogni cosa appare sospesa in un’immobilità senza respiro e non si avverte neppure un alito, una bava d’aria.
Per prima cosa scopriamo il significato del termine “crêuza”: dicesi quella strada fuori di città, che traversando dalla strada principale mena per le ville. (Giovanni Casaccia, Vocabolario genovese-italiano.)

Chiarito il significato della parola misteriosa presente nel titolo possiamo procedere con una breve sintesi della trama.

È  l’agosto del 2001, si è da poco concluso il G8 di Genova. L’eco dei tragici fatti è ancora presente in città. L’investigatore privato Bacci Pagano è da solo nell’assolato capoluogo ligure. Mara, la sua fidanzata, è partita per le isolo greche con un altro uomo. La gelosia esercita la sua azione distruttiva su Bacci che, per sfuggire alla lenta agonia, cerca la compagnia di Valeria, una vecchia conoscenza. Intanto a Sant’Ilario una giovane amica di Mara viene trovata morta, affogata nella vasca da bagno della sua casa nella crêuza degli ulivi. Bacci è stato appena assoldato dalla moglie del cardiochirurgo Eugenio Amidei, l’amante della ragazza assassinata, e si ritrova così implicato nell’omicidio.

“La crêuza degli ulivi” è la terza indagine di Bacci Pagano e io ho avuto il piacere di leggerla nella nuova edizione riveduta dall’autore. Ho subito ritrovato il fascino di un’ambientazione impeccabile, Genova è parte attiva della storia accogliendo i protagonisti come una madre accoglie i suoi figli.

Bacci è un uomo complesso, ironico e disilluso, sempre pronto a difendere i perdenti e a dar voce alle vittime. È un uomo alla continua ricerca di se stesso, alle prese con molte donne che fanno parte della sua vita. Ama la poesia e la musica classica, la buona tavola e il buon vino. Per spostarsi usa la sua fedele Vespa color amaranto. Mara lo definisce “analfabeta dei sentimenti”.
Sono un analfabeta dei sentimenti. – Che cosa vuol dire?- Che non so leggere i miei sentimenti. Non li capisco. Mi sfuggono. E faccio anche fatica con quelli degli altri.
La storia parla di felicità rubate, dolori elargiti a piene mani, segreti gelosamente custoditi. Creature fragili e indifese sono bersaglio di una violenza feroce.

Bacci Pagano collabora con il vicequestore della sezione omicidi Salvatore Pertusiello. La loro amicizia riflette alcune riflessioni sul modo di concepire i rapporti umani e sociali. Pertusiello rappresenta “il lato tranquillizzante dell’ordine pubblico.” Rappresenta uno Stato di cui è possibile fidarsi. Ricercare la verità non basta, bisogna ottenere giustizia e ciò non sempre accade.

Leggendo questo romanzo ho molto apprezzato il modo in cui l’autore ci presenta i personaggi. Non troveremo figure totalmente forti o deboli, ma pregi e difetti caratterizzano ognuno mostrando persone apparentemente sicure ma dall’animo fragile. Mi sono piaciute le molte citazioni letterarie presenti, la ragazza uccisa ama i grandi poeti spagnoli. Esplicito il riferimento a Fabrizio De André e alla sua bellissima canzone “Bocca di Rosa”. La vittima, infatti, abita in una cruêza a Sant’Ilario.
C’è chi l’amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di rosa né l’uno né l’altro
Lei lo faceva per passione.

“La crêuza degli ulivi” è un romanzo che consiglio, tra le sue pagine sono custodite malinconia e speranza. Bacci è afflitto da dolorose magagne che si riveleranno nei romanzi a seguire. Per il momento gustatevi un investigatore antieroe, con molti problemi ma con un gran cuore.

lunedì 20 marzo 2017

INTERVISTA + RECENSIONE | "Il respiro del fuoco" di Federico Inverni

Cari lettori, cosa c’è di più misterioso della mente umana? Se avete voglia di scoprire cosa si nasconde negli anfratti della mente non vi resta che seguirmi con molta cautela perché “La luce che vedi nasce dal buio della mente. E la verità che cerchi è solo un’altra menzogna.”

Con “Il prigioniero della notte” (recensione), Federico Inverni, ha stregato lettori e editori internazionali. L’autore torna nelle librerie con un nuovo psicothriller, “Il respiro del fuoco”, edito Corbaccio.

STILE: 8 | STORIA: 8 | COVER: 9

Il respiro del fuoco
Federico Inverni

Editore: Corbaccio
Pagine: 474
Prezzo: € 16,90
Sinossi
Manca poco al tramonto quando il cielo grigio e nero che incombe sulla città di Haven si accende di un rosso infuocato. Ma quel bagliore non proviene dal sole calante che tenta di illuminare uno degli ultimi giorni che precedono il Natale. È il rosso violento di un incendio scaturito sulla cima di una collina in periferia, nella cittadina abbandonata di Eden Crossing. Il respiro del fuoco non ha lasciato scampo: l'eccentrico tempio che accoglieva il reverendo Tobias Manne e i suoi adepti è ora un sepolcro ardente con decine di vittime. La profiler Anna Wayne e il detective Lucas sono arrivati troppo tardi per impedire quel devastante suicidio rituale... ma qualcosa appare assurdamente incongruo. Qualcuno è riuscito a dominare il fuoco, a farsene padrone. E forse quello non è un suicidio collettivo, ma la più efferata delle stragi, messa in atto da una mente visionaria e geniale. Perché esiste soltanto una cosa più affascinante e pericolosa del manipolare il fuoco: manipolare le menti. Mentre in città la notte arde di altri fuochi, Anna e Lucas devono sfidare il tempo per riuscire a elaborare un profilo del killer, ricostruire la storia delle vittime e individuare la più sfuggente delle ombre, prima che uccida ancora. Ma ogni indagine ha un prezzo, e quando sia Anna sia Lucas scoprono che quel caso affonda le radici nel loro passato, nei loro segreti, sono costretti a chiedersi se possono davvero fidarsi l'una dell'altro... O se invece, come predicava il reverendo Tobias Manne, non sia il momento di compiere l'ultimo passo: accettare l'inaccettabile.

“Cosa sai delle stelle, Anna?”

Domandò Lucas, immobile al mio fianco. Ci pensai su.

“Niente. Non c’è niente che io possa veramente sapere.”

“Non è corretto. Una cosa la sai.”

“Cosa?”

“Quello che sai delle stelle è che sono morte. Quello che credi sia una stella in realtà è un fantasma. E quella che vedi è l’eco del fuoco che la faceva ardere.”
La città di Haven è sconvolta da un violento incendio scaturito  sulla cima di una collina in periferia. Qui sorgeva il tempio che accoglieva il reverendo Tobias Manne e i suoi adepti. Il fuoco ha trasformato il tempio in un sepolcro con decine di vittime. Un suicidio di massa, un suicidio rituale o un’efferata strage?

Anna e Lucas sono chiamati a scoprire la verità. È una corsa contro il tempo per riuscire a elaborare un profilo del killer, ricostruire la storia delle vittime e individuare il colpevole, prima che uccida ancora.

“Il respiro del fuoco” cattura il lettore con un incipit in media res, lo colloca direttamente sulla scena del crimine e lascia che provi, direttamente sulla sua pelle, emozioni forti e coinvolgenti. Non c’è tempo da perdere, una marea di vittime reclama giustizia.

Appare chiaro come il fuoco rivesta un ruolo emblematico nella storia. È il giudice di ogni cosa, la sua azione distruttrice sembra possedere anche una funzione purificatrice. Brucia desideri e passioni mostrando la fragilità dell’uomo e le sue perversioni.

Anna e Lucas sono i protagonisti di questa storia ma ricoprono un ruolo secondario rispetto al gran tema del romanzo: la mente umana.

La nostra mente è fragile, facilmente suggestionabile, spesso manipolabile. Facendo leva sulle nostre paure più nascoste si possono condizionare i comportamenti umani.

Mi affascina il potere della manipolazione in campo criminologico, nel romanzo troverete “i culti della morte” legati a sette pseudo religiose. I sedicenti predicatori fanno leva sulla paura, reale o minacciata, e riescono a superare perfino l’istinto di auto preservazione degli adepti.

La setta dei Testimoni dell’Avvento è pronta a inglobare e fagocitare chi si lascia persuadere dalle parole del reverendo Tobias Manne.
È questa, la radice dell’umana esistenza; ed è questo il suo senso: far sì che la visione di un uomo diventi il sogno di un altro.
La setta fa leva sui sensi di colpa, su ciò che si agita nel profondo della nostra anima e ci tormenta notte e giorno, senza concederci mai una tregua. In questa dannazione terrena le parole del reverendo Manne sono una carezza di speranza, una luce nelle tenebre.
Ama come le ceneri di oggi amano la fenice che sorgerà domani.
L’autore mescola abilmente le carte, confonde e svela conferendo ai protagonista un carisma che cattura l’attenzione del lettore. In ogni pagina vi chiederete il perché di comportamenti che hanno radici in un passato drammatico che annoda il presente e lo tiene prigioniero. Le emozioni, o la loro mancanza, hanno un ruolo determinante nel romanzo assumendo, spesso, più importanza dei fatti.

Anna e Lucas sono anime complesse che mi hanno emotivamente coinvolta.

Anna una donna segnata, prigioniera delle sue paure. In lei vive una gran rabbia che diventerà il grimaldello per scardinare la cella mentale in cui è rinchiusa. Anna si mostra sicura sul lavoro, in privato è preda delle sue fragilità.

Lucas inizia a manifestare l’embrione di un nascente cambiamento. Riconquista, pian piano, le emozioni svanite. Sarà un bene o un male? Lui che ha crisi di depersonalizzazione e di derealizzazione, come reagirà al mutare degli eventi?

Nel romanzo vengono trattati molti temi attuali come il rapporto tra i media e il crimine, l’uso di Internet per far proseliti, il ruolo della memoria nella sofferenza umana.
La memoria è un assassino spietato. Uccide il meglio che c’è dentro di noi.
Internet ha cambiato tutto. Ovunque tu sia, mi puoi vedere, mi puoi ascoltare, grazie alla Rete. Puoi lasciare che le mie parole entrino dentro di te per cambiarti. E non devi aver paura del cambiamento. Il primo passo è smettere di aver paura.

“Il respiro del fuoco” ci pone davanti a un bivio, accettare o meno l’inaccettabile. Parole sibilline dal fascino indiscusso. Ma non lasciatevi convincere dal tragico destino che, secondo alcuni, incombe sull’umanità. Leggete questo romanzo che riconferma l’indiscusso talento dell’autore e prestate attenzione all’eco del fuoco, al suo respiro, alla sua purificazione.

http://i.imgur.com/wGWQrQ4.png
  Diamo il benvenuto, sul blog Penna D’oro, allo scrittore Federico Inverni. I misteri, contenuti nei suoi libri, iniziano già con la sua identità nascosta. Perché questa scelta?
  Grazie dell’ospitalità! Ho scelto di pubblicare con uno pseudonimo per una serie di ragioni che… non posso rivelare. Ma ho comunque sempre pensato che i libri, i romanzi, debbano viaggiare da soli, debbano conquistare e convincere, se ci riescono, con la forza della storia e dei personaggi.

  “Il fuoco sta arrivando. Senti il suo respiro? Senti il suo silenzio? Non ci resta che accettare l’inaccettabile”. Recita così il booktrailer de “Il respiro del fuoco”. A cosa si riferisce con “l’inaccettabile”?
  Accettare l’inaccettabile, nel romanzo, è una delle frasi attraverso cui il reverendo Tobias Manne cerca di fare proseliti. Il trucco è sempre convincere l’interlocutore che lo conosci meglio di quanto lui conosca se stesso. E spesso, il confine dell’inaccettabile non è esterno, ma è interiore: cosa accettiamo davvero della nostra vita e di noi stessi? E cosa c’è di inaccettabile in noi? Qualcosa di apparentemente estraneo, di oscuro, eppure fa parte di noi.

   Al centro dei suoi romanzi c’è la mente: fragile, facilmente suggestionabile, spesso manipolabile. Facendo leva sulle nostre paure più nascoste si possono condizionare i comportamenti umani. Perché ha scelto, per “Il respiro del fuoco”, il tema delle sette e dei suicidi di massa?
  Mi ha sempre affascinato l’insondabilità ultima della nostra mente, e la fragilità che contraddistingue la convinzione che ne siamo padroni in tutto e per tutto, quando invece la nostra mente nasconde delle sacche inesplorate, delle aree di tenebra. I cossiddetti ‘death cults’, le sette millenaristiche che, nel corso della storia, spesso mettono capo a un evento cataclismatico, come un suicidio di massa, sono in un certo senso la dimostrazione più eclatante di questa fragilità. Per esempio, siamo convinti che l’istinto di sopravvivenza sia insopprimibile, eppure se abilmente manipolate alcune persone arrivano al punto tale da scegliere una morte collettiva in nome di una felicità vagheggiata, profetizzata. È qualcosa di tragico e sorprendente insieme.

   “Il respiro del fuoco” apre le porte anche al mondo dei media. I giornalisti sono visti come lupi famelici. Internet diventa un tramite per diffondere il credo delle sette e fare proseliti. Ancora manipolazione mentale?
  Se mi è permesso un riferimento alla realtà quotidiana… Viviamo nell’epoca della cosiddetta ‘post truth’, della post-verità: i ‘fatti’ si trasmutano allo stato liquido e vengono diffusi a ondate sulla rete. E diventano bufale. Ne siamo continuamente bombardati, e trovo incredibile che siano addirittura nati dei siti che guadagnano soldi creando e diffondendo notizie false. Se non fosse una sconcertante e desolante verità, sarebbe materia da romanzo, senza dubbio.

  In questo romanzo ritroviamo Lucas e Anna. Qualcosa in loro sta cambiando. Nella mente di Lucas riappaiono schegge di memoria. Anna, prigioniera delle sue paure, userà la sua rabbia per evadere dalla sua prigionia mentale. Questi cambiamenti rappresenteranno un bene o un male per i due protagonisti?
  Non mi piacciono e non mi sono mai piaciuti i personaggi in bianconero, troppo rigidamente schierati dalla parte del bene o da quella del male. Io preferisco di gran lunga la zona grigia, perché è una linea che si attraversa di continuo, e questa è la sostanza del narrare, credo. Nel caso di Anna, la rabbia è come una belva fredda, una miccia sempre innescata. Prima o poi la condurrà a fare scelte sbagliate. Lucas invece è più complesso, e non sono sicuro nemmeno io di conoscerlo ancora bene. Adesso sì, sta riacquistando parte della sua umanità e della sua memoria, ma è davvero un bene?

  Quando è nata la sua passione per la scrittura e come si coniuga l’attività da scrittore con la vita di tutti i giorni?
  Credo di aver battuto a macchina il primo racconto lungo (un thriller/horror dal titolo Oltre la soglia, me lo ricordo ancora bene benché siano passati decenni!) quando avevo dieci, undici anni. La scrittura si concilia un po’ a forza con la vita quotidiana, e infatti di solito impiego sette, otto mesi a prendere appunti e immaginare trama e sviluppo, poi scrivo il romanzo nelle tre settimane di ferie estive, compatibilmente con gli impegni familiari.

  C’è un autore che ha influito sulla sua formazione?
  Tantissimi! Agatha Christie, Conan Doyle, Stephen King, Ruth Rendell, Bret Easton Ellis, Dean Koontz, David Leavitt, Umberto Eco, Jay McInerney, Martin Cruz Smith, Mario Puzo…

  Grazie a Federico Inverni per aver risposto alle mie domande. Le andrebbe di concludere parlandoci dei suoi progetti per il futuro?
  Grazie a voi! Progetti… Ho sempre pensato che quella di Anna e Lucas dovesse essere una trilogia, quindi se sarà fattibile quest’estate scriverò il terzo e ultimo capitolo… E se riesco, prima delle ferie vorrei fare una piccola sorpresa ai miei lettori, che ringrazio tantissimo!

lunedì 13 marzo 2017

RECENSIONE | "Nel buio della mente" di Paul Tremblay

Cari lettori, oggi vorrei proporvi un romanzo che mi ha trasmesso molta inquietudine e mille incertezze. Fin dalla prima pagina sono stata colpita dall’ambiguità della storia. Molte situazioni si possono interpretare in modo differente rimanendo sempre indecisi su ciò che si legge. Verità o menzogna? A complicare ancor di più uno scenario di per sé ricco di temi scottanti, c’è la presenza subdola e strisciante del soprannaturale targato “L’Esorcista” di William Peter Blattey. Tutti ricorderete la piccola Regan posseduta dal demone! Le debolezze che rendono più forte il maligno! Se tutto ciò vi affascina il libro che ora vi presenterò è sicuramente una buona lettura.

Se avete coraggio e non vi fate suggestionare da alcune scene descritte con molto realismo horror allora questo libro fa per voi. Un consiglio: evitate la lettura nelle ore notturne e diffidate dei preti che propongono esorcismi come panacea per tutti i mali.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7

Nel buio della mente
Paul Tremblay (traduzione di A. Ricci)

Editore: Nord
Pagine: 356
Prezzo: € 16,90
Sinossi
Urla strazianti svegliano John Barrett nel cuore della notte. Quando si alza, l'occhio implacabile di una telecamera lo segue fin nella stanza di Marjorie. E, come ogni notte, John si chiede se abbia fatto bene a dare in pasto la sofferenza di sua figlia quattordicenne a un'emittente televisiva. Ma non aveva scelta. Da ormai un anno, Marjorie mostra i sintomi di un grave disturbo mentale e finora nessuna terapia si è rivelata efficace. Perciò John si è lasciato convincere da padre Wanderly che la ragazza non sia affatto malata, bensì posseduta da uno spirito demoniaco. E sempre padre Wanderly lo ha messo in contatto con un regista, interessato a documentare le varie fasi dell'esorcismo e disposto, in cambio, a pagare tutte le spese e le ingenti parcelle mediche che si erano accumulate nel corso dei mesi. Suo malgrado, John ha accettato. Forse la fede arriverà là dove la scienza ha fallito e, in ogni caso, di certo Marjorie non può peggiorare... Sono passati quindici anni, eppure tutti ricordano molto bene l'ultimo episodio della Possessione, il controverso reality show che si era concluso con tre morti e un'unica sopravvissuta: Merry Barrett, che all'epoca aveva appena otto anni. Eppure nessuno è davvero sicuro di cosa sia realmente successo. Per alcuni, è stata solo una messa in scena. Altri pensano che il vero folle fosse John Barrett e che sia lui il colpevole della strage. Per fare luce sulla vicenda, la giornalista Rachel Neville decide di intervistare Merry Barrett. Però, più Merry va avanti nel suo racconto, più Rachel si rende conto che ricostruire quella tragedia è come inoltrarsi lungo un cammino costellato di inganni, segreti e tradimenti. Un cammino in cui a ogni passo si rischia di perdersi negli oscuri recessi della mente umana...

Il male più pericoloso è quello che si cela dentro di noi.
John Barrett è un uomo concreto abituato a credere solo a ciò che può vedere e toccare con mano. Le sue convinzioni cambiano radicalmente quando sua figlia Marjorie mostra i primi segni di un grave disturbo mentale. John è disposto a tutto pur di aiutare sua figlia. Quando le terapie si rivelano inefficaci, all’uomo non resta che affidarsi a padre Wanderly. Si parla di “possessione” quindi bisogna sottoporre la ragazzina a un esorcismo. Intanto John ha perso il lavoro, non ha più denaro per saldare le parcelle mediche. Padre Wanderly prende contatto con un’emittente televisiva che vorrebbe filmare le varie fasi dell’esorcismo. In cambio i Barrett avranno denaro sufficiente per le spese mediche. John è convinto che la fede riuscirà là dove la scienza ha fallito.

Sono trascorsi quindici anni dall’ultimo episodio della Possessione e, oggi, Merry Barrett, che all’epoca aveva otto anni, è l’unica depositaria della verità. Cosa è realmente successo alla famiglia Barrett? La ricostruzione dei fatti sarà difficile, ad ogni passo Merry rischia di perdersi tra inganni, segreti e tradimenti. Gli oscuri recessi della mente umana nascondono la violenza dell’uomo. Scoprire la verità sarà una dura partita con i demoni che affondano la lama nel cuore degli uomini.

“Nel buio della mente” è una lettura ad alta tensione che non vi permetterà mai di raggiungere piena consapevolezza dei fatti. La trama non è originalissima, possessione e esorcismi sono temi di cui la letteratura è ricchissima, ma è ben costruita con descrizioni inquietanti e gran colpo di scena finale. I personaggi sono emblematici di un rapporto tra ragione e follia non sempre facilmente evidenziabile. John è il simbolo di una società patriarcale in declino. Ha perso il lavoro, non può più provvedere alle esigenze della sua famiglia. In lui cresce l’odio e diventa succube di un fanatismo religioso che lo porterà su strade molto pericolose. Sua moglie è una donna debole, soffre di depressione, fuma e beve molto. Le lacrime sono la sua unica compagnia. Merry, la piccola di casa, è la voce narrante. Ripercorre gli eventi viziandoli con il suo punto di vista. Marjorie è “la posseduta” ma vi chiederete, per tutto il romanzo, se i suoi disturbi comportamentali siano veri o meno. Accanto ai demoni tradizionali ci sono poi i demoni moderni. Le videocamere che invadono la casa dei Barrett, il confessionale in cui ognuno avrebbe potuto parlare liberamente, l’audience del programma. Spiare, registrare, montare ad arte con musiche suggestive: mandare in onda la possessione e il sacro rito dell’ossessione.

Quanti mostri ci sono in questo romanzo?

Tanti, siatene certi. Ho letto questa storia provando una gran inquietudine, le possessioni non mi sono particolarmente care, e ho apprezzato quel senso d’incertezza che permea l’intera narrazione. I protagonisti hanno un duplice ruolo di vittima e carnefice mostrando come il male sia in noi. Prima di guardare l’abisso in cui il maligno si cela, dovremmo rivolgere l’attenzione a noi stessi, ai nostri pensieri e alle nostre ossessioni.

Paul Tremblay ha scritto sicuramente una storia sconvolgente, alcuni passaggi sono molto forti. Urla, cambi nella voce, passeggiate sui muri, vomiti e menti in cui si affollano tetri fantasmi, sono alcuni elementi implacabili di una storia scritta molto bene. L’orrore del soprannaturale si sposa con la quotidianità creando una suspense che vi accompagnerà per tutta la lettura. Il finale è originale e sorprendente.

lunedì 6 marzo 2017

RECENSIONE | "Il dipinto maledetto" di Alex Connor

Carissimi lettori, se avete letto e amato “Cospirazione Caravaggio” di Alex Connor (recensione), non potete perdervi il suo ultimo lavoro ambientato nel mondo dell’arte. Leggerete del grande pittore Tiziano e di un suo dipinto che cela un antico segreto. Farete un balzo nel passato, nella Venezia rinascimentale, ma attenzione: tra i canali della città affiorano inquietanti cadaveri sfigurati. Se volete scoprire chi è l’assassino che semina il terrore non vi resta altra possibilità se non quella di seguirmi tra le pagine del libro.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7

Il dipinto maledetto
Alex Connor (traduzione di F. Noto)

Editore: Newton Compton
Pagine: 381
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Venezia, 1555. Nella città del doge il pericolo è in agguato. Un rigido inverno avvolge la città nella bruma, e sulle banchine affiorano degli inquietanti cadaveri. Sono le vittime di uno spietato serial killer, rese irriconoscibili dalle torture... Londra, oggi. Gli studiosi d'arte di tutto il mondo sono in fibrillazione per un antico dipinto di Tiziano, che si credeva perduto per sempre. È il ritratto di Angelico Vespucci, noto mercante veneziano. Il grande artista è riuscito a riportare sulla tela, con estremo realismo, i tratti somatici dell'uomo, ma non la crudeltà del suo animo. Proprio quel Vespucci, infatti, potrebbe essere il terribile mostro che ha scuoiato numerose giovani donne: una colpa che nessuno riuscì a provare e che rimase senza condanna. All'indomani del ritrovamento del quadro, però, vengono rinvenuti in giro per il mondo una serie di cadaveri senza pelle. Un sanguinario assassino è stato richiamato dal regno dei morti, ed è assetato di vendetta...

Venezia, 1555

Ho paura dell’acqua. Anche se sono nato con l’amnio in testa, il che, secondo la tradizione popolare, è una protezione sicura contro l’annegamento. Nessuno lo sa, perché la gente sa poco, di me. Questo è il mio talento, rendermi invisibile. Andarmene in giro tra le persone non visto, come i mostri sotto la Laguna, con le loro viscide coperte di alghe che scivolano sotto i ponti e l’eco degli uomini annegati, sbiancati e dissanguati sul fondale marino.
Alex Connor, lei stessa è un’artista, ambienta questo suo nuovo thriller nel mondo dell’arte ponendo particolare attenzione nella descrizione dei tratti psicologici dei personaggi. Il cuore pulsante del romanzo si divide tra due piani temporali, la Venezia rinascimentale e la Londra odierna.

Londra, oggi. Un antico dipinto di Tiziano viene ritrovato. Il mondo dell’arte è in fermento. Tutti vogliono il dipinto e per averlo sono disposti a tutto. Sulla famosa tela è ritratto il viso di Angelico Vespucci, mercante veneziano, noto alle cronache del tempo con il nome di “Cacciatore di Pelli”. Vespucci era sospettato di essere il mostro colpevole di aver scuoiato numerose giovani donne. Nessuno riuscì a provare la sua colpa. Il mercante non fu mai condannato. Dopo il ritrovamento del quadro accade qualcosa di impensabile: vengono ritrovati, in giro per il mondo, una serie di cadaveri senza pelle. Una leggenda accompagnava il ritratto di Vespucci: "Quando il ritratto tornerà in circolazione, così farà anche lui."

Da questa macabra leggenda prende corpo una serie di terribili accadimenti. Un sanguinoso assassino è ritornato dal regno dei morti? La sua sete di vendetta verrà placata dal sangue di vittime innocenti? Le pelli delle vittime, feticci con cui il killer rivivere l’emozione dell’omicidio, saranno mai ritrovate?

“Il Dipinto Maledetto” è un thriller serrato, dal ritmo perfetto che non ammette sospensioni nella lettura. Io ne sono stata subito catturata anche se la trama, ben architettata, non è del tutto originale. La storia comunque offre un alto tasso di adrenalina e rivela un mistero che troverà la più inaspettata delle soluzioni.

Inizialmente ogni capitolo offre l’opportunità di conoscere vari personaggi: collezionisti d’arte, potenziali vittime, carnefici in ombra. Le tessere del mosaico sono sparpagliate tra Londra, Tokyo, Venezia e New York. Avvincente il prologo che ci riporta nella Venezia del 1555 presentandoci un’ombra che avrà un ruolo importante nella storia. In tutto il romanzo aleggiano misteri, intrighi e morte. Il male allunga i suoi artigli attraverso i secoli, giunge ai giorni nostri con il suo carico di odio e vendetta. Mi è piaciuta la descrizione dell’autrice del mondo dell’arte. I collezionisti, non tutti naturalmente, sono descritti come uomini pronti a tutto pur di accaparrarsi il ritratto. Con molta attenzione Alex Connor descrive la psicologia dei mercanti d’arte definendoli uomini geniali che nascondono le loro fragilità umane. Sono tra loro rivali, ogni accordo nasconde una trappola. L’avidità non ha limiti. Per bilanciare il male presente nel racconto appare, fin dal primo capitolo, un eroe. Si tratta di Nino Bergstrom. Sarà lui a lottare contro la leggenda mentre la polizia appare sullo sfondo coinvolta solo in un secondo momento.

Leggendo il thriller mi sono chiesta se Tiziano avesse realmente ritratto un mercante di nome Angelico Vespucci. A parte il pittore, è tutto frutto della fantasia dell’autrice che ha il dono di fondere Storia e vicende tratteggiate con realismo. Ho apprezzato il lato emotivo dei personaggi e il filo di sangue che congiunge il passato con il presente.

“Il Dipinto Maledetto” è un thriller che si legge con piacere nell’attesa di vedere ogni tassello collocato al suo posto. Se credete nelle leggende, in ognuna c’è un fondo di verità, prestate attenzione a chi potrebbe seguirvi nell’ombra. Il Cacciatore di Pelli non ha mai smesso di cacciare. Buona lettura.