domenica 30 giugno 2013

RECENSIONE "La bambina senza cuore" di Emanuela Valentini

Per la lettura del libro “La bambina senza cuore” di Emanuela Valentini , ho partecipato al Gruppo di Lettura organizzato   da Denise di Reading is  Believing. E’ stata una bella esperienza, un’ occasione per confrontarmi con altri lettori, per cogliere aspetti della storia che mi erano sfuggiti, un modo nuovo di leggere e analizzare un romanzo, una partecipazione del tutto positiva.


Ecco il sito dedicato al romanzo: 
La bambina senza cuore

AutoreEmanuela Valentini
Vive e lavora a Roma, ma è Londra la città dove il suo cuore si sente a casa. Le cose che preferisce fare sono leggere, scrivere, continua...

Pagine: 282

Trama: Whisperwood, 1890. Lola, dodici anni, si risveglia nella buca di neve in cui è stata sepolta. Non ricorda nulla. Sul suo petto una ferita aperta, testimone di un gesto efferato. Whisperwood, 1990. La vita di Nathan, quattordici anni, cambia la sera in cui decide di infrangere il coprifuoco che vige a Whisperwood. L’incontro con Lola, la pallida fanciulla che abita in un cimitero in rovina con un angelo di marmo, un gargoyle e un poeta dall’animo inquieto, sconvolgerà la sua esistenza per sempre. Un viaggio a ritroso nelle pieghe del tempo. Un’antica maledizione. Un tortuoso percorso verso la verità.






STILE: 7
STORIA: 8
COPERTINA: 8



Una cittadina costellata di misteri.
Un’anima intrappolata tra la vita e la morte.
 Una maledizione che deve essere spezzata. 
“La bambina senza cuore” è un romanzo multimediale, una fiaba dark da ascoltare e da leggere, un prodotto artistico gratuito. La vicenda nasce e si conclude a Whisperwood, in un arco di tempo che va dal 1890 al 1990. In questa cittadina sospesa nel tempo “la vita non era più vita e la morte non era più morte”. In un’atmosfera cupa, struggente, senza tempo, si snoda la storia di Lola, la principessa senza cuore, e dei suoi “amici”. Tutto ha inizio nell’inverno del 1890, un lento corteo funebre accompagna una piccola bara al cimitero: poche persone, solo mormorii, timori. Quando la neve comincia a scendere dal cielo come un abbraccio di morte, tutti scappano via; si ode solo una donna cantare al cimitero degli immorali. La piccola bara non viene neanche seppellita, la bimba è lasciata sulla nuda terra ricoperta solo dal manto bianco ma, a volte, la vita è imprevedibile. Lola si risveglia, con i suoi grandi occhi verdi, i lineamenti gentili, la pelle bianca, sembra una principessa venuta da un altro mondo, una principessa senza cuore, una figlia di strega. E’ una bambina in carne e ossa, né viva né morta, che corre per i viali del cimitero bussando sulle tombe e gridando: "Ehi, svegliatevi". E le anime si risvegliano, parlano fra loro nel cimitero sull’isolotto al centro del lago. Mi sembra di vederla, la strana comitiva, con Lola che vive nel Mausoleo in compagnia di Rufus, un gargoyle di pietra, che si crede e si comporta come un cane con un muso piatto e rugoso, due brevi corna davanti alle orecchie e due ali di pipistrello sulla larga schiena. Poi c’è il Poeta, abbigliato all’antica, elegante, parla in versi ma ha perso la memoria. Chiude il gruppo, Bianco angelo di pietra sempre pronto a difendere i deboli. E’ difficile immaginare questi personaggi? No, come dice il Poeta: “Comprendo che per chi non è avvezzo a scrutare l’invisibile, non è sempre semplice vedere. Ma non tutto quello che vedi è reale. E non tutto quello che non vedi non esiste solo perché non è possibile vederlo”. Su tutti vigila Grandi Ali, enorme volatile.

1990 Whisperwood è una cittadina al di fuori del tempo, sembra sospesa in un Limbo in attesa di una liberazione; il sindaco Morris è un uomo egoista, distratto dai suoi problemi, che non riesce a instaurare, con il figlio Nathan, un vero rapporto basato sul dialogo, sul rispetto, sull’amore. Nathan è un ragazzino di 14 anni con tanta rabbia nel cuore, vive un dolore costante per la perdita della mamma ma vuole reagire, vuole ritrovare la felicità. In un momento di disperazione, di ribellione, Nathan esce da casa dopo il tramonto, cosa proibita nella misteriosa cittadina perché si rischia una morte orribile.

Le colpe dei padri ricadono sui figli.
 Nella sua fuga Nathan giunge, scoprite voi come, al cimitero proibito e incontra Lola. Nasce così un sodalizio vita-non vita che porterà dei gran cambiamenti a Whisperwood, che risveglierà le coscienze sopite, che donerà nuova vita a chi, della vita, non sa cosa farne. Tra colpi di scena e racconti rivelatori, diventa sempre più importante la figura di Rosie Maud, una vecchietta di 107 anni, che vive relegata in una vecchia casa con l’unica compagnia dei pupazzi di stoffa che lei stessa cuce. 

Quale storia si cela dietro la solitudine di tutti questi personaggi? Chi è in realtà Lola, cosa l’unisce a Nathan, perché “la creatura dalle grandi ali” compare nel momento del bisogno, chi è Rosie Maud? Possono i figli porre rimedio agli errori dei genitori?

Dice il Poeta: “Ah, la vita! Il sangue, l’amore. Sembrano solo parole e invece risultano le uniche certezze per cui valga la pena vivere”.

“La bambina senza cuore” nasce dall’intreccio di paure ancestrali, con una lenta narrazione le storie si sviluppano percorrendo sentieri destinati a riunirsi in un’unica via maestra. Tutto accade in un’atmosfera cupa che racconta un passato che condiziona il presente con promesse non mantenute, misteri mai svelati, poteri non accettati.

Il finale lascia il rimpianto per delle vite distrutte: “Non si deve aver paura di quello che non si conosce”. Questo romanzo, della bravissima Emanuela Valentini, offre tanti spunti di riflessione: la voglia di lottare per la giustizia, il valore dell’amicizia, l’accettazione del diverso la consapevolezza che non bisogna mai essere spettatori della propria vita ma protagonisti attivi. Ho trovato molto raffinata l’idea di trascrivere frasi di autori famosi all’inizio di ogni capitolo e la cover è perfetta, emana un fascino che la rende parte integrante della storia. La cover è opera di Idrassi Soufiane. 

Leggete questo libro che vi regalerà momenti tristi venati di malinconia ma anche momenti lieti che un cuore puro riesce a offrire a coloro che osano, a coloro che vivono la vita e non la subiscono, a coloro che, con un elmo invisibile sul capo, lottano per un mondo migliore. Non dimenticatevi di Lola, lei vivrà in ognuno di noi per ricordarci la bellezza delle fiabe, fonte di nutrimento per la nostra anima.

sabato 29 giugno 2013

Il sabato del sondaggio #3



"Il sabato del sondaggio" è una rubrica settimanale creata da me appositamente per il blog Penna d'oro.
Ogni sabato elaborerò delle domande per scambiare, con voi lettori, opinioni, pareri, 
consigli su temi che riguardano il mondo dei libri. 


Buon fine settimana a tutti :)
Oggi  voglio discutere con voi di un genere letterario molto amato: l’horror.
La parola inglese horror deriva dal verbo latino horrére che significa “rizzarsi”, riferito ai peli del corpo che si drizzano appunto come reazione alla paura, quindi “provare paura”. Le origini del genere horror si fanno risalire al romanzo “Il Castello di Otranto” (1764) di Horace Walpole, ma è nell’Ottocento che tale genere trova la sua più importante consacrazione soprattutto per merito della scrittrice inglese Mary Shelley che crea “Frankenstein”. Alla diffusione del genere provvede Edgar Allan Poe, tutti noi abbiamo letto i suoi “Racconti”. Poi l’horror ha avuto una sua evoluzione fino ad arrivare ad analizzare il quotidiano, anzi, i mostri quotidiani che si nascondono dietro le normali apparenze di uomini e donne comuni in realtà capaci dei più efferati crimini come accade in Shining di Stephen King. Quando leggiamo un horror siamo in compagnia di vampiri (non belli e biondi), mummie resuscitate, spettri, lupi mannari. In presenza di questi personaggi, leggere diventa una sfida tra il lettore e il senso d’inquietudine, di ansia, di paura, che il romanzo   trasmette. Il libro diventa uno stato d’animo in cui si mescolano emozioni e paure ancestrali che ti fanno accapponare la pelle avendo quasi timore di voltar pagina. Io adoro Stephen King che fonde horror e quotidianità perché “i mostri” si possono nascondere anche dietro i volti di persone a noi care. Ho letto più volte “Shining” trovandolo, ogni volta, sempre più horror. Ora lascio a voi la possibilità di dirmi la vostra opinione su questo genere e vi chiedo:


Qual è, per voi, il libro più horror fra tutti?
 

venerdì 28 giugno 2013

RECENSIONE "Bianco e Nero parte I - Il potere dei draghi" di P. Marina Pieroni

Cari lettori,
oggi vi voglio condurre in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio conosciuti. Viaggeremo per terre dove la magia è stata dimenticata, dove i poteri sono stati annullati, dove i draghi non volano più nel cielo. Per intraprendere al meglio questo nostro viaggio, dobbiamo creare la giusta atmosfera.

…inspirate profondamente, poi espirate piano piano.
Sgomberate la mente.
State per entrare nelle Terre di Arret.
Lo spazio non è quello che conoscete.
Il tempo non è quello che conoscete.
E’ un mondo a sé…..un sogno a sé…
Quindi, che dirvi, che il viaggio abbia inizio!


Bianco e Nero parte I - Il potere dei draghi

AutoreP. Marina Pieroni
L’autrice è nata a Roma nel 1977 e oggi vive in Umbria vicino Narni (la città che ha ispirato Lewis per scrivere le Cronache di Narnia). Il nome Marina è quello che avrebbe dovuto avere se all’ultimo momento non ci fosse stato un ripensamento davanti l’ufficiale dell’anagrafe. continua...

Pagine: 349
Prezzo: € 2,68 ebook
è disponibile anche la copia cartacea del libro, andate qui per maggiori informazioni. 

Trama: La principessa Serenia vive una vita abbastanza tranquilla, finché sarà costretta a fare i conti con il ruolo che ricopre. Gilbert il principe nero, bello e tenebroso, sceglierà proprio lei come sua sposa, nonostante lei tenti di evitare il matrimonio a tutti i costi.
Ma la loro unione non sarà certo di miele. E’ chiaro alla ragazza che suo marito nasconde un terribile segreto, ma impiegherà diverso tempo per scoprire di cosa si tratta. 
Fin quando, ad un certo punto, si libereranno i poteri dei draghi rimasti assopiti...
Da quel momento la scena cambia completamente. Serenia sarà costretta a vagare per le Terre di Arret per trovare il suo vero io. La magia si insinuerà nel mondo pian piano, fino a dirompere con grande forza.



STILE: 7
STORIA: 8
COPERTINA: 7



Chi di voi non conosce la storia di Elisabetta d’Austria, la mitica Sissi? Io sono cresciuta guardando i film del ciclo “Sissi” interpretati da una giovanissima Romy Schneider. Ricordo, con affetto, il racconto dell’incontro tra Sissi e l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Fu amore a prima vista e, in occasione del gran ballo a corte per festeggiare il compleanno dell’Imperatore, il destino rivoluzionò la vita della giovane principessa. Quella sera,  mentre le note di un valzer invadono i magnifici saloni del castello, Francesco non sceglie più come sua consorte Nenè, sorella maggiore di Sissi, ma, tra la sorpresa generale, chiede proprio a Sissi di sposarlo. Leggendo le prime pagine di Bianco e Nero mi è ritornata in mente la figura della malinconica principessa a cui la scrittrice, anche lei affascinata da questa figura storica, ha voluto rendere omaggio ricordando la scena del fidanzamento. Le analogie si fermano qui e la favola della principessa triste continua trasformandosi nella storia della principessa Serenia.

Terre di Arret, terre di magia dove, in un tempo fuori dal tempo reale, si compie l’unione di due destini, di due anime irrequiete: Serenia e Gilbert, il Bianco e il Nero.

Lei, Serenia, principessa del Regno Bianco, è una fanciulla ribelle, non ama seguire le regole di corte, trascorre le sue giornate a cavalcare, leggere e duellare con la spada. Ama la musica, le piace ballare. Sposa il principe Nero contro la sua volontà per rispettare i voleri del Regno.

Lui, Gilbert, principe bello e tenebroso, secondogenito della famiglia reale del Regno Nero, è l’erede al trono. Detiene il potere del Drago Nero. E’ un uomo che sa essere crudele e spietato ma, a volte, anche romantico. Cela un segreto, un orribile segreto. Il rapporto tra Serenia e Gilbert sarà pieno di compromessi: amore, violenza, misteri, porteranno la principessa a percorrere una strada in salita verso il paradiso dei sensi per poi precipitare all’inferno dove la disperazione l’attende a braccia aperte.

Tutto ha inizio al Gran Ballo organizzato alla corte del Regno Nero dove Gilbert sceglie Serenia come sua sposa.
Sentì le sue guance avvamparsi violentemente. Lui era splendido, avvolto nel suo abito principesco…Gli porse la sua mano, lui la prese con delicatezza sfiorandola con le labbra. Era un fuoco di velluto.

Serenia e Gilbert sposi, amanti, danno vita a un’unione così forte che riesce a liberare la magia che , nelle terre di Arret, era scomparsa da venti lunghi anni. Tuttavia la magia porterà del bene e del male mai nettamente divisi e, soprattutto, segnerà il ritorno di Argo, re del Regno Nero. Gilbert, con un gesto d’amore, allontana Serenia dal Castello Nero per proteggerla, ma che ne sarà di lui? Qui termina la parte “romance” del romanzo e inizia la parte “fantasy” che vede la principessa Serenia compiere un lungo viaggio in compagnia di sua sorella Sydia e di Angher fedele guardia reale.  Attraversando le terre del regno e vivendo avventure pericolose, la principessa compie un profondo studio su di sé, sul suo potere che deve imparare a gestire nel migliore dei modi. Il ritorno della magia sconvolgerà molte vite, farà nascere nuovi amori, riscoprirà vecchie amicizie e ci porterà verso un finale spietato che prelude ad un continuum della storia. La seconda parte si intitolerà: “Bianco e Nero parte II-I draghi del potere”.
Senza fatica immagino Marina, scusa se mi rivolgo a te in modo confidenziale ma ormai fai parte della mia famiglia letteraria, chiusa nel suo studio e circondata dai bellissimi personaggi a cui ha dato vita, che smaniano per ritornare a “vivere” . Ognuno avrà delle richieste da fare:
Serenia vorrà ritrovare il suo Gilbert,
Gilbert inquieto vorrà vendetta,
Re Argo vorrà compiere nefandezze orribili,
Angar vorrà continuare a proteggere la sua principessa,
Fabian vorrà essere ancora una tentazione per Serenia.
Così mi unisco anche io al coro dei vorrei e dopo aver trascorso giorni interi
a  soffrire per la principessa, prima vittima poi sempre più padrona della sua vita,
a  inquietarmi con Gilbert, dalla personalità multipla,
a cercar di capire Angher,
a sorridere con Morea,
a insospettirmi per il re Argo,
a guardare di sbieco Fabian la tentazione,
mi piacerebbe leggere un lieto fine, un vissero felici e contenti. Vedi Marina, nelle terre di Arret quasi tutti hanno un dono: Angher è un evocatore, Sydia prevede il futuro, Morea ha un potere elettrico, Defend è un materializzatore. Anche tu hai un dono: scrivi meravigliosamente bene, usando i tuoi sentimenti come uno scalpello per incidere il marmo grezzo creando stupende statue a cui dai la vita con la tua immaginazione.  
Usa il tuo dono Marina, continua a scrivere!

I personaggi di questo romanzo sono tutti ben caratterizzati, affrontano avventure ricche di colpi di scena amalgamando il tutto con un po’ d’ironia. Ora vi voglio raccontare che cosa mi è capitato dopo aver concluso la lettura di Bianco e Nero. Io, di solito, leggo la sera prima di dormire e quando ho terminato il libro di Marina, ho sorriso pensando che mi era davvero piaciuto, ho appoggiato il Kobo sul comodino, ho spento la luce e…. ho sognato le terre di Arret. Vedevo davanti a me tutti i personaggi e poi, in primo piano c’erano due mani che aprivano un sacchetto di tela dal quale fuoriuscivano delle pietre grezze. Poi  queste pietre si sono trasformate in pietre preziose e una alla volta si sono posizionate fra le mani dei vari personaggi. Io non so se sia il caso di andare da un dottore ma il sogno era per me chiarissimo: Marina aveva trasformato delle pietre grezze in pietre splendenti molto preziose. Questo per dirvi che, a volte, un romanzo riesce a conquistarti, diventa un amico che ti fa compagnia che smuove la sfera dei sentimenti. Sicuramente non sono un critico letterario con una profonda conoscenza del settore, non sono impegnata nel campo dell’editoria, non ho alcun potere. Anzi no, ho il potere che mi deriva dall’essere una persona che ama leggere, che si commuove, sorride, si inquieta leggendo. Marina, con il suo romanzo d’esordio, ha toccato il mio animo da lettrice e per questo le sono grata. Leggete il Bianco e Nero, non sognatelo perché i sogni sono una mia prerogativa, tuttavia vivetelo come un desiderio che una bambina, ora scrittrice, è riuscita a realizzare. Ora vi lascio, il dottore mi attende.

giovedì 27 giugno 2013

Raccontami una storia #2 "Lasciate ogni speranza, voi ch'uscite"

"Raccontami una storia" è una rubrica/iniziativa  creata da me appositamente per il blog Penna d'oro.
In questa rubrica darò spazio a tutti coloro che amano scrivere brevi racconti e a coloro che amano semplicemente leggerli :)

REGOLAMENTO

Inviate i vostri brevi scritti alla mia e-mail: pennadoro62@gmail.com provvederò a pubblicarli sul blog.
IMPORTANTE: i racconti devono essere brevi, originali e devono trattare dei temi adatti a tutti con un linguaggio adeguato.
Insieme al racconto potrete mandarmi un vostro commento personale, una curiosità su come è nata la storiella o un’immagine che volete accompagni il vostro scritto.


In questo secondo appuntamento ho il piacere di ospitare: 

Athenae Noctua


Sicuramente la conoscerete già dato che anche lei è una blogger, ecco il link al suo blog: http://athenaenoctua2013.blogspot.it/

La ringrazio per avermi mandato questo racconto e aver deciso di condividerlo con noi.
Adesso tocca a voi leggerlo :)


Lasciate ogni speranza, voi ch'uscite

Non ci pensa nessuno? Ho ormai centinaia, migliaia di anni! E devo sempre star qui a portare su e giù questo pesante legno marcio. Ho crampi per tutte le braccia, sento i nervi tesi sotto la pelle. Vorrei vedere un qualsiasi altro vecchio al mio posto a mulinare per tutto il giorno e ogni giorno il remo per spostare la barca o per bastonare i morti che si sporgono, impazziti, nel tentativo di tornare sulla riva. Quella felice, intendo. Nessuno che smani di passare dall’altra parte. Nossignore! Tutti infervorati per rivivere. Chissà chi ha messo loro in testa che è possibile. A me non risulta.
Mi si può biasimare per aver cercato di sottrarmi a questa giostra di matti? Io non capisco perché i morti non possano nuotare... o perché, semplicemente, nessuno venga mai a darmi il cambio. Un’ora di libertà al giorno sarebbe chiedere troppo? Ebbene, se proprio non posso avere la pensione, mi sono detto, mi prendo una vacanza. La mia intenzione, ad essere onesti, era quella di andarmene e non tornare. Un po’come fare il contrario di ciò che fanno i miei clienti: loro, da vivi che erano, restano per sempre morti, mentre, io, da morto – se questo sono – avrei voluto starmene tra i vivi.

Ho semplicemente mollato lì barca e remi. Quella mattina ero sul punto di cambiare idea: era un giorno tranquillo, pochi morti in arrivo. Ma, alla fine, i latrati di Cerbero e le imprecazioni di Minosse mi hanno fatto saltare i cinque minuti.
Un balzo sulla riva e ho oltrepassato gli sguardi attoniti dei morti: non so se si stupissero per la nuova realtà o per il fatto che si vedevano senza un traghettatore. Uno di loro mi ha fermato e mi ha chiesto dove stessi andando.
 «A vedere com’è la vita».
 «Non ti perdi niente», ha risposto, «Guarda me: mi sono ammazzato».
I suicidi sono tra i più disprezzati anche laggiù dalle mie parti. Stanno piuttosto in basso, per la verità. Ma, per quanto mi riguarda, li ho sempre considerati meglio di tanti altri per il fatto che non perdono tempo a lamentarsi della morte. Non mi importa la gravità delle loro colpe, che per Minosse invece è sempre motivo di preoccupazione, ma il grande sollievo che provo nel trasportare quelle anime che si trovano lì per loro scelta. Sulla barca tutti si lagnano insopportabilmente, ma i suicidi stanno sempre in silenzio e non decantano la perduta vita. I migliori clienti, senza dubbio.
 «Ti traghetterei gratis se non fossi deciso ad andare via», ho detto.
L’anima ha sorriso. «Posso aspettare. Secondo me ritorni in fretta. Soprattutto se intendi piombare tra i vivi con quel solo straccio addosso».
Subito ho abbassato sguardo sui cenci che avevo avvolti intorno ai fianchi. Ricordo di aver alzato le spalle. Non sapevo come si vestisse nell’altro mondo. Ho guardato l’anima. Indossava un paio di pantaloni neri che definiva jeans o qualcosa di simile e una tunica leggera che i vivi chiamano camicia. Ai piedi portava degli strani calzari morbidi. Ha cominciato a spogliarsi e in pochi secondi era lì con tutti gli abiti in braccio. Me li ha porti e io li ho presi con esitazione.
 «Tanto dicono che mi ridurrò ad un mucchio di sterpaglie», ha commentato, «Non mi serviranno».
L’ho ringraziato e ho indossato gli abiti, ingaggiando una lunga lotta con quella che l’anima aveva definito “cerniera lampo”. Infine mi sono avviato alla porta e, senza voltarmi indietro, l’ho attraversata.
Come dicevo, era l’alba. Mi sono trovato catapultato in una realtà frenetica, col rischio di essere messo sotto da un’automobile – ne conoscevo il nome perché avevo traghettato molti morti investiti – al mio primo passo da vivo.
Ho preso a camminare in mezzo alle strade, adeguandomi a percorrere gli spazi che vedevo occupati da altri che, come me, si spostavano a piedi. Tutti seguivano i comandi di una strana torcia a tre colori. Non ci è voluto molto per capire che al rosso tutti dovevano fermarsi e al verde potevano andare. In questo modo si voleva ridurre la mia potenziale clientela. Su sentieri rialzati ai bordi degli spazi delle automobili si dovevano muovere i pedoni e presto ho imparato a distinguere i luoghi che mi erano accessibili da quelli che dovevo evitare.
Avevo sentito dire dai traghettati che un uomo doveva lavorare per vivere. Lavorare e spendere i soldi guadagnati, che non erano le monete di cui disponevo io. Ho deciso che mi serviva un lavoro, ma che non avevo alcuna referenza se non la mia rodata carriera di traghettatore. Ho chiesto informazioni su dove poter trovare un impiego.
Venezia. Mi hanno dato in molti il nome di questa città. L’ho trovata subito molto più adatta a me rispetto alle turbolente piste di autocarri e macchine. Ero in mezzo all’acqua, e, se non altro, il passaggio al nuovo mondo risultava meno traumatico del previsto.
Ho notato immediatamente che la mia capigliatura folta, canuta e ricciuta attirava l’attenzione di ogni singolo passante. Che mi invidiassero o che mi compatissero? Ho sentito un ragazzo con una cresta ossigenata che ammirava le mie lenti rosse. Ma quali lenti?
Nonostante gli sguardi stupiti della gente, sono riuscito a farmi portare dai miei nuovi mocassini fino ad un molo deserto. Al legno scricchiolante erano legate alcune barche longilinee e ornate in modo molto particolare alle estremità; su ognuna vi era un comodo posto per i passeggeri, mentre i rematori prendevano posizione alle loro spalle, a ridosso della lingua di legno che si alzava a poppa.
Mi hanno dato immediatamente il lavoro. Unica condizione: dimostrare di poter governare l’imbarcazione. Come se qualcuno fosse in grado di dare a me lezioni di navigazione!
Il giorno seguente, vestito con una maglietta a righine blu e bianche e pantaloni alla zuava e con un cappellino di paglia a cingermi la chioma di cui andavo molto fiero e che, a detta dei colleghi, avrebbe attirato i clienti, ho iniziato a navigare su e giù per la città, affiancato da un altro gondoliere che aveva il compito di illustrarmi i percorsi lungo i canali.
Nel giro di qualche giorno l’andamento di ogni canale si era impresso nella mia memoria e viaggiavo da solo, indipendentemente. Centinaia di turisti erano ogni giorno assiepati sul molo a domandare un passaggio e disposti a sborsare cifre da capogiro per una sola mezz’ora a bordo della mia gondola.
Mi piaceva la vita.
Finché i traghettati non hanno cominciato ad assillarmi con nuove lamentele. Non parlavano mai con me, se non per contrattare il prezzo del passaggio e la meta, ma io ascoltavo sempre i loro discorsi, cercando di paragonarli a quelli dei miei vecchi clienti.
 «L’albergo non è di mio gradimento», ha iniziato un mattino una donna ingioiellata, «Le tendine hanno un colore orribile, per non parlare della moquette».
 «Quell’affare mi ha fruttato meno della metà di ciò che mi aspettavo», ha detto il cliente successivo, parlando al cellulare.
 «Guarda che fregatura questa sciarpa: tutta rovinata», si è lamentata una ragazza.
 «Possibile che l’affitto sia così caro negli ultimi tempi?».
 «Maledizione, non riesco a dimagrire».
 «Disastri del governo».
 «Ne ho piene le scatole delle polemiche sull’inquinamento».
 «Un’altra truffa!».
Giorno dopo giorno erano questi i discorsi che si susseguivano. Tutti a lamentarsi delle tasse, della casa, del marito, della moglie, dei parenti, dei vicini di casa, dell’insegnante e del datore di lavoro, del dipendente e dell’impiegato dell’ufficio postale. Ho pazientato un giorno. Due. Tre. Una settimana. Un mese. Ma mi sono presto reso conto che, per quanto tempo passasse, nessuno voleva dimostrarsi minimamente soddisfatto della propria vita. Tutti vi trovavano macchie, crepe, spruzzi di infelicità. Il ricco, il famoso, il sano. Tutti avevano di che lamentarsi.

Il trentaduesimo giorno ho ripreso jeans e camicia e ho mollato di nuovo barca e remi, gettando il cappellino di paglia in mezzo al canale. Sono tornato sui miei passi e ho superato di nuovo la porta di casa. Non mi aspettavano con feste, rinfreschi e striscioni: quaggiù non funziona così. Ho semplicemente imbracciato il grande remo nodoso e ho fatto salire sulla barca le anime in attesa, assaporando con soddisfazione le loro lamentele sulla morte. Loro si compiangevano per ciò che le aspettava per l’eternità e non per quel breve istante effimero che non sarebbe più tornato. Ho imparato ad apprezzare i sospiri per la vita, ma non ho mai più accettato le imprecazioni contro di essa. Nemmeno il suicida è più stato per me l’emblema della capacità di adattamento, sebbene io in quei pochi giorni mi sia comportato un po’come lui, fuggendo l’esistenza che mi era stata assegnata.
Ma credo di aver fatto un passo in più rispetto a quel poveraccio: io ho accettato la mia condizione e ho ripreso le redini dell’esistenza a me destinata. Non ho più tentato di cambiarla. L’assurdità del mio voler vivere era pari all’insensatezza dei vivi di voler morire polemizzando in modo distruttivo contro la vita. A me i polemici, gli incontentabili, come forse ho lasciato intendere al mio confessore, non sono mai piaciuti.
Se non altro, ci ho guadagnato un magnifico paio di mocassini.



Commento dell'autrice

Il racconto si intitola "Lasciate ogni speranza, voi ch'uscite" e il protagonista è Caronte, il traghettatore delle anime. L'ho scritto qualche anno fa perché ho provato ad immaginarmi questo singolare personaggio in un contesto attuale; mi sono chiesta: uno come lui, col suo carattere, che lavoro potrebbe fare nella realtà, come si potrebbe vestire? Come si rapporterebbe ai vivi uno che ha sempre avuto a che fare con le anime dell'inferno? Cercando di unire tradizione e ironia, ho buttato giù queste righe!
Con questo racconto ho partecipato ad un concorso letterario, per poi pubblicarlo,  con qualche aggiustamento, su una rivista di fumetti e, infine, sul mio blog.






Commento di Aquila Reale

Ho letto il tuo scritto con il sorriso sulle labbra pensando a Caronte che si ribella alla sua condizione di lavoratore sfruttato, senza ferie! Immaginarlo poi a Venezia, come gondoliere moderno, è davvero un'immagine strepitosa. Brava Athenae! 


Aspetto con curiosità i vostri commenti. 
Alla prossima, la vostra Aquila Reale.